SI È APERTA UNA CREPA NEL GRUPPO DIRIGENTE PUTINIANO. E “MAD VLAD” RISCHIA DI FINIRCI DENTRO
DA UNA PARTE IL LEADER CECENO KADYROV E IL CAPO DEI MERCENARI DI WAGNER PRIGOZHIN, CHIEDONO LA TESTA DEI VERTICI MILITARI… DALL’ALTRA I SERVIZI SEGRETI DI MOSCA CONTRO L’OLIGARCA ABRAMOVICH PER IL RUOLO DI MEDIATORE CON KIEV NELL’ULTIMO SCAMBIO DI PRIGIONIERI A CUI GLI 007 ERANO CONTRARI
Si è aperta una crepa enorme, quasi uno scisma, dentro il gruppo dirigente putiniano. Che va raccontata attraverso due storie.
La prima è quella che riguarda la coppia Kadyrov-Prigozhin. La seconda ruota attorno a Roman Abramovich. Sentite come.
Il 1 ottobre il leader ceceno Ramzan Kadyrov, uno degli scherani di fiducia di Vladimir Putin, ha accusato apertamente il Capo di Stato Maggiore della Russia, il generale Valery Gerasimov, di esser stato completamente sordo ai suoi avvertimenti sul fatto che il comandante russo nel quadrante di Lyman (il generale Alexandr Lapin) era un uomo inutile, incapace di gestire e, in definitiva, colpevole della nuova disfatta russa sul campo di battaglia: «Non doveva arrendersi», ha scritto Kadyrov, e soprattutto, «nei territori contesi bisogna istituire la legge marziale».
«Non è un peccato che [il generale Lapin] sia mediocre. Lo è il fatto che sia coperto dai vertici dello Stato Maggiore», ha osservato Kadyrov, attaccando frontalmente Gerasimov. «Se potessi, declasserei Lapin a soldato semplice, lo priverei dei suoi riconoscimenti e, con una mitragliatrice in mano, lo manderei in prima linea per lavare la vergogna con il sangue».
Kadyrov ha poi fatto vaghi accenni alla corruzione delle élite militari, «il nepotismo dell’esercito non porterà a nulla di buono. Nell’esercito è necessario nominare persone di carattere forte, coraggiose, di principio, che si preoccupano dei loro combattenti, che si strappano i denti per i loro soldati, che sanno che un subordinato non può essere lasciato senza aiuto e sostegno. Non c’è posto per il nepotismo nell’esercito, soprattutto in tempi difficili».
La prima novità è che Evgheny Prigozhin – il capo della troll factory di San Pietroburgo, poi fondatore dei mercenari del Gruppo Wagner, e sotto sanzioni europee e americane – si è schierato adesso apertamente con Kadyrov.
«Parlano chiaramente a nome degli ultrà e chiedono un salasso ai vertici del Ministero della Difesa», osserva Christo Grozev di Bellingcat. Prigozhin scrive: «Il commento di Kadyrov certamente non è nel mio stile, ma quello che posso dire è: “Ramzan, dolcezza, sei un grande”. Tutti questi ceffi con fucili automatici, a piedi al fronte».
L’impressione è che qualcosa si stia rompendo anche tra gli ultra-falchi di Mosca. Commento di Grozev: «Scissione totale all’interno della lobby della guerra, e non è detto che finisca in modo pacifico, non è un gioco di parole».
Una sensazione analoga viene restituita da Dmitry Alperovich: «Le critiche palesi e sempre più stridenti nei confronti della leadership militare russa si stanno intensificando da parte di persone che contano davvero: Kadyrov, Prigozhin, tra gli altri. La situazione continuerà a peggiorare con la riconquista di territori chiave da parte degli ucraini. Putin potrebbe essere costretto a sostituire Shoigu e Gerasimov». Anche le intelligence occidentali ne sono pienamente al corrente. E qui veniamo alla seconda storia.
Lo scontro aperto ormai tra il tandem Kadyrov-Prigozhin e il General Staff (Gerasimov, ma anche direttamente il ministro della Difesa Sergey Shoigu) non è il solo.
Fonti di intelligence americana e ucraina hanno riferito al Washington Post che anche l’ultimo scambio di prigionieri – con il quale Putin ha ridato a Kiev cinque comandanti del Battaglione Azov, in cambio dell’oligarca suo amico Viktor Medvedchuk, l’uomo che lui avrebbe voluto insediare a capo di un governo fantoccio a Kiev – è stato deciso da Putin contro la volontà del Fsb, i servizi segreti di Mosca.
«L’Fsb era completamente contrario – ha dichiarato un alto funzionario ucraino -. Si sono resi conto delle conseguenze che l’accordo avrebbe avuto per l’opinione pubblica». Un altro dettaglio illumina però questa storia: per mediare, Putin si è servito di Roman Abramovich, l’oligarca sanzionato nell’Unione europea e nel Regno Unito, ma non negli Stati Uniti (su richiesta proprio di Kiev, che considera Abramovich qualcuno intenzionato a trattare per non finire travolto dal crollo del putinismo).
Abramovich – secondo una fonte de La Stampa che ha parlato a condizione dell’anonimato – si è messo in contatto con alcuni degli oligarchi russi trasferiti in Uk, e molto insofferenti per le restrizioni subite a causa delle sanzioni – e avrebbe svolto la mediazione anche forte del consenso di questo gruppo, assieme a Mohammed Bin Salman, volando prima a Ryad e Istanbul (dove ha visto Erdogan), poi a Mosca, e infine convincendo Putin allo scambio.
Operazione sulla quale invece erano assai più scettici gli oligarchi più vicini ai servizi russi. E in effetti, scrive il Wapost, la mediazione ha attirato una ulteriore ostilità del Fsb addosso all’ex patron del Chelsea, ritenuto dai siloviki – gli uomini dei Servizi a Mosca – qualcuno che vuole solo «farsi bello gli occhi dell’Occidente». Esattamente come il principe di Ryad.
In questo triangolo, falchi contro la Difesa il General Staff, Fsb contro l’oligarca in capo Abramovich, stanno forse i vertici per provare a seguire quale sarà la sorte finale di Vladimir Vladimirovich Putin.
(da La Stampa)
Leave a Reply