Marzo 12th, 2012 Riccardo Fucile
VITTORIA A RISCHIO NELLE ROCCAFORTI DEL NORD: “COSI’ VINCE IL CENTROSINISTRA”… E SONO IN MOLTI A DIFENDERE TOSI
Alla fine lui obbedirà , perchè i leghisti son soldati, anche quando fanno i sindaci.
Ma è fortissimo il mal di pancia di Marco Mariani, primo cittadino di Monza, di fronte all`urlo di Bossi, riecheggiato di nuovo ieri a Collegno, nel Torinese: alle amministrative di maggio «meglio soli che male accompagnati», tanti saluti al Pdl e a Berlusconi che regge il moccolo a Monti e «fa un po` pena».
Vallo a spiegare al Mariani, che dal 2007 amministra insieme al Pdl la capitale della Brianza, la terza città della Lombardia (122mila abitanti) dopo Milano e Brescia.
Lui si adeguerà , ma il harakiri proprio non lo capisce, e ha pure cercato di spiegarlo all`Umberto, che il 3 marzo è sceso a Monza per partecipare a una manifestazione della Lega assai poco partecipata: «Guarda che se andiamo da soli finisce come nel 2002, quando ha vinto il centrosinistra».
Il vecchio capo ha risposto così: «Dammi ancora qualche giorno di tempo», e il sindaco adesso prega che la città di Teodolinda possa rientrare in quelle eccezioni alla regola (già fissata dal “federale” del Carroccio) di cui Bossi ha parlato ieri, intestando a sè il potere esclusivo di decidere.
Insomma, si fa presto a dire «soli al voto».
Roba buona per pompare i militanti, ma la speranza di aumentare i voti «perchè siamo l`unica opposizione a Monti-Dracula» non riesce a far velo fino in fondo alla fifa tremenda del harakiri.
Che sembra annunciarsi, per l`ex centrodestra di governo, pure a Como, 85mila abitanti, l`altra città capoluogo della Lombardia che vota.
Qui per la prima volta, il centrosinistra ci crede davvero.
Tutto già deciso, dopo anni diguerriglia nella giunta, divorzio nelle urne.
La Lega candida a sindaco Alberto Mascetti, che se la vedrà con una donna del Pdl scelta con inedite primarie.
E il candidato del Pd Mario Lucini, cattolico ex dc ed ex Margherita, sembra perfetto per incunearsi tra i due litiganti e accaparrarsi una discreta fetta del tradizionale voto moderato dei comaschi.
Per testare in terra lombarda, si va in ordine sparso anche a Sesto San Giovanni, dove però da sempre governa la sinistra: e anche lì il candidato ben- chè ancora ufficioso del Carroccio, Celestino Pedrazzini, è tormentato dai dubbi.
In “Padania” sono in ballo 12 città capoluogo.
Otto hanno giunte uscenti Pdl-Lega (Alessandria, Asti, Como, Monza, Verona, Belluno, Gorizia, Parma), le altre quattro sono di centrosinistra: Genova, La Spezia, Cuneo, Piacenza).
Tra le prime otto non c`è n`è una dove l`alleanza di centrodestra si riproponga.
Il caso più clamoroso è Verona, dove il divorzio dal Pdl il sindaco leghista l`ha annunciato ben prima della delibera del “federale”.
Flavio Tosi gioca una partita doppia: rivincere nella sua città , quasi 270mila abitanti, e imporsi come uomo forte del partito in Veneto, sospinto dalle truppe dei “barbari sognanti” di fede maroniana.
I pronostici sono tutti per lui, ma la partita vera Tosi l`avrà vinta solo se riuscirà a bloccare il veto di Bossi alla sua lista “personale”.
Non a caso a difenderlo dagli attacchi di ieri del Senatùr è un maroniano doc come Matteo Salvini:
«Tosi è un grande sindaco e un grande leghista; se per le liste civiche è solo un problema di cognomi odi aggettivi, aVerona sapranno scegliere per il meglio».
Car- roccio in solitaria anche a Belluno, dove il leghista Antonio Prade sfida l`ex alleato di giunta del Pdl Leonardo Colle.
Dovrebbero essere, quelle di Verona e Belluno, gare tutte interne al centrodestra, che però rischia qualcosa a Gorizia.
Peggio per il Pdl, colpa sua, sembra dire Massimiliano Fedriga, commissario cittadino del Carroccio: «Non abbiamo scelto noi di allearci a Roma con il Pd; se la sinistra vincesse a Gorizia, vincerebbero gli alleati del Pdl».
Passando al Piemonte, potrebbe succedere anche ad Alessandria, ora amministrata da Pdl e Lega, che divorziano dopo aver combinato guai spaventosi con il bilancio. E forse perfino ad Asti.
Discorso rovesciato a Cuneo, dove l`harakiri si annuncia per un centrosinistra che dopo cinque anni di amministrazione si divide imitando il centrodestra.
In Emilia il “liberi tutti” di Bossi è un motivo in più per accendere le speranze di rivincita del centrosinistra a Parma e sembra invece ininfluente a Piacenza.
Proprio come a Genova (candidato leghista il giovane Edoardo Rixi, suo obiettivo dichiarato portare al ballottaggio Marco Doria) e a La Spezia: fila sinistra governa da sempre.
Rodolfo Sala
(da “La Repubblica”)
argomento: Berlusconi, Bossi, elezioni, emergenza, LegaNord | Commenta »
Marzo 12th, 2012 Riccardo Fucile
IL SINDACO RESPINGE L’ULTIMATUM DI BOSSI, SI APRE LA CORSA PER IL CONGRESSO… DOPO IL TERZO POLO ANCHE IL PDL CON CASTELLETTI
Continua il braccio di ferro sulla lista Tosi alle comunali di Verona.
Dopo la fatwa domenicale di Bossi dal palco di Collegno – «Se fa una sua lista, Tosi si mette automaticamente fuori dalla Lega», ieri mattina, ospite della trasmissione tv «La telefonata di Belpietro», è stato lo stesso sindaco a rispondere al capo del suo partito.
«La lista civica con il mio nome non è un’invenzione di adesso: era già presente nel 2007, fu quella che coagulò il consenso di tutta la coalizione e servì per raccogliere i voti di chi non era leghista ma voleva votare Flavio Tosi come sindaco».
Cosa succederà ? Bossi lo caccerà come ha minacciato? Tosi romperà con il Carroccio e correrà da solo, forte del suo consenso personale? Troveranno un accordo?
La prima e la seconda ipotesi, dopo l’annuncio di poche ore fa del Pdl che ha deciso di candidare (con l’appoggio di Udc e Fli) Luigi Castelletti, vicepresidente vicario di Unicredit e già presidente di Veronafiere, appaiono sempre più improbabili.
La via d’uscita meno cruenta sembra quella suggerita da Matteo Salvini: una lista civica pro Tosi, ma senza il suo cognome, accanto a quella del Carroccio.
È dello stesso avviso anche il governatore del Veneto Zaia: «Spero che su Verona si trovi la quadra, come dice Bossi, l’obiettivo comunque è quello di portare a casa il Comune».
