Marzo 30th, 2012 Riccardo Fucile
L’AVVOCATURA CHIEDE I DANNI… MAZZOCCHI (PDL) HA ACQUISTATO L’APPARTAMENTO VENDUTO DAL COMUNE POCO PRIMA A DUE VECCHIETTI PER 206.000 EURO
Il quartiere Prati con la sua piazza Mazzini è il cuore della “city romana”.
Ma può considerarsi anche il cuore di un’intricata vicenda di case di pregio, oltre 120 metri quadri dal valore alto, fino a 900 mila euro di euro, ma svendute al prezzo di un monolocale in una zona semicentrale. In un bellissimo stabile di via Andreoli 2 (che si affaccia su piazza Mazzini), ben 22 appartamenti sui 90 cartolarizzati dal Comune a partire dal 2005 sono stati prima venduti agli inquilini a prezzi di saldo e poi rivenduti dagli stessi in violazione di una norma locale, la 139 del 2001, che vietava espressamente la rivendita prima di una certa data dal rogito.
Compravendite realizzate in circostanze tutte da chiarire e ora al centro di una complicata vicenda giudiziaria.
La norma vietava agli inquilini — nella maggior parte dipendenti pubblici che alloggiavano negli stabili comunali a canoni agevolati — che avevano acquistato dal Campidoglio gli appartamenti con sconti dal 30 al 45 %, di rivendere prima dei 10 anni.
Questo per evitare speculazioni da parte di chi aveva usufruito dei generosi sconti. L’uomo incaricato dall’ex sindaco Walter Veltroni di occuparsi di una delle più importati operazioni di dismissione immobiliare degli ultimi 20 anni in Italia è stato Claudio Minelli, ex assessore capitolino della Margherita al Patrimonio immobiliare dal 2001 al 2008, oggi desaparecidos della politica.
In ballo 7500 immobili da cartolarizzare e un processo di vendita (fermato dalla giunta Alemanno) a soli 775 immobili venduti e 150 milioni di euro entrati nelle casse del Comune. Una cifra modesta.
“Io mi ricordo le pressioni che mi arrivavano da tutti i partiti, le commissioni, i comitati di inquilini, per fare maggiori sconti — racconta al Fatto Minelli — mi sembravo un punching ball in quel periodo. Fu una lotta incredibile, e non escludo che palazzi in zone importanti della Capitale siano finiti a prezzi troppo scontati”.
In piazza Mazzini nel 2005 i prezzi di mercato al metro quadro, secondo i dati dei broker immobiliari, variavano tra i 6. 700 e i 7. 700 euro, ma nello stabile di via Andreoli 2, gli appartamenti sono stati venduti in molti casi a poco più di 1. 700 euro al mq.
“Io ho comprato 100 mq con due balconi al piano nobile più cantina nel 2006 al prezzo di 360 mila euro — racconta Bruna D’Eustachio, inquilina anziana del palazzo — ma appena comprato si sono presentate delle persone che dichiaravano di essere ‘ ben collegate’: mi offrivano fino a 860 mila euro per ricomprare subito il mio appartamento. Ho risposto loro che c’era il vincolo dei 10 anni, ma loro insistevano che lo si poteva aggirare — continua la donna —. Quella era una speculazione indegna verso il Comune che così tanto ci aveva agevolati. Li ho fatti scappare a gambe levate”.
Ma altri se ne sono fregati della norma e hanno rivenduto al doppio o al triplo a medici, notai, imprenditori, avvocati.
Un inquilino che vuole restate anonimo racconta: “Molti qui dentro hanno fatto un giro strano, l’inquilino legittimo comprava a prezzo scontato anche se non aveva i soldi, però glieli dava un terzo, il secondo compratore, magari in cambio di una generosa buonuscita che poteva arrivare a un sacco di soldi”.
Così, a partire dal 2009, l’avvocatura comunale avvia una serie di cause giudiziarie. “Laddove accerteremo che vi sono state speculazioni a danno del Comune, cercheremo di tornare in possesso anche degli immobili” dichiara il sindaco Alemanno.
Intanto è rimasto impigliato nella vicenda un sodale di Alemanno, un big della politica romana, il deputato Pdl Antonio Mazzocchi, uno dei tre questori della Camera dei deputati, presidente dei Cristiano riformisti, ex presidente della federazione romana di An, ex assessore e consigliere capitolino, padre di Erder Mazzocchi consigliere regionale Pdl.
