Marzo 20th, 2012 Riccardo Fucile
SI PARLA TANTO DI ALTRI MODELLI DI ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO, VEDIAMO DA VICINO LA NORMATIVA VIGENTE NEGLI ALTRI PAESI EUROPEI
Il nodo al centro della trattativa tra governo e sindacati resta l’articolo 18.
L’esecutivo guarda al modello nord europeo e, in particolare, a quello tedesco.
Ma come si licenzia in Europa?
La formula più accreditata è quella che garantisce più flessibilità , ma anche più tutela ai singoli lavoratori.
GERMANIA
Fra il 2003 e il 2005 è stato profondamente riformato il mercato del lavoro, reso molto più flessibile.
I disoccupati sono molto diminuiti, dai 5 milioni del 2006 ai 2,7 del 2011.
Il sussidio di disoccupazione (67% dell’ultimo stipendio netto) è concesso per un anno dopo la perdita del posto.
Dopo si ricevono altri sussidi: 680 euro per un appartamento (inclusi 374 euro calcolati per vivere) e l’assicurazione sulla salute.
Il licenziamento è più facile per le imprese con meno di 10 dipendenti.
Per le altre va giustificato.
I contratti a tempo determinato possono essere rinnovati fino a due anni e per non più di tre volte.
GRAN BRETAGNA
I contratti di lavoro si dividono in employment (rende il lavoratore un dipendente) e services (regola uno scambio di prestazioni, chi lo firma resta di fatto in proprio).
Non esiste la contrattazione collettiva nel settore privato e sempre meno nel pubblico. Esistono clausole che proteggono dal licenziamento senza giusta causa: il lavoratore può fare ricorso al tribunale e chiedere un indennizzo.
In caso di riduzioni collettive del personale per ragioni economiche, l’azienda deve garantire al lavoratore indennizzi.
FRANCIA
I licenziamenti individuali sono più facili che in Italia.
Il lavoratore cacciato senza giustificato motivo ha diritto solo a un risarcimento (minimo sei mesi di stipendio).
Il licenziamento per motivi economici è possibile solo in caso di chiusura o trasformazione dell’attività , come nel caso di fallimento o di ristrutturazione.
Il datore di lavoro ha però l’obbligo di proporre all’impiegato misure di riconversione e di riqualificazione prima del licenziamento.
Quanto ai sussidi per la disoccupazione, sono finiti i tempi delle vacche grasse.
I beneficiari sono infatti sottoposti a regole molto più stringenti rispetto al passato, con l’obbligo di dimostrare con estrema regolarità che sono alla ricerca di un lavoro.
DANIMARCA
Il modello della flexicurity (fusione dalle parole inglesi flexibility e security) dà alle aziende margini più ampi per licenziare i propri dipendenti rispetto al resto dell’Unione, ma offre ai dipendenti una maggiore tutela.
Il lavoratore licenziato percepisce il 90% dell’ultima retribuzione per il primo anno di disoccupazione, l’80% per il secondo, il 70% per il terzo e il 60% per il quarto.
L’azienda paga il sussidio e aiuta il lavoratore a trovare un nuovo lavoro, con corsi di formazione.
Il modello ha portato la Danimarca ad avere un basso livello di disoccupazione.
SPAGNA
Il dipendente a tempo indeterminato può essere licenziato anche senza giusta causa. L’azienda è tenuta solo a versargli un risarcimento, che la riforma del mercato del lavoro varata dal governo Rajoy in febbraio ha ridotto di molto: 20 giorni invece di 45 per anno di lavoro (per 12 anni al massimo) per le imprese in difficoltà , 33 per le altre (per 24 anni al massimo invece di 42).
(da “Il Corriere della Sera”)
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Marzo 20th, 2012 Riccardo Fucile
IL CASO DI DOMENICO SCOPELLITI:, PRIMARIO DI CHIRURGIA MAXILLO FACCIALE A VILLA BETANIA: “OBBLIGATO A TIMBRARE IL CARTELLINO, MI SENTO UMILIATO”
Otto mesi con lo stipendio da 3.200 euro al mese netti senza lavorare.
