ULTIMA SPIAGGIA DELLA SANTANCHE’
PRIVATAZZARE ANCHE LE SPIAGGE LIBERE, DAL BLOCCO NAVALE AL BLOCCO DEL BAGNASCIUGA
Privatizzare le «cosiddette spiagge libere», regno di «tossicodipendenti e rifiuti», facendo attenzione a non regalarle a multinazionali incapaci di rispettare italiche tradizioni come «gli spaghetti con le vongole o la parmigiana di melanzane» mangiati in riva al mare
Basta teli e ombrelloni fai-da-te: la ministra del Turismo Daniela Santanchè vuole stabilimenti e locali anche in quei «posti meravigliosi» che oggi sono gratuiti e accessibili a tutti. Niente fretta, invece, per le gare delle vecchie concessioni balneari: per quelle ci vorranno almeno 8 mesi.
La ministra parla per «competenza», perché le deleghe in materia sono del collega per la Protezione civile e le Politiche del mare Nello Musumeci (che tace), ma «l’intenzione politica» espressa da Santanchè fa ugualmente infuriare le opposizioni. Una «proposta indecente e surreale», dicono sinistra e Cinquestelle, che tirano in ballo il suo conflitto d’interessi come (ex) socia del Twiga, lo stabilimento extralusso di Flavio Briatore in Versilia.
Ospite dell’assemblea di Confesercenti, Santanchè risponde a una domanda sulle spiagge e gli stabilimenti. C’è da affrontare la riforma delle concessioni balneari, avviata lo scorso agosto dalla legge sulla concorrenza voluta dall’ex premier Mario Draghi.
«Ci vorrà del tempo per fare le gare, almeno 8 mesi, un anno», spiega Santanchè: prima bisogna realizzare la mappatura dell’esistente. «Lancio una provocazione – prosegue – sarebbe bene prima assegnare quelle spiagge che ora non sono assolutamente servite: se uno va a vedere le cosiddette “spiagge libere”, anche in posti meravigliosi, ci sono tossicodipendenti, rifiuti e nessuno pensa a tenerle in ordine. Ecco, forse potremmo cominciare da lì».
Il ragionamento non finisce qui. La concessione delle spiagge libere «bisogna pensarla molto bene, perché consegnare pezzi del nostro litorale a delle multinazionali non va bene».
Vanno tutelate «peculiarità» rappresentate dagli stabilimenti dove, «a seconda della regione, c’è un certo tipo di ospitalità, di cibo, di accoglienza». Attenzione altissima, quindi: «Mi fa sentire male l’idea che tutto questo sia standardizzato: pensate se non potessimo più mangiare i nostri spaghetti alle vongole o la nostra parmigiana di melanzane, cose che sono parte dei nostri valori e della nostra identità. Questo mi preoccupa».
E già che in precedenza la ministra aveva premesso con un sorriso amaro che non avrebbe voluto parlare di deleghe che non sono sue: «Come sapete le ha il ministro Musumeci. Giustamente, perché io sono sempre stata tirata in ballo, non mi vergogno di dirlo, per il “famoso” conflitto di interessi, perché sono 20 anni che lavoro in questo settore. Pensavo che le competenze fossero importanti, ma per una parte non bisogna forse essere competenti…». Sicché Santanchè si limita a esprimere una «intenzione politica».
Ben precisa: «Dobbiamo fare le cose bene, non dobbiamo aprire la strada alle multinazionali, non dobbiamo svendere questa parte di patrimonio, come è stato fatto per altri settori. Ci vorrà del tempo per fare delle gare che consentano a chi lavora di poter continuare a farlo, perché rappresentano 30mila aziende e moltissime di queste sono a conduzione familiare»
Le opposizioni prontamente insorgono. «Associare chi ha problemi di tossicodipendenza con i rifiuti per giustificare la privatizzazione e cementificazione delle ultime spiagge libere è indecente», ribatte il co-portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli.
«La ministra Santanchè, proprietaria del Lido Twiga, ha ceduto le sue quote al suo compagno – aggiunge – e oggi propone di consegnare le spiagge libere ai privati. È l’espressione vivente del conflitto d’interessi». Il sindaco di Pesaro Matteo Ricci (Pd) parla di frase «gravissima» e domanda: «Di chi fa gli interessi Santanchè? Del Twiga o dei cittadini?». Il Movimento 5 stelle critica le «esternazioni surreali» della ministra: «Le sue parole sono un mix di inopportunità politica e farsa». Tramonto.
(da la Stampa)
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