È lui, il pomeriggio del 19 ottobre 2005, a mettere la firma insieme alla moglie, Bianca Mingoli, sull’atto di compravendita di un appartamento al primo piano nello stabile — 121 mq più cantina — al costo stracciato di 250 mila euro.
L’appartamento era stato acquistato solo poche ore prima da due pensionati de l’Aquila, che avevano comprato l’alloggio a poco meno di 207 mila euro. L’avvocatura comunale, in rappresentanza del sindaco Alemanno, ritiene che i primi compratori, i coniugi Mazzocchi e il loro notaio, N. V., abbiano compiuto una speculazione ai danni delle casse comunali e chiede loro un cospicuo risarcimento, pari al prezzo del valore di mercato dell’appartamento, stimato al 2005 tra gli 860 mila e gli 880 mila euro.
Gli avvocati del sindaco hanno trascinato tutti in tribunale.
Mazzocchi, interpellato dal Fatto, replica: “Ho pagato il prezzo del valore di mercato. Sì, è vero, siamo in comunione dei beni, ma sono stato trascinato dentro la causa anche se a comprare con propri soldi è stata mia moglie. Io ero solo la persona che doveva attestare questo al momento del rogito”.
Ecco perchè chiede un milione di euro di danni al Comune: “Capirete bene, sono deputato e questore della Camera. Comunque la compravendita è regolare, per l’immobile abbiamo interrogato il ministero dei Beni Culturali, loro — prosegue Mazzocchi — hanno un diritto di prelazione, se non lo esercitano il privato può rivendere”.
Ma il Comune la pensa al contrario, è un immobile di un ente locale, nulla c’entra il Mibac. “Siamo arrivati a quella norma dopo un grande lavoro e studio — replica Minelli — nessuno poteva rivendere prima dei limiti imposti dalla legge, chi lo ha fatto deve pagare”.
L’immobile contestato è stato affittato ad uno studio medico, ma sul punto il parlamentare è balbettante: “Da oggi è libero, l’ho sfittato ieri”.
Il deputato dell’Idv Francesco Barbato chiede le dimissioni da questore della Camera di Mazzocchi. “Come può amministrare le casse della Camera dei Deputati se si regola in questo modo? Chiederò oggi d’incontrare il presidente Fini e sottoporgli la “scandalosa” posizione dell’on.Mazzocchi e la conseguente rimozione da questore della Camera”.
Intanto, a distanza di oltre un anno dall’istituzione di una commissione di inchiesta sulle vendite del patrimonio immobiliare capitolino voluta da Alemanno, c’è buio fitto su nomi e dati.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 30th, 2012 Riccardo Fucile
E AGLI EX PRESIDENTI BENEFIT FINO AL 2023… SPOSTATO IN AVANTI IL CALCOLO CHE INIZIERA’ DALLA FINE DI QUESTA LEGISLATURA, COLPITI SOLO INGRAO E LA PIVETTI
Addio ai benefit degli ex presidenti della Camera: uffici, segretari, auto di servizio a disposizione. Sì ma dal 2023.
E a Montecitorio il taglio “ad personam” diventa un caso.
Anche perchè il Senato poche settimane fa era stato più rigoroso: stop dopo dieci anni dalla cessazione dall’incarico, per tutti.
Da quest’altra parte del Parlamento invece l’anno prossimo si chiuderanno le saracinesche solo per Ingrao (cessato nel ’79) e la Pivetti (’96).
Ma per Violante, Bertinotti, Casini (come per l’attuale presidente Fini) i dieci anni decorreranno dalla fine di questa legislatura, ovvero dal 2013.
E così, caso raro, l’ufficio di Presidenza si spacca.
Il provvedimento passa ma con cinque voti contrari: oltre a Dussin (Lega) e Mura (Idv) anche quelli dei pidiellini Leone, Fontana e Milanato.
Ma pure il vicepresidente Lupi ha votato no, per alzata di mano, sebbene il suo sesto non sia stato registrato a verbale. L’idv protesta: “Una presa in giro”.
La Pivetti, unica delle due vittime, non ci sta: “È il risultato di un clima forcaiolo che non distingue i bersagli”.
Il fatto è che l’aria, nell’organo di autogoverno di Montecitorio, è proprio cambiata, “scintille da fine legislatura” nota il segretario Lusetti.
E addio all’unanimità anche quando si è trattato di approvare il consuntivo 2011 e le variazioni al bilancio interno 2012.
In tre si sono astenuti (Fontana, il sudista Fallica e perfino il finiano Lamorte) per denunciare il mantenimento di spese anacronistiche.