Dopo un anno di paziente attesa, Domenico Scopelliti, 50 anni, uno dei più apprezzati esperti di chirurgia maxillo facciale in Italia, è amareggiato: «Basta: non riesco più a sopportare questa umiliazione. Sto pensando di andarmene all’estero: le offerte non mancano».
Il medico ha presentato un ricorso al giudice del lavoro contro la Asl Roma-E e contro la Regione, in attesa che forse la Corte dei conti verifichi se ci siano gli estremi di danno erariale.
Nei prossimi giorni verrà fissata la prima udienza.
La storia inizia quando Renata Polverini, per arginare il deficit della sanità , il 30 settembre 2010 decreta la chiusura, tra gli altri, del reparto di Chirurgia maxillo facciale di Villa Betania, diretto da Scopelliti.
La struttura fa parte della Asl Roma-E.
Il 12 marzo di un anno fa, dopo due proroghe, il reparto termina l’attività .
«Da allora non sono stato più messo in condizioni di lavorare – taglia corto il medico – ma per oltre 8 mesi mi hanno costretto a timbrare il cartellino e rimanere 6 ore e 20 minuti con le braccia conserte. Volevano farmi fare piccoli interventi ambulatoriali, come eseguire una biopsia o togliere un dente del giudizio, ma ho fatto notare questo non ha nulla a che vedere con il mio lavoro: sono interventi che competono a un dentista. Io mi occupo di altro…».
Infatti Scopelliti, che vanta oltre 40 missioni umanitarie nei Paesi in via di sviluppo (come Filippine, Afghanistan, Venezuela, Madagascar, Senegal e Kenya), ha maturato una grande esperienza, oltre che nelle patologie traumatiche e oncologiche sul viso, nelle malformazioni congenite su neonati e bambini, ridando il sorriso a centinaia di ragazzini che, senza il suo aiuto, probabilmente sarebbero rimasti sfigurati per tutta la vita.
Professionalità che gli viene riconosciuta anche a livello internazionale: è l’unico italiano invitato a parlare a maggio nel congresso mondiale di malformazioni cranio facciali.
«Ma a prendere lo stipendio senza lavorare io non ci sto – sottolinea -. Ho chiesto tante volte alla Asl e alla Regione dove mi avrebbero mandato, ma non mi hanno mai saputo rispondere.
Così dal 15 giugno al 31 ottobre 2011 alla Asl ho fatto domanda di “aspettativa per inattività forzata”».
Il 7 luglio 2011, però, arriva alla Asl Roma-E una lettera dalla Regione, firmata dal sub commissario Giuseppe Spata che annuncia il trasferimento di Scopelliti e della sua èquipe nel San Camillo dal 1° settembre.
«Pensavo che tutto si stesse sistemando – aggiunge il primario – ma il 31 agosto dalla Regione hanno mandato un’altra lettera che prevedeva il nuovo reparto nel Santo Spirito». Per aprirlo, però, «servono strumenti, personale e uno spazio adeguato – fa notare Scopelliti -. Così la direzione generale della Asl mi commissiona un piano di riorganizzazione. E mi fanno revocare l’aspettativa».
I primi di ottobre il primario consegna alla Asl e alla Regione il piano.
Dopo un mese la Asl sollecita la Regione ricordando che continua a pagare stipendi a tre dipendenti (Scopelliti e due suoi aiuti) senza farli lavorare.
Fino a dicembre non si muove nulla.
Il primario non si dà pace: «Perchè sono stato privato della possibilità di curare centinaia di malati? Forse perchè non ho una tessera di partito in tasca…».
Comunque dei 350 pazienti in lista d’attesa per un intervento a Villa Betania, la maggior parte giovani (tra 18 e 30 anni), oltre ai 500 già operati e ancora da seguire, Scopelliti ha continuato ad assisterne «senza farmi pagare» una piccola parte nel suo ambulatorio privato: «Attraverso “Operation Smile” e grazie a collaborazione con la clinica Sanatrix che ha messo a disposizione sale operatorie e reparto – rivela – ho potuto operare gratuitamente 21 pazienti, quelli più disagiati. Tutti gli altri malati, purtroppo, sono finiti in altri ospedali a ingrossare le liste d’attesa…».