Il punto, però, come ormai Tosi confessa pubblicamente senza troppi problemi, non è certo il cognome.
E il suo avversario non è certo il Senatur.
«Bossi non c’entra – ha ribadito Tosi – è qualcuno che al consiglio federale ha posto la questione, non tanto per la coalizione Verona ma per questioni interne alla Lega».
La vera questione, per il sindaco, riguarda «i congressi da celebrare in giugno in Veneto, in Lombardia, e sui congressi regionali è chiaro che un pò di tensione c’è perchè dopo la fuoriuscita dal governo c’è una situazione che sta cambiando in Lega. E quindi c’è qualcuno che sta cercando di mettere in contrapposizione Flavio Tosi con il movimento per metterlo in difficoltà in vista del congresso, perchè la decisione di vietare le liste civiche con il nome del candidato è inaudita, non è mai stata presa ed è stata presa solo questa volta. Il congresso della Lega è il congresso della Lega le elezioni di Verona sono per i veronesi e per la città di Verona. C’è qualcuno che mette assieme le due cose, sbagliando».
Già , il congresso.
È proprio sul via libera ai congressi (durante i quali si stabiliranno i nuovi equilibri interni al partito e dunque i nomi dei prossimi parlamentari) che si basava la pax bossiana siglata sul palco di Milano il 20 gennaio fra i “barbari sognanti” di Bobo Maroni e il Cerchio Magico.
Lo scontro su Verona è lo scontro sul congresso regionale (nazionale, secondo l’ortodossia padana) veneto, il congresso su cui sono puntati tutti i riflettori visto che in Lombardia i “maroniani” avrebbero già in tasca la maggioranza.
Se Tosi e Maroni battessero il segretario uscente del Carroccio Veneto Gian Paolo Gobbo (bossiano di ferro) ribalterebbero il tavolo della partita a poker con il Cerchio Magico.
E’ certamente un caso ma, come ha notato Gianluca Marchi, primo direttore della Padania e buon conoscitore di cose leghiste, la pax bossiana si è rotta proprio ieri, a otto anni di distanza esatti dal giorno in cui Umberto Bossi fu colpito da un ictus.
Francesco Moscatelli
(da “La Stampa”)
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Marzo 12th, 2012 Riccardo Fucile
“BUCHI NELLA RETE ESTERA”, AGENTI IN RETROVIA…LA SCELTA DI MONTI DI NON NOMINARE UN RESPONSABILE PER I SERVIZI SUSCITA PERPLESSITA’…SI APRE LA PARTITA PER IL RINNOVO DEI VERTICI
Lo scontro diplomatico tra Roma e Londra apre la partita sul cambio al vertice dei servizi segreti.
E sul banco degli imputati finisce Adriano Santini, il direttore dell’Aise.
La sua audizione già fissata per domani di fronte al Copasir, il comitato parlamentare di controllo, rischia di trasformarsi nella resa dei conti sull’operatività della struttura di intelligence che ha competenza sull’estero.
Perchè – è questa la contestazione che viene mossa a livello politico – avrebbe dovuto essere in prima linea per riportare a casa Franco Lamolinara, l’ingegnere rapito in Nigeria e rimasto ucciso durante il blitz delle teste di cuoio britanniche.
E invece – almeno secondo quanto è stato accertato sino ad ora – nonostante la presenza di 007 italiani ad Abuja, la guida dell’operazione è sempre stata britannica e anche le informazioni trasmesse al vertice della struttura sono arrivate dai servizi collegati, raramente da fonte diretta.
È stato il presidente del Copasir Massimo D’Alema, neanche un’ora dopo la notizia del raid fallito, a evidenziare la necessità di «chiarire il ruolo dei nostri servizi segreti e valutare le iniziative svolte in questo lungo periodo in relazione alla tragica vicenda».
Lo ha fatto nella consapevolezza che altri italiani sono tuttora nelle mani dei sequestratori, altre vite sono sospese in attesa di una trattativa che non si chiude. Negoziati spesso condotti da altri.
E allora nella partita entra anche la nomina del sottosegretario delegato, autorità politica e figura indispensabile per cercare di ribaltare una situazione che sta esponendo sullo scenario internazionale la debolezza del nostro Paese.
Perchè bisogna riportare a casa i due marò detenuti in India, salvare Rossella Urru, liberare i marinai sequestrati dai pirati somali, conoscere la sorte di Giovanni Lo Porto rapito in Pakistan e di Maria Sandra Mariani sparita mentre era nel Sahara algerino.
I «buchi» nella rete estera
Sono oltre 2.500 gli agenti in servizio all’Aise. Tra loro ci sono almeno 1.500 «operativi». I numeri non possono essere precisi, però sono circa 200 gli 007 dislocati all’estero e distribuiti in una cinquantina di sedi.
Uffici che dovrebbero rivelarsi strategici nel controllo delle aree di crisi o comunque ritenute a rischio.
E invece nell’ultimo periodo si sarebbero aperte alcune «falle» nella linea di intervento, lasciando spesso gli italiani in retrovia anche quando si trattava di gestire casi che coinvolgono i nostri connazionali.
E dunque sarà Santini a dover confermare se la sua linea – già emersa nelle precedenti audizioni di fronte al Copasir – sia rimasta quella di privilegiare l’attività di analisi rispetto a quella operativa.
Un lavoro di approfondimento che mette in primo piano l’acquisizione di informazioni anche con l’utilizzo di una tecnologia sofisticata, ma poi evidenzia carenze gravi quando si tratta di operare sul territorio.
Perchè è vero che rimane forte la presenza in Afghanistan – favorita anche dal fatto che il contingente militare è ancora impiegato – e in altre zone dell’Asia, ma in Africa solo pochissime aree sono «coperte» e questo ci costringe ad appoggiarci ai servizi di intelligence locale oppure a quelli degli Stati alleati.
Il canale con la Difesa
Ed è proprio il fallito blitz ordinato dagli inglesi che si è concluso con la morte degli ostaggi ad aver mostrato queste crepe, evidenziando nello stesso tempo una debolezza di gestione da parte dell’autorità politica.
Perchè è vero che le comunicazioni trasmesse erano prevalentemente di seconda mano, ma a questo punto l’inchiesta condotta dal Copasir dovrà accertare quale uso sia stato fatto delle informazioni acquisite e soprattutto quali fossero le reali intenzioni del governo per concludere la vicenda.
Appare accertato che almeno una settimana prima del blitz, un appunto trasmesso dagli 007 al ministro della Difesa Giampaolo Di Paola confermasse la presenza degli incursori britannici nella zona del sequestro, evidenziando la linea interventista degli inglesi.
Non c’è alcuna dipendenza gerarchica dell’Aise dal dicastero della Difesa.
E dunque il primo interrogativo da chiarire riguarda il canale di comunicazione: è stato diretto oppure l’informazione è passata prima da Palazzo Chigi?
In ogni caso, quando l’autorità politica ha avuto certezza che i militari inglesi erano stati schierati, ci sono stati contatti tra i governi? Oppure il rapporto è rimasto a livello tecnico?
