Marzo 9th, 2012 Riccardo Fucile
L’IRA DI MONTI E NAPOLITANO, LONDRA AVREBBE AVVERTITO A RAID AVVENUTO… DOPO IL CASO INDIA, ALTRA BRUTTA FIGURA DEL GOVERNO ITALIANO
Monti al telefono avrebbe chiesto chiarimenti al premier inglese: “Perchè non ci avete avvertito prima? Dovevamo avere il tempo di dire la nostra, di fare delle valutazioni insieme”.
Ma fonti dell’Independent smentiscono: “L’Italia era stata allertata e aveva convenuto che vi sarebbe potuta essere la necessità di un intervento con brevissimo preavviso”
Il via libera al blitz condotto dalle teste di cuoio inglesi in Nigeria che ha causato la morte degli ostaggi Franco Lamolinara e Chris McManus, è stato dato autonomamente dal primo ministro inglese David Cameron, senza consultare il governo italiano.
Dura la reazione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “Il comportamento del governo inglese è inspiegabile per non aver consultato e informato l’Italia”.
Secondo il Capo dello Stato “è necessario un chiarimento sul piano politico e diplomatico” della vicenda, della quale Napolitano era stato informato ieri direttamente dal premier Mario Monti.
Le dichiarazioni del presidente della Repubblica confermano la prima ricostruzione di quello che sarebbe accaduto.
“Perchè non ci avete avvertito prima? — avrebbe detto, ieri sera, al telefono dall’aereo di Stato in partenza da Belgrado, il presidente del Consiglio Mario Monti al primo ministro inglese Cameron secondo indiscrezioni di Repubblica — dovevamo avere il tempo di dire la nostra, di fare delle valutazioni insieme”.
”Avevamo solo questa finestra, non c’era più tempo da perdere — avrebbe risposto il premier inglese — i terroristi si sentivano braccati. Hanno sparato prima loro”.
Ma a questo punto Monti avrebbe rincarato: “Vogliamo approfondire, chiediamo dei chiarimenti, un supplemento di informazioni”.
Ma sul caso si aprono ulteririori dubbi.
Fonti diplomatiche britanniche, citate dall’Independent, hanno smentito la versione fin qui fornita. Gli “italiani erano stati allertati e avevano convenuto che vi sarebbe potuta essere la necessità di un intervento con brevissimo preavviso. Le proteste del governo italiano sarebbero, quindi, in malafede” ha scritto il quotidiano inglese.
Nuove informazioni sul blitz intanto arrivano da fonti dell’intelligence e del governo di Londra. Sul Daily Telegraph rivelazioni sulla dinamica del fallito tentativo di liberazione dei due ostaggi. Un commando delle Sbs britanniche, riferisce il quotidiano inglese, che ha partecipato al blitz in cui sono morti Chris McManus e Franco Lamolinara si trovava in Nigeria da due settimane. L’operazione sarebbe stata ordinata dal primo ministro David Cameron dopo essere era stato informato che i due ostaggi rischiavano di essere spostati e uccisi dai rapitori.
Intercettazioni di cellulari avevano suggerito che una mossa dei sequestratori era imminente e la squadra delle Sbs sarebbe stata costretta a lanciare l’attacco in pieno giorno.
“Le loro richieste cambiavano continuamente”, hanno detto fonti di intelligence: “Volevano il rilascio di prigionieri da parte del governo nigeriano ma non riuscivano a decidere quali prigionieri fossero. Abbiamo intercettato telefonate che suggerivano che gli ostaggi stavano per essere spostati e uccisi”.
In seguito a queste informazioni s Londra si è riunito il Cobra, il comitato per le emergenze presieduto dal primo ministro.
Il direttore delle Forze Speciali era in costante contatto con il comando delle Sbs e altre agenzie di intelligence incluso l’MI6. Il centro di ascolto del governo a Cheltenham ha passato la localizzazione degli ostaggi alle forze in Nigeria.
L’attacco, appoggiato da forze nigeriane, è scattato alle 10 ora di Londra.
Pur avendo ucciso due terroristi le Sbs non sono riuscite a impedire che McManus e Lamolinara fossero uccisi dai rapitori. Cameron, sempre secondo il Telegraph, avrebbe appreso a fine mattinata del fallimento del raid e avrebbe informato la famiglia di McManus.
Il primo ministro ha poi informato il presidente del Consiglio Mario Monti.
Non si placano intanto le polemiche sul blitz britannico: «Quello che è avvenuto in Nigeria è di una gravità straordinaria perchè solitamente vengono informati i governi che hanno dei connazionali in ostaggio: vengono avvertiti e consultati».
Lo dichiara in una nota il presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto.
«Lo spread sotto i 300 punti va benissimo ma sulla politica estera il governo deve riscattarsi». Lo afferma il vicepresidente di Fli, Italo Bocchino, in un’intervista al Messaggero nella quale rileva una «lacuna evidente» del governo Monti sulla gestione della vicenda dei marò italiani detenuti in India e sulla liberazione finita con la morte degli ostaggi in Nigeria, l’italiano Franco Lamolinara e l’inglese Chris McManus.
«Il noviziato è un prezzo che tutti devono pagare – sottolinea -. E poi la politica è più sgamata dei tecnici».
Bocchino precisa che nel caso dei marò se fossi Monti farei tre telefonate: a Obama, al segretario generale dell’Onu e a quello della Nato, per dire che «se la comunità internazionale non spiega all’India che ci devono restituire immediatamente, senza alcuna condizione, i due marò, non si capisce per quale ragione l’Italia deve tenere migliaia e migliaia di soldati in giro per il mondo a garantire la sicurezza ad altri».
Quanto al blitz del commando inglese in Nigeria, Bocchino commenta «chapeau» a Cameron per essersi assunto la responsabilità di un intervento ma doveva telefonare prima dell’intervento e non dopo a Monti, visto che c’era di mezzo un italiano e poi una critica: «mi chiedo: ma dove stanno i nostri servizi? Sono cinquemila uomini, cosa fanno?».
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Marzo 9th, 2012 Riccardo Fucile
IL TESTO INTEGRALE DELL’INTERVISTA TRASMESSA IERI SERA A “SERVIZIO PUBBLICO” DI SANTORO…LE ACCUSE DELL’EX TESORIERE DELLA MARGHERITA
Di seguito l’intervista a Luigi Lusi, trasmessa ieri sera da Servizio Pubblico.
Lei adesso ha attraversato un corridoio e ha scelto di entrare in questa stanza perchè ha un appuntamento con me. Ma ci sono tante altre stanze prima della mia. E io mi domando: perchè non è andato a vedere in tutte le altre stanze? O meglio, perchè ha scelto solo la mia e non le altre?”.
Inizia così, nel suo ufficio del Senato, l’incontro con Luigi Lusi, l’ex tesoriere della Margherita sotto inchiesta per appropriazione indebita.
La Procura sta indagando su 13 milioni di euro che Lusi avrebbe sottratto al partito.
“Io ho gestito 214 milioni di euro del partito, e ne ho lasciati 20 in cassa. Facciamo finta che ne abbia presi 7, poi ho pagato 6 milioni di tasse e arriviamo a questi famosi 13 milioni. Ne rimangono altri 181”.
