Marzo 7th, 2012 Riccardo Fucile
A PARLARE E’ L’ARCHITETTO MICHELE UGLIOLA CHE INIZIA A COLLABORARE CON LA PROCURA NEL LUGLIO SCORSO… DA QUI INIZIANO INTERCETTAZIONI DECISIVE
“Tranquillo, vai avanti che il partito ti copre”. E’ il 2009, quando Daniele Ghezzi, portavoce di Davide Boni, risponde così all’allora assessore di Cassano d’Adda, Marco Paoletti, che si lamenta delle continue richieste di denaro da parte dell’architetto Michele Ugliola.
Due anni dopo, paradossalmente, sarà proprio Ugliola a inguaiare il presidente del consiglio regionale lombardo.
Finito in carcere nell’inverno del 2010 per un giro di mazzette che smantella l’intera giunta di Cassano d’Adda, Ugliola inizia a collaborare con il procuratore aggiunto Alfredo Robledo.
Riempie pagine di verbali. Tutti segretati.
Racconta, in sostanza, il secondo tempo della corruzione.
Quando, ad esempio, le tangenti si concordavano al tavolo del ristorante Riccione, noto ritrovo di politici, imprenditori e faccendieri.
Ma l’architetto non sarà il solo ad alzare il velo sul malaffare targato Lega.
Dopo di lui tocca a quell’assessore che si lamentava con Ghezzi. Parla anche Marco Paoletti che dopo la gavetta in comune è arrivato fino in Provincia.
Grazie a lui, la procura inizia a capire il piano: fatture false a otto zeri emesse dalla società di Ugliola.
Tradotto fondi neri: un tesoretto dal quale si attingeva per corrompere.
Ed è così che i magistrati arrivano a una prima conclusione.
Si legge nel decreto di sequestro: “Boni e Ghezzi utilizzavano gli uffici della Regione cone luogo d’incontro pe concludere accordi e consegne di denaro”.
Ugliola, poi, porta il carico da novanta: i pagamenti.
Circa 300mila euro, dice, consegnati nelle mani di Ghezzi. Di questi, dice Ugliola, centomila sono arrivati dall’immobiliarista Luigi Zunino (tra i sette indagati dell’inchiesta).
In realtà , prosegue Ugliola, la tangente doveva essere molto più ricca: circa 800mila euro. In cambio l’imprenditore avrebbe ottenuto un’accelerazione per le opere di Santa Giulia e Sesto San Giovanni.
L’operazione, però, si incrocia con le elezioni del 2010, quando Boni non viene più riconfermato come assessore all’urbanistica. E così Zunino sborsa solo centomila euro.
Il sistema è oliato. Dopo Zunino, tocca all’imprenditore Francesco Monastero.
Sul piatto un mega centro commerciale nel Pavese.
Prezzo della corruzione: 800mila euro.
Ancora Ugliola e di nuovo la sua società . Il gioco è sempre lo stesso: fatture false per creare la provvista.
Della mazzetta complessiva, prosegue l’architetto, ancora una volta nelle mani di Boni e Ghezzi arrivano 200mila euro.
Nel luglio scorso, Ugliola inizia a parlare. Filtrano le prime indiscrezioni. S’intravede lo scenario.
Tanto più che l’ex sindaco di Cassano Edoardo Sala, in carcere per corruzione, racconta di quando, assieme a Ugliola, andava in regione a trovare Boni. In quell’estate non c’è molto di più.
I magistrati proseguono a verbalizzare.
E insieme dispongono intercettazioni che, sostiene la procura, confermano il quadro probatorio.
Come le tangenti per milioni euro che Ugliola avrebbe dovuto ottenere con la riqualificazione dell’ex linificio di Cassano.