Francesco Di Frischia
(da “Il Corriere della Sera“)
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Marzo 20th, 2012 Riccardo Fucile
PER DIVERGENZE INTERNE ALLA MAGGIORANZA, CONGELATA LA DECISIONE: TUTTO RINVIATO ALLA NUOVA GIUNTA E AL NUOVO SINDACO… SI RIAPRONO I GIOCHI SULLA SCELTA DELL’AREA
È finita, anzi, non è finita nel peggiore dei modi.
La moschea di Genova si farà , ma dove, quando e come rimane un mistero.
La politica che non decide mai per non scontentare nessuno festeggia la sua affermazione in un tripudio di documenti, delibere, ordini del giorno che dicono tutto e il contrario di tutto.
Ma che ottengono il risultato prefisso: un contentino a te, un contentino a me, perchè ognuno possa cantar vittoria.
E non rimediare una brutta figura dopo aver digrignato i denti.
Le primarie sono alle spalle, ma ora arrivano le elezioni, quelle vere.
Quelle che decidono chi vince, ma anche quale sarà la forza in campo di ogni partito della coalizione.
E allora per qualche voto in più vale tutto.
Ma l’importante è rimandare, procrastinare, allungare un’altra volta i tempi.
E non decidere nulla prima della sfida delle urne.
Il Pd incassa un sì alla nobile affermazione che gli islamici hanno diritto a un luogo di culto. Poi si vedrà .
L’Idv ottiene che i giochi si riaprano sull’area individuata, sull’eventualità di “diverse” proposte e sul “processo partecipativo” del quartiere del Lagaccio.
Il “modello Tav”, che tanti successi ha ottenuto fino a oggi sul campo?
Gli islamici di Genova, di fronte all’ennesima soluzione di mediazione che salva solo gli equilibri e gli interessi piccini di parte, assistono sbigottiti all’ennesimo rinvio.
Sfoderano parole improntate alla diplomazia, ma sotto sotto minacciano di far saltare loro il banco: se entro l’estate le fantasticate “alternative”, magari pure “condivise”, non arriveranno, daranno il via ai lavori nell’immobile di Coronata.
Insomma: nel luogo dal quale era partito tutto e dove si rischia di tornare dopo un interminabile gioco dell’oca.
Di tutte le parti in causa, i musulmani genovesi sono stati fino a oggi gli unici a rispettare i patti.
Bisognava creare una fondazione, per dare a Tursi un interlocutore strutturato e credibile? Fatto.
Bisognava varare uno statuto iper-democratico? Fatto.
Bisognava ottenere le proprietà degli edifici dall’organizzazione che gestisce tutti gli affari degli islamici d’Italia, perchè il Comune avesse ogni garanzia? Fatto.
A quel punto tutto sembrava risolto.
E tra persone serie e leali i patti si rispettano.
Ma l’interlocutore non “strutturato e credibile” è diventato a questo punto Palazzo Tursi. Perchè ormai si era approssimato troppo il tempo delle primarie, perchè i contendenti si acconciavano a sfidarsi e anche chi era rimasto fuori dalla partita delle consultazioni, come l’Idv, studiava il modo di ottenere la massima rendita di posizione.
Risultato?
Chi prometteva che a quel punto sarebbe bastato un semplice passaggio in giunta per chiudere la partita ha dimostrato di dir solo parole al vento.
Tutte le carte dovevano tornare in consiglio: agone dove in questi mesi si sfogano i peggiori istinti pre-elettorali.
L’accordo finale è solo un bla-bla.
A Marta Vincenzi viene concesso l’onore della bandiera.
Chi sostiene che “gli islamici hanno diritto a un luogo dove pregare” ottiene il via libera a un’affermazione di principio più inconsistente di un ectoplasma.