Dove sono finiti?
Secondo lei questi 181 milioni di euro li abbiamo usati tutti per pagare il personale e i telefonini? Nessuno si fa questa domanda?
Sarebbe lecito se lei avesse finanziato la campagna elettorale di Franceschini piuttosto che di qualcun altro del Pd?
Non c’è niente di illecito nella gestione di 214 milioni di euro.
Sarebbe illecito, invece, se lei avesse finanziato Rutelli da quando è andato all’Api.
Questo lo dice lei. Non è cattolico lei, eh? Ma certo, è così. La cosa incredibile è che se tu hai raccolto 100 lire per strada e te le tieni in tasca, poi ti metti pure a dire che è giusto restituire i soldi che trovi per terra e che non sono tuoi? Ti stai zitto, no? E invece lui parla. Perchè non sta zitto?
Me lo dica lei.
Perchè questa partita è molto più grande, questa partita fa saltare il centrosinistra. E quando su di me uscirà fuori ulteriore merda, che servirà a screditarmi definitivamente, vedrà che non ci sarà più una domanda da porsi.
Più persone dell’ex Margherita mi hanno fatto capire che sospettavano di lei.
Ma dove stavano questi dal 2002 in poi? Perchè i revisori dei conti e il comitato di tesoreria hanno sempre fatto relazioni positive sui miei bilanci?
Io ho sempre avuto uno scontro a viso aperto con Parisi, perchè lui diceva che io facevo le cose sporche per Rutelli. Se uno pensa che ha un tesoriere furbetto prende le contromisure, no?
Mi sta dicendo che per loro andava tutto bene?
Sì, è così perchè è evidente che andavano bene altre cose, no? Se ti va bene quel divano su cui sei sdraiato anche se ti fa male la schiena, le cose sono due: o ti sei bevuto il cervello, oppure hai uno scambio. Soffro un po’ per avere altro, mi spiego?.
Sostanzialmente mi sta facendo capire che…
Io non le voglio far capire niente. E non voglio entrare in questa brutta cosa che qualcuno ha tirato fuori di Renzi e di Bianco .
à‰ uscito che lei teoricamente avrebbe finanziato Renzi anni fa.
Sì, ma cancellerei il termine teoricamente perchè se uno domani me lo chiede, io dovrò rispondere. Il punto è che dicono che le ho tirate fuori io queste cose, ma io non ho niente in mano di tutto ciò. à‰ evidente che queste informazioni sono uscite da chi sta facendo le indagini o, più probabilmente, dalla guerra interna al Partito democratico.
Ho l’impressione che se lei parla succede un casino.
à‰ così, punto. C’è poco da discutere. Nessuno è interessato a che io parli.
La definiscono un “rutelliano” di ferro. E alcuni suoi colleghi mi hanno fatto capire che quando Rutelli ha fondato l’Api, lei sarebbe rimasto nel Pd per tenere la cassa.
Ma non l’ho certo mantenuta perchè c’è un contratto scritto che dice che se non vai all’Api mantieni la cassa.
Mi sta dicendo che gliel’hanno fatta mantenere.
E perchè secondo lei me l’hanno fatta mantenere?
Perchè elargiva…
Mica sono un benefattore. Io eseguivo ciò che mi veniva detto di fare, ed evidentemente per loro ero affidabile.
E queste cose che le dicevano di fare rientrano nel lecito o nell’illecito?
Rientrano nel border line del finanziamento alla politica. Formalmente è tutto lecito. Tutti i partiti gestiscono il contributo pubblico in modo privatistico, perchè questo la legge impone. Quando i soldi pubblici dei rimborsi elettorali entrano dentro un partito diventano soldi privati. E non c’è nessuna legge che dice come li devi gestire. Ecco perchè parlo di border line.
Questi 13 milioni di euro che lei avrebbe sottratto al partito rientrano nell’illecito.
Questo lo devono decidere i magistrati, non io. Io ho fatto tutto quello che mi è stato detto di fare. Chi è che ha firmato i bonifici? Io. Chi è che ha dato le autorizzazioni? Io. Sono responsabile di tutto quello che è stato fatto dal 3 agosto 2001 al 16 agosto 2012. Altro discorso, però, sono i processi decisionali interni al partito, sui quali non entro perchè è la sfera di cui nessuno vuole parlare.
Il magistrato che si occupa del suo caso mi ha fatto una domanda interessante: “Perchè secondo lei nessuno nella Margherita ha chiesto il pignoramento dei beni di Lusi?
Uno che fa questa domanda vuol dire che usa il cervello. E se lo usa perchè massacra me?
Lei se l’è fatta questa domanda?
Io ho la risposta! Ma veramente pensa che sia un cretino? Rutelli ha mandato una lettera vergata di suo pugno in cui scrive che è d’accordo con il patteggiamento e con la fideiussione. E nessuno si domanda niente? Facciamo finta che lei lavora per Santoro da 13 anni, e che per tutti questi anni ha cavalcato una zona d’ombra perchè era leale al suo capo. E poi le succede una cosa, una qualsiasi cosa per cui Santoro dice: “Io? Non so un cazzo!! Faceva tutto Luca”. Lei come si sentirebbe?
Chiarissimo. Però questo succede perchè esce fuori la storia dei 13 milioni di euro che lei si sarebbe intascato.
E secondo lei questa storia come è uscita? Lei pensa veramente che questo casino succede perchè la Banca d’Italia manda un warning? Ma di che cazzo stiamo parlando? Noi abbiamo risposto sempre alle segnalazioni di Unicredit. E Unicredit ha rimandato indietro le nostre risposte per tre volte, perchè in realtà inciuciava. Ma perchè inciuciava? Perchè qualcuno gli ha detto di inciuciare.
E secondo lei questo è stato un fuoco amico?
Non è propriamente mio amico, ma è un fuoco amico. à‰ figlio di una guerra vecchia, prima contro Rutelli e poi contro il Pd. Ma siccome lei mi prude e mi fa male quando parla dei 13 milioni di euro, io le rispondo. Uno che prende 13 milioni e che ne paga 7 di tasse, accende due mutui? Puoi essere ingenuo, scemo, un ladruncolo di periferia, ma sei così coglione che prendi tutti ‘sti soldi e ti accendi due mutui ? Se devi giocarti la partita, lo fai bene fino in fondo, no?.
Lei avrebbe usato un milione e 900.000 euro della Margherita per l’acquisto del suo appartamento di via Monserrato a Roma.
Su quale cazzo di carta è scritto che avrei pagato un milione e 900.000 euro per la casa di via Monserrato? Mi dice dove cazzo è scritto? à‰ una delle cose che io ho contestato ai magistrati, è falsa. Ci sono circa 500 mila euro pagati alla firma del contratto di acquisto, più un mutuo di 1 milione e 700.000 euro. Sti cazzo di mutui uno perchè li accende se ha tutti quei soldi liquidi?
I 500 mila euro vengono dalla Margherita o sono suoi?
Vengono dalla società che l’ha acquistata.
Parla della TTT, una società riconducibile a lei.
Mi creda. Non c’è niente che non si sappia.
