Marzo 27th, 2012 Riccardo Fucile
INTERROGATO PER SEI ORE DAI PM, L’EX TESORIERE DEL PARTITO COINVOLGE RUTELLI
“I vertici della Margherita sapevano».
Dopo averlo dichiarato nell’intervista che sostiene essergli stata carpita da «Servizio pubblico», l’ex tesoriere del partito Luigi Lusi lo ha ribadito anche martedì sera nel corso di un lungo interrogatorio, sei ore, al quale è stato sottoposto dagli inquirenti romani che indagano sulle appropriazioni di almeno 18/20 milioni di euro dalle casse della Margherita.
L’atto istruttorio si è tenuto nell’ufficio del procuratore aggiunto Alberto Caperna, alla presenza del procuratore capo Giuseppe Pignatone, al suo primo interrogatorio da quando si è insediato al vertice della procura di Roma, e del sostituto Stefano Pesci.
Lusi, assistito dall’avvocato Luca Petrucci, è indagato per appropriazione indebita e per concorso in intestazione fittizia di beni.
«Si è parlato di conti, solo di conti. Ho risposto a tutte le domande dei pubblici ministeri», ha detto l’indagato al termine del faccia a faccia, il secondo dopo quello in cui aveva ammesso di essersi appropriato di 13,5 milioni di euro, con i magistrati.
Alla domanda se gli siano stati contestati altri fatti, Lusi, entrato nell’ufficio dei pm con due grosse borse, ha risposto: «chiedete ai magistrati, io ho chiarito tutto».
L’avvocato Petrucci, dal canto suo, ha dichiarato che nel corso dell’interrogatorio «è stato definito tutto il quadro» e che Lusi «è sollevato e sereno».
Al suo arrivo a piazzale Clodio il senatore, espulso dal Pd dopo l’esplosione dello scandalo, aveva risposto a qualche domanda dei cronisti: «Si vede che qualcuno ha usato la mia carta di credito», aveva detto ad un giornalista che chiedeva il suo parere sulla pubblicazione di ricevute e di note spese relative a vacanze, pranzi ed altro, pagati con i soldi della Margherita.
Lusi, inoltre, aveva risposto «sì» alla domande se l’intervista mandata in onda da «Servizio pubblico» era stata fatta a sua insaputa ed aveva escluso di essere stato lui stesso a fornire una documentazione, riguardante finanziamenti a vari soggetti, tra cui il «centro per un futuro sostenibile» di Francesco Rutelli, al settimanale L’Espresso.
La prossima tappa della vicenda sarà la discussione, davanti al tribunale del riesame, il 5 aprile prossimo, del ricorso presentato dal senatore contro il sequestro di sei immobili (cinque a Capistrello nell’aquilano, uno ad Ariccia) e di due milioni di euro. Il decreto di sequestro è stato emesso nelle scorse settimane dai pm Caperna e Pesci, e convalidato dal gip Simonetta D’Alessandro.
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Marzo 27th, 2012 Riccardo Fucile
INTERE FAMIGLIE STERMINATE DAL CANCRO, MORTI PREMATURE E MALATTIE RARE, LEUCEMIE FULMINANTI… CASI DI MELOBLASTOMA, SARCOMA, TUMORE ALLA PELLE ED AL COLON… MA ALLA ASL IL DOSSIER NON INTERESSA
La signora Rosa, la signora Anna Rachele e la signora Anna Pina per mesi hanno battuto il
territorio di Terzigno (Napoli) palmo a palmo.
Sono entrate nei condomini, hanno bussato alle porte degli appartamenti, hanno parlato con le persone malate e con i loro familiari, vincendo resistenze, pudori, dolori e lacrime.
E in quaderni a quadretti comprati al discount hanno scritto le storie che hanno ascoltato.
Storie da far accapponare da pelle.
Intere famiglie sterminate dal cancro. Morti premature e malattie rare. Marito e moglie colpiti dallo stesso tumore. Leucemie fulminanti.
Casi di meloblastoma, sarcoma, cancro alla pelle ed al colon.