L’Idv gonfia il petto per aver dimostrato ancora una volta la sua capacità d’interdizione. Ognuno porta a casa un pezzettino di successo.
Della figuraccia rimediata non sembra interessare nulla a nessuno.
Marco Menduni
(da “Il Secolo XIX”)
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Marzo 20th, 2012 Riccardo Fucile
CHI E’ L’ASSESSORE REGIONALE INDAGATO PER FINANZIAMENTO ILLECITO AL PDL… SEMPRE UN PASSO INDIETRO A IGNAZIO, SI E’ FERMATO ALLA MATURITA’
Una vita all’ombra del padre e dei fratelli.
«Calimero» di una famiglia vincente: il papà Antonino, senatore e tra i fondatori del Movimento sociale, i fratelli Ignazio, l’ex ministro con gli occhi di ghiaccio, e Vincenzo.
Entrambi avvocati, non come lui, Romano, cucciolo di famiglia, che si ferma alla maturità classica.
Come i più grandi (c’è anche la sorella Emilia) nasce a Paternò, in provincia di Catania. È il 1952. Arriva a Milano nel 1960, le medie e il ginnasio al liceo Carducci, dove iniziano gli anni della militanza, prima con la Giovane Italia, poi con il Fronte della gioventù, i movimenti giovanili del Msi.
Sempre un passo indietro a Ignazio (Vincenzo, democristiano per tutta la vita, viene definito dal padre «il chierichetto di casa»).
Sempre nel suo cono d’ombra. Pronto ad accogliere tutte le sue scelte.
E così da almirantiano diventa finiano e, infine, berlusconiano.
Romano con il gusto della rissa (dalla San Babila degli anni Settanta alle scazzottate con i rautiani); che si prende un ceffone dal padre dopo aver sfasciato il palco in piazza Duomo quando al microfono ci sono i monarchici di Alliata («porta rispetto», gli dice); che nel frattempo gestisce la società «Prealpina» (un capannone a Pero che distribuisce sanitari per la Pozzi-Ginori), e si occupa della famiglia, cinque figli e la moglie, Donatella, l’amore della vita.
Consigliere comunale a Cinisello Balsamo e Sesto San Giovanni, poi il salto in Regione, ed è il ’95. Cresce, Romano.
Parlamentare europeo, nel 2008 diventa assessore regionale all’Industria, quindi, dal 2010, alla Protezione civile: balza alle cronache la sua battaglia bollata come «xenofoba» per rendere socialmente utili i profughi libici (vuole mandarli a spalare la neve).
Con Formigoni il rapporto è ondivago, alti e bassi, «soprattutto quando c’è di mezzo Cl».
Gli amici dicono che il suo maggior pregio è il cuore grande: «Romano aiuta sempre tutti, anche quando cambiano casacca. Un camerata è sempre un camerata».
Il difetto: «Si lascia trascinare dalle situazioni con troppo slancio. E quel genero, Marco Osnato, è un po’ ingombrante».
Impulsivo. «Ma questa storia dei diecimila euro – dice Stefano Di Martino, storico esponente della destra milanese – fa ridere, non ne ha bisogno. Romano è un uomo onesto».
Annachiara Sacchi
(da “Il Corriere della Sera”)
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Marzo 20th, 2012 Riccardo Fucile
LE RIFLESSIONI DI FLAVIA PERINA: DIECI MOTIVI PER ESSERE FELICI
1- Fini ha chiaramente ribadito la volontà di andare oltre gli schemi del partitino e di aprire le porte alle energie e alla voglia di politica degli italiani.
E gli applausi hanno chiaramente dimostrato l’apprezzamento dei quadri e della base per il passaggio topico del suo intervento finale: «Cercate di far rimanere Fli così come è nato. Per favore, non chiamatelo partito: certo, serve l’organizzazione, ma troppe volte i partiti finiscono per essere nomenklatura.
Lo spirito deve essere quello di un grande movimento, che cerchi di essere futurismo dei tempi moderni».
Non quindi una corsa alla percentuali, «chi se ne importa», serve tornare a essere «sale e pepe nella minestra, non contano cinque o sei deputati in più».