Mi sta dicendo che all’interno del partito tutti sapevano dell’esistenza di questa società ?
Chi lo doveva sapere lo sapeva, certo. à‰ un reato costituire una società ? No. Ho fatto consulenze finalizzate alla verifica del funzionamento contabile del processo di liquidazione degli organi territoriali della Margherita e ho scoperto l’ira di Dio. Se poi mi chiedi di produrre quei documenti, io ti dico che li ho distrutti perchè parlavano delle mignottate che hanno fatto in tanti. E che faccio? Me li tengo? Se sono un tesoriere serio li distruggo, perchè quello è il mio ruolo. Non sono un santo. Ho fatto il tesoriere, e il tesoriere si sporca le mani con la merda, c’è poco da fare.
Luca Bertazzoni
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 9th, 2012 Riccardo Fucile
SONDAGGI E WEB CONCORDI… LA FRASE DEL MINISTRO “VOGLIONO SOLO STRUMENTALIZZARE, E’ LA COSA CHE MI FA PIU’ SCHIFO DELLA POLITICA” RIVOLTA AL PDL TROVA GLI ITALIANI SOLIDALI
“Vogliono solo strumentalizzare. E’ la cosa che più mi fa schifo della politica”.
Le parole del ministro Andrea Riccardi non fanno scoppiare solo un caso istituzionale. Alla mozione di sfiducia presentata da quarantacinque senatori del Pdl, si accompagna la discussione in rete.
Fiducia nei partiti, antipolitica, le capacità comunicative dei ministri del governo Monti. I temi sul tavolo sono tanti.
E i cittadini si dividono tra chi approva le dichiarazioni del ministro alla Cooperazione e chi, invece, ne chiede le dimissioni.
Un passo indietro in nome della corretta dialettica tra l’esecutivo e i partiti.
“Riccardi ha solo detto come stanno le cose”, “ha già esagerato a definirla Politica”, “è solo stato onesto”.
Sono in tanti che sui social network difendono le affermazioni del ministro.
C’è chi prova a distinguere: “Riccardi non ha offeso la politica. Ha solo detto la sua su un certo modo di farla”.
Il riferimento è alla decisione del segretario del Pdl, Angelino Alfano, di non partecipare al vertice tra Mario Monti e i segretari dei partiti che appoggiano il governo.
“Riccardi è sgradito al Pdl perchè è quanto di più lontano possa esserci dalla loro cultura. Leggi alla voce cittadinanza e immigrati”.
In tanti non risparmiano critiche ai vertici del Popolo delle Libertà .
“Nitto Palma – l’ex guardasigilli che si è fatto promotore della mozione di sfiducia – ha solo la coda di paglia”.
E ancora: “Visto che il Pdl sta con Putin e la Lega con Boni, non ho nessuna remora a dire che sto dalla parte di Riccardi”.
E interviene, su Twitter, anche il democratico Paolo Gentiloni: “La fatwa del Pdl contro Andrea Riccardi è la perfetta rappresentazione di un partito allo sbando”.
C’è addirittura chi esulta. “Ho letto che c’è una mozione di sfiducia. Bisogna esultare. Ma a favore del ministro”.
Non manca qualche critica all’ex presidente della Comunità di Sant’Egidio. “Queste dichiarazioni servono solo ad alimentare il clima di antipolitica. E sinceramente non se ne sente assolutamente il bisogno”.
Ancora: “Se è così schifato perchè non lascia la poltrona?”.
Poi: “Certo, avrebbe potuto formulare meglio la sua posizione. E comunque non deve dimenticare che fa il ministro grazie ai partiti che hanno votato la fiducia al governo”. Decine i commenti negativi su Spazio Azzurro, il Forum del Pdl: “Deve dimettersi, ha insultato i rappresentanti del popolo”.
Poi i paragoni. “Ma come? Riccardi usa la parola ‘schifò e quelli che hanno messo agli atti parlamentari che Ruby era la nipote di Mubarak chiedono la sfiducia? Sono ridicoli…”.
Poi: “Hanno fatto finta di niente sul Bunga Bunga e adesso fanno gli indignati. I parlamentari del Pdl dovrebbero vergognarsi”.
Infine: “E quante volte, Gasparri e gli altri, avrebbero dovuto chiedere la sfiducia per Bossi, che un giorno si e l’altro pure insultava la bandiera italiana, le istituzioni e il Capo dello Stato?”.
Carmine Saviano
(da “La Repubblica”)
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Marzo 9th, 2012 Riccardo Fucile
FINITA L’EMERGENZA, L’ABRUZZO COLPITO DAL TERREMOTO E’ STATO DIMENTICATO… IN CENTRO RESTANO LE MACERIE E 383 CITTADINI VIVONO ANCORA IN ALBERGO
«Soldi spesi finora? Chi lo sa…». 
Basta la risposta di Fabrizio Barca, il ministro delegato al problema, a dare il quadro, agghiacciante, di come è messa l’Aquila quasi tre anni dopo il terremoto del 2009.
Nel rimpallo di responsabilità ed emergenze, dopo gli squilli di tromba iniziali, s’è perso il conto. Un numero solo è fisso: lo zero.
Quartieri storici restaurati: zero.
Palazzetti antichi restaurati: zero.
Chiese restaurate: zero.
Peggio: prima che fossero rimosse le macerie (zero!), è stata rimossa l’Aquila.
Dalla coscienza stessa dell’Italia.
È ancora tutto lì, fermo.
Le gonne appese alle grucce degli armadi spalancati nelle case sventrate, i libri caduti da scaffali in bilico sul vuoto, le canottiere che, stese ad asciugare su fili rimasti miracolosamente tesi, sventolano su montagne di detriti e incartamenti burocratici.
Decine e decine di ordinanze, delibere, disposizioni, puntualizzazioni, rettifiche e precisazioni che ammucchiate l’una sull’altra hanno fatto un groviglio più insensato e abnorme di certe spropositate impalcature di tubi innocenti e snodi e raccordi che a volte, più che un’opera di messa in sicurezza, sembrano l’opera cervellotica di un artista d’avanguardia.
Ti avventuri per le strade immaginandoti un frastuono di martelli pneumatici e ruspe e betoniere e bracci di gru che sollevano cataste e carriole che schizzano febbrili su e giù per le tavole inclinate. Zero. O quasi zero. Tutto bloccato. Paralizzato. Morto.
Come un anno fa, come due anni fa, come tre anni fa.
Come quando la protesta del popolo delle carriole venne asfissiata tra commi, virgole e codicilli.
«Noi sottoscritti ufficiali di Pg… riferiamo di aver proceduto, alle ore 10.20 circa odierne, in corso Federico II, di fronte al cinema Massimo, al sequestro di quanto in oggetto indicato perchè utilizzato dal nominato in oggetto per una manifestazione non preavvisata…».
Trattavasi di «una carriola in pessimo stato di conservazione con contenitore in ferro di colore blu con legatura in ferro sotto il contenitore e cerchio ruota di colore viola» oltre a «una pala con manico in legno».
Sinceramente: se lo Stato italiano avesse affrontato il problema della ricostruzione con lo stesso zelo impiegato nel reprimere l’esasperazione sacrosanta degli aquilani, saremmo a questo punto, trentacinque mesi dopo?
