Marzo 7th, 2012 Riccardo Fucile
IL DOCUMENTO DI “LIGURIA FUTURISTA” VIENE RIPRESO DAL MAGGIORE QUOTIDIANO LIGURE
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Il documento sul confronto di religioni e le interviste esclusive all’imman Hussein e ad un noto esponente del mondo cattolico è nella nostra home page.
Nei prossimi giorni verrà diffuso anche in versione opuscolo presso diversi punti distributivi della città .
Potete prenotarlo presso la nostra redazione via mail.
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Marzo 7th, 2012 Riccardo Fucile
SOLO ANNI DI PRECARIATO E BASSE RETRIBUZIONI PER CHI COMPLETA IL PERCORSO DI STUDI… AI PROBLEMI DI QUESTI GIOVANI DOVREBBE DEDICARSI LA POLITICA
Laureati può far rima con sprecati o dimenticati.
Anche quelli che nel passato erano percorsi universitari a colpo sicuro, oggi sono spesso il passaporto per anni di attesa e sfruttamento.
Ecco alcune storie di ordinario precariato post-tesi: in Italia una miriade di giovani, nè «bamboccioni», nè «sfigati» fanno i conti con il lavoro che non c’è.
Da Gina Vitolo, dottore in Chimica e tecnologia farmaceutica, a Guido Pipolo, laurea più master in economia.
Alla prima hanno proposto solo lavori da informatore scientifico senza fisso, solo provvigione. Per due mesi ha lavorato in un call center specializzato in vendite di prodotti farmaceutici ai medici: 500 euro al mese. «Mi sono data tempo fino a settembre, se non trovo nulla vado a Londra: farò la cameriera, ma almeno perfeziono l’inglese».
Gino Pipolo, invece – laurea in economia, master in controllo di gestione, cinque mesi di studio negli Usa – oggi lavora grazie ad uno stage da 250 euro al mese: «Imparo, ma ho poche speranze di essere assunto, l’azienda nella quale sto completando lo stage ha nei progetti la riduzione del personale. Andare all’estero? Certo se ne vale la pena. Sono nato a Napoli lavoro a Bologna, so cambiare».
Il musicista
“Decine di concorsi senza risultato ora guadagno solo 500 euro al mese”
Due diplomi al conservatorio e una laurea in filosofia. Luigi Mastrandrea oggi ha 32 anni, ha cominciato a lavorare – sfruttando la specializzazione musicale – otto anni fa.
Sa tutto di musica elettronica: suona, fa concerti, dà lezioni, fa produzioni, sonorizzazioni e audiobrand.
Grazie alle elevate competenze lavora molto: il tutto per 500 euro al mese. Vive e lavora a Bologna, ma senza i genitori che lo aiutano da Bari non potrebbe mantenersi: «Mille euro già sarebbero un bel traguardo: ho fatto tutti i concorsi possibili per insegnare musica e, in teoria, fra un paio d’anni dovrei farcela, ma i criteri d’entrata non mi aiutano».
Anche se le cattedre per le quali si è presentato sono specificatamente di musica elettronica, la sua esperienza non conta: un qualsiasi diplomato, digiuno in materia, ma con qualche ora di insegnamento nel solfeggio alle spalle, può sorpassarlo in graduatoria.
La baby sitter
Tanti tentativi senza ottenere nulla non mi vogliono nemmeno come colf”. Roberta S. è romana, ha 23 anni. Si è laureata a pieni voti in Beni culturali.
Roberta è disoccupata come tantissimi suoi coetanei.
Ma non solo: la sua storia incarna la disperazione di una generazione che il lavoro non riesce a trovarlo ma soprattutto rappresenta il crollo della classe media che oggi si ritrova a lottare con le unghie per poter sopravvivere: «Cerco lavoro, e non trovo nulla come tanti miei amici, la mia laurea non vale nulla», dice, «e ora ho deciso di cambiare marcia, di cercare anche un lavoro come colf e baby sitter dopo aver provato di tutto. Non ho trovato nulla, se non lavoretti sottopagati a 3 o 400 euro al mese senza contributi e ormai sono demoralizzata. E pensare – racconta – che quando ero piccola e i miei genitori lavoravano entrambi, la baby sitter ce l’avevo io. Ora quello rischia di diventare il mio lavoro».
La commessa
“Meglio un posto nel negozio di animali che sottopagata in una scuola privata” Ventotto anni, un 110 e lode in lettere moderne, quattro lingue straniere parlate in modo fluente (inglese, spagnolo, francese e romeno) e un lavoretto in un negozio per animali che le permette di guadagnare dai 400 ai 600 euro al mese.
Siriana Giannone Malavita abita a Modica di Ragusa e dice che vorrebbe «avere la possibilità di essere messa alla prova».
Cerca lavoro da oltre due anni, ma nè l’originale tesi (le parole del made in Italy) nè le lingue l’hanno aiutata. «Pensavo di avere buone opportunità con il romeno, ma mi hanno proposto solo incarichi ambigui e l’insegnamento in una scuola privata per 3,50 euro l’ora. I 16 adulti ai quali avrei dovuto insegnare ne pagavano 7,50 a testa. Non ho potuto accettare, troppo umiliante, meglio allora il negozio di animali».