Il resto sta nei verbali fiume dell’architetto e di suo cognato che a Cassano rastrellava materialmente il denaro dagli imprenditori.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 7th, 2012 Riccardo Fucile
MENTRE GLI EX AN SONO IRRITATI PER LE APERTURE AL CENTRO DI BERLUSCONI, LA COMPONENTE FORZISTA STA PER ESPLODERE E IN LOMBARDIA VA IN SCENA LA PRIMA DIVISIONE UFFICIALE DEI DUE PARTITI FONDATORI DEL PDL
L’argine si è rotto, la scissione strisciante del Pdl è di fatto iniziata.
Gli ex An sono sempre più inquieti per quella che considerano una “deriva al centro” di Berlusconi, con il suo sostegno incondizionato a Monti e la tentazione di proseguire con la formula della grande coalizione anche dopo il 2013.
E iniziano a coltivare il sogno di un partito di destra-destra.
Del resto basta leggere le dichiarazioni di simpatia e di malcelata ammirazione nei confronti di Storace – da La Russa alla Meloni fino a Renata Polverini – per capire da che parte tira il cuore degli ex missini.
Ma anche la componente forzista è sul punto di esplodere, pronta a ribellarsi al controllo che gli ex An esercitano sul partito a livello locale e nazionale.
Un controllo accresciuto dall’esito dei congressi provinciali.
L’avvisaglia è la nascita di “Forza Lecco”, che sancisce la prima scissione ufficiale dei due partiti che fondarono il Pdl.
Non è un caso se il logo di quella che, per il momento, è solo un’associazione, richiami nei caratteri e nei colori quello di Forza Italia.
Come non è un caso se questa iniziativa – Forza Lecco – veda la luce proprio nella provincia dell’ex ministro Michela Vittoria Brambilla, da sempre complice e apripista dei nuovi progetti del Cavaliere.
L’esperimento verrà presentato ufficialmente domenica 11 marzo ma in una sede diversa da quella in cui si terrà il congresso provinciale del Pdl di Lecco, a dominanza An, convocato nella stessa giornata.
Un congresso che sarà disertato quindi dai forzisti locali.
E c’è chi giura che se “Forza Lecco” dovesse rivelarsi un successo, nasceranno anche “Forza Roma”, “Forza Milano” e “Forza Napoli”.
Francesco Bei
(da “la Repubblica“)
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Marzo 7th, 2012 Riccardo Fucile
MASSIMO FINI: “NON ABBIAMO BISOGNO DI ANDARE PIU’ VELOCI, MA DI VIVERE MEGLIO”…”IL PROGRESSO NON HA PARTORITO UNA SOCIETA’ MIGLIORE”….IN 150 ANNI I SUICIDI SONO TRIPLICATI
La questione del Tav, che ha visto migliaia di persone manifestare in 50 città oltre che in valle, travalica la Val di Susa e il legittimo interesse dei suoi abitanti a non veder sconciato il proprio territorio, l’ambientalismo, l’amianto, le compensazioni, le economie o le diseconomie che, a seconda dei punti di vista, il traforo comporterebbe.
I No-Tav (fatta la tara dei vandali), come ha capito benissimo il ministro Corrado Clini, “sono contrari allo Sviluppo, la loro è una battaglia ideologica”.
Ma non meno ideologica è la posizione di chi (fatta anche qui la tara sulle speculazioni e le mazzette) sostiene che il Tav è necessario alla crescita e allo Sviluppo.
“Il Progresso non ha partorito l’uomo migliore, una società migliore e comincia a essere una minaccia per il genere umano”.
Chi l’ha detto? Un valligiano, un “Aska”, un anarco-insurrezionalista?
Lo ha detto Papa Ratzinger quando era ancora cardinale.
Probabilmente Ratzinger si riferiva soprattutto alla decadenza etica (anche se l’ultima parte della frase adombra la catastrofe ambientale) che a noi qui non interessa perchè siamo persuasi che dal punto di vista morale l’uomo non è mai cambiato.
La conoscenza infatti è cumulativa, il senso etico no.
Io ne so sicuramente di più di mio padre e di mio nonno, ma non sono necessariamente migliore, dal punto di vista etico, di mio padre o di mio nonno.