Una bambina piccolissima alla quale hanno dovuto asportare le ovaie. Una ragazza di 16 anni con un serio problema alla mammella. Un caso, raro, di tumore alla lingua. Un altro, ancora più raro, di tumore al pene.
E una strana e sospetta statistica: un numero impressionante di malattie tumorali, circa l’80 per cento delle 120 registrate dalle signore, concentrate in via Guastaferri, via Carlo Alberto, via Martiri d’Ungheria, via Cavour, via Leonardo da Vinci.
Ovvero tra strade e traverse che hanno in comune una sola cosa: sono tutte molto vicine in linea d’aria a Cava Ranieri, un ex sito di stoccaggio rifiuti che il tempo e il degrado hanno trasformato in un laghetto di percolato puzzolente.
In un caseggiato si è raggiunto un drammatico en plein: cinque appartamenti, ognuno con il suo caso di cancro.
Potrebbe anche essere una coincidenza, ma vallo a spiegare a chi ci abita.
Sono volontarie le signore Rosa, Anna Rachele e Anna Pina.
Non cercano pubblicità , non vogliono riconoscimenti, non ci guadagnano un euro. Hanno svolto un lavoro immenso: i circa 120 casi di tumore da loro raccolti nei block notes (ma sarebbero di più, diversi hanno preferito chiudersi in un comprensibile riserbo) sono ora trasfusi in una sfilza di schede, tutte chiuse in un faldone conservato nello studio di due agguerrite legali ambientaliste, Maria Rosaria Esposito e Mariella Stanziano, che con questa documentazione si battono per aggiornare il registro tumori dell’Asl locale e per ottenere uno studio epidemiologico su Terzigno, premessa indispensabile per provare ad avere bonifiche e tutele ambientali.
In ogni scheda, i dati anagrafici dell’ammalato, il congiunto che si assume la delega dell’accesso degli atti dell’Asl, il tetro codice numerico corrispondente al tipo di tumore sofferto: 231.8 è leucemia, 202.2 è linfoma non hodgkin, e via andando.
Chi scrive ha visto i nomi e cognomi e i dettagli delle patologie, che omettiamo per ovvie ragioni di privacy.
Sono schede studiate per essere trasmesse alle Asl attraverso i medici di base, solo che qualcosa si è inceppato: le Asl non le vogliono, hanno i loro registri, aggiornati però al 2009.
E mal funzionanti: qualcosa sfugge sempre, molte malattie sfuggono alle statistiche ‘ufficiali’, secondo i comitati ambientalisti germinati come funghi in un luogo dove il governo Berlusconi voleva aprire la discarica più grande d’Europa, Cava Vitiello, e ci volle una sommossa di popolo per impedirlo.
Sullo sfondo, una guerra silenziosa, che non conquista le prime pagine dei giornali e le aperture dei tg come quella furibonda di un paio di autunni or sono a colpi di molotov e scontri con la polizia per bloccare la maxi discarica nel Parco del Vesuvio. Ma sempre di rifiuti e veleni si tratta.
E’ la guerra dei residenti contro un nemico subdolo e sleale, figlio di scellerate politiche ambientali: il cancro.
Che si manifesta con numeri e vicende impressionanti nei pressi di Cava Ranieri, l’incubo del luogo.
Cava Ranieri era una vecchia cava che nel 2002 fu riattata a sito provvisorio di stoccaggio della spazzatura. Ma siccome in questo paese non c’è nulla di più definitivo del provvisorio, tra emergenze e ritardi la monnezza è rimasta lì, i teloni di protezione si sono strappati e la spazzatura è fermentata, tramutandosi in un liquido fetido, al quale si abbeverano i cani randagi.
“Abbiamo svolto questo lavoro di raccolta dati — spiega l’avvocato Esposito — perchè volevamo fornire un supporto documentale alle nostre ragioni contro l’apertura dello sversatoio di Cava Sari, avvenuta nel 2007, e a maggior ragione quando ci ipotizzarono l’apertura anche di Cava Vitiello.
Volevamo dimostrare che non si potevano ipotizzare nuove e continue discariche su un territorio che già aveva già dovuto ingoiare veleni di ogni tipo e pagare un prezzo ambientale e umano notevole: qui in passato sono esistiti numerosi sversatoi.