«Non mi arrendo – precisa – ma se devo fare la cameriera resto a Modica dove i genitori mi possono aiutare».
Luisa Grion
(da “La Repubblica“)
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Marzo 7th, 2012 Riccardo Fucile
NORVEGIA IMBATTIBILE PER LE MAMME, QATAR PER LE UNIVERSITARIE
Sarà difficile oggi, giornata della donna, scegliere se festeggiare o celebrare il fallimento di una scommessa universale.
Perchè ci sono luoghi migliori e peggiori dove essere donna.
E se l’Islanda rappresenta l’emblema dei primi e lo Yemen dei secondi, l’Italia (un po’ oltre la metà , verso i peggiori) è il simbolo di quei Paesi che più faticano a fare il grande passo.
Il World economic forum, nel suo rapporto The global gender gap 2011, ci rassicura: «Negli ultimi sei anni l’85% dei Paesi del mondo ha migliorato la condizione della donna».
Anche se in termini politici ed economici c’è ancora molto da fare.
«Da Londra a Lahore la disuguaglianza tra uomini e donne persiste», avverte la Oxfam. Ma è una mappa dell’essere donna piena di sorprese quella che, partendo proprio dal rapporto, ha elaborato il quotidiano britannico The Independent.
Le più fortunate
Il paese più women friendly è l’Islanda: lo era nel 2009, nel 2010, si riconferma nel 2011. Qui è stato raggiunto il più alto livello di parità dei sessi: scuola, lavoro, politica, salute.
Il luogo peggiore è lo Yemen, quello più pericoloso l’Afghanistan.
L’Italia occupa il 74° posto su 135 nella classifica internazionale: stessa posizione del 2010 ma peggiore rispetto al 2009 (72° posto) e al 2008 (67°).
Deputate e donne premier
La prima sorpresa arriva nella risposta alla domanda «qual è il posto migliore dove essere un politico donna?».
Il Ruanda, rivela l’Independent: «L’unica nazione in cui le femmine rappresentano la maggioranza dei parlamentari: 45 su 80».
La maglia nera va ad Arabia Saudita, Yemen, Qatar, Oman e Belize con nessuna donna in Parlamento.
Se si parla però di signore al governo il Paese migliore è lo Sri Lanka, guidato per 23 anni da capi di Stato donna.
Mentre in nazioni come la Spagna o la Svezia non ci sono mai state premier rosa.
Studentesse e manager
Il posto migliore per imparare a scrivere e leggere è il Regno del Lesotho: tasso di alfabetizzazione del 95% contro l’83% degli uomini.
Il peggiore è l’Etiopia dove solo il 18% delle ragazze sa scrivere.
Il posto migliore per studiare all’università è il Qatar (ci vanno sei donne ogni uomo), il peggiore il Ciad.
Sul fronte del lavoro è invece il Burundi a guadagnarsi il primo posto quanto a partecipazione alla forza lavoro, l’ultimo va al Pakistan.
Le Bahamas detengono il primo posto in fatto di partecipazione economica (in sei anni hanno colmato del 91% il loro gap di genere), in coda lo Yemen.
La Thailandia ha il maggior numero di donne manager (il 45%), il Giappone il minore (8%).
La Giamaica la più alta percentuale di donne in posti di lavoro altamente qualificati (occupati per il 60% da signore).
L’India è il Paese che più favorisce l’ingresso delle donne nel mondo dei tassisti.
La Svezia quello che più punta alla parità anche nel mondo delle arti (ci sono quote nella produzione cinematografica).
I Caraibi sono la regione con la più alta percentuale di notizie date da donne (il 45%).
Gli Usa il Paese dove vale la pena eccellere nello sport (con 5 delle 10 atlete più pagate nel 2011), mentre l’Arabia Saudita non ha mai inviato un’atleta alle Olimpiadi (e vieta lo sport alle ragazze nelle scuole).
Ma sono Lussemburgo e Norvegia a garantire alle donne i redditi più elevati, in Arabia Saudita si registra il divario più alto.
Mamme e mogli
Le madri più fortunate vivono in Norvegia: basso tasso di mortalità materna (un caso ogni 7.600) e aiuti specialistici a quasi tutte le nascite.
Quelle più sfortunate sono le afghane: hanno 200 volte più probabilità di morire durante il parto che per bombe o proiettili.
È però la Grecia il Paese più sicuro dove partorire (una morte ogni 31.800 nascite), il peggiore il Sudan del Sud (20 ostetriche in tutto il Paese).
La Svezia è la nazione dove ci sono meno restrizioni per chi sceglie di interrompere una gravidanza (all’opposto El Salvador, Filippine e Nicaragua).
Alla Danimarca va il primato quanto a tempo libero (solo 57 minuti in più di lavoro non retribuito rispetto agli uomini), al Messico la maglia nera (4 ore e 21 minuti).
All’isola di Guam, la più grande delle Marianne, va il più alto tasso di divorzi, al Guatemala il più basso.
Sono le donne giapponesi quelle con un’aspettativa di vita più lunga: 87 anni rispetto agli 80 degli uomini.
