UN ANNO PERSO IN 17 UFFICI: COME LA BUROCRAZIA BLOCCA LE OPERE CONTRO LE ALLUVIONI
NEANCHE UN EURO DEI 650 MILIONI DISPONIBILI E’ STATO SPESO… CINQUE PASSAGGI ALLA CORTE DEI CONTI IN DIECI MESI
Da un anno ci sono 650 milioni di euro nelle casse dello Stato, stanziati per opere necessarie a curare il dissesto idrogeologico. Soldi disponibili, interventi decisi.
E sono tutti d’accordo: ministeri, organi contabili, Regioni, popolazioni.
Eppure in un anno di ordinaria burocrazia nemmeno un centesimo è stato speso.
Il dramma di questa vicenda è che non c’è niente di anomalo.
Per una volta non è questione di ostacoli tecnici, errori amministrativi, conflitti di competenze, inerzia politica, come per i 2,3 miliardi stanziati nel 2009 e non utilizzati (su 1647 opere previste in quel piano, ne sono state completate solo 183).
Nè ci sono contenziosi tra imprese a bloccare i lavori o sospensive decise da Tar e Consiglio di Stato, a torto additati al pubblico ludibrio nell’ottobre 2014, dopo l’ennesima alluvione del Bisagno a Genova, con un grottesco scaricabarile politico.
LA FISIOLOGIA
No, questa volta tutto è andato perfettamente, siamo solo prigionieri di un fisiologico labirinto burocratico.
Quattro mesi e mezzo per scrivere e vistare la delibera del Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica.
Cinque passaggi alla Corte dei Conti. Diciassette diversi uffici pubblici coinvolti. Tre ministeri. Carte che rimbalzano per decine di volte tra gli enti interessati. Risultato: quattrini fermi per un anno.
Domani il ministro dell’Ambiente Galletti e sette governatori firmeranno gli accordi di programma definitivi. Poi la Corte dei Corti dovrà registrali.
A quel punto i soldi saranno materialmente utilizzabili dalle Regioni, che avvieranno le procedure di gara delle opere. Altri mesi.
Se tutto va bene, nella primavera del 2016 si apriranno i primi cantieri, a un anno e mezzo dalla definizione del piano operativo. E a fine 2016 sarà speso il 20-25% dei 650 milioni di euro.
«Come un pellegrinaggio sul cammino di Compostela, trasportando per mesi dieci pagine essenziali sulle tante scrivanie di una miriade di uffici e lasciandole in attesa di firme, visti, timbri, bollinature», scrive Erasmo D’Angelis, messo da Renzi a capo della task force di Palazzo Chigi prima di transitare alla direzione dell’Unità , nel libro «Un Paese nel fango», in uscita da Rizzoli.
IL CAMMINO A OSTACOLI
Il pellegrinaggio comincia nel novembre 2014, quando la task force di Palazzo Chigi contatta Comuni e Regioni, chiedendo di segnalare opere cantierabili.
A dicembre arrivano richieste per 1,5 miliardi. Si fa una scrematura da cui esce l’elenco di 33 opere prioritarie nelle grandi aree urbane: dal Bisagno a Genova al Seveso a Milano. Alcune attese da mezzo secolo.
A metà gennaio 2015 la palla passa al ministero dell’Economia e alla Ragioneria dello Stato, per trovare i soldi.
Il 20 febbraio il Cipe assegna con una delibera i primi 650 milioni. Quattro giorni dopo il decreto della presidenza del Consiglio con i criteri di selezione dei progetti è pronto e viene inviato alla Corte dei Conti per la registrazione, che avviene a fine marzo.
A questo punto la palla torna nelle mani del governo, ma passa più volte da Palazzo Chigi al ministero dell’Economia, a quello dell’Ambiente e a quello delle Infrastrutture. Capi di gabinetto, direttori generali, ministri…
Il 21 maggio Renzi firma la delibera Cipe e la invia alla Corte dei Conti. Nel frattempo le Regioni chiedono modifiche al primo decreto di Renzi sui criteri di priorità per scegliere le opere.
Il primo decreto viene modificato e inviato di nuovo alla Corte dei Conti, che lo registra il 15 giugno. Il 4 luglio la delibera Cipe del 20 febbraio firmata da Renzi il 21 maggio e registrata in giugno dalla Corte dei Conti viene pubblicata in Gazzetta Ufficiale.
Ora serve un altro decreto di Renzi con i dettagli delle opere. A fine luglio è pronto.
Ad agosto tutti al mare. Il 15 settembre il nuovo decreto viene firmato da Renzi e inviato alla Corte dei Conti per la registrazione, che avviene a fine ottobre. Domani il ministro dell’Ambiente e le Regioni firmeranno gli accordi di programma che saranno inviati alla Corte ei Conti per la quinta registrazione. Solo a quel punto i soldi saranno trasferiti nelle contabilità regionali.
IL BILANCIO
L’Italia è assetata di investimenti in lavori pubblici, calati di un terzo (quasi venti miliardi in meno l’anno) nell’ultimo decennio.
Nelle classifiche Ocse, siamo al terzultimo posto (davanti a Portogallo e Grecia), per investimenti in rapporto alla spesa pubblica, solo il 20,9%. L’Italia è anche un Paese vulnerabile a frane, esondazioni, alluvioni.
Secondo il Consiglio nazionale dei geologi ogni euro investito in prevenzione ne fa risparmiare fino a 100 per i danni provocati dai disastri.
Per anni gli investimenti sono stati bloccati dall’assenza di finanziamenti. Ora anche quest’alibi è caduto.
Giuseppe Salvaggiulo
(da “La Stampa”)
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