Eppoi la storia di Cava Ranieri, dove ci sarebbero due antiche ville romane, seppellite nella spazzatura…”.
A Terzigno intanto Cava Sari è ancora attiva e riceve monnezza trattata.
Ci sversano per ora solo i quattro comuni che ci si affacciano: Terzigno, Boscoreale, Boscotrecase e Trecase.
Tra innumerevoli giochi di prestigio sui numeri della capienza residua, che si riduce e si amplia come il soffietto di una fisarmonica, avrebbe dovuto chiudere nel 2011 e invece è ancora aperta, e forse resterà aperta un altro anno, dipende dalle scelte che faranno l’assessorato regionale all’Ambiente, i sindaci (che nei comunicati implorano la chiusura immediata), le amministrazioni degli altri comuni alle falde del Vesuvio. Qui dove i rifiuti continuano a essere una costante della quotidianità della gente. E i tumori, purtroppo, pure.
Vincenzo Iurillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 27th, 2012 Riccardo Fucile
“LE AULE? SONO DELLA CONGREGAZIONE” E NON SI PAGHERA’ NULLA… I MODI PER ELUDERE LA NORMA “SULL’ATTIVITA’ NON COMMERCIALE” SONO MOLTI E I CONTROLLI MINIMI
Il decreto sulle liberalizzazioni è diventato legge dello Stato.
Tra le varie misure ritorna la tassa sui fabbricati, l’ex Ici, ora Imu che dovrà essere pagata anche dalle scuole paritarie, comprese quelle cattoliche.
I tentativi di sfuggire al fisco sono numerosi: far rientrare l’immobile nel patrimonio della congregazione religiosa a cui fa riferimento la scuola.
Oppure passare la proprietà ad una Onlus o creare una cooperativa ad hoc.
Tra le scuole paritarie non cattoliche molte sono i vecchi “diplomifici” che hanno cambiato pelle ed a volte anche nome, continuando a spillare soldi alle famiglie con i corsi di recupero degli anni persi dallo studente e con rette che a volte superano, iscrizione a parte, i 3 mila euro.
Nel mirino dei Comuni, beneficiari di una quota dell’Imu, anche istituti religiosi di prestigio.
L’Istituto Paritario Santa Maria ha sede in un grande edificio in viale Manzoni a Roma.
L’offerta comprende tutti i cicli scolastici: materna, elementare, media inferiore e liceo.
Le attività sportive sono di alto livello: piscine e palestre.
Ed oltre all’immancabile chiesa una “residenza” ovvero un albergo. Il padre “gestore” della congregazione dei Marianisti non accetta visite e si rifiuta di fornire le cifre sulle rette.
L’unica dichiarazione che rilascia è: “Gli immobili sono di proprietà della congregazione che certamente non ha fini di lucro”.
Stessa musica per l’Istituto Paritario San Leone Magno di Roma, di proprietà dei fratelli Maristi.
Il Collegio Nazareno, invece, ha deciso di ridurre l’attività scolastica ed affitta una parte del prestigioso immobile in pieno Centro Storico alla direzione nazionale del Partito Democratico.
Ora, approvato il decreto, le scuole religiose sono passate al contrattacco.
“Le scuole cattoliche non pagheranno l’Imu perchè nel giro di un anno sarebbero tutte costrette a chiudere e a mandare a casa 40 mila lavoratori. Faremo ricorso al giudice. L’Imu che andrebbe ad aggiungersi ai deficit gestionali. Oggi in molte scuole cattoliche stiamo applicando i contratti di solidarietà , d’accordo con i sindacati, per cui il dipendente prende il 30 per cento in meno e lo Stato assicura il 100 per cento dei contributi”.
Parola di padre Francesco Ciccimarra, presidente dell’Associazione Gestori Istituti Dipendenti dall’Autorità Ecclesiastica.
Critico anche Luigi Sepiacci, presidente dell’Associazione Nazionale Istituti non statali di Educazione e Istruzione, aderente a Confindustria.