Alessandra Mangiarotti
(da “Il Corriere della Sera”)
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Marzo 7th, 2012 Riccardo Fucile
IL TRIBUNALE DEL LAVORO DI ORVIETO HA DATO RAGIONE A 2.500 INFERMIERI… CALCOLATI NELLO STIPENDIO 20 MINUTI AL GIORNO PER METTERE L’INDUMENTO DI LAVORO
Dopo la sentenza del tribunale del lavoro di Orvieto, che ha dato ragione a 2.500 infermieri, quelli dell’ospedale Santa Maria di Terni da questo mese avranno un aumento: 650 euro l’anno in più.
Un aumento di stipendio ottenuto per “indossare il camice”.
Quattrocentocinquanta addetti alle corsie si vedranno conteggiare in busta paga 20 minuti in più al giorno, tempo calcolato dalla Asl di Terni per mettere il camice.
Venti minuti che si trasformeranno, appunto, in 650 euro l’anno.
L’ha stabilito un regolamento del nosocomio che ha recepito una sentenza emanata pochi mesi fa dal tribunale del lavoro di Orvieto e che nel mondo della sanità sta facendo discutere.
Il tribunale, infatti, ha dato ragione a 2.500 infermieri degli ospedali di Perugia, Orvieto, Narni, Amelia, Todi, Foligno e Terni che nel 2008 avevano presentato ricorso contro le rispettive Asl denunciando che non veniva pagato loro il tempo del “cambio del camice”.
Quattro anni dopo è arrivato il pronunciamento che, adesso, per le casse della sanità umbra suona come una mazzata.
Il giudice Gianluca Forlani ha stabilito che i ricorrenti in questione hanno diritto a un risarcimento di 4.000 euro ciascuno.
“Non solo, se tutti i soggetti interessati che lavorano nelle strutture pubbliche dell’Umbria dovessero presentare ricorso si potrebbe arrivare anche ad una somma complessiva di 28 milioni di euro di risarcimento”.
E così la Asl di Terni per trovare una soluzione al problema ha deciso di introdurre da subito nel regolamento un aumento di orario di lavoro di 20 minuti in più al giorno da dedicare al cambio del camice, andando anche oltre la sentenza che invece ha calcolato in 15 minuti il tempo necessario per indossare la divisa.
Scrive il giudice: “L’ente (la Asl, ndr) che si oppone al ricorso sostiene l’infondatezza della domanda sostenendo che le divise adottate possono essere indossate in tre o cinque minuti”. Invece, prosegue il magistrato, “si deve tener conto del tempo necessario per raggiungere gli spogliatoi”.
E ancora “l’espressione lavoro effettivo deve essere inteso come sinonimo di prestazione lavorativa comprendendovi anche i periodi di mera attesa e l’elemento caratterizzante è la messa a disposizione delle energie psicofisiche del lavoratore a favore del proprio datore”.
E così “l’atto di indossare la divisa, antecedente all’inizio della prestazione, deve essere inquadrato non tra le pause bensì tra le attività preparatorie relative all’igiene della persona”, specie, specifica il giudice, nel contesto di un ospedale. Ed è per questo che “l’atto di vestizione in tale condizioni costituisce lavoro effettivo e dà diritto a retribuzione”.
La Uil funzione pubblica dell’Umbria canta vittoria. “Si tratta di una battaglia durata anni e che non riguarda solo gli infermieri ma anche i medici e il personale tecnico e ausiliario – spiega Gino Venturi, rappresentante a livello provinciale del sindacato – ora la politica e le Asl temono un effetto domino di questa sentenza che difenderemo in tutte le sedi”.
Giuseppe Caporale
(da “La Repubblica“)
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Marzo 7th, 2012 Riccardo Fucile
INTERVISTA A BEPI COVRE, PADRE DEL LEGHISMO VENETO: “E’ UN UOMO MALATO: CERTE COSE LE PENSANO TUTTI, MA NON C’E’ IL CORAGGIO DI DIRLE”
“È una cosa talmente fastidiosa e irritante…». A definire fastidiose e irritanti le parole di Umberto Bossi dell’altra sera, quando ha annunciato l’esecuzione di Monti da parte del Nord, non è un politico di sinistra e neppure di centro: è un leghista doc come Bepi Covre, deputato dal ’96 al 2001, commissario straordinario dell’ Inail dal 2002 al 2008, sindaco di Oderzo (Treviso) per due mandati dal 1993 al 2001.
Ma l’importanza di Covre per il leghismo veneto va ben oltre il suo formale curriculum. Giorgio Lago, indimenticato direttore del “Gazzettino” per molti anni, lo definì «il modello degli amministratori locali del Nord-Est» e lui, Covre, prese tanto sul serio la sua mission da fondare, nel 1995, il famoso «movimento dei sindaci» che unì tutti i primi cittadini – di destra e di sinistra del Triveneto.
Lo incontriamo nella sua fabbrica di Gorgo al Monticano, vicino a Oderzo: Bepi Covre è infatti anche un imprenditore, e quindi quando parla delle aspettative che gli imprenditori veneti ripongono nella Lega, sa di che cosa parla.
È un giorno importante perchè la mattina, sui più importanti quotidiani veneti, è apparso un manifesto-appello firmato da lui e da Marzio Favero, sindaco leghista di Montebelluna.
Il senso del documento è chiarissimo: basta con il linguaggio greve e minaccioso, basta con una classe dirigente che vive staccata dalla realtà .