Si tratta di una questione cruciale per stabilire la correttezza dell’operato degli 007, ma anche per comprendere la capacità di intervento di Palazzo Chigi e di pressione nei confronti di Stati con i quali vantiamo ottimi rapporti.
Anche tenendo conto che la Nigeria è uno Stato sovrano e al momento – al di là di una telefonata di cordoglio del presidente Goodluck Jonathan arrivata nella serata di giovedì al presidente del Consiglio Mario Monti, seguita da una lettera che sottolinea «stima e amicizia» – non risulta che abbia consultato le autorità italiane prima di dare il via al blitz condotto con gli inglesi.
Il sottosegretario delegato
Che cosa avrebbe fatto l’Italia se fosse stata preventivamente avvisata?
Nessuno al momento appare in grado di rispondere a questa domanda.
Anche perchè la questione non sembra essere stata neanche affrontata prima che si aprisse lo scontro diplomatico con la Gran Bretagna.
La scelta di Monti di non assegnare la delega ai servizi segreti comincia a suscitare perplessità , tanto che già la prossima settimana i partiti che sostengono il governo potrebbero aprire la discussione su una rosa di nomi.
Il primo nodo da sciogliere riguarda però il metodo da seguire perchè si dovrà decidere se nominare un nuovo componente di governo oppure designare uno dei sottosegretari già in carica.
Sulla necessità di procedere i partiti non sembrano comunque avere ormai più dubbi, anche per non venire meno a una prassi che si era consolidata negli anni scorsi quando il ruolo era ricoperto da Gianni Letta.
Quali siano i motivi di urgenza li spiega bene Emanuele Fiano, responsabile del settore sicurezza del Pd e per molto tempo componente del Copasir, che ha contribuito alla stesura della legge di riforma sui servizi: «Poter contare su un’autorità delegata garantisce una connessione più veloce e più continua tra apparati di intelligence e governo.
Il presidente del Consiglio non può, ovviamente, garantire una conoscenza costante di tutti i dossier aperti e per questo la normativa ha previsto una figura di sua fiducia che a lui risponde, ma che sia in grado di occuparsi costantemente dell’analisi delle vicende e della risposta da fornire sia a livello tecnico, sia a livello politico interno e internazionale».
I vertici in scadenza
Non sono poche le questioni da dover affrontare, tenendo conto che a giugno scade il mandato del direttore del Dis Gianni De Gennaro e di quello dell’Aisi, il servizio segreto interno, Giorgio Piccirillo.
Il dibattito politico non si è ancora ufficialmente aperto, ma già da settimane si accreditava la possibilità che entrambi fossero prorogati per non mettere il governo tecnico nelle condizioni di dover compiere scelte politiche e dunque dover trattare un tema tanto delicato con tutte le forze che lo sostengono, ma anche con l’opposizione, come sempre avviene quando si tratta di rinnovare i responsabili degli apparati di sicurezza.
L’esito della partita adesso non appare più così scontato, anche tenendo conto che – al di là dei pubblici attestati di stima – sembra affievolita la fiducia proprio nei confronti di Adriano Santini, l’unico che invece potrebbe rimanere al proprio posto senza che debba essere firmato alcun provvedimento.
In realtà il suo nome era già finito al centro di polemiche la scorsa estate, quando si era scoperto che si era fatto sponsorizzare dal faccendiere Luigi Bisignani proprio per arrivare al vertice dell’Aise.
Il governo guidato da Silvio Berlusconi non diede seguito agli attacchi, ma ora la sua posizione appare nuovamente indebolita.
E i motivi riguardano non i suoi sponsor, ma la gestione delle vicende che all’estero convolgono i nostri connazionali.
Da Rossella ai marò
Nei giorni scorsi l’Aise si era rivolto proprio ai colleghi dell’intelligence inglese, con i quali c’è una collaborazione costante e consolidata, per trovare un canale di trattativa con gli indiani che si mostri più efficace di quelli utilizzati sinora dalla diplomazia per ottenere la scarcerazione dei due marò.
Se in questo caso ad apparire debole è stata soprattutto la Farnesina, tutt’altra valutazione viene fatta per quanto riguarda il sequestro di Rossella Urru.
La liberazione della cooperante sarda portata via da un campo profughi in Algeria la notte tra il 22 e 23 ottobre scorso era stata annunciata una settimana fa dalla televisione araba Al Jazeera e aveva sorpreso tutti, tanto che per ore il ministero degli Esteri non era stato in grado di smentire o confermare la notizia.
Anche in quel caso si è avuta la sensazione che l’Italia non fosse in prima linea nella trattativa per ottenere il rilascio della donna e che ci fosse una evidente difficoltà nella gestione di una informazione falsa che probabilmente serviva soltanto a far alzare il prezzo del riscatto.
Fiorenza Sarzanini
(da “Il Corriere della Sera“)
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Marzo 12th, 2012 Riccardo Fucile
SARA’ L’ULTIMA REGIONE A VARARE IL PROPRIO BILANCIO… SPARISCONO ANCHE I FONDI ALLA SICUREZZA CARI ALLA LEGA
Il calcolo è tecnico, ma la somma algebrica di tante crepe fa gridare al rischio default per il Veneto. “La Regione Veneto è in uno stato di completa paralisi” affonda il consigliere regionale del Pd e vicepresidente della commissione Bilancio Piero Ruzzante.
Tutto questo mentre il bilancio sta finalmente facendo il suo iter in aula (“è l’ultimo ad essere approvato tra tutte le regioni d’Italia” commenta l’opposizione) e mentre si sentono scricchiolii sinistri in casa Lega-Pdl, la maggioranza che ancora resiste tra battibecchi e liti sulle rive del Canal Grande.
“È proprio per accontentare le opposizioni che il Consiglio sta affrontando con calma il bilancio — replica il governatore Zaia — per non ritoccarlo più”.
Esercizio provvisorio.
Per la prima volta dopo 30 anni, dicono all’opposizione, dobbiamo sopportare l’onta dell’esercizio provvisorio perchè il bilancio definitivo non è ancora concluso.
Inoltre dai banchi del Pd si scopre che la Regione Veneto ha esaurito la propria capacità di indebitamento, che consisteva in 4,5 miliardi.
Significa che non potrà più fare investimenti nei prossimi anni, “è imballata, unica situazione del genere in Italia” commenta Ruzzante.
I conti
Se a questo si aggiunge la scelta della giunta Galan di cancellare l’addizionale Irpef, facendo mancare alle casse venete 150 milioni l’anno (“il che consentiva una capacità di indebitamento di 600 milioni in più”) e si somma il buco di 1 miliardo e 300 milioni che appesantisce il settore sanità e impone conteggi pesanti (“per 25 anni la Regione dovrà pagare un rientro di 40 milioni l’anno”) si capisce che la situazione non è rosea.
“Siamo l’unica Regione dove non si paga l’Irpef — replica Zaia — i tuoi colleghi giornalisti nelle altre regioni la pagano, dovreste essere contenti”.
