TRAVAGLIO ATTACCA DI MAIO: “SE VUOLE I VOTI DEL PD E DI LEU GLIELI CHIEDA, NON FACCIA L’ERRORE DI BERSANI”
“UNA MAGGIORANZA VA COSTRUITA SE NON CE L’HAI, NON ASPETTANDO CHE SI FACCIANO VIVI GLI ALTRI, NESSUNO REGALA VOTI A CHI NON SI ABBASSA NEANCHE A CHIDERGLIELI”
Luigi Di Maio non rifaccia l’errore che fece Pierluigi Bersani dopo le elezioni del 2013 e chieda al Pd e Liberi e Uguali i voti per formare una maggioranza. È quanto sostiene Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano, nel suo editoriale in prima pagina dal titolo “Gli opposti cretinismi”.
Travaglio suggerisce ai 5 stelle, che hanno preso il 32,7% alle elezioni del 4 marzo, come costruire una maggioranza del 50% più uno
Bisogna costruirla: non aspettando che si facciano vivi gli altri e poi meravigliandosi perchè “finora non s’è visto nessuno” (e ti credo!). Ma facendo ai partner una proposta che non possano rifiutare. Se Di Maio vuole i voti del Pd derenzizzato e di LeU, glieli chieda. Poi vada a parlare con Martina e Grasso su un’offerta chiara, realistica, generosa e rispettosa della democrazia parlamentare (che non si regge su maggioranze relative, ma assolute). Proprio quello che non fece il Pd nel 2013, quando pareggiò col M5S: si pappò le presidenze delle due Camere, designò Bersani come premier, stese un programma e una lista di ministri, poi pretese che i 5Stelle sostenessero al Senato il suo governo di minoranza. Risultato: il famoso e disastroso incontro in streaming. Quella di Bersani e Letta era una proposta che Crimi e Lombardi non solo potevano, ma dovevano rifiutare. Quando poi Grillo, venti giorni dopo, ne avanzò una non solo accettabile, ma auspicabile per il M5S, per il Pd e soprattutto per l’Italia — “eleggiamo Rodotà al Quirinale e poi governiamo insieme” — fu il Pd napolitanizzato e lettizzato, cioè berlusconizzato a rifiutarla. E condannò il Paese a cinque anni di vergogne. Ora Di Maio crede che avere quasi doppiato il Pd lo autorizzi a fare altrettanto.
Il direttore del Fatto aggiunge
Luigi Di Maio continua a ripetere che sul programma non si tratta perchè l’hanno scelto gli elettori; sui ministri non si tratta perchè li hanno scelti gli elettori; e ovviamente non si tratta neppure sul premier (lui), perchè l’hanno scelto gli elettori.
Dimentica sempre di precisare: i suoi elettori. Che sono tanti. Ma non tutti.
Arrivare primi (come lista) con il 32,7% significa partire favoriti per l’incarico di formare un governo (anche se Mattarella potrebbe iniziare col centrodestra, cioè con la prima coalizione, sempre che non si sfasci nel frattempo). Ma non conferisce il diritto divino di fare un governo con i voti altrui, per giunta gratis.
Nessuno regala voti a chi nemmeno si abbassa a chiederglieli. Se il Pd pretendesse poltrone, i 5Stelle farebbero bene a rifiutare. Ma se chiedesse alcuni punti programmatici condivisibili, perchè no? La cosa sarebbe meno difficile se Di Maio aprisse la sua squadra di esterni ad altri indipendenti di centrosinistra, per un governo senza ministri parlamentari. E bilanciasse la sua premiership lasciando la presidenza di una Camera alla Lega. Dopodichè, è ovvio, è sul programma che dovrebbe garantire il cambiamento che gli elettori hanno appena chiesto. La palla tornerebbe al Pd, che dovrebbe scegliere: accettare una soluzione equilibrata o suicidarsi con nuove elezioni. Intendiamoci: il Pd sarebbe capace di optare per la seconda ipotesi. Ma almeno sarebbe chiaro di chi è la colpa.
(da “Huffingtonpost“)
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