L’invito a Bossi a passare il testimone è fin troppo evidente.
Covre, che cosa ha pensato quando ieri ha sentito Bossi usare proprio quel linguaggio greve e minaccioso?
«Ho pensato che una volta si potevano anche sopportare certe battute sui bergamaschi pronti a scendere dalle valli con il mitra, ma oggi un linguaggio così è intollerabile. La Lega è stata al governo, al ministero degli Interni ha ottenuto risultati eccellenti contro la criminalità . Non puoi parlare un giorno da tutore della legalità e un giorno da estremista, a seconda di dove ti trovi».
Forse parla così per scaldare il suo popolo in vista delle amministrative.
«Se pensa di raccogliere voti in questo modo, sbaglia. Prima dice una cosa, poi dice che ne intendeva dire un’ altra… Mi ha fatto tristezza sentire Bossi così».
Che cosa gli è successo, secondo lei?
«Certamente la prostrazione fisica e psichica ha la sua influenza. È un uomo malato, e tutti quei farmaci che prende qualche effetto collaterale ce l’avranno, immagino. Ma non è solo questo. Il punto è che anche lui, come tanti altri leader di partito, ha perso il contatto con la realtà . La gente ne ha le tasche piene di queste pagliacciate. Discorsi come quello dell’altra sera sono inconcludenti».
Lei pensa che Bossi sia un leader al tramonto?
«Io penso che sia il momento di chiamare Bossi e dirgli: caro Umberto, tu sei stato l’amministratore delegato della Lega per venticinque anni. Possiamo vedere un bilancio? Dove sono gli utili?»
Non ci sono?
«No. E visto che la fabbrica deve continuare, forse è il caso di mettere in discussione l’amministratore delegato».
Non è ingeneroso nei confronti di un uomo che ha creato un movimento politico che è protagonista da più di vent’anni?
«Bossi ha dato il massimo. Ha creato un monolite e l’ha tenuto insieme. Però adesso bisogna fare un bilancio. Sul federalismo siamo ancora all’anno zero. Non se ne parla nemmeno più. E questo è un dato di fatto. Così come è un dato di fatto che le elezioni del 2008 erano state stravinte: eppure abbiamo portato a casa un fallimento politico clamoroso».
Beh, il premier era Berlusconi, non Bossi…
«Senta: Berlusconi, con le sue Ruby e Noemi e con quell’altra pugliese, come si chiamava, la D’Addario, si è fatto ridere dietro da tutto il mondo, gettando il discredito sul Paese. La Lega avrebbe dovuto prenderlo per le orecchie e fermarlo per tempo, invece lo ha coperto, difeso, assecondato. Non è un errore da mettere a bilancio anche questo?».
Eh insomma, Roma sarà caduta, però al Nord…
«Al Nord cosa? Io chiedo a Bossi: ma come puoi parlare ancora di Padania se in Padania siamo il terzo partito? E come mai nelle grandi città non siamo mai stati il primo partito?»
Il Veneto sta per andare al voto con sondaggi che mettono paura alla Lega: si ipotizzano perdite superiori al dieci per cento. Quanti leghisti veneti condividono la sua analisi?
«Certe cose le pensano tutti, ma non c’è ancora il coraggio di uscire allo scoperto anche per motivi di affetto. A Bossi vogliamo tutti bene: ha dato la sua vita al movimento. Ma un conto è voler bene, un conto è guardare i risultati. Lui ha preso le redini della Lega più di vent’anni fa. Era un altro mondo. E quando cambia il mondo, è il momento anche di cambiare le strategie. E il generale».
Michele Brambilla
(da “La Stampa”)
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Marzo 7th, 2012 Riccardo Fucile
COSI’ LA BUROCRAZIA ITALIANA FRENA INVESTIMENTI E POSTI DI LAVORO… I VERTICI ITALIANI DELL’AZIENDA SONO A PROCESSO CON L’ACCUSA DI CORRUZIONE, FALSO E OCCUPAZIONE ABUSIVA… POLITICA DIVISA TRA FAVOREVOLI E CONTRARI AL PROGETTO
British gas rinuncia a Brindisi, al rigassificatore da 800milioni di euro che avrebbe voluto far sorgere nell’area di Capo Bianco.
A dare la comunicazione, dalle colonne del Sole 24Ore, direttamente l’amministratore delegato per l’Italia, Luca Manzella.
La società energetica inglese se ne va, dice, per la troppa burocrazia.
“Non si può pensare che una grande multinazionale blocchi un progetto per oltre undici anni. A tutto c’è un limite”.
Dunque, si apre la procedura di mobilità per i venti dipendenti pugliesi, perchè “la casa madre, delusa e scoraggiata dal prolungarsi all’infinito del braccio di ferro con le autorità italiane e nonostante i 250milioni di euro già spesi, ha deciso di riconsiderare dalle fondamenta la fattibilità dell’investimento”.
“Quello che possiamo fare è cercare di fare in modo che le procedure di autorizzazione dei progetti di investimento avvengano in tempi brevi- ha commentato Corrado Clini, ministro dell’Ambiente- ma è una decisione della British gas, non è nostro mestiere quello di procacciare opportunità di investimento per le imprese”.
Il parallelo che il colosso britannico fa è con il rigassificatore gemello costruito in Galles.
