TRIA IRRITATO PER LO SGRADEVOLE ATTACCO DI DI MAIO, MA NON HA ALCUNA INTENZIONE DI MOLLARE SUL DEFICIT ALL’ 1,6%
METTERE IN DISCUSSIONE LA SERIETA’ DEL LAVORO DEL MINISTRO SI RITORCE CONTRO DI MAIO E AGITA GLI INVESTITORI INTERNAZIONALI… LE SPESE SI FANNO SE ESISTONO LE COPERTURE, NON SI PUO’ PROMETTERE A VANVERA PER CARPIRE VOTI AI PIRLA
Un attacco sgradevole, con toni da commissariamento e soprattutto con un aggettivo, “serio”, che fa male perchè letto come una delegittimazione del lavoro sulla manovra che si sta cercando di portare avanti con fatica nonostante le richieste di 5 Stelle e Lega restano ancora imponenti.
Quando Luigi Di Maio affida all’Ansa le sue parole di fuoco contro il ministro dell’Economia, Giovanni Tria (“Un ministro serio i soldi li deve trovare”), il sentiment che circola nelle stanze di via XX settembre è quello dell’irritazione.
Troppo facile – è il ragionamento – pretendere misure costose, insistendo sul deficit oltre il 2% e lavandosi le mani sulle coperture che servono e che ancora non ci sono.
Le dichiarazioni in chiaro del vicepremier pentastellato alzano ulteriormente la temperatura dello scontro dentro il governo sulla legge di bilancio.
Non è la prima volta che Tria finisce sotto attacco, ma anche questa volta la linea del Tesoro per ora non cambia.
Tria resta fermo nelle sue convinzioni, risoluto nel ribadire che alzare l’asticella del deficit oltre l’1,6% non si può e soprattutto non si deve fare.
Al massimo si può pensare a uno scostamento fino all’1,7%, ma non certamente pensare di andare oltre il 2 per cento.
Posizione, quella del ministro dell’Economia, che era stato lui stesso a ribadire nel corso del supervertice che si è tenuto ieri a palazzo Chigi.
È lì che Tria ha tirato su il mattone portante per costruire un fortino il quanto più possibile resistente alla pressione impetuosa di Di Maio e a quella, per una volta più soft nei toni, di Matteo Salvini.
“Se forziamo il deficit i mercati ce la faranno pagare”, avrebbe detto il ministro quando la temperatura intorno al tavolo a cui erano seduti anche il premier Giuseppe Conte e alcuni sottosegretari, ha toccato un livello preoccupante.
Quanto il fortino di Tria riuscirà a tenere è una delle variabili – forse la principale – da cui dipenderà la forma finale che assumerà la legge di bilancio.
Per ora le convinzioni già manifestate recentemente restano le stesse. Il ministro è convinto che non sia questa la strada da cui iniziare la stesura del testo e nemmeno l’esito che bisogna inseguire.
Bruxelles e i mercati, che nelle scorse settimane si sono dimostrati sensibilissimi quando Tria è stato messo sotto assedio da Lega e 5 Stelle, sono sempre lì e non si aspettano nè vogliono una manovra onerosa che metta a repentaglio gli impegni presi dall’Italia su debito e deficit.
All’indomani del vertice, intervenendo al Forum Bloomberg a Milano, Tria ha scelto, ancora una volta, parole di rassicurazione: “Il governo italiano – ha detto – pur mantenendo il proprio impegno europeo, traccerà un percorso bilanciato che tenga conto dei diversi bisogni sociali e dei requisiti economici per creare una base solida per una crescita a lungo termine”.
La distanza rispetto alle liste della spesa di Salvini e Di Maio è ampia, marcata, ad oggi senza la prospettiva di un punto di contatto nè tantomeno di sintesi.
L’esito del vertice di ieri ha certificato questo quadro, che era atteso e dal quale nessuno dei tre attori in campo ha indietreggiato.
Solo che una manovra va scritta, e anche in tempi brevi, e se prima non si scioglie il grande nodo politico, cioè quali misure prevedere e come trovare le relative coperture, il pallino resta sempre lì.
Ecco perchè, spiegano alcune fonti leghiste, l’esito del vertice ha lasciato intatti i problemi.
Nonostante i toni trionfalistici con cui Conte, Di Maio e Salvini hanno indicato nei tagli alla spesa l’exit strategy, nel governo c’è la convinzione diffusa che procedere su questa via è difficile e soprattutto non porta a quello che serve, cioè trovare i tanti miliardi che servono per finanziare misure come la flat tax e il reddito di cittadinanza, ritenuti cavalli di battaglia irrinunciabili.
Alcune fonti rivelano che anche Tria sia consapevole del fatto che questa caccia al tesoro, oltre che a scatenare malumori, alla fine si concluderà con un bottino esiguo. Ma questa è storia di ieri. La narrazione pentastellata del ministro dal braccino corto o, peggio, di un ministro poco serio e non capace, scoperchia definitivamente il grado di deterioramento dei rapporti tra Di Maio e Tria.
(da “Huffingtonpost”)
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