Quaranta persone che quel giorno entrarono nella zona rossa per portare via provocatoriamente le macerie sono ancora indagate. Quanti soldi sono stati spesi per questo procedimento giudiziario surreale, oltre al tempo gettato inutilmente per compilare verbali e riempire i magazzini di grotteschi corpi di reato? Boh!
Si sa quanto fu speso per gli accappatoi dei Grandi nei tre giorni del G8: 24.420 euro.
Quanto per ciascuna delle «60 penne in edizione unica» di Museovivo: 433 euro per un totale di 26.000.
Quanto per 45 ciotoline portacenere in argento con incisioni prodotte da Bulgari per i capi di Stato: 22.500 euro, cioè 500 a ciotolina.
Quanto per la preziosa consulenza artistica di Mario Catalano, lo scenografo di Colpo grosso chiamato a dare un tocco di classe, diciamo così, al summit: 92 mila euro.
Quanto è stato speso in tutto, però, come detto, non lo sanno ancora neanche gli esperti («Avremo le idee chiare a metà marzo», confida Barca) messi all’opera da Monti.
Intanto il cuore antico dell’Aquila agonizza.
E con L’Aquila agonizzano i cuori antichi di Onna e Camarda e gli altri centri annientati dalla botta del 6 aprile 2009. Ridotti via via, dopo le fanfare efficientiste del primo intervento («Nessuno al mondo è stato mai così veloce nei soccorsi!») a un problema «locale». Degli abruzzesi. E non una scommessa «nazionale». Collettiva. Sulla quale si gioca la capacità stessa dello Stato di dimostrarsi all’altezza. In grado di sanare le ferite prima che vadano in putrefazione.
Chiusa la fase dell’emergenza l’Abruzzo è piombato nel dimenticatoio. Come se la costruzione a tempo di record e al prezzo stratosferico di 2.700 euro al metro quadro dei Complessi antisismici sostenibili ecocompatibili, le famose C.a.s.e. dove sono state trasportate 12.999 persone, avesse risolto tutto.
«Adesso tocca agli enti locali», disse Berlusconi. E dopo il G8 e la passeggiata con Obama non si è praticamente più visto.
Rarissime pure le apparizioni di altri politici. Mentre il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ci metteva come al solito una pezza: tre visite.
Cos’è rimasto, spenti i riflettori, di quella generosa esibizione muscolare sulla capacità di «fare bene, fare in fretta»?
Le cose fatte nei primi mesi. La riluttanza di Giulio Tremonti ad aprire i cordoni della borsa. L’addio di Guido Bertolaso. La disaffezione del Cavaliere che, osannato dalle tivù amiche per le prime case donate a fedeli in delirio, si è via via disinteressato del centro storico, che secondo la «leader delle carriole» Giusi Pitari avrebbe visto «solo due volte, nei primi due giorni».
Resta una rissa continua, estenuante, sul cosa fare «dopo».
Travasata via via nelle campagne elettorali per le provinciali, per le europee e oggi per le comunali. Di qua la destra, di là la sinistra. Di qua il governatore berlusconiano Giovanni Chiodi, commissario straordinario per la ricostruzione, di là il sindaco democratico del capoluogo (ora ricandidato dopo le primarie) Massimo Cialente
Il primo picchia sul secondo: «Lo stallo è frutto della saldatura di interessi locali, dai professionisti alle imprese, che hanno sbarrato la porta a competenze esterne. Avevo raccolto le disponibilità di un trust di cervelli bipartisan, da Paolo Leon a Vittorio Magnago Lampugnani, ma non li hanno voluti. Un atto di arroganza. Il fatto è che la politica locale non ha esercitato la leadership».
Il secondo, che fino al momento in cui fece sbattere la porta era vicecommissario, spara sul primo: «A parte il fatto che lui sta a Teramo, a Roma o da altre parti e all’Aquila lo vediamo raramente, è stato un muro di gomma».
Un esempio? «La ricostruzione degli alloggi periferici. Per sei mesi si è dovuto attendere il prezziario regionale, con il risultato che nessuno ha potuto presentare i progetti».
E mostra una lettera spedita a Chiodi per sollecitare un contributo di 630 mila euro destinato a Paganica: «È un mese e mezzo che lo tiene fermo sul tavolo. Gli ho scritto: “Questi non sono i tempi di un commissario ma i tempi, forse, di un piantone”».
Veleni. Che sgocciolano su tanti episodi. Come quei 3 milioni di euro stanziati dall’ex ministro Mara Carfagna per un centro antiviolenza, che invece sarebbero stati dirottati un po’ per i lavori della Curia e un po’ per la struttura della consigliera di parità della Regione.
O ancora i due milioni messi a disposizione dall’ex ministro della Gioventù Giorgia Meloni per un centro giovani, milioni che secondo il sindaco sarebbero chissà come evaporati.
Per non dire delle chiacchiere intorno a una struttura nuova di zecca tirata su mentre tanti edifici d’arte sono ancora in macerie: il San Donato Golf Hotel a Santi di Preturo, pochi chilometri dal capoluogo. Sessanta ettari di parco in una valletta verde, quattro stelle, conference center , centro benessere…
Inaugurato a ottobre con la benedizione di Gianni Letta, ha scritto abruzzo24ore.tv , «è meglio noto come l’hotel di Cicchetti».
Vale a dire Antonio Cicchetti, ex direttore amministrativo della Cattolica di Milano, uomo con aderenze vaticane, stimatissimo da Chiodi e Letta nonchè vicecommissario alla ricostruzione.
Ma il resort è qualcosa di più d’un albergo di famiglia.
Nella società che lo gestisce, la Rio Forcella spa, troviamo parenti, medici di grido, uomini d’affari. E molti costruttori: il presidente dell’Associazione imprese edili romane Eugenio Batelli, Erasmo Cinque, la famiglia barese Degennaro…
Ma anche la Cicolani calcestruzzi, fra i fornitori di materiali per il post terremoto e una serie di imprenditori locali.
Come il consuocero di Cicchetti, Walter Frezza, e suo fratello Armido, i cui nomi sono nell’elenco delle ditte impegnate nel progetto C.a.s.e. e nei puntellamenti al centro dell’Aquila: per un totale di 23 milioni.
Appalti, va detto, aggiudicati prima della nomina di Cicchetti. Però…
Nè sembra più elegante la presenza, tra i soci del resort, dell’ex vicepresidente della Corte d’appello aquilana Gianlorenzo Piccioli, nominato un anno fa da Chiodi consulente (60 mila euro) del commissariato.
L’intoppo più grosso però, come dicevamo, è il groviglio di norme, leggi e regolamenti. Gianfranco Ruggeri, titolare di uno studio di ingegneria, li ha contati: 70 ordinanze della Presidenza del Consiglio, 41 disposizioni della Protezione civile, 96 decreti del commissario.
Più 606 (seicentosei!) atti emanati dal Comune dell’Aquila.
Senza contare una copiosa produzione di circolari interne.
Massa tale che a volte una regola pare in plateale contraddizione con l’altra. Un delirio.