2- Il dibattito ha riservato delusioni a molti: la scaletta ha privilegiato i parlamentari, e qualcuno si è preso davvero troppo tempo.
Però, ci sono stati momenti di qualità e suggestioni positive: l’idea lanciata da Lanna di una Costituente repubblicana, ad esempio, in cui portare le migliori energie del Paese per costruire la Terza Repubblica.
3- C’era quindi non solo un Presidente in grande spolvero ma una platea pronta ad accogliere positivamente ogni passo avanti, fuori dai piccoli stagni in cui tante volte sembriamo impantanati.
4- Il teatro di Pietrasanta, alla fine, era la location giusta: popolare e fuori dagli schemi della politica patinata.Se ci fosse stato anche un wireless decente e un po’ più di tecnologia per smistare rapidamente gli interventi in rete sarebbe stato perfetto.
5- Il gruppo romano ha riservato le migliori sorprese. Eravamo i più numerosi, e anche i più attenti. I più organizzati e quelli che sono riusciti a passare una bellissima serata insieme. Proprio grazie a quell’atmosfera speciale alla Bottega dei Piastroni, è nato l’intervento strano mio e di Fabio Granata.
Sentivamo di dover dare qualcosa di più del solito comizio a delle persone così generose, e convinte, e pronte a spendersi per un’idea.
6- La chiara direzione impressa da Fini alla nostra esperienza politica mette all’angolo tutte le polemiche degli ultimi mesi.
Non siamo una fabbrica di deputati o di consiglieri comunali, non siamo il partitino del 4 per cento, ma un cantiere politico dove deve esserci spazio per tutti e che deve coltivare grandi ambizioni. Da oggi si vedrà chi vuole lavorarci e chi no.
7- Ho usato nel titolo l’espressione essere felici non a caso. La politica è anche felicità . E io a Pietrasanta ho visto facce felici. È importante quanto (e più) di un bel discorso.
8- Lo sforzo del gruppo organizzazione è stato premiato. E sono contenta che chi si è speso tanto per sistemare le cose al meglio abbia visto risultati concreti.
9- L’attenzione dei media c’è stata, eccome. A conferma che il nostro problema non è genericamente quello della comunicazione ma quello dei contenuti.
Quando la notizia c’è (e in questo caso era una chiara presa di posizione sulla Rai come servizio pubblico essenziale) i giornali scrivono. Quando ci rifugiamo nel cerchiobottismo neanche un mago riuscirebbe a darci visibilità .
10- Ho tenuto per ultimo la mia personale soddisfazione. Per un intervento che è andato fortissimo (oggi oltre 60mila visualizzazioni per il duetto con Granata: come se avessimo riempito una piazza) ma anche per la sincera commozione di chi porgendomi la mano per salutarmi mi diceva grazie.
Siamo un mondo bellissimo.
La politica è bellissima.
Flavia Perina
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Marzo 20th, 2012 Riccardo Fucile
TEMONO UN COLPO DI MANO DELLE LOBBY FARMACEUTICHE AL SENATO DOVE SI DISCUTONO GLI EMENDAMENTI ALLA LEGGE COMUNITARIA… BISOGNEREBBE VIETARE NON SOLO L’ALLEVAMENTO, MA ANCHE LA COMMERCIALIZZAZIONE DEGLI ANIMALI
«Chiudere Green Hill. Altrimenti ci arrabbiamo».
L’hanno scritto su uno striscione gli attivisti che questa mattina all’alba hanno superato le barriere dell’azienda di Montichiari e si sono incatenati agli uffici dell’allevamento con lucchetti e tubi di ferro.
Il coordinamento Fermare Green Hill vuole riportare l’attenzione sull’azienda che alleva cani beagle destinati alla vivisezione.
Il futuro di questi animali e di tanti altri dipende dal Senato dove si discutono gli emendamenti alla legge comunitaria sulla sperimentazione animale.
Il cosiddetto emendamento Brambilla, se sarà confermato, porterà alla chiusura degli allevamenti di cani, gatti e primati destinati alla vivisezione.