Lì cinque anni per ottenere autorizzazioni e far entrare già in funzione l’impianto.
Qui undici anni di procedure mai concluse, con una valutazione di impatto ambientale che si è aperta nel luglio 2010 e non è stata ancora portata a compimento.
Quel che non si dice, però, è cosa ha segnato quegli undici anni: un’inchiesta per un giro di tangenti, il sequestro del cantiere, una procedura di infrazione aperta a carico dello Stato italiano da parte dell’Unione Europea.
Di più. Quel che viene sottaciuto è che si è ad un passo dall’ultima udienza del processo di primo grado che ha come imputati i dirigenti della British Gas e della società figlia, la Brindisi Lng.
Si terrà proprio venerdì 9 marzo, infatti, presso il Tribunale di Brindisi. Per il 16 marzo, invece, è attesa la sentenza, su cui pesa la richiesta, avanzata dal pm Giuseppe De Nozza, di confisca dell’intera area di Capobianco, una colmata presumibilmente fuori legge su un’area demaniale.
Al centro della bufera giudiziaria, infatti, è finito l’intero iter che ha portato, nel 2003, al rilascio del decreto autorizzativo da parte dell’allora governo Berlusconi.
È in seguito alle indagini della Digos e della Guardia di Finanza, su delega della procura di Brindisi, che si è giunti, nel febbraio 2007, agli arresti del presidente di British Gas Italia, Franco Fassio, di due manager, dell’ex primo cittadino Giovanni Antonino e dell’agente marittimo Luca Scagliarini.
Questi ultimi, secondo l’accusa, sono i destinatari di mazzette ricevute dalla società inglese in cambio del rilascio dei permessi.
Per tutti, comunque, si è proceduto per i reati di corruzione, falso e occupazione abusiva di area demaniale marittima.
A ricordare il particolare è il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola: “Devo ricordare sommessamente che questa vicenda è attualmente interessata da un procedimento penale proprio a causa di alcune presunte irregolarità . Se la British Gas ha avuto problemi con l’insediamento dell’impianto di rigassificazione nel porto di Brindisi — ha detto — questi non sono dipesi certamente dalla lentezza della macchina burocratica, bensì dalla pretesa della British di eludere le procedure di valutazione ambientale e di imporre un luogo da sempre e da tutti giudicato inidoneo. Una scelta quindi compiuta, caparbiamente, contro la sensibilità della comunità e contro tutti i pareri formali degli enti locali coinvolti: comune, provincia, regione. Una strada impervia e prepotente”.
Certo, la coincidenza delle date e la prossimità alla chiusura del processo non sfuggono ai movimenti ambientalisti locali.
“Se questo è un colpo di teatro, Bg sappia che non sortirà effetti. E se l’intenzione è quella di provocare tensione e pressione sul governo e sui giudici, questo non è il modo”.
Doretto Marinazzo, portavoce di Legambiente Brindisi, non si fida. “Oltre alla vicenda giudiziaria — dice — l’amministratore delegato Manzello ha dimenticato di dire pure che sul procedimento insiste una procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea per la violazione di due direttive, quella sulla Valutazione di impatto ambientale e quella sulla consultazione popolare, entrambi passaggi previsti per legge ma poi saltati. È questo che ha comportato la riapertura dei termini per una nuova valutazione”.
Che la vicenda abbia i suoi risvolti e le sue implicazioni nazionali e internazionali è un dato di fatto.
E non è un mistero neppure l’interessamento diretto del governo britannico.
“Il primo ministro inglese Blair voleva che si facesse il rigassificatore a Brindisi e il presidente del consiglio Berlusconi si era impegnato personalmente a che la richiesta del collega inglese andasse a buon fine. Berlusconi aveva garantito che non ci sarebbero stati ostacoli nel realizzare a Brindisi l’impianto, ma io ritenevo che fare il rigassificatore lì fosse un’assurdità perchè nel territorio c’erano già due centrali a carbone e un petrolchimico”.
È questa una delle dichiarazioni più scottanti rese nel corso del processo, quella di Franco Tatò, dal 1996 al 2002 amministratore delegato dell’Enel, che stava valutando la possibilità di approvvigionare questo combustibile per la vicina centrale di Cerano.
Ora che British Gas ha sbattuto la porta, tuttavia, sul territorio non tutti la pensano allo stesso modo.
“E’ stata una battaglia vinta perchè la città non voleva l’impianto costruito in quel sito, ma è un’occasione persa sia per l’investimento così importante che per i tanti posti di lavoro”, sottolinea il presidente della Provincia Massimo Ferrarese.
Tuonano invece le associazioni delle piccole imprese e la Claai degli artigiani: “E’ il fallimento di un’intera classe politica. L’aver impedito la realizzazione del rigassificatore chiama in causa sia le responsabilità dei governi nazionali, ma soprattutto quelle dei governi locali, che sono stati al carro di sparuti gruppi sedicenti ambientalisti, che non hanno mancato di strumentalizzare quella battaglia per altri fini meno nobili”.
Altri dieci giorni e sarà il tribunale a stabilire, a questo punto, chi ha ragione.