“Se il governo vuol fare un favore alle scuole cattoliche lo dica chiaro e tondo – afferma – vorrei ricordare che la Corte di Cassazione ha stabilito che l’attività scolastica, ancorchè svolta dietro corrispettivo, è un’attività commerciale”.
Nei giorni scorsi, spiegando il senso dell’emendamento del governo sul pagamento dell’Imu per gli immobili di proprietà della Chiesa cattolica, aveva precisato: “Saranno esentate quelle che svolgono la propria attività con modalità concretamente ed effettivamente non commerciali”.
Ma chi decide se la scuola paritaria non accantona utili, grazie alle rette e ai contributi dello Stato, facendo risultare il bilancio in pareggio o addirittura in rosso?
Qui l’affare si complica. Il Ministero dell’Istruzione ha solo compiti di indirizzo e di registrazione dei dati.
Chi fornisce i dati sulle scuole paritarie?
In base alla legge, il compito spetta ai direttori scolastici regionali. Quali strumenti hanno a disposizione? Ovviamente gli ispettori.
Peccato che siano meno di 70 in tutta Italia e controllare quasi 14 mila scuole paritarie è una missione impossibile.
Ergo, la prassi diffusa è quella dell’autocertificazione.
Già oggi, una notevole percentuale delle scuole paritarie non risulta a scopo di lucro. Su un totale di 13.910 istituti, le materne sono 9.929 (il 95% delle quali dichiara di non guadagnare un euro dalla sua attività ), le elementari sono 1.539 (73% non a scopo di lucro), le medie inferiori 690 (72% senza profitti) e le superiori risultano 1.752. Qui le cose cambiano: solo il 38%, infatti, non sono a scopo di lucro.
Non restano che i Comuni, i beneficiari, almeno in parte, della tassa sugli immobili cancellata nel 2008 dal governo Berlusconi.
Per l’Anci, l’Associazione nazionale dei Comuni Italiani, un’inaspettata tegola sulla testa.
Ce la faranno gli Uffici Tecnici comunali, falcidiati dal blocco del turn-over a verificare quali sono le scuole profit e quelle no-profit?
Servirebbe un miracolo ma nessuno ci crede. Il dramma è che il tempo che resta è poco, perchè entro il prossimo 30 giugno le amministrazioni locali dovranno presentare le cartelle esattoriali e saranno sommersi da una valanga di ricorsi.
Con molta probabilità andrà a finire come per le scuole paritarie: prendere per oro colato le autocertificazioni.
Come è accaduto per anni, la legge 62 del 2000, di berlingueriana memoria, stabiliva che per ottenere la parità , quindi l’equiparazione al sistema pubblico dell’istruzione, gli aspiranti avrebbero dovuto rispettare alcune regole.
Applicare ai dipendenti, insegnanti e non docenti il contratto nazionale della scuola. Rispettare i programmi stabiliti dal ministero dell’Istruzione.
Assumere i docenti rispettando le graduatorie pubbliche.
Accettare gli studenti “diversamente abili” e per le cattoliche “non precludere l’iscrizione ai ragazzi di fede diversa”.
E dulcis in fundo, rispettare il principio della trasparenza dei bilanci.
Vediamo cosa succede sul campo.
Diego Bouchè è il direttore scolastico regionale della Campania, dove nella provincia di Caserta su 400 scuole, oltre 230 risultano “paritarie”.
“Il nostro è un compito sicuramente difficile, visto che abbiamo 4 ispettori su un organico previsto di 24 – dichiara Bouchè – noi controlliamo, compatibilmente con le forze a disposizione, le iscrizioni degli alunni, i titoli degli insegnanti, la struttura degli edifici e la sicurezza. Per quanto riguarda la trasparenza dei bilanci non siamo mica dei fiscalisti. Attendiamo con ansia la conclusione del concorso nazionale per i nuovi ispettori sperando di recuperare almeno in parte quelli che sono andati in pensione”.
Le cose vanno meglio nel Lazio? Neanche per sogno.