Dopo l’approvazione alla Camera, gli attivisti temono che ci possa essere un colpo di coda delle lobby farmaceutiche in Senato.
Per questo hanno lanciato l’«Operazione altrimenti ci arrabbiamo» invitando tutti a tempestare di e-mail gli indirizzi di posta elettronica di ogni senatore.
«Vista la crescente e ampia sensibilità pubblica sull’argomento — spiegano gli attivisti — crediamo che i legislatori non possa non tenere conto della volontà delle persone, non solo di quella delle aziende chimico-farmaceutiche».
Per mantenere alta l’attenzione, gli attivisti si recheranno a Roma martedì 27 marzo con una protesta davanti al Senato, organizzata in collaborazione con il Comitato Montichiari Contro Green Hill, che presenterà le decine di migliaia di firme raccolte negli ultimi mesi per la chiusura dell’allevamento-lager di Montichiari.
Gli attivisti sanno che anche l’emendamento alla legge comunitaria potrebbe non bastare per la chiusura definitiva di Green Hill.
Nella modifica di legge si vieta l’allevamento, ma non la commercializzazione degli animali destinati ai laboratori di vivisezione.
E in tanti temono che Green Hill possa diventare un centro di smistamento e vendita di cani e gatti, come già succede ad Harlam, l’azienda della Brianza oggetto di forti critiche degli animalisti.
«Quello che vogliamo — ribadiscono gli attivisti — è l’abolizione totale della sperimentazione sugli animali. Chiudere gli allevamenti è un primo passo in questa direzione».
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Marzo 20th, 2012 Riccardo Fucile
LA RAGIONERIA DELLO STATO AVEVA AVANZATO DUBBI SULLA COPERTURA FINANZIARIA DI CINQUE NORME… FINI CRITICA IL GOVERNO CHE NON HA DATO CHIARIMENTI IN AULA, SEDUTA SOSPESA E GIOVEDI IL VOTO
Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Piero Giarda ha chiesto, nell’Aula della Camera, la fiducia sul decreto legge liberalizzazioni che è in seconda lettura a Montecitorio e deve essere convertito in legge entro il 24 marzo, pena la sua decadenza.
Si tratta della dodicesima questione di fiducia che l’Esecutivo Monti pone.
La fiducia è “sul testo delle commissioni identico a quello approvato in Senato”, ha precisato Giarda.
Intanto, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha stigmatizzato in aula “l’insensibilità mostrata dall’esecutivo che non ha ritenuto opportuno fornire all’aula ulteriori chiarimenti” in merito alle richieste fatte dall’opposizione, dopo che la Commissione bilancio ha dato al Dl liberalizzazioni parere favorevole nonostante i dubbi di copertura avanzata dalla Ragioneria dello Stato.
Fini è intervenuto subito dopo che l’aula aveva respinto a maggioranza la richiesta di Idv di rinviare il decreto in commissione dopo che la Ragioneria generale dello Stato aveva rilevato la presenza di cinque norme prive di copertura finanziaria, su cui invece la commissione Bilancio aveva sorvolato.
Prima di dare la parola al ministro Giarda, che doveva porre la fiducia, Fini ha parlato brevemente: “sia consentito alla Presidenza – ha detto Fini – di esprimere rammarico per l’insensibilità mostrata dal Governo nel non fornire all’Assemblea ulteriori elementi di giudizio, anche perchè sono questioni che hanno una loro fondatezza”.
Il presidente della Camera Gianfranco Fini ha sospeso la seduta in Aula e convocato la conferenza dei capigruppo per fissare il calendario dei lavori delle prossime ore alla luce della questione di fiducia posta dal Governo.
La fiducia al governo sul dl liberalizzazioni sarà votata domani a partire dalle 15,45, dopo le dichiarazioni di voto fissate per le 14,15.
Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo della Camera.
Il voto finale sul provvedimento è previsto per le 19,30 di giovedì.