Non bastasse, c’è la «filiera».
Una specie di cordata para-pubblica che gestisce le istruttorie.
I progetti si presentano a Fintecna, società del Tesoro. Poi vanno a Reluis: la Rete laboratori universitari di ingegneria sismica, coordinata dalla Federico II di Napoli.
Quindi al Cineas, consorzio di cui fanno parte 46 soggetti, dal Politecnico di Milano a compagnie assicurative quali Generali e Zurich, che si occupa dell’analisi economica delle pratiche.
A quel punto il percorso per avere il contributo erogato dal Comune è completo. Teoricamente, però.
Nella sostanza non capita quasi mai al primo colpo.
E la pratica rimbalza dentro la filiera come una pallina da flipper.
La Cineas ha valutate positivamente 4.163 delle 8.722 pratiche per le abitazioni periferiche? Ebbene, il Comune ha emesso contributi per sole 2.472 di loro, a causa di vari motivi.
Per esempio il fatto che ben 1.138 riguardano singoli appartamenti, ma siccome manca la pratica condominiale a chiudere il cerchio, il finanziamento non può scattare. E nemmeno i lavori. Perchè allora non prevedere una pratica unica per ogni condominio?
Misteri…
Il risultato di tanti impicci è paradossale: in una città da ricostruire i costruttori mettono gli operai in cassa integrazione e licenziano i dipendenti.
E quello che doveva essere il motore della ripresa è fermo.
L’opposto esatto di quanto accadde in Friuli, esempio accanitamente ignorato a partire dal coinvolgimento dei cittadini. Il Friuli si risollevò per tappe: prima in piedi le fabbriche, poi le case, poi le chiese.
Qui le fabbriche non hanno visto un euro, il miliardo promesso per rilanciare le attività è rimasto in cassa e l’economia è allo stremo.
Si è preferita la strada della Protezione civile, del commissario, degli effetti speciali assicurati dalle C.a.s.e. spuntate come funghi dopo il sisma.
Quelle con le «lenzuola cifrate e una torta gelato con lo spumante nel frigorifero». Peccato che adesso, dopo le fanfare e i tagli dei nastri, stiano saltando fuori anche le magagne.
Alcune ditte che le hanno costruite sono fallite e non si sa chi deve risolvere certi guai. Come a Colle Brincioni, dove dopo le nevicate di febbraio si è dovuta puntellare una scala.
Sarebbe ingeneroso dire che sia stato tutto un fallimento.
Ma dopo la fase dell’emergenza serviva un colpo di reni degno di questo Paese. E quello no, non c’è stato.
A tre anni dal terremoto ci sono ancora 9.779 aquilani in «autonoma sistemazione».
Persone che hanno perduto la casa e si sono arrangiate.
Qualcuno di loro magari pregusta un appetitoso minicondono per le casette che hanno potuto costruire nel giardino dell’abitazione crollata.
Nelle aree del terremoto ce ne sono la bellezza di quattromila. Ma è una magra consolazione. Anzi, rischiano alla lunga di essere, con l’attesa sanatoria, una ferita in più nella immagine della città antica da ricostruire.
Per le «autonome sistemazioni» lo Stato continua a pagare 100 mila euro al giorno.
Una quarantina di milioni l’anno, a cui bisogna aggiungere la spesa per i 383 abruzzesi ancora in alberghi o «strutture temporanee» come la caserma delle Fiamme Gialle di Coppito, dove sono in 147.
Il tutto va a sommarsi al totale, come dicevamo ignoto, sborsato finora.
Una cifra nella quale ci sono i costi delle famose C.a.s.e. (808 milioni), dei Map, i Moduli abitativi provvisori che ospitano fra L’Aquila e gli altri Comuni ben 7.186 persone (231 milioni), dei Musp, i Moduli a uso scolastico provvisorio (81 milioni) e dei Mep, Moduli ecclesiastici provvisori (736 mila euro).
Ma anche dei puntellamenti dei centri storici: solo per L’Aquila 152 milioni.
Più i soldi per la prima emergenza (608 milioni) e i contributi già erogati per la ricostruzione delle case private: un miliardo e 109 milioni.
Nonchè i compensi della «filiera»: altri 40 milioni l’anno.
E le opere pubbliche, le tasse non pagate, i costi delle strutture commissariali e dei consulenti… Il conto è salatissimo, ed è destinato a crescere esponenzialmente.
Basta dire che per le sole abitazioni periferiche si dovrebbero spendere 1.524 milioni.
E almeno il doppio per quelle del centro.
Poi le chiese, le fabbriche, i ponti, le strade…
Ma L’Aquila vale il prezzo. Qualunque prezzo.
È inaccettabile che si vada avanti così, navigando a vista, mentre uno dei centri storici più belli d’Italia si sbriciola, popolato soltanto di rari operai ai quali fanno compagnia ancora più rari cani randagi.
Case disabitate, chiese vuote, negozi chiusi. Non si può accettare che il terremoto diventi solo il pretesto per far circolare del denaro, foraggiando una burocrazia inefficiente e strapagata, stormi di consulenti famelici, campioni del mondo di varianti in corso d’opera e revisioni prezzi, con l’unico obiettivo di impedire che la giostra infernale si fermi.
Un secolo e mezzo fa, scrivono Emanuela Guidoboni e Gianluca Valensise nello studio “Il peso economico e sociale dei disastri sismici in Italia negli ultimi 150 anni “, la nuova Italia savoiarda commise un errore storico ignorando la tragedia del sisma catastrofico avvenuto nel 1857 in Basilicata ai tempi in cui era sotto i Borboni: «La sfida delle ricostruzioni fu forse una delle prime perse dal nuovo regno».
Se lo ricordi, Mario Monti: la rinascita dell’Aquila è una sfida anche per lui.
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera”)
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Marzo 9th, 2012 Riccardo Fucile
LA FEDE DEI MILITANTI E LA CHIESA SECONDO IL CARROCCIO: COME PUO’ CONCILIARSI LA FEDE CRISTIANA E UN MOVIMENTO XENOFOBO CHE GIURA SUL MITO DEL DIO PO
“Noi, come molti fondamentalisti cattolici, pensiamo che la nostra fede sia tutt’uno con la nostra identità . E non dimentichiamo mai che è stata il sostegno più grande nella lotta di sempre: quella contro gli islamici”.
Angelo Alessandri, presidente federale della Lega Nord, esprimeva così nel 2007 la visione cristiana del Carroccio.
Nel partito di Bossi il 39% dei militanti è cattolico praticante e una percentuale ancora superiore è credente.
Ma come può conciliarsi la fede con un movimento che ha costruito il mito pagano del dio Po e che si è fatto portavoce di messaggi xenofobi e feroci attacchi ai musulmani?
Augusto Cavadi, membro dell’Associazione teologica italiana e tra i maggiori esperti del rapporto fra cattolicesimo e associazioni criminali, indaga il rapporto tra Lega Nord e Chiesa nel suo libro “Il dio dei leghisti” (Edizioni San Paolo), per capire “se sia la tradizione cattolica ad avere prodotto le menti leghiste o se siano state le menti leghiste ad avere stravolto la dottrina cattolica”.
