TERREMOTO, LA MISSIONE DEI VOLONTARI: “LAVORIAMO PER RIDARE IL SORRISO A CHI HA SOFFERTO”
AD AMATRICE SONO 70, LE STORIE DELL’ITALIA MIGLIORE
La parola magica è assistenza. E l’Anpas – cioè l’Associazione nazionale per le pubbliche assistenze – conosce di quella parola tutte le declinazioni.
Soccorritori, educatori, geologi, cuochi, logisti, elettricisti, psicologi.
Dall’inizio dell’emergenza si sono dati da fare nell’area del cratere 600 suoi operatori arrivati da tutt’Italia e oggi nel solo campo di Amatrice sono attivi in settanta.
Sono passati più di cento anni dalla fondazione, nel 1904, e molte migliaia di volontari. Oggi, da un capo all’altro dell’Italia, sono attivi in novantamila
Mariasilvia, la prof in movimento
Mariasilvia Cicconi ha la vita da insegnante a Parma e quella da volontaria dove capita. Veterana dell’assistenza, 44 anni, ciuffo color turchese, dice che è «cresciuta a pane e volontariato».
«Con il passare dei giorni vissuti in tenda è inevitabile che entri in scena la noia e la consapevolezza di non avere più un tessuto sociale. Ecco, quello che facciamo qui è provare a ricrearlo, quel tessuto sociale. Anche con piccole cose».
L’altro giorno, per esempio, le ha scritto via Facebook un tizio che aveva il carrettino dei gelati e voleva venire ad Amatrice a distribuirli. «Gli ho detto che per noi sarebbe stato fantastico e lui è arrivato». Un piccolo gesto che ha fatto grande la giornata al campo
Nunzio, sul campo da 35 anni
«È cominciata con lo scoppio della casa dei vicini, 35 anni fa. Ricordo che mi trovai a scavare fra le macerie in ciabatte. E scattò qualcosa che mi fece diventare quello che sono oggi».
Nunzio Antonio Ferrigno, 60 anni, in pensione, è un volontario Anpas, responsabile nazionale del settore sanità . Nell’infermeria del campo di Amatrice è lui l’uomo dei medicinali, di ogni piccola e grande esigenza sanitaria.
«A volte – racconta – soprattutto le persone anziane, vengono a chiedere di misurare la pressione o fare piccoli controlli. In realtà vogliono solo parlare un po’, raccontare la loro storia, condividere il dolore».
E Nunzio li ascolta sapendo bene che anche ascoltare è una terapia
Michela, la cuoca per caso
Michela Gaggero viene da Genova, ha 24 anni e un sorriso che conquista. Nel campo Anpas è responsabile della cucina e le sue giornate sono scandite da colazioni, pranzi e cene.
La sua prima esperienza è datata 2012, il giorno del suo ventesimo compleanno. Era volontaria Anpas da quattro anni e la chiamarono: partì per l’Emilia.
«Non avevo una cosa precisa da fare e mi hanno mandata in cucina. Io, che non sapevo cucinare nemmeno una pasta in bianco. Però, non so come, ha funzionato!». Un caso, come per caso Michela arrivò all’Anpas: «Una mia amica non era stata promossa, come punizione sua madre la mandò a fare volontariato. Io l’accompagnai ed eccomi qui»
Gianni: in pensione, poi autista
Un giorno del ’92 Gianni Marnoni andò in pensione. Faceva l’impiegato a Milano e improvvisamente la sua vita gli sembrò vuota.
«A un certo punto andai alla Croce Rosa Celeste vicino casa e dissi: avete bisogno di un vecchietto? Mi dissero: vieni giù. E così ho cominciato la mia seconda vita da volontario Anpas». Lo fecero provare come autista, funzionò. E così ancora oggi, a 78 anni, Gianni guida per ore senza stancarsi mai. «Non trasporto persone perchè a questa età … Ma porto materiali di ogni genere, mi arrangio come tutti e se servo dormo per terra».
Un ricordo speciale? «Quando ho trasportato un bimbo prematuro: era 4 etti e mezzo! Gli interventi con i bimbi non li scordi mai»
Martina e Mattia, innamorati nell’intervento in Emilia
Mattia ha 31 anni, Martina 24. Si sono conosciuti a Mirandola, in Emilia, dov’erano arrivati tutti e due come volontari Anpas: lui dal Veneto, lei dalla Toscana.
«Ci siamo innamorati lì, fra le macerie emiliane del 2012, e l’anno scorso ci siamo sposati – racconta lui che nella vita fa il carpentiere -. Adesso viviamo a Rovigo e se c’è un’emergenza partiamo assieme».
Così è successo dopo le scosse che hanno distrutto Amatrice, Accumoli, Arquata e le loro frazioni. Mattia e Martina si sono messi in marcia e sono arrivati fin qui a occuparsi, come sempre, di logistica, a distribuire cibo, a montare tende e a dare una mano ovunque serva.
Lui (che di cognome fa Prevelato) dice che poi, quando tornano a casa (come ieri), nei loro zaini ci mettono anche le storie raccolte fra la gente che soccorrono. Sono tante, quasi sempre drammatiche.
Raccontano vite in difficoltà di persone rimaste sole o senza più niente se non quello che hanno addosso. «Vederle sorridere dopo quello che hanno vissuto ci ripaga di ogni stanchezza» dice Mattia.
Che ripensa ai primi tempi del suo percorso da volontario: «Mi ci sono dedicato con impegno, ma a dire il vero non sapevo se mi sarei appassionato, se ce l’avrei fatta». Adesso lo sa: è stata una scelta felice.
(da “il Corriere della Sera”)
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