Tiziana Colluto
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 7th, 2012 Riccardo Fucile
MONTI AVEVA CONVOCATO IL SEGRETARIO PDL, INSIEME A BERSANI E CASINI, PER RAGGIUNGERE UN’INTESA SUL RILANCIO DELLA RAI… MA CONFALONIERI DETTA LA LINEA: OPPORSI A UNA RAI PIU’ FORTE E COMPETITIVA, MEDIASET E’ GIA’ IN CRISI
Ci sono i guai di Mediaset dietro la decisione del segretario del Pdl Angelino Alfano di disertare il vertice “di maggioranza” previsto in serata con il premier Mario Monti e i leader di Pd e Udc, Pierluigi Bersani e Pier Ferdinando Casini, durante il quale si sarebbe affrontato anche il tema delicatissimo della riforma della governance Rai, il cui consiglio d’amministrazione scade il 28 marzo.
La disdetta a sorpresa di Alfano arriva al termine di un incontro, iniziato stamattina intorno alle 11 a Palazzo Chigi, fra Monti e Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset.
Incontro durante il quale, secondo le indiscrezioni trapelate, i due avrebbero cercato di trovare un “accordo” sulla riforma della Rai. Senza riuscirci.
Confalonieri avrebbe descritto a Monti la difficile situazione in cui versa oggi Mediaset, che si riflette anche sul cattivo andamento dei titoli in Borsa.
Una situazione che potrebbe solo peggiorare se passasse il disegno di Monti, appoggiato da Pd e Udc, di una rapida riforma della governance della Rai, per renderla più snella ed efficiente sul mercato.
Proprio questo era uno dei temi in agenda nel vertice di stasera — ora annullato — tra Monti, Bersani, Casini e, appunto, Alfano.
Quest’ultimo, dato l’esito negativo dell’incontro tra il premier e il numero uno di Mediaset, avrebbe fatto saltare il tavolo.
“Non ci andrò da Monti, perchè mi pare di capire che lì si voglia parlare di Rai e di giustizia e forse ci eravamo sbagliati nel credere che i problemi degli italiani fossero la crescita, lo sviluppo economico e l’economia”.
Considerazioni generiche dietro le quali le indiscrezioni di palazzo rivelano invece un nuovo, clamoroso caso di conflitto d’interessi intorno a Silvio Berlusconi.
L’incontro tra Monti e Confalonieri è durato circa un’ora.
Palazzo Chigi non ha fornito alcuna notizia sul contenuto del colloquio.
Certo risultano poco convincenti gli interventi di diversi esponenti del Pdl, a partire da Ignazio La Russa, che giustificano la retromarcia di Alfano con la volontà del Pdl di opporsi alla “bramosia di poltrone Rai”.
Senti chi parla…
Non a caso, il segretario del Pd Bersani esterna tutta la sua sorpresa: ”E’ un atteggiamento incredibile”.
Mentre per l’Udc, Lorenzo Cesa parla di “colpo di sole”.
Bersani e e Alfano si sono anche affrontati ironicamente su twitter: il primo ha offerto al rivale la sua sedia a Porta a porta (Berlusconi ha rinunciato ad andarci stasera per non offuscare Alfano), il secondo ha ricambiato con il suggerimento di sostituire il comico Maurizio Crozza a Ballarò.
Dopo l’incontro con Monti, Confalonieri è stato ascoltato dalla Commissione bilancio della Camera, di fronte alla quale ha confermati scenari allarmanti per Mediaset: “Se non ci sono prospettive di ripresa tagliare il nostro miliardo di investimenti, ridurre i nostri due miliardi di costi diventa indispensabile. Intendiamoci: questo non è quello che vogliamo e non è quello che faremo, ma abbiamo bisogno che il sistema paese si renda conto di questo e ognuno faccia la propria parte”.
Il presidente di Mediaset ha anche chiarito che per il momento l’azienda “ha deciso di non intaccare i propri livelli occupazionali, ma è evidente che se non si pongono le basi per una ripresa dell’economia e del mercato pubblicitario sarà inevitabile farlo. E come Mediaset, molte altre aziende italiane”.
Oltre alla riforma della Rai, all’ordine del giorno del vertice di “maggioranza” saltato c’erano altri temi delicati e a rischio conflitto d’interessi per Silvio Berlusconi. In particolare la riforma della giustizia e la nuova legge anticorruzione, impantanata in Parlamento da due anni, con il Pdl che si oppone strenuamente a un inasprimento delle pene per i tangentisti.
Che in più comporterebbero un allungamento dei tempi di prescrizione, altro tabù dei berlusconiani.
Se non bastasse, nel vertice di stasera si sarebbe parlato anche dell’asta sulle frequenze residue del digitale terrestre, dopo l’annullamento del Beauty contest gratuito deciso mesi fa dal ministro dello Sviluppo Corrado Passera.
Altro tema piuttosto sensibile per Mediaset.
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Marzo 7th, 2012 Riccardo Fucile
IL SINDACO TELEFONO’ PER BLOCCARE UN SERVIZIO SULLA PROSTITUZIONE A ROMA… LETTA INTERVENNE PER RACCOMANDARE UN GIORNALISTA AMICO
Gianni Letta, Augusto Minzolini e Gianni Alemanno sono indagati dalla Procura di Roma per le telefonate intercettate dalla Guardia di Finanza di Bari nel dicembre 2009 durante l’inchiesta (poi archiviata per entrambi) su Berlusconi e l’allora direttore del Tg1. L’ultima onda del “Trani gate” arriva nella Capitale due anni dopo l’inchiesta sulle pressioni dell’ex premier sull’Agcom (l’autorità Garante delle Comunicazioni) per chiudere Annozero.