“La questione identitaria è centrale — spiega l’autore — perchè la religione è interpretata come fattore di unità etnica e di identificazione simbolica. Poi, diventa quasi marginale se a rappresentarlo è il Po o il crocifisso”.
Il diritto e il primato delle proprie radici, garantito dalla tradizione, si traduce anche nella costruzione del senso di comunità definita per comunanza di lingua, razza e colore della pelle.
E in cui il ‘prossimo’ evangelico è identificato solo nel ‘padano’.
Per il senatore Piergiorgio Stiffoni, ad esempio, “l’immigrato non è mio fratello, ha un colore della pelle diverso. Cosa facciamo degli immigrati che sono rimasti in strada dopo gli sgomberi? Purtroppo il forno crematorio di Santa Bona non è ancora pronto”. Dichiarazioni contrarie allo spirito di accoglienza e uguaglianza di Cristo.
“Quello leghista è un cattolicesimo che definisco ‘anticristiano’ — puntualizza Cavadi-, ma è necessario distinguere il piano della militanza da quello della dirigenza”.
Gli elettori leghisti infatti, “sono sinceramente convinti che la difesa del crocifisso e il contrasto all’avanzata dell’Islam siano dimostrazioni di fede. I vertici invece cercano di attrarre l’elettorato cattolico moderato e la frangia più integralista attraverso temi bioetici, da Eluana Englaro alla Ru486”.
Battaglie legittime, ovviamente, “ma strumentalizzate dal Carroccio che intravede in alcuni rappresentanti più tradizionalisti della fede, come il cardinale Biffi e monsignor Maggiolini, la garanzia della civiltà occidentale”.
Un cattolicesimo ad hoc voluto dalla la Lega che, come propose Mario Borghezio, auspicava la nascita di una Chiesa del Nord “autonoma da Roma, che avrebbe gestito per sè il proprio otto per mille, i propri fedeli, i propri santi” e “a sei minuti di macchina dal Parlamento di Mantova”.
Un uso per fini politici divenuto ancora più evidente dopo la malattia di Umberto Bossi.
“Prima del 2004 il Senatùr era più vicino a posizioni pagane, tra il mito della Padania e il dio Po. Per lui il crocifisso era l’equivalente di un amuleto e il papa ‘straniero’ Woytyla, secondo lui, era venuto per ‘rubare il lavoro’ ad altri eventuali pontefici italiani”.
A seguito dell’ictus si è compiuta la svolta, incentivata dall’avvento di Ratzinger “con cui la narrazione leghista si avvicina al cattolicesimo più tradizionalista”.
Lontano, però, dal messaggio evangelico.
“Eppure questo non è un libro contro i leghisti che si dicono cattolici — puntualizza Cavadi — Esprime piuttosto una critica nei confronti della Chiesa che non trova incoerenze a sponsorizzare un leghismo dalla parte del potere, del profitto e favorevole alla caccia allo straniero. Contraddizioni evidenti chi è fedele al messaggio di Cristo.
“Per quanto mi riguarda — conclude l’autore — se il dio dei leghisti è garante delle tradizioni, baluardo contro gli stranieri, assicuratore contro le incertezze della storia, posso dichiarare serenamente che è un dio in cui non credo”.
Perchè creato a immagine e somiglianza del Carroccio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 9th, 2012 Riccardo Fucile
STUDIO ALMALAUREA: AUMENTA IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE DEI NEOLAUREATI, DIMINUISCE IL SALARIO DI INGRESSO….MA NEGLI ALTRI PAESI AUMENTA L’OCCUPAZIONE DI FASCIA MEDIO-ALTA, IN ITALIA NO
Per tutti quelli che da tempo si accalorano nel dire quanto inutile sia la nostra università , gli
ultimi dati dell’indagine Almalaurea potrebbero sembrare una conferma delle loro opinioni.
Aumenta infatti il tasso di disoccupazione a un anno dalla laurea, sia per coloro che escono dalla triennale (dal 16% al 19%) che per quelli che hanno intrapreso la specialistica (dal 18% al 20%).
Mentre tra i laureati che invece lavorano aumenta il tasso di «precarietà » e diminuisce, in termini reali, il salario di ingresso.
E’ prevedible quindi che adesso riemergano interpretazioni che leggono in questi dati i sintomi dell’inutilità del titolo di studio, della cattiva qualità delle nostre università o delle cattive abitudini dei nostri giovani, che cercano la laurea quando non è necessaria, o che si rifiutano di spostarsi o di fare lavori più umili e via dicendo.
Questa lettura non solo è parziale e incompleta (perchè comunque l’occupabilità e gli stipendi dei laureati restano complessivamente migliori che per gli altri) ma anche profondamente ipocrita, soprattutto quando a farla non sono accademici in vena autocritica, ma rappresentanti del mondo delle imprese, della politica e del lavoro. Infatti, nonostante le indubbie debolezze del nostro sistema universitario, non possiamo ignorare che l’Italia ha un sistema economico-produttivo che non ha mai compiuto fino in fondo quel processo di trasformazione e riqualificazione produttiva avvenuto in altri Paesi, ed è in larga parte incapace di valorizzare e assorbire competenze, talenti e nuove tecnologie.
Questa incapacità la si coglie, per esempio, dalle previsioni di assunzione delle imprese raccolte ogni anno da Unioncamere, che mostrano un’incidenza della domanda di laureati del 12.5% su tutta la domanda di lavoro (contro il 31% degli Stati Uniti, per esempio).
Ma la si coglie soprattutto osservando, più in generale, la composizione dell’occupazione in Italia e il suo andamento nel tempo.
Gli ultimi decenni hanno visto, in tutti i Paesi industrializzati, un enorme cambiamento nella struttura occupazionale, con un progressivo svuotamento delle fasce operaie ed impiegatizie e un aumento di tutte le occupazioni più qualificate: tecnici specializzati, manager, imprenditori, professionisti (accompagnato anche da un parallelo aumento delle occupazioni senza alcuna qualifica).
Un fenomeno legato all’avvento delle nuove tecnologie, alla crisi della vecchia industria e all’emergere di nuovi settori economici più smaterializzati: informatica, nanotecnologie, telecomunicazioni e via dicendo, fino all’intrattenimento e ai videogames.
L’aumento di queste occupazioni di fascia alta è stato consistente in tutti i Paesi industrializzati, ed il loro peso sulla forza lavoro è arrivato, in casi come Inghilterra e Olanda, a superare il 30% della forza lavoro, assorbendo e attraendo grandi dosi di «capitale umano», ovvero laureati, specialisti e dottorandi.
Tutto questo in Italia non è avvenuto: la crescita delle occupazioni di fascia alta è stata abbastanza contenuta negli Anni Novanta, e negli ultimi anni ha avuto un trend negativo che, come mostrano i dati Eurostat, l’ha riportata sotto il 18% dal 19% di qualche anno fa.
Un calo moderato, ma che colpisce di fronte agli andamenti positivi di tutti i più grandi Paesi europei.
E sulla mancata riqualificazione del sistema economico italiano i nostri politici, imprenditori, e sindacalisti non possono incolpare studenti e professori, ma devono assumersi le proprie, enormi responsabilità .