Dalle duemila pagine di carta intestata al mese per deputato al chilo di colla liquida all’anno, passando per le gomme.
A discapito del carente aggiornamento informatico del Palazzo.
“Gli atti parlamentari anzichè sul web viaggiano in quintali di carta su carrelli che i commessi trascinano in stile mensa ospedaliera” lamenta Fallica: e costano 7 milioni l’anno.
Lo stratagemma degli ex per mantenere i vantaggi
Benefici non più a vita anche per gli ex presidenti di Montecitorio, dunque.
Fini impone anche lì lo stop dopo “dieci anni dalla data di cessazione dalla carica di presidente”. Ma con una postilla. “Per quanto riguarda la situazione degli attuali ex presidenti, le predette attribuzioni sono riconosciute per un periodo di dieci anni a decorrere dall’inizio della prossima legislatura” ovvero dal 2013: “A condizione che gli stessi continuino ad esercitare il mandato nella presente legislatura o abbiano esercitato l’ultimo mandato parlamentare nella precedente”.
È l’escamotage che consente di mantenere fino al 2023 i benefit a Violante (dieci anni scaduti nel 2011), Casini (scadranno nel 2016) e Bertinotti (nel 2018).
Per gli “ex” un ufficio con 4 addetti, auto quando occorre e plafond di ticket aerei.
La cancelleria
Duemila fogli al mese ma anche 10 dvd e 20 cd
La polemica esplosa a Montecitorio svela consuetudini finora sconosciute ai più.
Una volta al mese il commesso bussa alla porta di ogni deputato e consegna con ragionieristica puntualità duemila fogli di carta intestata “Camera” (con relativa busta). Dunque 24 mila in un anno.
Ma vengono consegnate anche sei gomme ogni tre mesi (tre da biro, tre da matita), ovvero una ogni 15 giorni.
E poi 10 dvd e 20 cd quali supporti per la trasmissione di materiale informatico. Ma la dotazione per agevolare l’attività parlamentare degli onorevoli comprende anche mille fogli di carta bianca l’anno ad uso fotocopie.
Questa e tante altre voci fanno lievitare a un milione di euro tondo, per il 2012, la spesa annua per “Carta, cancelleria e materiali di consumo d’ufficio”.
La colla
Un chilo di coccoina all’anno per ogni deputato
“Ma vi pare che ognuno di noi debba avere ancora in dotazione un chilo e mezzo di colla all’anno? Che ce ne facciamo della colla liquida?”
È il pidiellino Gregorio Fontana ad aprire il dossier delle spese non tanto inutili quanto “anacronistiche” che ancora lievitano nel palazzo.
E il chilo o litro di colla liquida l’anno che i commessi consegnano agli onorevoli è solo uno degli esempi più eclatanti, in pieno 2012 quando l’uso della carta – viene fatto notare in Ufficio di presidenza – dovrebbe essere ridotto al minimo a beneficio del web. “Io e la mia segreteria l’accatastiamo, mai utilizzata” rincara Pippo Fallica (Grande Sud).
Di contro, denuncia Fontana, “Non ci sono postazioni wi-fi, che ormai esistono pure a Villa Borghese, e i telefonini spesso sono schermati”.
Museo Montecitorio
Spesi 150mila euro per le opere d’arte
Nel 2012 la Camera spenderà 370 mila euro per “conferenze, manifestazioni e mostre”. Una spesa alla quale va sommata quella da 150 mila euro l’anno per “opere d’arte” da mantenere o, meno che in passato, da acquistare.
Tutte uscite che, denunciano Gregorio Fontana, Pippo Fallica e Antonio Leone in Ufficio di presidenza, “sono del tutto fuori dal core business della Camera dei deputati: se ormai tagli bisogna operare, allora lo si faccia cominciando da ciò che esula dall’attività parlamentare in senso stretto”.
Sebbene, fanno notare dalla Presidenza, spese per conferenze e mostre sono ridotte rispetto agli anni passati.
Come pure quelle per l’acquisto (ormai quasi nullo) di opere d’arte, si tratta però di mantenere e conservare le tante di cui comunque il Palazzo dispone.
Spese postali
Seicentomila euro per i francobolli
Nell’era del web 2.0 e dei social network, in cui tutto viaggia quanto meno via mail, adesso anche per posta elettronica certificata, succede che a Montecitorio anche per questo 2012 600 mila euro per le “spese postali”.