L’inchiesta si profila molto delicata per la Procura capitolina perchè svela i retroscena dei rapporti tra la politica e l’informazione pubblica.
Sono due gli episodi al centro dell’indagine.
Al sindaco di Roma, Gianni Alemanno e all’ex direttore del Tg1, Augusto Minzolini, sono contestate le pressioni effettuate allo scopo di far sparire dagli schermi della tv di Stato le prostitute e gli eccessi che il sindaco di Roma non era riuscito a smuovere dalle strade.
Il secondo episodio vede protagonista l’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta che raccomanda un giornalista al direttore del Tg1.
Augusto Minzolini e Gianni Alemanno sono stati iscritti molti mesi fa sul registro degli indagati di Trani per concussione mentre a Letta è stato contestato solo l’abuso di ufficio . Dopo le iscrizioni effettuate dal pm Michele Ruggiero il fascicolo è stato trasmesso a Roma dove è stato preso in carico dal procuratore aggiunto Alberto Caperna e dal sostituto Roberto Felici.
Dopo avere iscritto a Roma nuovamente i tre indagati (con tutta probabilità per gli stessi reati) ora i magistrati capitolini dovranno decidere il loro destino
Le telefonate, registrate dalla Guardia di Finanza quando il pm Ruggiero indagava sulle carte di credito revolving di American Express, risalgono al 2009 e non furono ritenute rilevanti dai pm fin quando, lo scorso anno, il gip di Trani, Roberto Oliveri Del Castillo, ha chiesto alla procura di rivalutare il loro peso.
Nella prima serie di telefonate, il sindaco Alemanno viene a conoscenza di un servizio giornalistico che descriveva con toni realistici e a lui sgraditi gli eccessi delle notti romane.
Il sindaco alza il telefono per contattare Augusto Minzolini, all’epoca “direttorissimo” del telegiornale della rete ammiraglia Rai.
Alemanno è stato eletto un anno e mezzo prima inneggiando alla “tolleranza zero” ed è molto preoccupato dell’immagine negativa che potrebbe ricadere sulla sua gestione dell’ordine pubblico.
Minzolini accoglie le lamentele del sindaco e, poco dopo, chiama la giornalista responsabile.
“Il servizio non deve andare in onda” dice — in sintesi — il direttore alla sua cronista o almeno non con quei contenuti.
A colpire gli investigatori, oltre al contenuto della telefonata, sono i toni che Minzolini usa con la giornalista.
La telefonata è lunga e concitata. La giornalista difende il servizio ma, nonostante non sia certo l’ultima arrivata, alla fine asseconda le ire di Minzolini e sostanzialmente prende atto della decisione del direttore.
I pm hanno deciso di indagare, oltre al sindaco di Roma anche il direttore del Tg1 perchè il suo comportamento prono ai voleri del politico anteporrebbe la tutela dell’immagine di Alemanno, secondo la ricostruzione della Procura di Trani, all’interesse del pubblico che paga il canone a Rai a essere informato.
Anche il secondo filone d’indagine nasce dall’ascolto di una telefonata.
Siamo sempre nel 2009 e questa volta, ad alzare il telefono, è l’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta che chiama Minzolini per segnalargli un giornalista a lui vicino.
Già in passato erano state registrate telefonate simili del braccio destro di Berlusconi al direttore di Rai Fiction Agostino Saccà .
Ma in quel caso i pm romani non avevano ravvisato gli estremi dell’abuso di ufficio che invece, secondo la Procura di Trani, in questo caso, potrebbe profilarsi.
L’iscrizione di Alemanno, Letta e Minzolini nel registro degli indagati di Roma risale al mese scorso.
Tutto nasce dal provvedimento del gip di Trani Oliveri Del Castillo dello scorso luglio. Nel luglio 2011 i pm di Trani avevano sottoposto alla sua attenzione centinaia di telefonate che riguardavano Minzolini e il suo rapporto con la politica, sia del centrodestra sia del centrosinistra.
Per la procura erano irrilevanti e andavano distrutte.
Ma il gip ha chiesto di risparmiare le conversazioni del direttore con Alemanno e Letta perchè ha ravvisato un possibile reato in quelle conversazioni.
Il pm Ruggiero, condividendo l’impostazione del gip, ha iscritto i tre nel registro degli indagati, ma nessun atto d’indagine è stato svolto dalla Procura di Trani, guidata dal procuratore Carlo Maria Capristo.
Dopo la semplice iscrizione c’è stata solo la trasmissione alla Procura di Roma che adesso, a sua volta, ha iscritto Alemanno, Minzolini e Letta nel registro degli indagati.
La vera indagine inizierà nei prossimi giorni, per valutare se davvero esistano dei reati o se, invece, il comportamento di Minzolini risponda alle normali prerogative di un direttore.
Resta il fatto che l’inchiesta condotta da Ruggiero, in questi ultimi due anni, ha svelato molti retroscena sul rapporto tra Rai e politica.
