RIVOLTA CONTRO L’ATTACCO AI TRANSFUGHI CINQUESTELLE: “LINEA DURA DECISA DA CHI?”
ORMAI E’ SFIDA TRA ORTODOSSI E DIALOGANTI… ATTESA PER LA SCELTA DEL NUOVO CAPOGRUPPO AL SENATO
La consueta riunione grillina del giovedì non è stata ancora convocata.
L’ultima volta, disertata da mezzo gruppo parlamentare, è stato un mezzo flop.
Un segnale, forse, del cronico malessere che fiacca il Movimento cinque stelle.
Ormai basta poco per far saltare i nervi: un comunicato stampa del gruppo rilanciato all’insaputa di tanti deputati o un post al vetriolo di Paolo Becchi.
Se alla Camera la tensione è alle stelle, al Senato si prepara l’atteso ballottaggio per scegliere il nuovo capogruppo.
La sfida divide ortodossi e dialoganti ed già diventata terreno di scontro tra le due anime del grillismo.
L’addio di Vincenza Labriola e Alessandro Furnari ha scosso le truppe grilline.
Ma la reazione del gruppo cinquestelle le ha divise. Scatenando una rivolta.
Quando infatti — venerdì mattina — le agenzie battono la durissima presa di posizione contro i due deputati, in molti cadono dalle nuvole.
Quasi nessuno era stato avvertito, perchè solo una manciata di fidati grillini aveva elaborato il testo della discordia.
E infatti in pochi minuti parecchi deputati, sfruttando i canali di comunicazione interna, prendono le distanze.
Sul banco degli imputati finiscono il capogruppo Riccardo Nuti e alcuni suoi fedelissimi. Perchè un conto è ‘salutare’ i transfughi con ironia, altro è indicarli come scansafatiche attaccati alla diaria.
Qualcuno chiede una rettifica. Ma nelle mail scambiate fra deputati il malessere lambisce la conduzione del gruppo.
«Decidono sempre gli stessi, è una gestione troppo verticistica», ripetono i malpancisti. Su Facebook Aris Prodani sintetizza così: «Detesto la caccia allestreghe… e non mi considero una strega. Beninteso».
Sono segnali. Come anche il nervosismo diffuso per il complicatissimo vademecum inviato ai grillini per rendicontare al meglio le spese.
Pippo Civati, pontiere democratico, descrive il malessere: «Penso che alcuni di loro non siano più disposti a farsi trattare così. La fibrillazione aumenta. L’addio dei due deputati potrebbe fare scuola…».
Civati continua a sondare riservatamente i dissidenti, che intanto restano alla porta in attesa solo del momento giusto per lasciare.
Come se non bastasse, a gettare benzina sul fuoco arriva anche l’ennesimo post del filosofo Paolo Becchi.
Dal governo Monti in poi il Colle «ha potuto esercitare di fatto un potere amplissimo». «Non viviamo anche noi, in Italia, in una situazione di colpo di Stato permanente?», domanda, contestando la commissione di saggi per le riforme.
Non tutti, però, gradiscono. Non è tanto un problema di contenuti, ma di metodo.
Come precisa Alessandra Bencini, «Becchi non è portavoce, è un semplice simpatizzante».
Un suo collega, Francesco Campanella, aggiunge: «Colpo di Stato? Non amo espressioni del genere».
Il deputato Walter Rizzetto, invece, si limita a sottolineare: «Non ho letto Becchi. Più in generale, è un momento delicato e bisognerebbe concentrasi di più sul lavoro e meno sulle parole. E comunque volere il confronto non significa essere dissidenti».
A Palazzo Madama, intanto, si attende il ballottaggio per la successione di Vito Crimi. Entro giovedì si scontreranno Nicola Morra e Luis Orellana, gradito alla fazione più dialogante e inquieta.
La sfida sarà a viso aperto, anzi a telecamere accese: l’ultimo appello al voto si terrà infatti in diretta streaming.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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