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Marzo 20th, 2012 Riccardo Fucile
I LICENZIAMENTI INDIVIDUALI DIVENTANO PIU’ CONVENIENTI DI QUELLI COLLETTIVI… MOLTE IMPRESE SARANNO TENTATE DALLA POSSIBILITA’ DI MANDARE A CASA FINO A 4 DIPENDENTI OGNI 4 MESI… NEL PIANO FORNERO SCATTA L’INDENNIZZO AL POSTO DEL REINTEGRO IN CASO NON GIUSTIFICATO MOTIVO ECONOMICO
Licenziare un dipendente in caso di crisi – o meglio licenziarne uno alla volta – è più facile, più diretto, più semplice che doverne mandare a casa cinque in un colpo solo.
Nel primo caso basta una lettera che ne dia comunicazione al singolo lavoratore e, in un primo tempo, non è nemmeno necessario che la comunicazione scritta specifichi con chiarezza i motivi di quella scelta (l’informazione va fornita solo su richiesta del lavoratore se ne fa domanda entro 15 giorni).
Se invece il licenziamento è collettivo la procedura si complica: c’è l’obbligo di comunicazione preventiva a sindacati, alle associazioni di categoria e al ministero del Lavoro; e per i lavoratori in esubero è prevista la mobilità .
Tempi, burocrazia, confronti che risultano ridotti, se non aboliti, quando a «saltare» è il posto di un solo dipendente. In quel caso infatti non è necessario nemmeno dichiarare lo stato di crisi aziendale: basta comunicare la fine di una mansione (ma anche il suo affido ad una struttura esterna) o la chiusura di un reparto.
L’unico limite sta nel fatto che non si possono licenziare individualmente più di quattro dipendenti in quattro mesi.
Le differenze fra licenziamenti per motivi economici collettivi (cui possono far riferimento le aziende con più di 15 dipendenti) e licenziamenti per motivi economici individuali (ammessi per tutti) sono notevoli.
Ma se – nel corso della trattativa in corso – passerà la linea proposta dal governo salterà quella più pesante: l’obbligo di far rientrare il dipendente al lavoro in caso di licenziamento illegittimo.
Le due formule fanno capo a due diverse leggi: quella sul licenziamento individuale è la 604/66.
Nei casi di applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (quindi per le aziende over-15) se dichiarato illegittimo dal giudice, anche il licenziamento individuale oggi è sanato con il reintegro obbligatorio sul posto di lavoro (sarà semmai il dipendente a decidere per l’indennizzo).
La proposta Fornero elimina appunto questo passaggio e prevede che – anche in caso di illegittimità – l’azienda sia obbligata al solo indennizzo.
Se passasse questo disegno è chiaro che – soprattutto in caso di aziende non molto grandi – sarebbe più semplice abbandonare la strada del collettivo per seguire quella del licenziamento individuale.
Non solo: come ha denunciato nei giorni scorsi Sergio Cofferati, ex leader Cgil, caduto l’obbligo di reintegro per il licenziamento economico individuale «nessun imprenditore licenzierà per motivi disciplinari, dirà sempre che è un problema di costi o di organizzazione».
La proposta del governo infatti, nel caso di motivi disciplinari affida al giudice il compito di decidere fra reintegro e posto di lavoro.
La possibilità di doversi «riprendere» il lavoratore in quel caso dunque resta: perchè rischiare?
Ora il punto resta uno dei più difficili della trattativa in corso.
E ad oggi la soluzione comune non c’è.
L’obiettivo del governo è chiaro: non facilitare i licenziamenti, ma renderli meno economicamente pesanti per le aziende.
L’obiettivo dei sindacati è altrettanto netto: proteggere l’articolo 18, ma su quali e quanti debbano essere i gradi di protezione la trattativa è aperta.
La Cgil ufficialmente non si muove dalla sua posizione iniziale.
Niente manutenzione sull’articolo 18, solo la disponibilità a ragionare sui tempi della giustizia (anche se pare che alcuni, nel sindacato, possano aprire alla possibilità di far decidere, anche in questo caso, al giudice).
