TRUMP NEI GUAI FINO AL COLLO: ORDINO’ ALL’FBI DI INSABBIARE IL RUSSIAGATE
COMEY, IL CAPO DEL FBI LICENZIATO, RIVELA CHE A FEBBRAIO DONALD GLI CHIESE DI FERMARE LE INDAGINI SUL GENERALE FLYNN E SUI SUOI CONTATTI CON MOSCA
La vendetta di James Comey arriva in un “memo”, abbreviazione per memorandum. Un dossier, insomma, in cui l’ex-capo dell’Fbi licenziato in tronco la settimana scorsa vuota il sacco e inchioda il presidente.
L’accusa è grave: in un incontro fra i due a febbraio, Donald Trump chiese al capo dell’Fbi d’insabbiare l’indagine sul Russia-gate. In particolare l’inchiesta che la polizia federale (che ha anche responsabilità di contro-spionaggio) stava svolgendo sul generale Michael Flynn.
Il ruolo di Flynn nel Russiagate.
Quest’ultimo è una figura centrale nel Russia-gate. Trump nominò Flynn come suo massimo consigliere per la sicurezza nazionale, cioè capo del National Security Council che all’interno della Casa Bianca è la cabina di regìa di politica estera, difesa, anti-terrorismo.
Ma Flynn aveva nascosto una serie di rapporti con la Russia, incontri clandestini con l’ambasciatore di Vladimir Putin durante la campagna elettorale, perfino pagamenti ricevuti. Di fronte alle rivelazioni Trump dovette cacciarlo.
La posizione di Flynn ha continuato ad aggravarsi, ora è stato convocato dalla commissione d’inchiesta parlamentare e su di lui pende un “sub-poena” cioè l’obbligo di testimoniare sotto giuramento.
Il timore della Casa Bianca, si presume, è che dalla testimonianza di Flynn possano uscire altre rivelazioni compromettenti. Per esempio sul fatto che Trump fosse al corrente dei contatti coi russi in campagna elettorale? (Va ricordato che la stessa campagna fu contrassegnata da ripetuti attacchi di hacker russi contro Hillary Clinton). Ora arriva l’ultimo colpo di scena.
Già si sapeva – lo stesso Trump non ne ha fatto mistero – che dietro il licenziamento di Comey c’era l’esasperazione del presidente per l’indagine dell’Fbi sul Russia-gate, tuttora in corso e che genera prove utilizzabili nell’ambito della commissione parlamentare.
La soffiata al New York Times indica che il presidente aveva tentato d’interferire pesantemente nel lavoro della polizia federale, che è indipendente dalle direttive dell’esecutivo. Quella richiesta d’insabbiare l’indagine sul Russia-gate che a febbraio Comey respinse, “firmando” così la propria uscita di scena, è ai limiti dell’abuso di potere.
I colloqui tra Trump e Comey.
Comey, rivela il Nyt, creò un memorandum – inclusi alcuni appunti che sono classificati – su ognuna delle telefonate e gli incontri avuti con il presidente.
Non è chiaro se Comey denunciò al ministero della Giustizia, da cui dipende, la conversazione avuta con Trump e la sua richiesta e l’esistenza degli appunti.
Comey vide Trump il 14 febbraio, il giorno dopo le dimissioni di Flynn, costretto a lasciare l’incarico perche’, si era scoperto, aveva mentito al vicepresidente Mike Pence assicurandogli che non c’era nulla di male nella telefonata con l’ambasciatore russo.
Quel giorno, ricostruisce il Times, Comey era nello Studio Ovale con Trump ed altri vertici della sicurezza nazionale per un briefing sul terrorismo.
“Quando la riunione si concluse Trump disse ai presenti, incluso Pence e dil ministro della Giustizia Jeff Session, di lasciare la stanza per restare da solo con Comey”.
Una volta solo Trump inizò un filippica contro le fughe di notizie suggerendo a Comey di “considerare (l’opzione) di mettere in prigione i reporter per pubblicare informazioni classificate prima di affrontare l’argomento Flynn” riferisce una delle due persone vicine a Comey, che hanno parlato con il Times.
Comey “si consultò con i suoi più stretti consiglieri sull’accaduto e tutti condivisero l’impressione che Trump avesse cercato di influenzare l’indagine (un accusa che ove mai trovasse una conferma indipendente potrebbe configurare il gravissimo delitto di ‘intralcio della giustizia’, per cui in questo caso Trump rischierebbe la presidenza, ndr) ma tutti decisero che avrebbero cercato di mantenere segreta la conversazione (con Trump), anche agli stessi agenti dell’Fbi che stavano conducendo l’inchiesta sul Russiagate, in modo che la richiesta del presidente non influenzasse il loro lavoro”.
Il pezzo del Times sembra suggerire che l’avvertimento minaccioso di Trump a Comey, all’indomani del suo licenziamento, di stare attento a cosa avrebbe deciso di far filtrare alla stampa perchè potrebbero esserci “registrazioni degli incontri”, non preoccupi affatto Comey.
Da sottolineare anche il fatto che il New York Times rivela la sua fonte: uno stretto collaboratore di Comey. La guerra dell’intelligence contro il presidente, a colpi di dossier e fughe di notizie, diventa sempre più spietata.
La risposta della Casa Bianca.
La Casa Bianca nega che il presidente Donald Trump abbia chiesto all’ex capo dell’Fbi, James Comey, licenziato in tronco lo scorso 9 maggio, di fermare l’indagine sul suo ex consigliere per la sicurezza nazionale, Michael Flynn.
Repubblicani spaccati.
Il presidente della commissione di vigilanza della Camera, il repubblicano Jason Chaffez, chiede all’Fbi di consegnare tutti i documenti e le registrazioni delle comunicazioni fra l’ex direttore dell’Fbi, James Comey, e il presidente Donald Trump. La richiesta mostra la spaccatura all’interno del partito repubblicano, all’interno del quale solo in pochi difendono Trump. Molti preferiscono tacere. Per gli esperti questo è il ‘momento della verità ‘ nel partito.
Democratici all’attacco.
E insorgono i democratici, dopo questa nuova tegola sulla testa del presidente Usa. ”Quando è troppo è troppo” sbotta il parlamentare democratico, Adam Schiff.
”Il paese viene messo sotto esame in un modo senza precedenti. La storia ci sta a guardare” tuona Chuck Schumer, il leader della minoranza democratica in Senato. ”Servono i mandati per ottenere i documenti legati a Flynn” dice il parlamentare Elijah Cummings. Nancy
Pelosi, leader dei democratici alla Camera, parla di ”assalto alla legge”: se la ricostruzione di Comey è vera, il presidente ”ha commesso un grave abuso del suo potere esecutivo. Nel peggiore dei casi si è trattato di ostruzione alla giustizia”.
(da “La Repubblica”)
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