Ovvero, per inviare documenti da questo ramo del Parlamento ad altre amministrazioni dello Stato.
Ma scorrendo le voci “anacronistiche” finite ieri sotto i riflettori dell’Ufficio di presidenza, ci si imbatte anche nei 50 mila euro per “spedizioni”.
Se è per questo, il questore Antonio Mazzocchi ha aperto il caso “defibrillatori”. Ne sono stati piazzati a Montecitorio, a Palazzo Marini e a San Macuto.
“Ma può utilizzarlo solo il personale medico che ha sede alla Camera: con rischio che quando serve altrove nessuno potrà mettere in funzione le macchine”.
Spreco di carta
Per la stampa degli atti 7 milioni 150mila euro
Dai deputati che ieri hanno puntato l’indice contro le spese ormai da archiviare, viene additato come il vero “bubbone”.
Anche se ogni documento è ormai reperibile sul sito della Camera, qualsiasi atto parlamentare, ordine del giorno, emendamento, ddl, interrogazione o interpellanza viene stampato su carta. Risultato (sul piano finanziario): i 7 milioni 150 mila euro che verranno spesi quest’anno per i “servizi di stampa degli atti parlamentari”.
Da sommare al milione 210 mila euro l’anno per l’analogo capitolo dei “servizi vari di stampa”.
Il risultato sotto il profilo ambientale, in termini di spreco di carta, lo si può intuire – fa notare il deputato Fallica – “osservando gli enormi carrelli con i quali i commessi trasportano quintali di documenti”.
(da “La Repubblica“)
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Marzo 30th, 2012 Riccardo Fucile
“LA MIA DECISIONE HA DECORRENZA IMMEDIATA, HO SOLO SERVITO IL PARLAMENTO”…I PRIVILEGI RIGUARDANO ANCHE VIOLANTE E BERTINOTTI, MENTRE SONO TAGLIATI FUORI INGRAO E LA PIVETTI
“Ho avuto l’onore di servire la Camera dal 2001 al 2006, rinuncio con effetto immediato a questi benefici”. Firmato: Pier Ferdinando Casini.
Il leader centrista annuncia il suo no dopo che l’ufficio di presidenza di Montecitorio ha stabilito che gli ex presidenti della Camera potranno godere dei benefit, relativi alla carica ricoperta, per 10 anni, dalla fine del mandato, e non più a vita.
L’unica eccezione è stata fatta per gli ex presidenti eletti deputati nella scorsa o nell’attuale legislatura per i quali i 10 anni decorreranno a partire dalla fine di questa legislatura.
Dei cinque ex presidenti ancora in vita, quindi, solo Luciano Violante e Fausto Bertinotti (e lo stesso Casini) potranno continuare a godere dei benefit per altri 10 anni, mentre Pietro Ingrao e Irene Pivetti li perderanno alla fine di questa legislatura. Un privilegio di cui Casini ha deciso di fare a meno: ” Ho preso atto delle decisioni assunte ieri, a maggioranza – scrive il leader dell’Udc in una lettera a Gianfranco Fini – dall’Ufficio di Presidenza in relazione allo status degli ex presidenti. Ringrazio lei ed i colleghi, ma le comunico che non intendo avvalermi della delibera e rinuncio, con effetto immediato, ad ogni attribuzione e benefit connessi a questo status”.
Il Senato, poche settimane fa, era stato più rigoroso e aveva dato lo stop dopo dieci anni dalla cessazione dall’incarico. Senza alcuna eccezione.
A Montecitorio, invece, la strada scelta è stata diversa.
E la cosa ha provocato la spaccatura dell’ufficio di Presidenza.
Il provvedimento è passato ma con cinque voti contrari: oltre a Dussin (Lega) e Mura (Idv) anche quelli dei pidiellini Leone, Fontana e Milanato.
Anche il vicepresidente Lupi (Pdl) ha votato no, per alzata di mano, sebbene il suo sesto non sia stato registrato a verbale.
Le reazioni.
“E’ un bene che Casini rinunci da subito ai suoi privilegi di ex presidente della Camera che una pessima decisione presa ieri gli avrebbe assicurato – dice Antonio Borghesi, vicepresidente dell’Italia dei Valori alla Camera – Ci attendiamo ora che uomini di sinistra come Bertinotti e Violante facciano altrettanto e che Fini dichiari fin d’ora di rinunciarvi al termine del mandato”.