Quello che per me conta è il rapporto fra lo Sviluppo e la qualità della vita.
Perchè, oltre al traforo della Val di Susa, dobbiamo costruire altre 300 fra grandi e piccole opere? “Perchè la nostra Penisola — come si è espresso Monti — non si distacchi lentamente dall’Europa”.
Insomma, per rimanere competitivi.
Ma lo stesso devono fare, se vogliono sopravvivere, non solo gli altri Paesi europei ma tutti quelli che sono entrati nel modello di sviluppo occidentale.
La “Ricchezza delle Nazioni”, inzuppate di infrastrutture, aumenta, ma ciò passa sul massacro delle popolazioni che, oltre a veder sconciato il proprio ambiente, devono lavorare di più, guadagnare di meno e in larghi strati impoverirsi.
Facciamo solo un piccolo esempio.
Fino a 50 anni fa, in Italia, in famiglia lavorava uno solo e bastava, ora devono farlo tutti e due e spesso non è sufficiente.
Tutte queste geremiadi sulle donne che non hanno lavoro sono in funzione del sistema, non delle donne.
Molte che non lo hanno certo lo vorrebbero, ma forse molte di più che preferirebbero farne a meno, per stare accanto ai figli, sono costrette a trovarselo.
Per uscire da questa fourchette ci vorrebbe un accordo mondiale per abbassare i livelli della competizione invece di alzarne continuamente l’asticella.
Ma questo le leadership non lo capiscono o fanno finta di non capirlo.
Noi non abbiamo bisogno di andare sempre più veloci, ma di vivere meglio.
E su questo piano l’attuale modello di sviluppo, nato con la Rivoluzione industriale, ha fatto degli sfracelli.
Diamo alcuni, semplici, dati.
Nel 1650, in Europa, i suicidi erano il 2,6 per 100 mila abitanti.
Nel 1850, un secolo dopo il “take off” industriale, erano il 6,9 (triplicati), oggi sono il 20 per 100 mila abitanti (decuplicati).
E naturalmente il suicidio è solo la punta dell’iceberg di un disagio esistenziale infinitamente più diffuso e tanto più lo è proprio nei Paesi di maggiore “benessere”.
L’alcolismo di massa nasce con la Rivoluzione industriale.
Nevrosi e depressione sono malattie della Modernità , all’inizio colpirono i ceti benestanti, la borghesia (Freud insegna), oggi riguardano tutte le fasce della popolazione.
Negli Stati Uniti, Paese di punta del modello, 566 americani su mille fanno uso abituale di psicofarmaci, cioè un abitante su due non sta bene nella propria pelle.
La costante estensione dell’uso della droga è sotto gli occhi di tutti.
E cosa vogliono fare le leadership mondiali su di noi, cavalli già abbondantemente dopati e con la schiuma alla bocca?
Drogarci ancora di più, farci andare ancora più veloci, cementificarci ulteriormente, costringerci a lavorare come asini al basto, incrementando la nevrosi e la depressione per poi riempirci di medicina tecnologica per reggere lo stress ed essere all’altezza della competizione divenuta globale.
E tutto questo, quando in buona fede, per inseguire il Mito dello Sviluppo, per non rinunciare alla Fata Morgana delle “sorti meravigliose e progressive” che appartengono sia alla cultura della destra che della sinistra.
Tutto ciò ha un senso? Un senso umano, dico?
Ma verrà un giorno, vicino, in cui l’ultimo capello farà crollare il cammello.
E allora non saranno più quattro valligiani o degli anarchici spelacchiati, ma le folle deluse, frustrate ed esasperate, di ogni mondo, a rovesciare il tavolo, avendo compreso, alla fine, che, per parafrasare Goethe, lo spirito faustiano, lo spirito dell’Occidente, opera eternamente il Bene ma realizza eternamente il Male.