“Per non parlare dei buchi nelle controllate regionali” conteggiano di rimando dai banchi dell’opposizione: solo per dire i più noti, 30 milioni di profondo rosso per l’Arpav, l’agenzia per il controllo ambientale, ripianati in parte da risorse pubbliche nel bilancio 2011, il passivo di Veneto strade (società che ha un’esposizione bancaria di 80 milioni di euro) e quello di Veneto agricoltura, che ha speso quasi 200 milioni per un giornalino para-pubblicitario encomiastico e di Avepa, la società per i pagamenti in agricoltura considerata da un consigliere regionale del Pdl “un postificio”.
L’eredit�
Bisogna dire che Zaia, che governa da meno di due anni, si è ritrovato questa situazione — aveva ragione Frigo consigliere del Pd che disse: “Dopo Galan, Zaia troverà solo i muri da imbiancare” — e che a onor del vero sta cercando di trovare dei rimedi. Come quello di vendere o dare in uso a privati alcuni beni demaniali, terreni, ville e proprietà , compreso un intero complesso termale. Si chiama “Programma di dismissioni e valorizzazioni” ed è un pacchetto che sulla carta vale 90 milioni.
Per ora la bilancia dei conti in Regione pende verso il rosso, “anche per l’effetto delle manovre Bossi-Berlusconi che hanno tagliato 450 milioni di risorse che venivano trasferite dallo Stato” incalzano dall’opposizione.
Il nodo del bilancio.
“Siamo la prima regione italiana per afflussi turistici e nel bilancio in approvazione il settore subisce un taglio del 60% rispetto al 2011, 30 milioni in meno”.
Non va meglio per l’altro settore caro ai leghisti al governo in Regione, la sicurezza, che dopo i fasti del passato (22 milioni nel 2008) si ritrova il piatto vuoto: zero euro nel bilancio in approvazione, fondi azzerati.
Le spese legali.
Uno scenario a tinte fosche per Palazzo Balbi, al quale si aggiunge un mistero: le spese legali a bilancio subiscono un incremento del 361% rispetto all’anno scorso. Nell’assestamento di bilancio 2011 erano 4,7 milioni, ora ammontano a 21,7 milioni. Sono 17 milioni in più di cause perse. I contenziosi riguardano il sistema metropolitano ferroviario regionale, annoso progetto per collegare su metro le città venete, e coinvolgono la società Net Engineering e Astaldi.
“Sono risorse di vecchi lodi che io ho ereditato e ora bisogna pagare, roba vecchissima” dice Zaia.
I derivati
Ultimo capitolo delle doleance regionali: una parte dei mutui a tasso variabile di Palazzo Balbi sono impiegati (dalla precedente giunta Galan) in derivati Collar, strumento che serve a limitare il costo del denaro verso l’alto e verso il basso.
Come dire che il detentore rinuncia a una parte delle opportunità di guadagno in cambio di una riduzione del costo del premio. “In sostanza dal 2009 a oggi la Regione ha perso 28 milioni di euro” chiosa Ruzzante: “Certo, Zaia se li è ritrovati sul tavolo già fatti, ma tante altre Regioni quando si sono accorte che non funzionavano hanno rotto i contratti o sono ricorsi al Tar”.
Anche su questo il governatore veneto ha qualcosa da dire: “La comunicazione sui giornali ora l’hanno fatta attraverso Il Fatto quotidiano, ma se vengono in aula con le cifre ne parliamo serenamente, se ci saranno provvedimenti da prendere li prenderemo”.
Sarà , per intanto nel bilancio c’è un taglio di 56 milioni delle spese per il sociale. “Pagheranno più di tutti i cittadini che hanno più bisogno di essere aiutati” chiosa l’opposizione.
Erminia della Frattina
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 12th, 2012 Riccardo Fucile
L’EX PRESIDENTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE INTERVIENE SUL CASO DI ANDREA E SENAD, I DUE RAGAZZI DI ORIGINE BOSNIACA NATI E CRESCIUTI IN ITALIA, RINCHIUSI DA UN MESE NEL CIE DI MODENA: “GIUSTO ESTENDERE LO IUS SOLI”
“Trattenerli al Cie non ha senso. Non potranno neppure essere espulsi”.
A parlare del caso di Andrea e Senad, i due ragazzi di origine bosniaca nati e cresciuti in Italia rinchiusi da un mese nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Modena, è Valerio Onida.
L’ex presidente della Corte costituzionale parla Costituzione alla mano e segnala una contraddizione nell’ordinamento italiano. “Avere la cittadinanza è un diritto universale. Bisognerebbe cambiare la legge italiana, in modo che chi non ha attualmente una, perchè come nel caso dei due ragazzi l’ha persa, abbia diritto a ottenere quella italiana”.
I due ragazzi sono nati e cresciuti in provincia di Modena.
Hanno studiato in una scuola di Sassuolo e tifano la squadra cittadina.
La vita dei due giovani di 23 e 24 anni, figli di immigrati bosniaci fino a qualche tempo fa regolarmente residenti in Italia, è cambiata da quando i genitori, venditori ambulanti, hanno perso il lavoro e insieme il permesso di soggiorno, nel 2007.
In quel momento per il nostro ordinamento i due ragazzi sono diventati meno che apolidi, non avendo un chiaro status giuridico.
Per questo il 10 febbraio scorso, dopo un controllo, sono stati portati nel Cie in attesa d’identificazione ed espulsione, dove vivono tuttora.
Il problema è che non hanno nè un passaporto, nè una patria a cui fare ritorno.
Allo stesso modo, se le autorità italiane volessero espellerli, non ci sarebbe alcun paese estero a cui consegnarli.
Questo perchè i genitori non li hanno mai registrati all’ambasciata bosniaca (si dovrebbe fare entro i 18 anni), e loro non sono mai usciti dall’Italia. Non solo.
I ragazzi sono nati ai tempi della Jugoslavia.
Uno stato che ora si è disintegrato.
Per Onida, se la vicenda venisse portata davanti a un giudice, potrebbe fare saltare alcuni passaggi della legge italiana del 1992.
“Quella norma prevede che può avere la cittadinanza italiana chi nasce da genitori che non possono trasmettere la propria ai figli. Questo perchè magari il paese d’origine della famiglia dà il proprio passaporto solo a chi nasce in patria e non chi nasce all’estero, per esempio in Italia. In quel caso la nostra legge ti dà la cittadinanza.
“Però — prosegue il ragionamento l’ex presidente della Consulta — quando i due ragazzi sono nati probabilmente avevano una cittadinanza jugoslava. Ora, con la disgregazione di quello Stato, l’hanno persa, e allo stesso tempo non hanno neppure quella italiana. Si potrebbe tentare anche attraverso una azione giudiziaria, magari facendo notare la contraddizione tra una legge che dà la cittadinanza a chi non ce l’ha alla nascita, ma non la prevede per chi, per altri motivi, la perde. In questi casi la legge italiana sull’acquisto della cittadinanza potrebbe dirsi incostituzionale”.
Onida allarga il suo discorso anche alla questione dello ius soli, cioè il sistema giuridico secondo cui chi nasce nel territorio di un Paese — succede per esempio negli Stati Uniti — acquista automaticamente la cittadinanza di quello Stato.