Concentrazione totale sulla difesa dello status quo, dunque, anche perchè – precisa Claudio Treves – «questa storia dell’ossificazione del mercato del lavoro non esiste: lo dimostra il fatto che già oggi i licenziamenti individuali sono molto più numerosi di quelli collettivi».
La Cisl, nei giorni scorsi, aveva proposto una mediazione: «Niente ricorso al giudice, perchè contestare l’esistenza di una crisi è difficile: basta che l’imprenditore dichiari che il magazzino funziona con il carrello magnetico piuttosto che con quello manuale che il posto salta – spiega Giorgio Santini – meglio non esporre il lavoratore alla sconfitta». Semmai la Csil propone l’estensione anche al licenziamento individuale delle norme previste per quello collettivo (legge 223/91).
E in caso di licenziamento illegittimo, rinunciare al reintegro a patto che al lavoratore siano riconosciuti (oltre al normale indennizzo) due anni di mobilità .
Ma il nodo è tutto da sciogliere.
Luisa Grion
(da “La Repubblica“)
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Marzo 20th, 2012 Riccardo Fucile
IL TENTATIVO DI UNA NUOVA LEGGE AD PERSONAM FATTA SU MISURA PER IL PROCESSO RUBY… SE PASSASSE VERREBBE MENO LA FIDUCIA DEGLI ITALIANI IN QUESTO GOVERNO
Il governo Monti ci ha chiesto pesanti sacrifici, resisi necessari dopo trent’anni di dissennata politica clientelare e di corruzione sistematica (la sola prima Tangentopoli ci è costata 630 mila miliardi di lire, un quarto del debito pubblico) e, da ultimo, dalla drammatica inerzia di Silvio Berlusconi che, mentre l’UE chiedeva all’Italia interventi urgenti, si limitava a inviare a Strasburgo una ‘lettera di intenti’.
Come l’Italia non si è liberata da sè dal fascismo, così non si è liberata da sè dal pericoloso pagliaccio.
È dovuta intervenire la Merkel per farci capire che se continuavamo su quella strada facevamo la fine della Grecia.
Berlusconi è stato cacciato, al suo posto è subentrato Monti.
E gli italiani, pur se tartassati da tutte le parti, gli hanno dato fiducia, anche per il rigore morale, distrutto durante il quasi ventennio di berlusconismo.
Ora però Monti, per non perdere l’appoggio del Pdl e del Pd, si appresterebbe a varare una legge che cancella il reato di concussione di cui, assieme a quello di prostituzione minorile, Silvio Berlusconi è imputato davanti al Tribunale di Milano.
Insomma la classica legge ‘ad personam’.
Il Codice penale dà una definizione limpida della concussione all’art. 317: “Il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o delle sue funzioni, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente a lui o a un terzo denaro o altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dodici anni”.
Berlusconi ci è cascato in pieno.
La sola telefonata alla Questura è già , in sè, una indebita induzione, e poco importa che sotto interrogatorio ci fosse la ragazza Ruby, poteva trattarsi di qualsiasi altro.
È proprio per l’evidenza del reato che la Procura di Milano ha potuto chiedere il processo per direttissima nel quale Berlusconi non avrebbe avuto scampo (per la prostituzione minorile la questione è più complessa, ma si tratta di una fattispecie meno grave) nè avrebbe potuto puntare alla prescrizione perchè i fatti sono recentissimi.
La concussione, a differenza, poniamo, del “concorso esterno in associazione mafiosa”, non è un reato di nuovo conio, è un reato-base che esiste da quando esiste lo Stato moderno.
Modificarla sarebbe come voler modificare il furto o l’omicidio.
E invece cosa si appresta a fare il governo Monti?
A scorporare la concussione in due reati: l’estorsione, che esiste già e non riguarda precipuamente il pubblico ufficiale, e la corruzione che pure c’è già e riguarda il corrotto e non il corruttore.
Si ingenera così una gran confusione alle cui larghissime maglie non sarà difficile sfuggire.
L’interesse del Pdl a un pateracchio del genere è evidente.
Massimo Fini blog
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