“L’ufficio può contare su 3 ispettori, uno dei quali segue anche due dipartimenti amministrativi per carenza di organici – spiega la direttrice scolastica regionale Maria Maddalena Novelli – ora abbiamo messo in campo un piano straodinario di controlli che coinvolge 200 istituti paritari, utilizzando anche i dirigenti scolastici come consigliato dal Ministero, e dai primi risultati non emergono irregolarità . Vorrei ricordare che nel 2005 abbiamo revocato la parità a 12 scuole. Per quanto riguarda i bilanci sono gli istituti che si assumono la responsabilità di quanto messo nero su bianco”.
Siamo alle solite.
Nessuno controlla.
La regola aurea è “facciamo a fidarci”.
Ario Reggio
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Marzo 27th, 2012 Riccardo Fucile
IL MOVIMENTO DI GRILLO E’ SPACCATO TRA CHI APPOGGIA IL COMICO E CHI E’ CONTRO L’EPURAZIONE… SCAMBI DI ACCUSE SUL WEB, MA SULLO SFONDO C’E’ LA CORSA AL PARLAMENTO
Un documento pro Grillo “senza se e senza ma” spacca il Movimento 5 Stelle. 
E’ una guerra combattuta sul web, che da principale strumento politico sta diventando per i grillini una plateale arena di scontri.
Da una parte si schiera la componente vicina al leader, che ha sottoscritto il nuovo appello; dall’altra, quella che con Grillo è entrata in rotta di collisione, dopo la scelta di espellere il consigliere comunale di Ferrara Valentino Tavolazzi, accusato di danneggiare il movimento.
Contro l’epurazione, c’è già stato un primo tentativo di ribellione, concretato in un appello pro Tavolazzi sottoscritto in larga parte tra gli attivisti più vicini al consigliere regionale Giovanni Favia.
La resa dei conti però arriva solo in questi giorni.
Circola un controdocumento dal titolo inequivocabile (“Perchè noi siamo con Beppe Grillo senza se e senza ma”) e a sottoscriverlo sono i tre consiglieri comunali eletti a Palazzo d’Accursio. Massimo Bugani, Federica Salsi e Marco Piazza rigettano le accuse di autoritarismo rivolte al leader, manifestando al contrario il “totale appoggio e sostegno ad una persona che non ha mai invaso il nostro campo d’azione”.
I tre firmatari non citano il caso Tavolazzi, ma diversi attivisti vicini al consigliere ferrarese leggono l’appello come una sorta di ultimatum: o con Grillo o con Tavolazzi.
“Sentiamo parlare di dittatura, di padre padrone, di capo severo, di gerarca, di urlatore violento – continuano i tre firmatari -. Noi abbiamo invece conosciuto un uomo libero, sereno, puro e sensibile come pochi altri”.
E’ la linea opposta a quella del Meet Up Emilia Romagna, che chiedeva il reintegro di Tavolazzi e della sua lista civica “Progetto per Ferrara”, incompatibile, secondo Grillo, con le regole del M5Stelle.
“Il fatto di essere a fianco di Grillo non significa automaticamente essere contro Tavolazzi”, prova a precisare poco dopo la Salsi su Facebook, assieme al collega Piazza. Ma divampano le critiche ai tre consiglieri, per il loro atteggiamento troppo remissivo nei confronti di Grillo. E così com’era accaduto ai tempi della risoluzione pro Unità e sullo ius soli, anche questa spaccatura trova casa sul web, moltiplicando i propri effetti, e anzi producendo inviti a non esporre sulla rete i panni sporchi, oggetto poi di golose sbirciate da parte di chi vuole scassare il movimento.
“Dov’è finita la regola dell’uno vale uno?”, ribattono i malpancisti.
“Non è una questione di pro e contro, ma di democrazia interna al movimento”, sottolineano altri insoddisfatti. Se però da un lato ci sono i tre consiglieri comunali usciti allo scoperto, dall’altro il consigliere regionale Giovanni Favia si tiene ostentatamente fuori dalla discussione. “Sono in silenzio stampa”, dice.
Ma Tavolazzi è sereno: “Favia ha espresso vicinanza, solidarietà e apprezzamento per me. Ha chiesto chiarimenti a Grillo, ha fatto quel che doveva fare”.