Nei mesi scorsi anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, aveva sollecitato i partiti affinchè ponessero un rimedio al fatto che chi nasceva e cresceva in Italia da genitori stranieri non fosse un cittadino italiano.
Inoltre, se il sistema vigesse in Italia, i due ragazzi di Sassuolo non si troverebbero dove sono. Il costituzionalista è d’accordo con l’idea, ma ci va cauto e sembra essere più propenso a una via di mezzo.
“La questione dell’estensione dello ius soli è una questione politica. Sarebbe giusto che, per esempio, per chi nasce da genitori marocchini la legge italiana rendesse più semplice l’acquisto della cittadinanza, magari dopo aver frequentato la scuola. Perchè no?”
Del resto, assicura colui che per un anno ha guidato la Corte costituzionale, “l’acquisto della cittadinanza e l’eventuale introduzione dello ius soli non sono affatto materia costituzionale”. Insomma, non ci sarebbero da fare referendum o non ci sarebbe bisogno di maggioranze più larghe in Parlamento. Ma sulla questione dei due ragazzi di Sassuolo Onida ribadisce: “C’è un caso più grave, una situazione particolare con due persone che non hanno una cittadinanza. E questo sì, cozza con la Costituzione e con la stessa Dichiarazione dei diritti dell’Uomo.
Valerio Onida parla anche dei Cie. “Si ritiene possibile che quando uno deve essere trattenuto per l’espulsione ci possa essere una limitazione della libertà con tutte le garanzie costituzionali. Ma una detenzione molto breve sarebbe legittima — spiega Onida — nella misura in cui serve ad assicurare l’espulsione, se no non ha senso”.
Intanto domattina a Modena ci sarà la prima udienza davanti al Giudice di pace, dove i ragazzi saranno seguiti dall’avvocato Luca Lugari. Fuori, associazioni e partiti manifesteranno perchè i due ragazzi siano rilasciati.
“Siamo nati e vissuti sempre in Italia — hanno detto da dietro le sbarre Andrea e Senad —. Sebbene i nostri genitori non abbiano ottenuto il rinnovo del permesso di soggiorno perchè attualmente disoccupati, ci sentiamo profondamente italiani: abbiamo frequentato le scuole dell’obbligo in Italia, conosciamo usi e costumi italiani. In questa specie di carcere ci chiamano ‘ospiti’, ma noi non siamo nè ospiti, nè intrusi. Siamo bloccati al Cie, a spese dei contribuenti, in attesa di un provvedimento che non potrà mai essere eseguito”.
L’avvocato Lugari ribatte anche alle parole del senatore modenese Carlo Giovanardi, che nei giorni aveva sostenuto che “i due fratelli non sono nati in Italia, la madre non ha mai richiesto la cittadinanza italiana e ambedue sono pluri-pregiudicati per aver commesso gravi reati”.
I due ragazzi, in realtà , quando erano minorenni, avrebbero commesso 3-4 furti per cui già hanno scontato le loro pene, come conferma lo stesso legale.
Anche la deputata del Partito democratico Sandra Zampa lancia “un appello al ministro degli Interni, Anna Maria Cancellieri, affinchè i due ragazzi siano liberati. È una detenzione senza senso. Se avessero commesso di reati ci sarebbero altre pene, non il Cie, che oltretutto costa decine e decine di euro al giorno ai contribuenti“.
Ora tuttavia, la paura per Andrea e Senad, è che usciti dal Cie, tornino a essere cittadini senza patria. Fantasmi.
David Marceddu
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 12th, 2012 Riccardo Fucile
TRA ARRESTI E CONDANNE E’ FINITO IL MITO DEL PARTITO DIVERSO…NUMEROSI I CASI DI AMMINISTRATORI LOCALI FINITI NEI GUAI…MAZZETTE, EVASIONE FISCALE, BANCAROTTA E CONTATTI CON LA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA
Dalle tangenti per gli appalti alle bustarelle per i favori fino ai rapporti con la ‘ndrangheta.
La Lega Nord per l’indipendenza della Tanzania rischia di affogare in un mare di ridicolo per i problemi giudiziari dei suoi esponenti, soprattutto da quando i magistrati hanno deciso di fare pulizia e indagare davvero sui legami tra politica e appalti.
E da quando gli uomini del Carroccio sono saliti sui posti di comando, si sono anche accomodati troppo. P
aolo Berizzi su Repubblica fa una rassegna degli ultimi problemucci giudiziari del Carroccio:
Quel giorno, il 20 aprile 2011, erano finiti in manette in due, assessori appunto, Mauro Galeazzi e Mario Rigosa, bresciani.
In quel di Castel Mella si erano fatti dare 22 mila euro per spianare la strada a un costruttore. La Lega li sospese.
Ma siccome la vita, soprattutto in politica, è un frullatore, nè deve far sorridere la chiaroveggenza di Boni, nè quei due arresti furono un’eccezione.
Il caso più recente, venti giorni fa, ha per protagonista il deputato «maroniano» Gianluca Pini. Indagato per millantato credito dalla procura di Forlì, secondo i pm avrebbe ricevuto 15 mila euro da un avvocato che voleva essere aiutato a superare il concorso da notaio.
Ma sì, in fondo che sarà mai per un partito che, quando si parla di mazzette, continua a definirsi «diverso dagli altri».
Un tempo giustizialisti e forcaioli – all’occorrenza ancora oggi – sono molti gli amministratori padani rimasti impigliati nella melassa del potere:
David Codognotto, 31 anni, era assessore a San Michele al Tagliamento (Venezia).
Nel 2010 l’hanno preso col sorcio in bocca: la mazzetta per la sponsorizzazione del Portogruaro calcio, 15 mila euro, se l’è fatta recapitare in macchina e, a lavoro concluso, ha chiuso la portiera col telecomando dalla finestra dell’ufficio. Che i veneti lavorino e producano e vogliano godersi i loro «schèi» «lontani da Roma» lo ha detto pochi giorni fa il governatore Luca Zaia.
Qualcuno, però, si è fatto prendere un po’ la mano.
Per esempio il senatore vicentino Alberto Filippi.
Un faccendiere lo ha accusato di essere implicato nella maxi evasione fiscale da 200 milioni di euro scoperta dai finanzieri nel distretto delle concerie e di avere alimentato un giro di tangenti.
Per la stessa vicenda un anno fa si è dimesso Massimo Signorin, vicesindaco di Arzignano e titolare di una conceria: era indagato per evasione fiscale totale e distruzione di documenti contabili.
L’architetto Enrico Cavaliere, lighista della prima ora, ex presidente del consiglio regionale veneto, per il crac di un villaggio vacanze in Croazia si è beccato una condanna a due anni e tre mesi per bancarotta fraudolenta. Lega ladrona o solo «pirlate», come Bossi definì acrobaticamente la mazzetta Enimont da 200 milioni di lire intascata nel ’93 dal tesoriere Alessandro Patelli?
Chissà cosa ne pensa Tiberio Businaro, sindaco di Carceri, Padova:
Già finire sotto inchiesta per bancarotta e falso ideologico non è un bel biglietto da visita.