Perchè sanno benissimo come in Italia per troppo tempo questo processo sia stato temuto e osteggiato dalla maggior parte delle forze sociali e politiche in campo.
Ed è noto come ogni investimento in nuove tecnologie e ricerca sia stato visto spesso come accessorio, e come ogni industria che non fosse sufficientemente «pesante», che non fosse «manifattura» sia stata considerata minore, o come ogni discussione sul ruolo dei servizi avanzati, delle industrie creative e culturali sia stato spesso derubricato come «fuffa».
Una fuffa che negli altri Paesi non solo genera milioni di posti di lavoro qualificati, dando opportunità di crescita a tanti giovani laureati, ma che aiuta le stesse industrie tradizionali ad essere più efficienti, internazionalizzate e creative nel modo di riorganizzarsi e competere nei mercati internazionali. Recuperare il tempo perduto non sarà semplice.
E non si dica che il salto si potrà fare aggiungendo nuovi e costosi incentivi: non serviranno.
La situazione si cambia facendo dell’Italia un Paese dinamico e competitivo, con un mercato del lavoro che supporta efficacemente le riorganizzazioni aziendali e le riqualificazioni dei lavoratori, che si apre agli investimenti stranieri, che cambia i criteri con cui da decenni si appaltano servizi nella pubblica amministrazione e con cui si distribuiscono sussidi, incentivi e protezioni varie alle imprese, e che introduca una concorrenza chiara e trasparente che dia la possibilità alle imprese davvero più brave di competere e crescere.
Perchè la meritocrazia e la competenza di cui tanti amano parlare non si instaurano nè per decreto nè per incentivo, ma creando un sistema in cui diventino necessità .
Irene Tinagli
(da “La Stampa”)
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Marzo 9th, 2012 Riccardo Fucile
LA COMPAGNIA IRLANDESE LEADER SUL MERCATO: IL REGIME FISCALE DI DUBLINO GARANTISCE AL VETTORE QUALCHE VANTAGGIO…. DALLA COPERTURA DEI PICCOLI AEROPORTI ALLA COSTANTE CRESCITA DELLA CLIENTELA
Michael O’Leary, numero uno di Ryanair, era pronto a scommetterci già nel 2010: «Siamo vicini al sorpasso su Alitalia, presto diventeremo la prima compagnia italiana». Due anni fa il colpaccio non arrivò per un pugno di passeggeri, 55mila in meno.
Ma col 2011 la profezia del manager irlandese si è avverata e il gigante low cost ha messo la freccia e superato il vettore tricolore di 3 milioni di passeggeri.
Secondo i dati resi noti ieri da Melisa Corrigan, il direttore vendite e marketing del gruppo, lo scorso anno «Ryanair è diventata la compagnia aerea più grande d’Italia, con 28,1 milioni di passeggeri contro i 25 milioni dichiarati da Alitalia».
Un successo che, a sentire la campana irlandese, è tutto frutto di una politica dinamica e aggressiva su prezzi e numero di rotte servite.
Secondo la concorrenza però, il successo della compagnia dell’arpa celtica sarebbe pure dovuto ad una spregiudicata politica di sovvenzioni pubbliche ricevute dagli enti locali, oltre che da un regime di fiscalità (irlandese) molto più favorevole rispetto a quello italiano.
Due questioni su cui O’Leary dovrà a breve rispondere: il Fisco italiano ha già bussato alla porta del vettore irlandese chiedendo conto di 350 milioni di euro di imposte non versate all’erario tra il 2005 e il 2009.
Inoltre la direzione provinciale del lavoro di Bergamo ha recentemente contestato alla linea aerea irlandese il mancato pagamento di contributi per 12 milioni: Ryanair, secondo l’accusa, verserebbe in Irlanda le “marchette” dovute ai 650 dipendenti che lavorano in Lombardia e usufruiscono del sistema sanitario nazionale.
Un tema caro ai sindacati di categoria, da tempo sul piede di guerra: «Il primato di Ryanair in Italia risiede esattamente nella competizione scorretta e truccata, da sempre tollerata nel nostro Paese a differenza di ciò che è accaduto nel resto d’Europa» dice il segretario nazionale della Filt Cgil, Mauro Rossi, «il governo, l’Inps e l’Agenzia delle Entrate dovrebbero svegliarsi dal letargo e chiedere a Ryanair il rispetto della legge che tutti in Europa le hanno imposto. In particolare – spiega Rossi – in merito alla completa evasione fiscale e contributiva perpetrata ai danni del nostro Paese e dei lavoratori italiani impiegati da Ryanair».
Anche il “regolatore” nazionale Enac, per bocca del suo presidente Vito Riggio, pone l’accento sul tema della contribuzione e del Fisco: «Che Ryanair diventasse la prima compagnia in Italia era nelle cose ma l’Europa si deve porre un problema di competizione a condizioni non eque, visto che Ryanair non applica contratti italiani e paga tasse meno onerose in Irlanda».
In ogni caso O’Leary si gode questo sorpasso tra le nuvole del Bel Paese – dopo quello ormai consolidato nei cieli d’Europa – e punta ad alzare il proprio obiettivo ad una quota ancor più elevata: Ryanair anche nel 2012 cercherà di consolidare il primato italiano: l’obiettivo è la quota record di 30 milioni di passeggeri.
A Fiumicino, intanto, il colpo arriva proprio nel bel mezzo del passaggio delle consegne tra Rocco Sabelli e il suo successore Andrea Ragnetti, che sarà nominato numero uno di Alitalia entro venti giorni. il recupero della leadership non sarà facile in un anno di crisi anche se nel futuro della ex compagnia di bandiera è scritta la fusione con Wind Jet e Blue Panorama.
I due vettori low cost porteranno altri 5 milioni di passeggeri, che sommati ai 25 milioni trasportati nel 2011 dovrebbero rimettere in equilibrio la lotta per il predominio dei cieli italiani.
Lucio Cillis
(da “la Repubblica”)
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Marzo 9th, 2012 Riccardo Fucile
ARIA DI LIBERI TUTTI NEL PDL TRA TESSERE FALSE, COLONNELLI LOCALI CHE SI RIPOSIZIONANO, PARLAMENTARI A CACCIA DI RICANDIDATURA E MINI-SCISSIONI…E BERLUSCONI SI PREPARA PER IL DOPO
Nel ventennio breve del Cavaliere, mai era stato così vasto e indefinito il caos nel partito
berlusconiano.
Tessere false (a Salerno si indaga sulle infiltrazioni della camorra), scissioni locali (l’ultima a Lecco), ras e colonnelli ognuno per conto proprio, deputati e deputate in cerca di ricandidature, seminari di partito da disertare per marcare le divisioni (nel prossimo fine settimana a Orvieto).
A sovrastare tutto e tutti l’inedito dualismo del “quid”: da un lato il padre nobile (o grande elettore) Silvio Berlusconi, dall’altro il segretario Angelino Alfano, cui mancherebbe appunto quel “quid” per vincere, secondo una battuta dello stesso Cavaliere poi seguita dalla solita smentita di circostanza.