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Marzo 30th, 2012 Riccardo Fucile
A LECCE “DESTRA DI BASE” SCONFIGGE IN TRIBUNALE L’ON LISI: DOPO QUATTRO ANNI RESA GIUSTIZIA AD ADRIANO NAPOLI, REO DI AVER VOLUTO TUTELARE I VALORI DI RIFERIMENTO DELLA DESTRA SALENTINA
Uno scontro lungo quattro anni, che affonda le radici nella storia recente della destra salentina.
O forse no, dipende dalle interpretazioni.
A scrivere la parola fine sulla lunga querelle, tutta interna all’ex partito di Alleanza Nazionale, che vedeva contrapposti Ugo Lisi ad Adriano Napoli è stato il Tribunale di Maglie.
Il deputato del Pdl e il presidente dei circoli Destra di Base erano arrivati alla diatriba legale per una vicenda nata nel 2008.
Qualche mese prima della fusione di An e Forza Italia dentro al Pdl, secondo la ricostruzione del responsabile di Destra di Base, nel partito salentino di Fini si era aperta e scatenata una guerra interna senza esclusione di colpi sulla gestione di questo passaggio politico delicato, tra chi come Lisi era favorevole a questa evoluzione e chi, come Napoli, all’epoca vicepresidente provinciale di An), si dichiarava contrario.
Secondo quest’ultimo, infatti, in gioco c’era la dignità della componente An, sacrificata nel nuovo contenitore berlusconiano: l’ex vicepresidente del partito finiano rinfacciava a Lisi di non impegnarsi a tutelare la rappresentanza della destra nel Pdl, ma di essersi principalmente adagiato sulla preoccupazione della propria rielezione alla Camera come deputato.
In quel periodo, Destra di base aveva aperto un blog per dare voce ai propri simpatizzanti, dove le critiche a Lisi non si lesinavano, tanto che il deputato di An, mal sopportando questo crescente malumore, presentò una querela contro gli amministratori dello stesso, colpendo Adriano Napoli, in qualità di responsabile di DdB e Maurizio Gennarino, come autore dello spazio web.
Lisi nella denuncia-querela accusava il blog e i suoi responsabili di non aver cancellato le parole “bamboccione, incompetente ed ignorante” pubblicate in alcuni commenti anonimi che lui riteneva offensivi per la sua dignità di deputato e di uomo.
In seguito alla querela, fu revocata a Napoli la carica di vicepresidente provinciale di An.
Napoli racconta che Lisi per sostenere le proprie accuse abbia prodotto centinaia di pagine, attivando la Digos e tenendo impegnati uomini e mezzi dello Stato sulla vicenda.
Il deputato si era, quindi, costituito parte civile per le offese che riteneva di aver ricevuto dalla pubblicazione di quelle frasi, richiedendo agli esponenti di Destra di Base un risarcimento danni di 50mila euro.
La sentenza, presso il Tribunale di Maglie ha dato però ragione a DdB, dichiarando Napoli e Gennarino innocenti con formula piena.
(da “Lecce-Prima.it“)
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Marzo 30th, 2012 Riccardo Fucile
LA STRANA ALLEANZA TRA “LA DESTRA” E IL LEGHISTA MOLTENI, DEPUTATO FEDELE A MARONI… E LA “DESTRA SOCIALE” DI STORACE SI RIVELA UNA PATACCA
In politica, quando si tratta di correre per vincere, ogni alleato è quello giusto.
Ma il matrimonio tra la Lega Nord e La Destra siglato nei giorni scorsi a Cantù, cittadina brianzola di 40 mila abitanti, lascia alquanto sorpresi.
Se è vero che ogni realtà va letta sotto la lente locale, è vero anche che ciascuno dei due partiti fonda la propria esistenza su principi antitetici.
Il primo, la Lega Nord, annovera tra le finalità il “conseguimento dell’indipendenza della Padania“ (articolo 1 dello statuto del Carroccio) e l’altro, La Destra, fonda i propri principi sulla “tradizione culturale e storica del popolo italiano” e sulla “integrità e la tutela dell’interesse Nazionale” (articolo 1 dello statuto del partito di Storace e Buontempo).
L’alleanza canturina, nata anche sotto il segno della comune distanza dal governo Monti e dal Pdl, è stata ufficializzata nei giorni scorsi in una conferenza stampa a cui hanno preso parte l’esponente locale de La Destra Antonio Metrangolo e il candidato sindaco della Lega, il deputato Nicola Molteni.