Se poi il problema sono gli stretti rapporti con una holding napoletana che acquista aziende nel Nord-Est per farle fallire, il tutto è anche molto poco padano.
Altri compensi (a ore) venivano pagati nei tre appartamenti che l’ex sindaco di Silea (Treviso), Cesare Biasin, affittava a prostitute e trans.
Accusato di sfruttamento della prostituzione, Biasin ha chiesto di patteggiare una pena di 18 mesi.
Gli fa compagnia un collega di partito, l’assessore alla sicurezza di Barabarano vicentino, Alessandro Costa: lui i soldi, secondo gli inquirenti che lo hanno arrestato, li faceva coi siti a luci rosse.
Sempre Veneto: Camillo Gambin, esponente di punta della Liga veneta a Albaredo Adige (Verona), è finito agli arresti domiciliari: per la serie «il Veneto ai veneti», vendeva permessi di soggiorno agli immigrati.
Un altro capitolo della nemesi padana sono le spese disinvolte, vizio un tempo ascritto a Roma magnona:
Anche qui i campioni leghisti non si contano.
Edouard Ballaman: l’ex presidente del consiglio regionale friulano ha lasciato l’incarico dopo che la Corte dei conti gli ha contestato una settantina di viaggi di piacere con l’auto blu.
E che dire di Angelo Lusetti, il vicesindaco di Guastalla espulso dal partito per «indegnità morale»? Colpa dei cani.
Commissario ad acta dell’Ente nazionale per la cinofilia, gli hanno chiesto lumi su bonifici che ha disposto per se stesso per 187mila euro, oltre a consulenze a amici per 1 milione e 700mila.
Dalle quattro zampe all’autorizzazione per gli impianti fotovoltaici: per l’ex assessore provinciale all’ambiente di Piacenza, Davide Allegri, il pm ha appena chiesto l’arresto (concussione e abuso di ufficio).
Una specie di maledizione quella degli (ex) assessori provinciali. Il caso che «grida» è quello del lombardo Angelo Ciocca, finito nella maxi inchiesta sulla ‘ndrangheta al nord.
Alcune foto lo ritraggono con il boss Pino Neri.
Con un avvocato pavese, Ciocca avrebbe poi stretto un accordo: uno sconto sull’acquisto di una casa in cambio dell’elezione di un consigliere comunale. Piccolo dettaglio: l’avvocato è stato arrestato per concorso in associazione mafiosa.
Paolo Berizzi
(da “La Repubblica”)
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Marzo 12th, 2012 Riccardo Fucile
LO STATO NON RISPETTA LE SCADENZE, MA NEPPURE I PRIVATI: SONO 124 I GIORNI IN MEDIA DI RITARDO E LE AZIENDE FALLISCONO
Se l’Italia fosse la Spagna, le strade delle nostre città sarebbero invase dai cobrador del frac, i riscossori in frac, inviati dall’omonima agenzia privata specializzata in crediti difficili che ha inventato un originale sistema di riscossione che nella crisi è diventato un business di tutto rispetto con più di 1.200.000 pratiche chiuse.
La ricetta è semplice e si basa sul forte senso dell’onore spagnolo: il riscossore, in frac o, nelle sue evoluzioni, travestito da Zorro, da pantera rosa, da monaco o da scozzese avvicina il debitore in un luogo pubblico e gli chiede a gran voce il motivo del mancato pagamento inseguendolo anche per 24 ore di fila.
In casi estremi si arriva alla pubblicazione della morosità sui giornali o alla comunicazione della vergogna ad amici e parenti.
Il successo è garantito e il cobrador incassa la metà della riscossione.
Ma l’Italia non è la Spagna.
Primo perchè i profili legali di una strategia simile nel nostro Paese sono discutibili, secondo perchè una delle categorie più colpite dai ritardi nei pagamenti, quella dei liberi professionisti che a livello comunitario nel 2011 ha sofferto della più alta percentuale di perdita su crediti (4,5 per cento rispetto ad una media del 2,7 per cento e in in forte peggioramento sul 2010), è molto restia a qualsiasi forma di riscossione dei crediti.
“Il tema è molto delicato — spiega al Fatto Quotidiano un consulente che preferisce restare anonimo — perchè si tratta di scegliere tra l’incasso comunque incerto e il rischio di perdere un cliente magari prestigioso e, proprio per questo, fonte di altri contratti.
Ora se mi pagano a 180 giorni festeggio e l’unica forma di tutela è la clausola sugli interessi legali legati ai ritardi, che dalle prime avvisaglie della crisi, nel 2008, viene esplicitata in tutti i contratti”. Il riferimento è al decreto legislativo del 2002 che recependo una direttiva comunitaria impone il pagamento degli interessi ai creditori nella misura del tasso Bce aumentato di sette punti percentuali, per un totale che attualmente è pari all’8 per cento.
Il punto però è che spesso è lo stesso creditore-consulente a non avvalersi dei suoi diritti e, anzi, ad accontentarsi di una parte del credito sotto la minaccia del rischio fallimento del cliente, che renderebbe ancora più difficile se non impossibile, ma sicuramente onerosa, la riscossione.
E, numeri alla mano, il rischio non è così peregrino se si pensa che soltanto a Milano il Tribunale fallimentare nel 2012 si è già pronunciato su oltre 200 procedure concorsuali, decretando il fallimento dell’impresa in 195 casi, 21 dei quali nella prima settimana di marzo.
Molto probabile che tra queste si annidino fornitori che sono rimasti strozzati tra le difficoltà di accesso ai finanziamenti bancari e la mancata riscossione dei crediti.
Gli ultimi dati della multinazionale del recupero crediti Intrum Justitia evidenziano per tutta l’Europa un ammontare delle perdite sui crediti di 312 miliardi di euro (+2,7 per cento sul 2010), con l’Italia che si è posizionata tra i Paesi ad alto rischio dietro a Spagna e Ungheria a loro volta superate dai rischiosissimi Grecia, Portogallo, Cipro e Repubblica Ceca.
L’Italia è in testa alla classifica dei ritardi con ben 124 giorni medi contro i 23 della virtuosa Finlandia e i 52 della media europea.
Dato che nel caso dei rapporti tra imprese, cioè le forniture, si attesta intorno ai 103 giorni, solo 7 in meno della Grecia, mentre la perdita media sui crediti nel nostro Paese l’anno scorso si è aggirata intorno al 2,6 per cento del fatturato per un controvalore di 40,88 miliardi.
La situazione, poi, non va migliorando, se il 53 per cento delle aziende prevede un aumento del rischio.
Del resto la strategia dilatoria del gruppo Marcegaglia non è un unicum nazionale tanto da avvicinare almeno su un fronte il presidente di Confindustria e l’ad della Fiat Sergio Marchionne i cui fornitori italiani giustificano alcune scelte sindacalmente discutibili riferendo di attese sui pagamenti dal Lingotto vicine ai 200 giorni, come riferiscono dalla Fiom, mentre il bilancio 2011 di Fiat spa indica in 16,4 miliardi i debiti commerciali globali del gruppo.