In questa immensa nebulosa ha fatto irruzione da un po’ di giorni il mistero di “Tutti per l’Italia”, la nuova invenzione sognata dal B. innamorato di Monti e della Grande Coalizione post 2013.
Che cos’è “Tutti per l’Italia”. Un nuovo partito? La rifondazione del centrodestra, considerata la rottura definitiva con Bossi? Una federazione tra una nuova An, una nuova Forza Italia e una ritrovata Udc?
Oppure, più probabilmente, un listone civico nazionale parallelo al Pdl?
Racconta un ex ministro berlusconiano : “La confusione è tanta ma gli schemi sono due”. Il primo è perseguito da Alfano e punta innanzitutto sulla ricomposizione in chiave Ppe con Casini, sperando, sotto sotto, nella rottura tra il leader dell’Udc e Gianfranco Fini all’interno del Terzo Polo (in questa direzione c’è chi dice che Fini si dimetterà da presidente della Camera dopo le amministrative).
Il secondo risponde all’ultima equazione attribuita a Berlusconi: partiti uguale schifezza e sfiducia. È l’oltrismo del Cavaliere.
Cioè andare oltre il partito con una lista civica nazionale propedeutica alla Grande Coalizione permanente.
In Transatlantico il progetto viene intestato “ai milanesi”, identificati così: il Giornale di Sallusti e Feltri, Daniela Santanchè, il Foglio di Giuliano Ferrara (che però a Milano non ha più la redazione centrale”.
Sarebbero loro a insufflare il Cavaliere con quest’idea.
Non a caso è proprio il quotidiano dell’Elefantino a condurre dalla scorsa settimana una campagna su “Tutti per l’Italia”.
E non a caso è stato proprio il Giornale, a inizio a febbraio, a rivelare la bozza di una Fondazione Berlusconi, una sorta di partito guidato da manager, preparata dall’imprenditore Diego Volpe Pasini.
Una bozza smentita con irritazione dal portavoce di B. Paolo Bonaiuti. Da sempre, infatti, la tentazione di un nuovo contenitore azzurro spaventa i difensori dell’esistente. Fino a qualche mese fa, l’obiettivo era ridare slancio movimentista al berlusconismo.
Adesso il nuovo clima montiano ha rielaborato il progetto nel senso del listone civico e nazionale.
Di qui il nome “Tutti per l’Italia”.
Le suggestioni sulla composizione al momento sono varie ma saranno sciolte solo dopo l’esito delle amministrative, quando un eventuale tracollo del Pdl (ormai dominato territorialmente dagli ex An) sarà certificato dalle urne.
Anche per questo, dicono da Palazzo Grazioli, “il Presidente non metterà la faccia sulle elezioni, il problema riguarda soprattutto Alfano”.
Un altro indizio importante sul dualismo del “quid”.
A quel punto i “tuttisti” potrebbero allargarsi a 360 gradi. A cominciare dai tecnici della sobrietà e dai presunti campioni dell’antipolitica.
Rispettivamente il super-banchiere Corrado Passera e il desaparecido Luca di Montezemolo (spiazzato dalla popolarità del governo Monti).
Ma il listone potrebbe anche diventare il rifugio di parecchi scontenti (come il lombardo Mario Mantovani) e di un manipolo di deputate di “Forza Gnocca” allo sbando (dalla “badante” berlusconiana Maria Rosaria Rossi a Gabriella Giammanco).
Sempre che i resistenti del “Porcellum” (soprattutto gli ex An e non solo) riescano a imbrigliare i giochi sulla legge elettorale.
Una partita complessa e ancora tutta da giocare.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 9th, 2012 Riccardo Fucile
RICORSO DELLA BORSELLINO, VELENI E SOSPETTI TRA CANDIDATI, INDAGATI DUE RAPPRESENTANTI DI FERRANDELLI.. E ORLANDO CHIEDE L’ANNULLAMENTO DELLE CONSULTAZIONI PER BROGLI
Dai sospetti e i veleni all’inchiesta aperta dalla Procura per attività illecite in almeno un gazebo, fino al ricorso ai garanti presentato da Rita Borsellino contro il vincitore Fabrizio Ferrandelli che si dice vittima del «metodo Boffo» e alla richiesta di annullamento delle consultazioni fatta da Leoluca Orlando per brogli.
A Palermo le primarie ormai sono un «caso».
Tra i partiti e nei partiti lo scontro è totale.
Sottotraccia si parla di nuovi video che documenterebbero tante altre «anomalie», di prove contro questo o quel candidato, dell’ipotesi che la commissione nazionale di garanzia del Pd, presieduta da Luigi Berlinguer, valuti provvedimenti (fino all’espulsione) nei confronti del candidato Davide Faraone (giunto terzo), che avrebbe fatto promesse in cambio di voti ai soci di una cooperativa.
Sel addirittura invoca l’intervento della Prefettura, anche in vista delle elezioni del 6 e 7 maggio.
La tensione è alle stelle, gli appelli all’unità sono seppelliti da un clima sempre più avvelenato, che non risparmia quasi nessuno.
La Procura ha aperto una inchiesta sul gazebo allestito nel quartiere periferico dello Zen: nel registro degli indagati sono stati iscritti Francesca Trapani, rappresentante della lista Ferrandelli, e il compagno, accusati di avere gestito un pacchetto di certificati elettorali consegnati assieme a un euro (la somma necessarie per partecipare alle primarie) al momento del voto.
Alcune schede sarebbero state sequestrate.
Gli investigatori si sono recati anche nel quartier generale del Pd, sede del comitato organizzativo delle primarie, dove hanno acquisito l’elenco degli elettori che hanno votato in quel gazebo: 427 persone.
Ferrandelli, però, non ci sta e attacca: «Ho conosciuto la donna cinque anni fa, era rappresentante di lista di Leoluca Orlando, è conosciuta allo Zen perchè si occupa di un’associazione alla quale vengono affidati anche ex detenuti».
Quindi rilancia: «Contro di me è in atto il metodo Boffo».
L’eurodeputato di Idv Sonia Alfano parla di «macchina del fango» e il collega del Pd, Rosario Crocetta, indica Leoluca Orlando come possibile «mandante», definendolo «un abramista, un Erode che mangia i suoi figli».
E se Ferrandelli sostiene di avere parlato al telefono con Antonio Di Pietro avendo avuto rassicurazioni sul sostegno dell’Idv, Orlando mette le mani avanti chiedendo, assieme ai capigruppo Idv di Senato e Camera Felice Belisario e Massimo Donadi , l’annullamento delle primarie, e invitando Rita Borsellino a candidarsi al primo turno: se l’eurodeputato non dovesse accettarlo, l’ex sindaco avverte di avere «già il nome di un altro candidato».
Borsellino intanto, ignorando l’appello di Ferrandelli che ne aveva apprezzato l’atteggiamento avuto finora, ha depositato nel pomeriggio, entro le 48 ore previste dal regolamento, ricorso alla commissione dei garanti contro la proclamazione del vincitore delle primarie.
L’organismo, presieduto dall’ex pm Peppino Di Lello e di cui fanno parte i giuristi Antonio Scaglione e Giuseppe Verde, si riunirà sabato prossimo.
Che bell’ambiente…
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