In quell’occasione Molteni ha espresso soddisfazione per l’accordo, specificando che “l’obiettivo principale, il punto focale del programma è porre l’accento sulla sicurezza in città ”, rimarcando il tema che rappresenta probabilmente uno dei pochi punti contatto tra le due forze politiche.
Il patto tra la Lega e La Destra ha ricevuto anche il sostegno indiretto del principale sponsor di Molteni, Roberto Maroni, che nei giorni scorsi ha tenuto un comizio a Cantù.
Tra il pubblico, ad applaudire alle parole dell’ex ministro dell’Interno c’era infatti anche il leader locale del partito di Storace.
In quell’occasione, Maroni ha rivendicato la scelta di correre separati dal Pdl e, spingendosi anche oltre, ha confermato che non ci sarà “nessun appoggio al Pdl neanche a un eventuale ballottaggio. Loro se ne sono andati. Per noi al momento l’alleanza è chiusa”.
Senza Pdl l’obiettivo più alto per il Carroccio canturino, nella inedita veste di alleato de La Destra, è il ballottaggio.
Risultato arduo da raggiungere se si pensa che la Lega, dopo aver guidato la città in solitaria per un decennio, non ha mai sfondato alle urne, portando a casa un magro 15,7 per cento nel 2002 e un ancor più risicato 14,6 per cento nel 2007.
Gli ex alleati del Pdl correranno per la poltronissima con il vicepresidente di Federfarma Lombardia Attilio Marcantonio, un nome considerato credibile nel panorama dei candidati canturini e che proprio per questo preoccupa i leghisti.
A contendersi la seconda piazza per il ballottaggio sono in molti (10 in tutto i candidati sindaco): più di altri sembrano poter centrare l’obiettivo Claudio Bizzozero (a capo della civica Lavori in corso) e il candidato del centrosinistra Antonio Pagani (Pd, Idv, Psi e Sinistra per Cantù).
In questo scenario l’alleanza tra la Lega e La Destra (a cui vanno sommate due liste civiche) assume contorni più chiari: stare assieme per sperare di mettere insieme i voti necessari per giocarsi il tutto per tutto al ballottaggio.
Alessandro Madron
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 30th, 2012 Riccardo Fucile
LA NUOVA PROPOSTA DEL GOVERNO AFFIDERA’ UN RUOLO DECISIVO AI GIUDICI… IN ALTERNATIVA IL NUOVO ART. 18 SI POTREBBE APPLICARE SOLO AI NUOVI ASSUNTI
La parola d’ordine è quel “non permetteremo abusi” che Mario Monti ha pronunciato nei giorni scorsi di fronte alle proteste dei sindacati.
Come evitare abusi in una materia sensibile come quella del licenziamento individuale per motivi economici?
Da due giorni gli esperti del ministero di Giustizia stanno studiando insieme a quelli del Lavoro un’ipotesi secondo cui dovranno essere i giudici a stabilire, quando si trovano di fronte a un licenziamento per motivi economici, se esso nasconda motivi discriminatori.
Nel documento approvato dal governo, invece è il lavoratore che deve dimostrare la discriminazione mentre il giudice non è tenuto a esprimersi su questo punto. In alternativa a questa misura (che andrebbe incontro, almeno nelle intenzioni, alle richieste del Pd) il governo potrebbe applicare il nuovo articolo 18 solo ai nuovi contratti.
Il governo potrebbe intervenire anche sulla cosiddetta flessibilità in entrata, cioè sulle modifiche introdotte per limitare il precariato dei giovani. Le novità della riforma hanno fatto storcere il naso nel centrodestra che vorrebbe lasciare più libertà alle imprese. In sostanza, la possibilità di limitare il licenziamento si paga con una minore precarietà in ingresso.
Anche per queste ragioni il lavoro degli esperti del ministero della Giustizia è particolarmente delicato.
Quando sarà concluso? “È una questione di giorni” dicono al ministero del lavoro.
Per consentire a Monti, di ritorno dall’Asia, di avere un testo sul tavolo.
Articolo 18. Il magistrato potrebbe ripristinare il reintegro
La questione più delicata è quella dei licenziamenti individuali. La riforma prevede diversi tipi di ingiusto licenziamento ma non dice chi stabilisce se un licenziamento ingiusto è discriminatorio o se invece era motivato solo da un’errata valutazione delle condizioni economiche dell’azienda.
È evidente che questa scelta non può in ogni caso spettare all’impresa: “Nessuno ammetterà mai di aver deciso un licenziamento per discriminare un lavoratore” riconosceva due sere fa il ministro Fornero di fronte alla platea dell’Unione Industriale di Torino.