Tutto lavoro, quindi, per i riscossori del credito, che in Italia sono oltre 1250, e che già nel momento clou della prima fase della crisi, tra il 2008 e il 2009, avevano registrato una crescita dei ricavi del 19 per cento avvicinandosi a 500 milioni.
Quanto ai loro clienti, secondo i dati dell’associazione di categoria, l’Unirec, a inizio 2011 il 51,6 per cento delle pratiche proveniva da utilities e società di telecomunicazioni che sono sempre più in difficoltà per le bollette non pagate.
Giovanna Lantini
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 12th, 2012 Riccardo Fucile
ACCORDO VICINO SU CASSA INTEGRAZIONE, SUSSIDI E APPRENDISTATO… RIMANE IL NODO DELL’ART. 18: IL GOVERNO PENSA DI ELIMINARE IL REINTEGRO OBBLIGATORIO IN CASO DI LICENZIAMENTI PER MOTIVI ECONOMICI
Riforma del lavoro: si riparte. Oggi, il vertice fra governo e parti sociali potrebbe portare ai primi risultati, anche perchè il tempo stringe (Monti ha confermato l’intenzione di chiudere la partita entro il 25 marzo) e alcuni nodi si vanno sciogliendo.
Quello delle risorse innanzi tutto.
Per garantire il nuovo meccanismo di ammortizzatori sociali che entrerà in vigore dal 2017 servono coperture.
Il governo le avrebbe trovate (due miliardi circa) attingendo ai risparmi che si otterranno dalla riforma delle pensioni.
Il Tesoro, che voleva destinarli solo al risanamento, si sarebbe ora convinto a metterli sul tavolo: “Me li hanno promessi”, ha detto il ministro del Lavoro Elsa Fornero.
Il piano dunque si delinea: oltre alla cassa integrazione ordinaria (prevista per difficoltà temporanee) resterà in vigore anche quella straordinaria, ma sarà concessa solo in caso di ristrutturazioni, non più in caso di cessazione aziendale come finora previsto.
Dal 2017 scomparirà la mobilità , ma continuerà ad essere versato l’assegno di disoccupazione.
Ma se sul piano degli ammortizzatori la trattativa procede e su quella dei contratti e dell’apprendistato sembra arrivata a buon punto (il governo sarebbe intenzionato a “stringere” oggi stesso), resta da risolvere il nodo dell’articolo 18 e della flessibilità in uscita.
Il tema non sarà affrontato nel vertice di questo pomeriggio, ma nei prossimi giorni il ministro Fornero dovrebbe procedere con incontri bilaterali.
L’idea sulla quale il governo sta lavorando è quella di estendere l’indennizzo (senza l’obbligo di reintegro sul posto di lavoro) anche ai casi di licenziamento economico (legato a crisi in atto). Una versione più rigida potrebbe prevedere il solo indennizzo, e non la riassunzione, anche in caso di licenziamento per motivi disciplinari (per esempio assentesimo).
Già si sa che se Cisl e Uil sono disposte ad aperture, la Cgil non accetterà mai modifiche di questa portata. I possibili scenari, a quel punto, sarebbero due: la Camusso non firma la parte riguardante l’articolo 18 (ma Cisl e Uil non saranno favorevoli ad assumersi da soli il peso delle nuove regole).
Oppure le parti sociali non saranno chiamate a firmare il punto, ma esprimeranno solo il loro parere.
D’altra parte il governo ha sempre precisato che, con o senza sindacati, la riforma si farà .
Apprendistato
Via alla certificazione per evitare gli abusi
E’ il capitolo sul quale sarà più facile trovare l’intesa, visto che sia le imprese che i sindacati già concordano sul fatto che il contratto d’apprendistato debba diventare – per i giovani – la forma d’ingresso prevalente nel mondo del lavoro.
Questo pomeriggio il tema sarà all’ordine del giorno del vertice convocato al Ministero del Lavoro con le parti sociali. Il governo è intenzionato a potenziare questa forma di contratto, purchè al lavoratore sia effettivamente data una formazione che gli consenta di maturare professionalmente.
Per evitare che l’azienda utilizzi questa formula solo per risparmiare potrebbe essere quindi inserito l’obbligo di certificazione della formazione fornita.
Il ministro Fornero ha più volte parlato di “tolleranza zero” verso l’uso improprio dell’apprendistato.
Di fatto l’azienda che assume un apprendista ottiene benefici contributivi e ha la possibilità di inquadrare il dipendente due livelli sotto il grado effettivamente spettante.
Se poi l’impresa, alla fine del periodo di apprendistato, assumerà definitivamente il lavoratore potrà godere di ulteriori “sconti”.
Secondo i dati di Confartigianato oggi gli apprendisti sono oltre 530 mila, nel lavoro dipendente il 19,5 per cento dei giovani già entra in azienda grazie a questo contratto.
Ammortizzatori
Sì alla Cig straordinaria per le ristrutturazioni
È uno dei capitoli centrali del piano e i punti fermi sono due: la riforma degli ammortizzatori sociali entrerà in vigore solo nel 2017 e per vararla necessita di coperture economiche.
La convocazione di oggi nasce proprio dal fatto che il governo avrebbe trovato i fondi: il Tesoro sarebbe disposto a mettere sul tavolo circa di 2 miliardi, finanziati attraverso la riforma delle pensioni.
I risparmi ottenuti grazie alla nuova previdenza sono infatti notevoli: 6 miliardi saranno già disponibili dal 2013, circa 23 entro il 2017.
Il governo – su richiesta del ministro Fornero – di sarebbe convinto di stornarne una quota vantaggio degli ammortizzatori.
Le aziende e i lavoratori continueranno a versare la loro parte di contributi: per le medie-grandi imprese poco cambierà (anche perchè dal 2017 non pagheranno più lo 0,30 per cento sul monte salari a copertura della mobilità ), le piccole invece (chiamate ora contributi minimi) dovranno gradualmente versarne di più.
Quanto agli strumenti adottati, oltre alla cassa integrazione ordinaria (utilizzata in caso di difficoltà temporanea) resterà in vigore anche quella straordinaria.
Sarà però limitata rispetto al modello attuale: le aziende potranno accedervi solo in caso di ristrutturazione, non più in caso di cessazione.
Dal 2017 scomparirà la mobilità e resterà l’assegno di disoccupazione.
Contratti
Scoraggiati quelli precari, stop alle finte partite Iva
Assieme all’apprendistato, è uno dei punti sui quali il governo intende chiudere in fretta la partita, possibilmente oggi stesso.
Parte degli obiettivi è già condivisa: le formule contrattuali sono troppe, va limitato l’uso di quelle improprie e va resa più costosa la flessibilità in entrata.
Nel mirino ci sono soprattutto le false collaborazioni (che spesso nascondono rapporti esclusivi) e le partite Iva fittizie (quando il dipendente, per svolgere l’incarico continuativo, è praticamente costretto ad aprirne una).
Si tratta di formule utilizzate soprattutto nel campo dei servizi e sono definite, in questi casi, d’entrata “cattiva”, perchè non assicura tutele e prospettive occupazionali ai lavoratori che invece ne avrebbero maturato il diritto.
