TERREMOTO, SAYED NON CE L’HA FATTA
E’ MORTO IL RIFUGIATO AFGANO RIMASTO SOTTO LE MACERIE DELLA SUA CASA AD AMATRICE…IL FRATELLO ATTENDEVA DA GIORNI E HA SPERATO FINO ALL’ULTIMO
Si sono spente nel pomeriggio di domenica le speranze di Zia, l’afgano arrivato dall’Austria ad Amatrice: dopo il terremoto del 24 agosto scorso, l’uomo non aveva più avuto notizie del fratello e da giorni andava ripetendo da giorni che Sayed, rimasto sotto le macerie della casa dove abitava assieme ad altri afgani,
«Sarà vivo in qualche angolo là sotto, lo so». Invece Sayed non ce l’ha fatta.
Individuato il cadavere
I cani avevano segnalato la presenza di qualcuno sotto il cumulo di detriti della casa di Amatrice, crollata, scivolata in basso per molti metri e andata completamente distrutta, ma per i vigili del fuoco la situazione era molto precaria e le operazioni andavano a rilento. Fino al pomeriggio di domenica 4 settembre.
Quando gli operatori che lavorano alle ricerche hanno individuato il corpo di Sayed senza vita. Il cadavere è là , sotto le macerie e anche Zia ha dovuto arrendersi. Il numero delle vittime del terremoto ad Amatrice sale così a 296: l’afgano era l’ultimo disperso della cittadina in provincia di Rieti.
Il recupero del corpo
Il recupero della salma di Sayed è previsto nella giornata di lunedì: si tratta di un intervento delicato e difficile perchè quello che resta dell’abitazione è franato e rischia di scivolare in un dirupo.
In quella abitazione vivevano in 5 (quattro afgani e un interprete), la notte del terremoto era solo in 4 e sono riusciti a salvarsi tutti tranne Sayed: Adil si è buttato dal balcone; Sultan, l’interprete, è riuscito ad uscire da solo dalle macerie; Whaid è stato sbalzato fuori di casa dalla scossa e i soccorritori l’hanno recuperato in mezzo al prato.
La fuga dall’Afghanistan e il lavoro a Torino
«Era un ragazzo stupendo, solare, di una simpatia unica» dicono i ragazzi della cooperativa che si occupava di lui e degli altri afghani.
Sayed era un rifugiato: era arrivato dall’Afghanistan in fuga dalla guerra, a casa ha lasciato tre figli. Viveva ad Amatrice in una delle case Sprar, il sistema di accoglienza del Viminale diffuso in tutta Italia , che prevede la collocazione di piccoli gruppi di migranti e richiedenti asilo nei vari comuni, in modo da consentire una migliore integrazione.
Avrebbe dovuto partire per Torino dove lo attendeva un nuovo lavoro: era stato assunto come pizzaiolo. Ma aveva rimandato la partenza di qualche giorno per assistere alla sagra dell’Amatriciana, che era prevista per il weekend del 27-28 agosto. Un desiderio che gli è stato fatale.
Raffaella Cagnazzo
(da “Il Corriere della Sera”)
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