STRATEGIA CINQUESTELLE PER ROMA E NAPOLI: DI BATTISTA E DI MAIO “TUTOR” E TRAINO DI UN CANDIDATO POCO NOTO
ALLA BASE LA PAURA DI VINCERE E DI ESSERE GIUDICATI, COMPROMETTENDO LE POLITICHE 2018… MA RENZI RIPRISTINERA’ IL PREMIO DI COALIZIONE PRIMA DELLA SCADENZA
C’è tutto il senso della nuova fase del “sistema” nel “travaglio” dei Cinque Stelle in vista delle amministrative.
Una discussione emersa neanche tanto sottotraccia dal titolo: “Come ci approcciamo alla prova di maturità , ovvero le elezioni di Roma e Napoli? Candidiamo o no i big, come Di Maio e Di Battista, o restiamo fedeli all’ortodossia del blog e degli statuti?”.
Da settimane i sondaggi dicono che la vittoria, per i Cinque Stelle è a portata di mano.
A Napoli, se decidesse di correre, Di Maio secondo tre sondaggi pubblicati dal Mattino sarebbe il vincitore annunciato.
Lo stesso vale per Di Battista a Roma. Tanto che parecchi, anche nel Pd, nel Palazzo dicono: “Se candidano loro, ci mettono nei guai”.
Ma l’altro elemento, su tavolo, sono le pessime prove che i Cinque Stelle hanno dato nel governo delle amministrazioni locali. Parma, che forse è la città dove va meglio, è governata da un dissidente come Pizzarotti. Nelle altre è un disastro.
Il Fatto, giornale certo non ostile, lunedì scorso ha pubblicato più inchieste, approfondite e documentate, su come governano i Cinque Stelle, sotto un titolone: “Vi fareste governare da quelli di Grillo?”.
Bocciato il sindaco di Livorno, Filippo Nogarin e non solo per questioni di ospedale e municipalizzate.
Il cortocircuito del suo governo si è manifestato quando i consiglieri dei Cinque Stelle gli hanno bocciato il bilancio.
A Civitavecchia, l’aria è avvenata tra il Porto e gli stabilimenti Enel. E l’amministrazione rischia di avere poco ossigeno, anche a causa dell’aumento delle tasse.
E tutto qui, il travaglio. In vista di Roma e Napoli che, con tutto il rispetto, non sono Livorno e Civitavecchia. E rappresentano il test in vista delle politiche.
E la domanda, nel Palazzo è: “I Cinque stelle sono la seconda forza italiana e sfideranno Renzi alle prossime politiche. Se si bruciano su Roma, che succede”.
Il paradosso, neanche troppo, è questa discussione su come approcciarsi al Sistema, avviene proprio in un momento in cui il Sistema torna, prepotentemente, ad avere paura di Grillo.
Nel suo intervento al Senato Giorgio Napolitano ha scandito: “Dopo l’approvazione del ddl sulle riforme bisognerà dare attenzione a tutte le preoccupazioni espresse in queste ultime settimane in materia di legislazione elettorale”.
Tradotto: va cambiata la legge elettorale, ripristinando le coalizioni. Non è un mistero che l’ex capo dello Stato, che parlò dell’antipolitica (e dei Cinque Stelle) come di una “patologia eversiva” viva con preoccupazione l’ipotesi di un governo a Cinque Stelle, che col ballottaggio è tutt’altro che un’ipotesi del terzo tipo.
Ecco perchè suggerisce quello schema che era nella citata relazione dei saggi, ovvero una legge elettorale con apparentamento.
Miguel Gotor, uno che con Napolitano ha avuto qualche scambio di opinione nei giorni scorsi, traduce il ragionamento: “La relazione tra listone unico e ballottaggio crea una pista di lancio per i Cinque Stelle, che infatti hanno fatto un’opposizione di facciata all’Italicum. Si è visto alle scorse amministrative”.
Pure Denis Verdini va dicendo che Renzi farà un discorso molto pragmatico: quattro mesi prima delle elezioni, vedrà un sondaggio e a quel punto farà la legge elettorale giusta per battere Grillo.
E non è un caso che tutte queste trame si sviluppino ora che, con le riforme approvate la prospettiva del voto nella primavera del 2017 è più di una suggestione: amministrative, referendum, politiche.
Ecco, mentre il Sistema si attrezza a fermare i Cinque Selle, nel partito di Grillo è iniziato un travaglio.
Sono mesi che il caso Roma, da prima dell’estate è oggetto di studio di Casaleggio e di confronto con Grillo, da quando cioè è iniziata a scricchiolare in modo rumoroso la giunta Marino.
Ed è proprio a Milano che è stata presa la decisione di non far scendere in campo, alle amministrative i cavalli di razza di Battista e Di Maio, le candidature più forti.
Spiega Di Battista all’HuffPost: “Non mi candido. Più del prestigio personale conta il rapporto fiduciario con gli elettori. Nel 2013 dicemmo: votateci che lavoreremo cinque anni come parlamentari. E io questo impegno non lo posso e non lo voglio interrompere. Noi siamo quelli che criticarono la Moretti candidata al Parlamento, poi a Bruxelles, poi alla regione Veneto e con lei tutti coloro che usano la politica in questo modo”.
Il suo “non mi candido” invece Di Maio lo ha consegnato in un’intervista al Mattino.
Si capisce che, nella scelta, c’è anche la paura di vincere.
Roma è un tritacarne per una classe dirigente inesperta. Più che un trampolino di lancio rischia di diventare una tomba, anche per gente brava. E creare un effetto boomerang in vista delle politiche.
Ma c’è anche altro. Rompere la regola che i parlamentati si possono candidare ovunque significa rinunciare alla propria “diversità ”, diventare da Movimento, un partito come gli altri.
E rischiare anche un danno di immagine, apparendo dei “traditori” che macchiano la purezza originaria. È questa la posizione innanzitutto di Casaleggio.
Dunque, su Roma, il candidato sarà scelto tra i consiglieri comunali in carica, ovviamente attraverso la Rete, nella certezza che dalla rete non ci saranno outsider.
Raccontano fonti vicine a Casaleggio che però che i big saranno a fianco dei candidati, soprattutto in vista del secondo turno, perchè se al primo basta votare il marchio, al secondo serve un aiuto.
E così Di Battista adotterà il candidato di Roma, Di Maio quello di Napoli.
Scelta, anche questa che dimostra un travaglio. Niente deroghe per i big, che però ci mettono la faccia, la Rete sceglie ma in verità ratifica.
In fondo pure su questa storia qualche dinamica di partito si è vista nei Cinque Stelle.
La Taverna aveva proposto la soluzione esterna alla Freccero su Roma, la Lombardi in fondo sperava di essere indicata, su Di Battista è arrivato il gradimento di mondi vicini alla sinistra.
L’ideologia di rete e statuto mette ordine. Anche se non dà risposta a una domanda che in parecchi a microfoni spenti su fanno: “Se vinciamo con un quisque de populo poi che succede? Viene tritato dalla macchina?”.
Chi è già al lavoro sulla campagna elettorale ha già pronta la risposta: “Se vinciamo Roma, salta il governo. Renzi viene tritato prima del nostro sindaco”.
Wishful thinking, per non rispondere alla domanda: “Sono pronti a governare Roma quelli di Grillo?”. Il travaglio, appunto.
Mentre il Sistema si attrezza a metterli a vita all’opposizione.
(da “Huffingtonpost“)
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