Massimo Fini blog
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Marzo 7th, 2012 Riccardo Fucile
IN FRANCIA IL GOVERNO HA AGITO DIVERSAMENTE: PROGETTO RESO NOTO A TEMPO E DISCUSSO COI SOGGETTI INTERESSATI, NESSUNA FRETTA E ATTESA PER CONOSCERE L’IMPORTO VERSATO DALLA UE, L’86% DEI LAVORI ASSEGNATI PER LEGGE A IMPRESE DELLA ZONA
Ah, les italiens! Dall’altra parte del tunnel (che verrà ), il furore sulla questione Tav è un po’ la versione aggiornata della solita caciara all’italiana.
Perchè in Francia, finora, è andato tutto liscio, e il dèbat public è a un punto cruciale: come previsto dalla legge introdotta nel 1995, quando un’opera pubblica di grande impatto deve essere realizzata è obbligatorio per l’ente promotore render noto il progetto e consentire ai soggetti interessati (enti locali, cittadini, autorità ) di esprimere le proprie valutazioni e critiche.
Se il promotore ignora i suggerimenti o le richieste di modifica ricevute, si assume in pieno tutti i rischi derivanti da eventuali contestazioni e difetti conclamati, divenendo responsabile anche per ritardi, danni e ostacoli alla fruizione dell’opera.
Fino al 19 marzo, cittadini e amministratori francesi toccati dalla Lione-Torino potranno quindi dire la loro e avvisare il governo: se sbagli, poi paghi.
Ma il progetto vero e proprio per l’Alta velocità transalpina è ancora tutto da inventare, come ha dimostrato l’accordo siglato in pompa magna qualche giorno fa tra Italia e Francia: il primo articolo annuncia che il patto “non ha come oggetto di permettere l’avvio dei lavori definitivi della parte comune” rimandando a “un protocollo addizionale separato tenendo conto in particolare della partecipazione definitiva dell’Unione europea”.
Ovvero: siccome l’Ue deciderà quanto finanziare davvero dell’opera per una quota che può arrivare fino al 40 per cento, ma che potrebbe anche essere molto più bassa (visto il continuo lievitare di prezzi e tempi), i cugini francesi ci hanno detto chiaro e tondo di non avere molta fretta nel completare l’opera da 24 miliardi di euro.
La quale, tra l’altro, è un affare sicuro per loro: dell’intero tracciato noi pagheremo il 50 per cento pur ospitando sul territorio nazionale solo un quinto delle opere.
E soprattutto la Francia si vedrà finanziare un tratto di Alta velocità di suo esclusivo interesse, la Lione-Chambery, garantendosi la leadership nell’assegnazione di tutti gli appalti su tutto il tracciato.
Sarà per quello che i no-Tav francesi faticano a trovare sponde?
“La Lione-Torino è stata una vera fortuna per noi. Con Schengen avevamo perso un migliaio di posti di lavoro, perchè i controlli alla frontiera non servivano più” ha spiegato Jean Claude Raffin, sindaco di Modane, il paese dove sbucherà la galleria e che ha già ricevuto dalla compagnia ferro-viaria Ltf 100 mila euro di sovvenzioni. Soldi buoni, che si aggiungono agli accordi già stipulati sui business futuri: l’86 per cento dei lavori devono essere assegnati a imprese locali, le maestranze devono pernottare nelle aree dei lavori, e per chi volesse gestire lo smaltimento e l’utilizzo dei materiali di risulta a scopo industriale si aprirebbero percorsi imprenditoriali superfacilitati.
Inoltre, fisco più leggero per gli abitanti della zona (circa un quarto dei valsusini, dislocati in territorio ampio e non in una stretta valle) e vari progetti di compensazione da attuarsi man mano che l’opera procede.
Anche il governo Monti ha mostrato interesse per la via compensativa: subito 20 milioni di euro sbloccati dal Cipe per rattoppare la “linea ferroviaria storica Torino-Bussoleno — ha detto ieri raggiante il governatore piemontese Roberto Cota —, perchè non possiamo abbandonare i pendolari che ogni giorno usano il treno per andare al lavoro”.