Per evitare il ricorso a queste formule “mascherate” si parla di intensificare i controlli nelle aziende e di eliminare la monocommittenza.
Resta però da risolvere il problema dei disincentivi: come rendere più costosa la flessibilità in entrata, “buona” o “cattiva” che sua?
Ai sindacati l’idea di un costo aggiuntivo (anche a vantaggio del salario)piace molto, le aziende invece sono contrarie a qualsiasi introduzione di costi-extra.
Chiedono semmai di facilitare l’utilizzo della somministrazione, eliminando alcune clausole che ne vincolano il ricorso.
Articolo 18
Obbligo della riassunzione solo nelle discriminazioni
Resta il punto più difficile della trattativa, tanto che il vertice di oggi non lo affronterà . Sull’articolo 18 la spaccatura resta, anche se il governo sta lavorando ad un compromesso.
Nei prossimi giorni il ministro Fornero approfondirà il tema in confronti bilaterali, ma la soluzione che sta prendendo piede è quella di mantenere la norma dello Statuto dei lavoratori, cambiandola.
In un punto però essenziale: l’intenzione è quella di prevedere l’indennizzo – senza reintegro sul posto di lavoro – anche in caso di licenziamento per motivi economici, ovvero per crisi in atto. Si parla anche di una versione più rigida e di un possibile risarcimento senza riassunzione esteso ai licenziamenti per motivi disciplinari (assenteismo prolungato per esempio).
Se così fosse l’articolo 18 e l’obbligo di reintegro da parte dell’impresa resterebbe valido solo per licenziamenti legati ad atti discriminatori.
Le aziende sono chiaramente d’accordo, possibili aperture da Cisl e Uil, chiusura totale della Cgil. Gli scenari possibili diventerebbero due: la Cgil non firma questa parte della riforma, gli altri sindacati sì (ma Cisl e Uil non sarebbero contenti di condividere da soli la parte più ostica della riforma).
Oppure il possibile escamotage: le parti sociali non saranno chiamate a firmare, semplicemente esprimeranno un giudizio.
Luisa Grion e Roberto Mania
(da “La Repubblica“)
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Marzo 12th, 2012 Riccardo Fucile
IL “BARBARO SOGNANTE” ERA IL PRIMO A PRESENTARSI IN TV PER PRENDERSI I MERITI DELLA CATTURA DI UN LATITANTE, MA NON AVEVA ALTRETTANTA SOLERZIA NEL TUTELARE L’OPERATIVITA’ DELLE FORZE DI POLIZIA
La squadra soffre per la mancanza di mezzi e strumenti.
Eppure il “capo” Antonio Manganelli, con i suoi 26 mila euro al mese, guadagna come venti dei suoi uomini
“Non riusciamo più a lavorare, a fare indagini. Noi crediamo nel nostro lavoro, lo facciamo con senso del dovere e con passione, al servizio della giustizia e dello Stato. Ma così non possiamo più andare avanti”.
Ad ascoltare le voci degli sbirri della squadra di polizia giudiziaria di Milano, si sente prevalere lo sconforto. “Non abbiamo strumenti per lavorare. Siamo 110 poliziotti e siamo rimasti con sole tre auto: una Alfa 156 e due vecchissime Punto. Una circolare del ministero dell’Interno ci impone infatti di consegnare, entro sabato 10 marzo, le targhe di altre quattro auto, che sono ormai fuori uso e non verranno nè riparate, nè sostituite”.
Da oggi, dunque, tre auto per 110 agenti.
La squadra di polizia giudiziaria presso il Tribunale di Milano è il gruppo interforze (Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza, in totale quasi 300 persone) che lavora per la procura di Milano.
Ha fatto le indagini sul caso Ruby e su altre mille inchieste dei pm milanesi.
La parte composta da agenti della Polizia di Stato è quella che soffre di più per la mancanza di mezzi e strumenti.
Il 31 dicembre 2011 è scaduto il contratto per la manutenzione delle macchine fotocopiatrici. Così adesso, quando se ne guasta una, nessuno la ripara. Tra qualche tempo gli agenti non potranno più fare fotocopie.
Non va meglio con i computer: soltanto una ventina sono efficienti, gli altri sono arrangiati, provenienti da altre amministrazioni, oppure personali.
“Alcuni di noi portano in ufficio il loro computer privato: sarebbe proibito, ma altrimenti come facciamo a lavorare?”.
Il punto più dolente è comunque quello delle auto.
L’ultima fornitura consistente dell’amministrazione risale al 1998: venti Fiat Punto che si sono via via ridotte a due.
Quando si guastavano non venivano più riparate.
I contratti d’assicurazione non erano rinnovati.
Ci sarebbero le auto confiscate: sette di queste erano state affidate dal giudice alla squadra di polizia giudiziaria, “ma il ministero ci ha detto che non ci sono fondi per rimetterle in strada e mantenerle”, dice un agente. “Così finiscono al Demanio dello Stato che le svende”. “Eravamo più attrezzati vent’anni fa”, dice sconsolato Carmelo Zapparrata, sostituto commissario nella squadra di polizia giudiziaria, ma anche segretario provinciale del Silp, il sindacato dei poliziotti della Cgil. “Nell’ultimo decennio abbiamo vissuto un lento declino, privati dei mezzi per lavorare. Dicono che bisogna investire nella sicurezza: ma noi vediamo che gli investimenti più elementari non vengono fatti. All’aumento della corruzione e della criminalità , si risponde con armi spuntate”.
La polizia giudiziaria compie il lavoro investigativo per i magistrati e dipende solo dal punto di vista funzionale dall’amministrazione di provenienza (i poliziotti dalla Polizia di Stato, i carabinieri dall’Arma, i finanzieri dalla Guardia di finanza).
“Ci sentiamo un po’ dimenticati dalla nostra amministrazione”, dice sottovoce Zapparrata.
Ci sono pochi soldi per i poliziotti, e ancor meno per quelli della polizia giudiziar ia.
Nelle indagini su Ruby, gli agenti hanno fatto fino in fondo il loro dovere, anche a costo di mettere in imbarazzo i funzionari della questura di Milano che in una notte di maggio del 2010 hanno subito le pressioni dell’allora presidente del Consiglio, il quale aveva chiesto di lasciar andare la minorenne fermata per furto.
Ora il Silp critica anche la sproporzione tra gli stipendi dei poliziotti e quelli del loro capo: Antonio Manganelli, con i suoi 26 mila euro al mese e più, guadagna come venti agenti messi insieme.
“Siamo i poliziotti peggio pagati d’Europa”, dice Zapparrata, “e abbiamo il capo più pagato d’Europa. Non importa. Noi continuiamo a fare il nostro lavoro. Ci piace. Abbiamo il senso delle istituzioni. Però vorremmo almeno avere gli strumenti minimi per poter lavorare: i computer, le fotocopiatrici, le auto di servizio. Chiediamo troppo?”.
Gianni Barbacetto
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: emergenza, governo, la casta, radici e valori, Sicurezza | Commenta »