RENZI STUDIA COME ARGINARE I GRILLINI: SONO A 4 PUNTI DAL PD E A ROMA VINCEREBBERO CON IL 34% CONTRO IL 18% DEL PD
IN VISTA DELLE COMUNALI E DI UNA REVISIONE DELL’ITALICUM IL PREMIER ANALIZZA SONDAGGI E CANDIDATI… INTANTO PREPARA IL TOUR DEI TEATRI
L’approvazione delle riforme costituzionali in Senato, con una maggioranza ancora più larga dell’estate scorsa, è stata una vera festa a Palazzo Chigi.
Matteo Renzi considera chiusa la fase uno, si sente a “un chilometro dal traguardo”, dicono i suoi, va tutto come previsto, come segnala lo stesso premier via twitter ogni volta che può.
Ma la fase 2 non inizia nel migliore dei modi. Ormai, all’orizzonte del presidente del Consiglio si staglia un avversario che prima non era diretto, si intravedeva dietro il centrodestra e in certi momenti sembrava abbattuto. Ora no.
E’ il Movimento 5 stelle. Il premier lo studia come si fa con lo sfidante su un ring di boxe. In vista delle prossime amministrative, certo. Ma anche in vista di una possibile modifica all’Italicum.
Il movimento di Grillo è cresciuto. Lo dicono anche i sondaggi che girano in casa Pd. Dove sono stati particolarmente notati, e con preoccupazione, i sondaggi diffusi ieri da Bruno Vespa a Porta a porta.
Quello di Ipr parla di una crescita del 2 per cento per il M5s, che si attesta così al 28 per cento, a soli 4 punti dal Pd che cresce solo dello 0,5 per cento.
E il sondaggio sulle intenzioni di voto a Roma è ancora più allarmante per i Dem.
Sia secondo Ipr che secondo Tecnè, la prossima sfida per il Campidoglio la vince il M5s: al 35 o al 33 per cento.
Mentre il Pd resterebbe piantato al 17 o massimo 19 per cento.
E’ quanto basta per studiare il fenomeno, mettere a punto una strategia adatta a sfidare un avversario che, pur essendo arrivato in Parlamento da ormai quasi tre anni, risulta ancora misterioso alla gran parte dei media, per non parlare dei Palazzi della politica. Innanzitutto, come si fa sempre in questi casi, in vista delle prossime sfide elettorali nelle città , il Pd di Renzi commissionerà dei sondaggi tagliati sulle varie ipotesi di candidato pentastellato. Che sia Di Battista per Roma o Di Maio per Napoli o nessuno dei due: ogni ipotesi verrà studiata a fondo per indovinare il candidato democratico più adatto alla sfida.
Ma la strada è disseminata di pericoli.
Uno: al quartier generale di Renzi sono ben consapevoli che il M5s ha dalla sua la forza del marchio. Che riesce ad attrarre consenso anche a prescindere dal candidato. Cosa che invece il ‘brand Pd’ non riesce a fare, nonostante che il premier abbia cercato di tirarlo a lucido, almeno di svecchiarlo.
E sembrava ci fosse riuscito, all’epoca del 40 e passa per cento conquistato alle europee l’anno scorso. Ora invece Renzi si trova costretto a puntare sul volto di successo che sia in grado di tirarlo fuori dalle secche di una campagna elettorale difficile a Roma, dopo il caos Marino, ma anche a Milano, a Napoli.
A proposito, anche nella città partenopea i sondaggi Pd non portano buone notizie. Antonio Bassolino, che si è già messo in pista per ricandidarsi a sindaco, rischia di determinare quello che in casa Dem chiamano ‘l’effetto Rutelli 2008′, quando l’ex primo cittadino di Roma perse la sfida con Gianni Alemanno.
Ecco, solo che stavolta lo sfidante più agguerrito può essere a cinquestelle e certo non più del Pdl.
E’ uno scenario che porta Renzi a ritarare gran parte della sua strategia.
Anche perchè a Roma, per dire, sono stati proprio i cinquestelle a denunciare e quindi a far nascere l’inchiesta sugli scontrini delle cene di Marino, l’ultimo masso piombato sulla testa del sindaco tanto da farla cadere.
Da Palazzo Chigi notano i movimenti giudiziari e mediatici sulle note spese di Renzi quando era primo cittadino di Firenze.