Ecco la chiave, antica e un po’ dèmodè, che potrebbe far scattare i meccanismi dell’ingranaggio.
Se il premier decidesse di mettere in secondo piano il ruolo del commissario al Tav Mario Virano, ormai usurato da anni di frizioni coi comitati, per arrivare a calcolare persino un’uscita del progetto dalle Grandi Opere verso una più morbida gestione con legge ordinaria — e connessa partecipazione degli enti locali —, lo scenario muterebbe totalmente.
Col pieno consenso dei tanti che attendono impazienti la tintinnante manna europea: banche, imprese, politici.
Chiara Paolin
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 7th, 2012 Riccardo Fucile
LA GIUSTIFICAZIONE: RISCHIO VIRUS INFORMATICI E CROLLO DELLA PRODUTTIVITA’
Alberto da Giussano non twitta. La Lega Nord parte per la crociata contro i social network.
Succede in Regione, nell’aula di consiglio, poco prima della discussione sul piano casa. Il lumbard Cesare Bossetti legge un’interrogazione urgente diretta alla giunta di Roberto Formigoni.
Obiettivo: «Predisporre dei filtri che impediscano l’accesso ai social network dalle postazioni di lavoro di Regione Lombardia e delle società partecipate».
La ragione di tanto accanimento è spiegata nella stessa interrogazione: «Il traffico dei dati derivanti da queste applicazioni produce conseguenze sul piano economico in termini di maggiori costi per l’ente pubblico».
Per non parlare della «pirateria informatica», dei «furti d’informazioni» o dei «danneggiamenti delle strutture»; o ancora dei «rischi di contagio di virus informatici» e delle pericolosissime «conseguenze legali» di tanto scaricare.
«Il rischio di download di materiale non consentito espone la pubblica amministrazione a forme di responsabilità per omesso controllo».
Il documento leghista non lo dice poi apertamente, ma è chiaro che la preoccupazione è legata anche a eventuali ricadute sul fronte produttività .
L’efficienza «padana» a rischio Twitter e Facebook.
«Secondo alcuni studi – dice infatti l’interrogazione – dalla mappatura delle reti è emerso che la “frequentazione del web” avviene con maggior concentrazione durante l’orario lavorativo».
«Se questo è il punto – attacca Pippo Civati del Pd -, vietare l’utilizzo dei social network come qualcuno tentò di fare con la posta elettronica non serve a nulla. Se il timore è che ci siano dipendenti che buttano il loro tempo si chieda conto a loro».
Cesare Bossetti è stato eletto al Pirellone nel listino bloccato di Formigoni.
Varesino, amministratore unico di Radio Padania, è noto alle cronache più recenti per l’episodio legato al minuto di silenzio osservato nell’aula del Pirellone: era febbraio dell’anno scorso, in ricordo dei bambini rom morti in un incendio di un campo romano.
In quell’occasione Bossetti rimase incollato alla sua sedia, orgogliosamente assorbito dalla lettura dei quotidiani.
Quanto alla sua frequentazione del web, Bossetti ha di recente creato un suo profilo su Facebook.
Eppure in Regione i social network sono strumenti assai apprezzati.
Roberto Formigoni, per dire, è super attivo sia sulla sua pagina di Facebook che su Twitter.
Tanto che proprio da Facebook era nata due giorni fa l’ultima polemica tutta interna alla maggioranza di centrodestra. Protagonisti Davide Boni e l’assessore alla Protezione civile, il pidiellino Romano La Russa, che aveva criticato la lentezza delle procedure in materia di concessione dell’asilo politico.
«I tremila profughi libici ci costano troppo».
Tanto vale regolarizzarli, una volta per tutte.
La replica di Boni alle dichiarazioni del collega fu condensata in un solo aggettivo: «Incredibile».
Su Facebook, ovviamente.
