SE SALTA IL GOVERNO IN TUNISIA È L’ITALIA CHE RISCHIA GROSSO: IL FONDO MONETARIO POTREBBE CONCEDERE A TUNISI UN PRESTITO DA 2 MILIARDI
CON IL PAESE ALLO SBANDO E LE COSTE SENZA CONTROLLI POTREMMO RITROVARCI CON UN AUMENTO DEI FLUSSI MIGRATORI … E L’ITALIA STA A GUARDARE
Quei 2 miliardi scarsi da prestare alla Tunisia stanno diventando un’ossessione, per Giorgia Meloni. Perché sa che è da lì che, se si potrà, si dovrà fermare l’esodo africano verso le coste siciliane.
La premier si accinge al prossimo Consiglio europeo, quello del 24 marzo, con l’inquietudine di chi sa che non ci sarà alcuna svolta, anzi. Ora gli sherpa che preparano il dossier hanno fatto sapere che, alla voce “risultati possibili” c’è, grosso modo, questo: nulla.
Gli sbarchi non si fermano, anzi proseguono a ritmi mai visti da quasi un decennio in qua. E, a fronte di questo allarme, perfino quell’altro supposto “significativo passo avanti ottenuto grazie alla posizione del governo italiano”, e cioè il riconoscimento della rotta del Mediterraneo centrale come una priorità europea, si rivela per quello che è. Poca roba.
Il punto è che la crisi tunisina spaventa davvero, il governo italiano. Diecimila arrivi a febbraio significa, nelle proiezioni elaborate dal Viminale, sessantamila sbarchi ad agosto.
Un flusso ingestibile per chiunque. E che potrebbe perfino assumere dimensioni peggiori se davvero, come si teme alla Farnesina, la crisi di Tunisi degenerasse sotto il peso dell’inflazione alimentare.
La guerra in Ucraina, per un paese che importava più dell’80 per cento del grano da Kyiv e Mosca, era un dramma annunciato. Ora inizia a prendere sostanza.
Per questo Meloni ritiene fondamentale accelerare il prestito di 1,9 miliardi di dollari negoziati dal governo Saied col Fmi a ottobre. L’accordo sembrava fatto, sennonché a Washington hanno poi frenato. Troppo scarse le garanzie politiche offerte da Tunisi per un programma di riforme molto stringente, da attuare in 48 mesi, che prevede la ridefinizione del quadro fiscale e sanitario, oltreché privatizzazione di enti parastatali, tagli a sussidi alle famiglie, norme contro la corruzione. In una parola: austerity.
“Ma se aspettiamo ancora per convincere il governo a varare le riforme, tra un po’ non ci sarà più alcun governo, a Tunisi”: questa è la tesi dei consiglieri di Meloni. E questo, grosso modo, è il senso della moral suasion che la premier sta svolgendo senza sosta (“Passo le giornate al telefono”).
Perfino nella sua trasferta ad Abu Dhabi ne ha parlato con lo sceicco Mohamed bin Zayed. E non a caso. Perché proprio l’intervento degli emirati, insieme a quello dei qatarini e dei sauditi, ha consentito all’Egitto di poter offrire al Fmi garanzie necessarie per vedersi concedere un prestito di 3 miliardi, a fine 2022. Operazione al momento improbabile, in Tunisia.
E Meloni non ha soluzioni alternative in caso di emergenza. Il suo “Piano Mattei” è un progetto di prospettive velleitarie. Tunisi di soldi ne chiede pochi, maledetti e subito. Ma spazio politico per negoziare, a Bruxelles, non sembra esserci. Senza un intervento della Casa Bianca difficilmente il Fmi si convincerà ad accelerare l’erogazione dei fondi.
(da agenzie)
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