SENTENZA ETERNIT: 16 ANNI AI VECCHI PROPRIETARI DELLA MULTINAZIONALE PER DISASTRO DOLOSO E RIMOZIONE DI MISURE ANTINFORTUNISTICHE
LA DECISIONE DEL TRIBUNALE ATTESA DAI FAMILIARI DI 3.000 VITTIME, IN AULA GRIDA, LACRIME E APPLAUSI… RISARCIMENTO DI 30.000 EURO PER OGNI FAMILIARE
Il Tribunale di Torino ha condannato a 16 anni di carcere ciascuno il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, 65 anni, e il barone belga Louis De Cartier, 91 anni. La procura chiedeva 20 anni per ognuno dei due imputati che furono a capo della multinazionale Eternit.
I due rispondevano di disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antinfortunistiche.
Il tribunale ha anche stabilito un risarcimento di 30mila euro per ogni familiare di vittima dell’amianto al processo Eternit.
La sentenza è stata pronunciata dal giudice Giuseppe Casalbore. In aula alla lettura della sentenza grida, lacrime e applausi dei familiari delle vittime. La maxi aula era piena fino all’inverosimile.
Il dispositivo fa però una distinzione tra gli stabilimenti italiani, dichiarandoli colpevoli per quanto riguarda Casale Monferrato e Cavagnolo (Torino), mentre il reato sarebbe estinto per prescrizione per gli stabilimenti di Rubiera, in Emilia Romagna, e Bagnoli, in Campania.
Stephan Schmidheiny e Louis De Cartier erano entrambi ex manager ai vertici della multinazionale dell’amianto. Il Presidente del Tribunale Giuseppe Casalbore è passato poi ad elencare gli indennizzi a favore delle parti civili, che sono alcune migliaia
L’aula era pienissima di giornalisti, di fotografi, videoperatori.
Al palazzo di giustizia di Torino sono arrivati 26 pullman, non solo da Casale Monferrato, dove si è registrato il maggior numero di vittime, colpite dal mesotelioma pleurico o dall’asbestosi, ma dal resto del paese e dalla Francia, dove si sono verificate tragedie analoghe.
Tre maxi aule sono state aperte per ospitare le oltre mille persone arrivate per ascoltare il verdetto del più grande processo mai celebrato in Italia, e non solo – 160 le delegazioni da tutto il mondo – per l’amianto.
Le parti civili erano 6392, quasi tremila i morti e i malati per la fibra killer, almeno 2300 le vittime negli stabilimenti italiani, a partire dal 1952, di Casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Millecinquecento sono i morti a Casale, lo stabilimento più grande in Italia, chiuso nell’86.
Il pool dell’accusa, composto da Raffaele Guariniello, Gianfranco Colace e Sara Panelli, in 62 udienze, dal 2009, ha dimostrato, secondo i giudici di primo grado, come i capi della Eternit, il magnate svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis De Cartier De Marchienne, avessero continuato – pur sapendo che l’amianto uccide – a mantenere operative le fabbriche per fare profitto.
E che avrebbero omesso di far usare tutte quelle precauzioni – come l’uso delle mascherine o dei guanti – per evitare che migliaia di persone si ammalassero di tumore al polmone o di absestosi.
Durante l’arringa finale Guariniello ha chiesto 20 anni per ognuno dei due imputati, che non si sono mai presentati al processo.
La loro difesa, rappresentata dagli avvocati Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva per Stephan Schmidheiny, e da Cesare Zaccone per Louis De Cartier, sosteneva che entrambi sono innocenti, che all’epoca dei fatti non si sapeva quanto fosse nocivo l’eternit e che, infine, troppi anni sono passati da allora affinchè oggi si possa preparare una difesa equa: mancherebbero i documenti e le testimonianze.
Secondo l’accusa il gruppo svizzero della famiglia Schmidheiny fu ai vertici della Eternit dal 1972 al giugno dell’86, dal ’52 al ’72 invece l’azienda faceva capo – secondo i pm – alla famiglia Emsens e al barone Louis de Cartier, formalmente presente nel consiglio di amministrazione dal ’66 al ’72.
«Comunque vada è un processo storico» aveva detto il pm Raffaele Guariniello, appena arrivato nella maxi aula uno.
«È il più grande processo – ha aggiunto – nel mondo e nella storia in materia di sicurezza sul lavoro. C’è stato un grande interesse da parte di tutti i paesi in cui si è lavorato l’amianto. Questa è la dimostrazione che si può fare un processo. Bisogna lavorare per fare giustizia, noi abbiamo avuto aiuto da tutte le istituzioni».
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