Andrea Senesi
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Marzo 7th, 2012 Riccardo Fucile
GLI SCONFITTI DENUNCIANO: “TROPPE ANOMALIE”
Quando Pier Luigi Bersani arriva in piazza Monte Citorio per la presentazione del libro su Angelo Vassallo – il sindaco del Pd ucciso a Pollica nel 2010 – è letteralmente assalito da telecamere e microfoni.
Il processo al suo partito è cominciato ore prima, dopo l’ennesima sconfitta alle primarie.
Con Giuseppe Lumia (il senatore pd che ha sostenuto il vincitore di Palermo, Ferrandelli) che minaccia di chiedere le dimissioni del segretario.
Con i veltroniani (Tonini) che invocano la convocazione della direzione.
Con Paolo Gentiloni che su Twitter denuncia: «Le ragioni sono locali, a Palermo, Milano, Napoli, Genova. Ma il problema del Pd è nazionale».
Con lo stesso vicesegretario, Enrico Letta, che usa l’accaduto per archiviare una volta per tutte l’ormai sbiadita foto di Vasto, l’alleanza che tiene insieme partito democratico, IdV e Sel: «A Palermo i nostri elettori chiedono altro. Rita Borsellino ha fatto l’errore di proporsi in quello schema».
Come lui, la pensano Marco Follini e i modem di Veltroni, nell’ormai consueta alleanza di chi vede il futuro del Pd lontano da Vendola e Di Pietro.
In linea con il governo di Mario Monti.
Così, Bersani aspetta di sedersi per rispondere.
Non è roba da battute per tg.
Spiega che il Pd ha vinto in 18 città su 23.
Che a Palermo, una volta verificati i voti di un risultato comunque al fotofinish, sosterrà il vincitore.
Che le primarie sono un grande strumento di partecipazione, aiutano a vincere le “secondarie”, le elezioni, ma – ed è questo il punto – «non risolvono problemi politici». E quindi – sostiene il segretario – «la politica deve venire prima, decidere ogni volta il se e il come delle primarie, senza darle per scontate».
Perchè «in tutto il mondo non sono certo un pranzo di gala, ma non possono essere una resa dei conti». Non si può fissare una regola su quanti candidati del Pd debbano partecipare.
Bisogna scegliere però. Scegliere prima.
Accanto a lui c’è Pier Ferdinando Casini, che prova a dargli una mano.
«Trentamila persone che vanno a votare in tempi di antipolitica vanno rispettate», dice il leader Udc. E aggiunge: «Penso che a questo Paese serva un’alleanza tra moderati e riformisti. E tengo al rapporto con Bersani perchè rappresenta l’anima moderata e riformista della sinistra».
Accreditamento che non basta a sopire le polemiche.
Il governatore siciliano Lombardo manda segnali: «È credibile che 10mila di coloro che hanno votato non fossero persone di centrosinistra».
Rita Borsellino annulla la conferenza stampa: «Sono accadute cose strane».
Il sospetto – coltivato anche dall’Idv Leoluca Orlando – è che a votare siano andate persone che nulla hanno a che fare con la coalizione: precari, iscritti a cooperative di ex detenuti in cerca di lavoro, elettori del presidente della Regione o del Pid di Saverio Romano.
Anche per questo, gira voce che l’ex sindaco stia pensando di candidarsi.
Rosy Bindi chiede di «affinandone» le regole delle primarie.
Dall’area Franceschini si mette in evidenza che «non possono votare tutti, altrimenti il rischio di inquinamento è reale. Serve una riforma, subito».
A difendere il fortino restano Nicola La Torre, Matteo Orfini, Stefano Fassina: trovano i riferimenti a Vasto pretestuosi, le critiche infondate.
La segreteria manda a dire a chi la chiede che la direzione è già convocata. S
arà a fine marzo, prima di Pasqua.
Lì, ci sarà tempo e modo di parlare di tutto.
Alleanze comprese.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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