Era il marzo 2010 quando iscrisse nel registro degli indagati Silvio Berlusconi e l’ex commissario dell’Agcom Giancarlo Innocenzi.
Una storia ormai nota: Berlusconi premeva su Innocenzi per chiudere, o quantomeno ostacolare, le inchieste di Annozero e della redazione guidata da Michele Santoro.
I reati ipotizzati per il premier, all’epoca, furono concussione e minaccia, mentre Innocenzi fu indagato per favoreggiamento, poichè negò d’aver subito pressioni.
Poi fu indagato anche l’ex dg della Rai Mauro Masi e dopo una serie di rimpalli — dalla Procura di Roma al Tribunale dei ministri e ritorno — tutto si risolse con un’archiviazione.
Marco Lillo e Antonio Masari
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Alemanno, denuncia, PdL, radici e valori, RAI | Commenta »
Marzo 7th, 2012 Riccardo Fucile
ANNULLATA LA REGISTRAZIONE DELLA TRASMISSIONE…PASSO INDIETRO PER NON SCONFESSARE IL SEGRETARIO ALFANO…VIAGGIO LAMPO IN RUSSIA PER CONGRATULARSI CON PUTIN
Proprio il salotto di Bruno Vespa che negli anni è stata la vetrina per eccellenza di Silvio Berlusconi diventa il pretesto per un nuovo, duro, scontro tutto interno al Pdl.
A sorpresa l’ex premier ha annullato la registrazione della puntata di «Porta a Porta» che sarebbe dovuta andare in onda questa sera. Il forfait è arrivato qualche minuto prima che iniziasse la registrazione e dopo una serie di telefonate notturne per spingere Berlusconi a non andare da Vespa, perchè a giudizio di alcuni maggiorenti del Pdl, avrebbe significato una delegittimazione del segretario Angelino Alfano.
E questo perchè la settimana prossima nello stesso salotto verrà ospitato il segretario del Pd Luigi Bersani.
È stato invece confermato il viaggio che Berlusconi aveva in programma in Russia, dove si recherà per congratularsi con Vladimr Putun per la sua rielezione.
Secondo le indiscrezioni raccolte che filtrano da ambienti dello stesso Pdl, proporre ai telespettatori la solita contrapposizione Berlusconi-Bersani significherebbe sconfessare Alfano. Una sorta di rivolta interna alla quale sarebbe comunque estraneo lo stesso Alfano che sarebbe stato utilizzato strumentalmente per bloccare la nuova uscita pubblica di Berlusconi.
Segnali di malumori che erano già iniziati qualche settimana fa quando l’ex premier aveva detto che al suo giovane pupillo Angelino mancava il «quid» per ambire alla leadership del partito.
A seguire c’era stata la clamorosa e plateale retromarcia con l’elogio pubblico di «Angelino che se li mangia tutti».
Troppo miele che ha solo confermato piuttosto che smentire le tensioni interne sulla leadership del Pdl.
«Silvio Berlusconi è rimasto vittima della par condicio». Così Bruno Vespa spiega l’annullamento della trasmissione con l’ex presidente del Consiglio.
Il viaggio di Berlusconi a Mosca per la cena con Putin e Medvedev aveva fatto programmare per le 10 la registrazione della prima serata programmata da Rai1.
«Com’è noto – osserva Vespa – la legge impone l’equilibrio delle presenze tra rappresentanti di forze politiche di peso equivalente. Avevamo perciò invitato per oggi Berlusconi e per il 21 marzo Bersani. Sappiamo bene che il segretario del Pdl è Angelino Alfano, che era stato nostro ospite di altre due prime serate insieme con politici di segno diverso, ma Berlusconi non aveva mai parlato in televisione dopo le sue dimissioni da palazzo Chigi del 12 novembre e certamente le spiegazioni che solo lui potrebbe dare sarebbero state interessanti».
«L’ex presidente del Consiglio – prosegue Vespa – mi ha tuttavia spiegato che – dopo le polemiche dei giorni scorsi sul ruolo di Alfano – una sua presenza in parallelo con il segretario del Pd avrebbe creato sgradevoli equivoci sulla leadership operativa del Pdl che è di Alfano al quale Berlusconi intendeva confermare ancora una volta tutta la sua fiducia. Ho obiettato che seguendo questo criterio Berlusconi non potrà più comparire in televisione e fatto fermamente presenti le difficoltà in cui ci metteva questa decisione dell’ultima ora, ma l’ex presidente del Consiglio – nello scusarsi per il disagio prodotto a Rai1 e agli ospiti che erano stati invitati – ha ribadito che da tutto il partito gli veniva rivolto l’invito a non alimentare indirettamente polemiche. Abbiamo pertanto deciso di non sostituire la prima serata con una puntata con altri ospiti o con un altro tema e di andare in onda con un programma già registrato in seconda serata e di confermare naturalmente l’invito per il 21 marzo a Pierluigi Bersani»
Al momento non è dato sapere chi materialmente abbia telefonato a Berlusconi per spingerlo a rinunciare alla puntata di «Porta a Porta».
Ma si tratterebbe di «maggiorenti» e comunque è sicuramente un ulteriore segnale delle lacerazioni interne al Pdl.
Che Berlusconi sia costretto a rinunciare a «Porta a Porta» è veramente la fine di un’epoca.
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