REDDITO DI CITTADINANZA E QUOTA 100, I CONTI ANCORA NON TORNANO E IL CDM VIENE RINVIATO
I NODI DEL TFR AI PENSIONATI E L’IMPORTO DEL REDDITO DI CITTADINANZA CHE SI RIDUCE
La nebbia sale sul dolce colle dove sono affiancati Palazzo Chigi e Montecitorio e avvolge completamente il Consiglio dei ministri. Anzi, la madre di tutti i Consigli dei ministri, quello che dovrebbe dare vita ai provvedimenti chiave di Lega e Movimento 5 stelle, quota 100 sulle pensioni e reddito di cittadinanza.
Il borsino del Transatlantico della Camera impazzisce. “Slitta, forse la prossima settimana”, spiegano fonti di governo di buon mattino. “No, è venerdì”, correggono il tiro all’ora di pranzo. “Tutto come previsto, si fa giovedì”, tornano a dire nel pomeriggio. Alla fine lo slittamento sembra scongiurato, e tra domani sera e dopodomani mattina potrebbe arrivare il via libera.
La partita è delicatissima, gli ultimi nodi sul piatto ancora da sciogliere.
Il reddito, la parte normativamente più complessa, fatica ad avere il visto dalla Ragioneria generale dello stato.
Sulle pensioni il Carroccio sta provando ad anticipare lo sblocco del Tfr per gli statali, la cui erogazione al momento è previsto sia differita di dodici o ventiquattro mesi.
Il clima non è sereno. I principali canali di comunicazione, soprattutto sul versante stellato, comunicano con il contagocce. Si sparge la voce di un vertice serale tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, prontamente smentito dalle camice verdi.
Il capo politico 5 stelle ha sì un appuntamento fissato in agenda. Ma è la consueta riunione del mercoledì sera con i ministri e i capigruppo per fare il punto della situazione.
Alla quale potrebbe affacciarsi Giuseppe Conte, di ritorno da una due giorni in Ciad e Niger, per essere ragguagliato sulla situazione generale.
Il faccia a faccia tra i partner di governo al momento è previsto giovedì mattina. Gli incastri per la riunione dei ministri si fanno complicati.
Perchè il premier ha appuntamenti in agenda a partire da poco prima dell’ora di pranzo fino a metà pomeriggio, mentre i due vicepremier venerdì saranno entrambi a Rigopiano. Si deve chiudere entro venerdì mattina, per non correre il rischio di far slittare tutto di un’altra settimana ancora.
Sul tavolo anzitutto le banche. Perchè non sempre le banche sono una mina vagante da provare a tenere sotto controllo fino alle elezioni europee, come sta avvenendo con Carige.
Ci sono anche banche che sono funzionali, anzi vitali. Banche a cui il governo gialloverde si sta disperatamente aggrappando in queste ore per chiudere una delle questioni che ancora ballano nel decreto: la possibilità , come già spiegato, di dare subito il Tfr agli statali che vanno in pensione proprio avvalendosi delle banche come prestatori.
Solo che le banche, secondo quanto rivelano fonti vicine al dossier a Huffpost, non sono affatto convinte dello schema messo a punto dall’esecutivo nel punto più delicato, quello degli interessi che andranno corrisposti proprio agli istituti di credito. Vogliono di più. Più di una banca avrebbe posto resistenze al prezzo fissato dall’esecutivo.
Per entrare nel merito della questione ancora irrisolta è utile fare riferimento ai movimenti del governo.
L’obiettivo politico, spinto dalla Lega, è quello di anticipare i tempi rispetto alle norme attuali, che prevedono la possibilità per i dipendenti pubblici che vanno in pensione di ottenere l’indennità solo dopo 12-24 mesi dall’uscita (l’importo è accreditato con rate annuali che dipendono dall’importo: più alto è e più lunga è la rateizzazione).
Si vorrebbe dare tutto subito, soprattutto per gli statali che aderiranno alla quota 100, che altrimenti dovranno aspettare molti anni perchè andando in pensione a 62 anni dovranno prima fare scattare i requisiti della Fornero (67 anni in media) per poi ottenere, sempre dopo 12-24 mesi aggiuntivi, il Tfr.
Lo schema prevede che le banche si facciano carico del pagamento del Tfr: un vero e proprio anticipo che però ha ovviamente un interesse.
Chi paga questo interesse? Il nodo non è ancora stato sciolto: si tenta, disperatamente, di racimolare risorse pubbliche in modo che il costo non cada tutto sulle spalle del pensionato ma anche, seppure in parte, sullo Stato.
E poi c’è soprattutto la questione del prezzo dell’interesse. Perchè un interesse alto è veicolo di alta impopolarità in un governo composto da due forze politiche che hanno sempre promesso guerra alle banche e che invece – a causa dei bubboni Carige e Mps – hanno già pagato un prezzo non indifferente in termini di rischio di erosione del consenso.
Se il costo dell’interesse sarà elevato e soprattutto sarà a carico del pensionato è evidente che questa configurazione sarebbe foriera di nuove tensioni negli elettorati di Lega e 5 Stelle.
Chi lo sa bene sono i pentastellati. Secondo quanto riferiscono fonti parlamentari in queste ore non sarebbero mancate tensioni tra i due partiti, con i 5 Stelle infuriati nei confronti del Carroccio, determinato invece ad andare fino in fondo.
Ma il Tfr non è l’unico problema di un decreto che rischia di slittare ancora.
Alla Ragioneria dello Stato non tornano ancora le tabelle sul reddito di cittadinanza. La questione dell’assegno da corrispondere a oltre 250mila famiglie con almeno un componente invalido (con il 67% o più di invalidità ) – dirimente per il via libera da parte della Lega – ha ridotto i fondi a disposizione, portandoli a poco meno di 5 miliardi.
Ne risente, quindi, anche l’assegno portante della misura, quello da 780 euro, nel senso che la platea va rimodulata, riscritta in altre parole.
Accorgimenti tecnici che avrebbero messo i tecnici della Ragioneria in un atteggiamento di estrema prudenza rispetto alla fretta che ha il governo di chiudere la partita.
Il vulnus rischia di essere rovesciato in Parlamento, ma sarebbe comunque un modo per approvare il decreto in Consiglio dei ministri. Magari trovando anche ulteriori coperture dai giochi e dalle slot, ipotesi su cui sono al lavoro i 5 stelle per dare stoffa a una coperta che, con il passare delle ore, sembra inevitabilmente sempre corta.
(da “Huffingtonpost”)
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