Chi decide dunque? Probabilmente toccherà a un giudice, ed è anche per questo che della questione sono stati investiti gli esperti del ministro Severino.
Ma come si arriva dal giudice? Un’ipotesi è che ci si possa andare automaticamente in tutti i casi di licenziamento individuale, come accade in Germania.
In questo caso si toglierebbe al licenziato l’onere della prova.
E se il giudice dovesse riconoscere che c’è stata discriminazione, ovviamente scatterebbe anche l’obbligo di reintegro.
Contratti. I paletti sugli atipici in versione più soft
Nella logica della riforma, rendere più difficile il licenziamento individuale significa offrire alle aziende una contropartita sui contratti di ingresso.
Aver abolito alcune possibilità come l’associazione in partecipazione impedirà alle imprese di ricorrere alle forme più convenienti di utilizzo della manodopera, o, se si preferisce, le forme di precariato che tutelano di meno i lavoratori.
Meno precarietà significa anche più costi.
Da qui la protesta di una parte delle associazioni imprenditoriali e dei partiti del centrodestra.
Ridurre o ammorbidire i paletti applicati dal documento del governo ai contratti atipici potrebbe essere considerata una contropartita all’intervento sui licenziamenti.
In alternativa c’è la strada della divisione tra generazioni: con i giovani che hanno contratti di ingresso più tutelati ma non vengono protetti in uscita dalle tutele dell’articolo 18 e i lavoratori meno giovani che mantengono le attuali garanzie.
Quel che è certo è che al momento le imprese considerano l’attuale “un buon punto di equilibrio”.
Ammortizzatori. Quel milione di precari che non avrà l’Aspi
L’Aspi, l’assicurazione sociale anti-disoccupazione spetta a tutti i lavoratori dipendenti cui si aggiungono gli apprendisti (che dovrebbero diventare la principale categoria tra i giovani assunti) e gli artisti dipendenti che finora non usufruivano della mobilità .
Poi c’è una mini-Aspi, soprattutto per i più giovani, prevista per i contratti a termine, ma sempre subordinati.
È evidente che da questa platea vengono esclusi i cocopro, i contratti a progetto e tutte le forme di lavoro falsamente indipendente, ma in realtà subordinato.
Il documento approvato dal Consiglio dei ministri contiene a questo proposito un impegno a rendere strutturale l’una tantum oggi riservata ai cocopro.
Si tratta oggi di una tantum pari al 30% del reddito dell’anno precedente, con un tetto di 4 mila euro. I requisiti sono molto restrittivi e di fatto l’83% dei fondi stanziati per il triennio 2009-2011 non è stato utilizzato (35 milioni su 200), con il 69% di domande respinte (28.674 su 42.550).
Senza una revisione, questo paracadute continuerà ad essere inutile, oltre che limitato.
Salari. Il costo dell’1,4% si scarica sui lavoratori
Per incentivare il lavoro a tempo indeterminato, il ministero prevede di tassare maggiormente le forme di occupazione precaria imponendo alle aziende che le utilizzano un’aliquota dell’1,4 per cento sulla retribuzione.
In altre proposte di riforma questa norma era accompagnata da un tetto minimo salariale: i lavoratori non avrebbero potuto percepire meno di una certa cifra.
Nel documento finale, invece, il tetto minimo non c’è.
Il rischio è che alla fine a pagare siano solo i lavoratori precari e la riforma si traduca in una riduzione del loro salario.
In pratica le aziende per pagare la tassa finirebbero per ridurre i salari caricando sulle spalle dei lavoratori i maggiori costi imposti dalla riforma.
È evidente che senza un tetto minimo per i contratti precari o a tempo determinato, molti imprenditori finirebbero per praticare questa scorciatoia.
Ma è altrettanto vero, fanno notare al ministero, che il tetto da solo non serve a evitare gli abusi.
Si cercherà dunque un sistema per tutelare comunque il salario dei precari.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 30th, 2012 Riccardo Fucile
“I PARTITI DIMOSTRANO SENSO DI RESPONSABILITA, GLI ITALIANI SONO MATURI”
Caro Direttore,vedo solo ora che alcune considerazioni da me fatte in una conferenza tenuta l’altro ieri a Tokyo presso il giornale Nikkei hanno suscitato vive reazioni in Italia.
Ne sono molto rammaricato, tanto più che quelle considerazioni, espresse nel corso di un lungo intervento in inglese, avevano l’obiettivo opposto a quello che, fuori dal contesto, è stato loro attribuito.