Il premier continua a non temerne gli effetti, rassicura i suoi sul fatto che tutto è in ordine. Ma certo queste materie sono scivolose, soprattutto se la Corte dei conti — che ha aperto un fascicolo per atto dovuto — dovesse scendere nei dettagli dei pranzi e delle cene che, secondo le accuse contenute negli esposti, sarebbero state pagate dal comune.
A quel punto, ci sarebbe da dover ricostruire incontri a tavola avvenuti anni fa, roba da Pico della Mirandola, insomma.
Dunque, il M5s ora è bene a fuoco nel mirino del premier. Tanto che dalla sfida con Grillo e Casaleggio potrebbe dipendere anche l’eventuale modifica all’Italicum, che al momento, dal governo continuano a smentire, a livello ufficiale.
Fatto sta che ieri in aula al Senato, ne ha parlato niente meno che il presidente emerito della Repubblica e senatore a vita Giorgio Napolitano, il “padre” delle riforme di Renzi, per ammissione dello stesso ministro Boschi.
“Dobbiamo dare risposte nuove a situazioni stringenti e bisognerà dare attenzione a tutte le preoccupazioni espresse in queste settimane in materia di legislazione elettorale e diritti costituzionali”, ha detto Napolitano.
Non che il suo giudizio sia direttamente collegato alle intenzioni del governo, ma segnala un clima. Di allerta.
La sostanza è questa: se, come sembra, il M5s si affermerà come il vero avversario del Pd renziano alle politiche del 2018, allora è possibile che il premier metta in campo una modifica dell’Italicum.
Magari cambiando il premio di maggioranza dalla lista alla coalizione e pensando a possibili apparentamenti con un’area di centro e una di sinistra (ancora tutte da costruire e questo è il problema).
Se invece l’avversario sarà il centrodestra, che versa in una condizione di oggettiva frammentazione chissà se ricomponibile, allora l’Italicum resterebbe così com’è.
La decisione è rimandata alla prossima estate.
Dipenderà molto da come andrà la sfida con i pentastellati nelle città interessate al voto di primavera.
Tra l’altro, per la campagna elettorale, Renzi deve rinunciare al traino del referendum costituzionale, che slitta ad “autunno 2016”, ha detto il premier stamattina alla Camera.
Prima, non si fa in tempo: la consultazione popolare deve avvenire a sei mesi dall’approvazione definitiva del ddl Boschi.
Testo che, pur avendo ormai superato tutti i tornanti più complicati, non uscirà dal Parlamento prima di febbraio.
Perciò per il voto nelle città Renzi non potrà usare lo slogan sull’abolizione del Senato (non è esattamente così, ma questo è il messaggio del premier). Sfrutterà invece tutti i risultati conseguiti dal governo nazionale, li spenderà come può a livello locale, facendo il giro dei “cento teatri”, come ha annunciato già a settembre alla chiusura della festa dell’Unità a Milano.
Il dono più sostanzioso per gli elettori è l’eliminazione della tassa sulla prima casa, che Renzi considera il passepartout per la conquista dei comuni che vanno al voto.
E’ per questo che il premier nota con fastidio l’attacco che la minoranza Dem sta preparando sulla legge di stabilità .
Quella richiesta di progressività nella eliminazione della tassa sulla prima casa gli risulta indigesta, gli va a sporcare il provvedimento simbolo della nuova fase.
E per giunta è il segnale che, malgrado l’accordo raggiunto nel Pd sulle riforme, i rapporti con la minoranza restano a dir poco complicati.
Per novembre-dicembre il premier programma un rimpastino di governo: Enzo Amendola dovrebbe diventare viceministro agli Esteri, per gli Affari Regionali si fa il nome di Dorina Bianchi di Ncd (il premier avrebbe preferito la senatrice Chiavaroli, ma portarla via dal gruppo del Senato è diventato sconveniente visto il caos dentro il partito di Alfano).
Ad ogni modo, sia che Vasco Errani entri al governo (vice ministro allo Sviluppo Economico?), sia che non entri, tra i fedelissimi del premier viene spiegato che la cosa non è legata ai rapporti con la minoranza bersaniana.
Su questo fronte, non c’è distensione.
E potrebbe far male alla battaglia comune contro il nuovo avversario tutto da studiare: il Movimento 5 stelle.
(da “Huffingtonpost”)
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