Volevano infatti sottolineare che, pur in una fase difficile, le forze politiche italiane si dimostrano vitali e capaci di guardare all’interesse del Paese.
La mia visita in Corea, Giappone e Cina ha lo scopo di spiegare ai governi e agli investitori asiatici ciò che l’Italia sta facendo per diventare più competitiva, anche nell’attrarre investimenti esteri.
Comincia a diffondersi l’apprezzamento per ciò che il nostro Paese ha saputo fare in pochi mesi in termini di riduzione del disavanzo, riforma delle pensioni, liberalizzazioni.
Ma restano una riserva, una percezione errata, un forte dubbio.
La riserva, comprensibile, riguarda il mercato del lavoro.
Con quali tempi il Parlamento approverà la riforma proposta dal governo?
La sua portata riformatrice verrà mantenuta sostanzialmente integra o verrà diluita?
La percezione errata è quella che porta ad attribuire essenzialmente al governo («tecnico») il merito dei rapidi cambiamenti in corso.
Il forte dubbio discende da quella percezione: è il dubbio che il nuovo corso possa essere abbandonato quando, dopo le elezioni parlamentari, torneranno governi «politici».
Finchè la percezione errata e il dubbio non saranno dissipati, la fase attuale verrà considerata come una interessante «parentesi», degna forse di qualche investimento finanziario a breve termine.
Ma le imprese straniere, come del resto quelle italiane, saranno riluttanti a considerare l’Italia un luogo conveniente nel quale investire e creare occupazione.
Non è facile modificare le opinioni su questi due punti.
Ma credo sia dovere del presidente del Consiglio cercare di farlo con ogni interlocutore.
Gli argomenti che ho utilizzato a Tokyo, riportati correttamente dai corrispondenti italiani presenti, ma «letti» in Italia fuori contesto, sono stati i seguenti.
Se da qualche mese l’Italia ha imboccato risolutamente la via delle riforme, lo si deve in parte al governo, ma in larga parte al senso di responsabilità delle forze politiche che, pure caratterizzate da forti divergenze programmatiche, hanno saputo dare priorità , in una fase di emergenza, all’interesse generale del Paese.
E lo si deve anche alla grande maturità degli italiani, che hanno mostrato di comprendere che vale la pena di sopportare sacrifici rilevanti, purchè distribuiti con equità , per evitare il declino dell’Italia o, peggio, una sorte simile a quella della Grecia.
E dopo le elezioni?
Certo, torneranno governi «politici», come è naturale (perfino in Giappone, ho dichiarato che il sottoscritto sparirà e che il «montismo» non esiste!).
Ma ritengo che ciò non debba essere visto come un rischio.
Le forze politiche sono impegnate in una profonda riflessione al loro interno e, in dialogo tra loro, lavorano a importanti riforme per rendere il sistema politico e istituzionale meno pesante e più funzionale.
Ho anche espresso la convinzione che il comportamento delle forze politiche dopo questo periodo, del quale le maggiori di esse sono comunque protagoniste decisive nel sostenere il governo e nell’orientarne le scelte, non sarà quello di prima.
Infatti, stiamo constatando – anche i partiti – che gli italiani sono più consapevoli di quanto si ritenesse, sono pronti a esprimere consenso a chi si sforzi di spiegare la reale situazione del Paese e chieda loro di contribuire a migliorarla.
«La mia fiduciosa speranza – ho detto a Tokyo – è che questo sia un anno di trasformazione per il Paese, non solo sul fronte del consolidamento di bilancio, per la crescita e per l’occupazione, ma anche perchè i partiti politici stanno vedendo che gli italiani sono molto più maturi di quello che pensavamo: la gente sembra apprezzare un modo moderato e non gridato di affrontare i problemi».
A sostegno di questa tesi, fiduciosa nella politica e indispensabile per dare fiducia nell’Italia a chi deve aiutarci con gli investimenti, a offrire lavoro ai nostri giovani, ho ricordato che, per quel che valgono, i sondaggi sembrano finora rivelare un buon consenso al governo, che pure è costretto a scelte finora considerate impopolari.
In questo modo mi sto impegnando per presentare, a una parte sempre più decisiva dell’economia globale, un’Italia che si sta trasformando, grazie all’impegno di politici, «tecnici» e, soprattutto, cittadini.
Trasformazione che proseguirà anche dopo il ritorno a un assetto più normale della vita politica.
Mario Monti
(da “Il Corriere della Sera“)
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