Una guerra fredda a distanza, insomma, fra due aree ben distinte del M5Stelle, coi primi intenzionati a stanare gli anti Grillo e i secondi preoccupati per la deriva autoritaria del blogger.
Sullo sfondo, le politiche per il 2013, vietate per chi è consigliere o ha già svolto due mandati elettorali. Regole che per alcuni però potrebbero essere riviste.
Nel frattempo, tutti si attendono un intervento “muscolare” di Grillo.
Ma nessuno oggi è in grado di prevedere quale effetto avrà sul suo movimento.
Beppe Persichella
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 27th, 2012 Riccardo Fucile
L’ALTRA META’ SI ALLEA CON I “NEMICI” DI UDC E FLI E APPOGGIA CASTELLETTI, PROVENIENZA UNICREDIT…. IL PD CI STA PENSANDO
Pochi conoscono e lubrificano come lui la macchina del consenso elettorale. Un caterpillar. Che dopo aver divorato il suo partito, almeno a livello locale, si sta pappando ora, corrente dopo corrente, anche metà dell’ex alleato Pdl.
Flavio Tosi, l’ex enfant prodige della Lega, sindaco di una Verona diventata modello politico da esportare per i “maroniti”, con ingordigia sta facendo a pezzi un partito berlusconiano in preda al panico.
Angelino Alfano anche oggi coltiva umori neri e indossa i panni del dirigente decisionista, confermando la decisione di sospendere i 14 amministratori iscritti al Pdl veronese per il loro appoggio al candidato sindaco leghista.
Anche se un po’ democristianamente, il segretario pidiellino precisa subito che «eventuali sanzioni» sono compito del collegio dei probiviri del partito. «Non mettiamo il carro davanti ai buoi», ha risposto a chi gli chiedeva della necessità o meno di un incontro con Bossi sul tema.
Una scelta, quella dell’ex ministro della giustizia, che comunque agita le acque nel partito scaligero.
Molti tra gli “eretici” rimasti a sostenere Tosi sono gli stessi che nel recente congresso provinciale del Pdl hanno sostenuto e fatto eleggere l’attuale segretario Davide Bendinelli.
Sono gli stessi che hanno fatto nascere “Forza Verona”, lista civica agganciata all’attuale sindaco, con lo scopo di «recuperare lo spirito originario di Forza Italia».
Il vicesindaco Vito Giacino, forzista della prima ora e promotore della lista, ci tiene a ribadire: «Fa pensare che con tutte le persone strane che ci sono nel partito, abbiano deciso di sospendere chi ha per faro la coerenza nella vita politica».
Per loro gli “eretici” sono i maggiorenti del partito. Quelli che hanno tradito l’alleanza.
Chi s’è affrettato a investire della candidatura a sindaco per il centrodestra l’avvocato Luigi Castelletti, prelevandolo dal forziere del cda di Unicredit per poi paracadutarlo in una competizione dove si trova, obiettivamente, in forte difficoltà .
L’ex presidente della Fiera di Verona, già possibile candidato berlusconiano cinque anni fa, s’è subito smarcato, dicendo che in fondo lui è il Monti di Verona.
Il tecnico. Il vero leader della nuova possibile alleanza che sorgerà dalle ceneri della seconda repubblica, visto che a sostenerlo, oltre al Pdl, ci sono anche Udc e Fli.
Parto quasi unico in Italia con finiani e berlusconiani a braccetto nello sponsorizzare lo stesso candidato.
Terzo polo, tuttavia, che perde pezzetti un po’ qua e un po’ là .
L’Api di Rutelli, per esempio, conta come il due di picche a Verona.
Ma i suoi dirigenti hanno deciso di sostenere Tosi.
La stessa destra asociale, ex An, quella che a livello nazionale ha come punto di riferimento Alemanno, ha scelto di seguire il candidato leghista, così prodigo di prebende politiche per loro nei cinque anni di governo a Palazzo Barbieri.
E Tosi, seduto su sette comodi guanciali (tante sono le liste che lo dovrebbero sostenere), ammira il progetto coltivato da tempo: governare senza dover rispondere a nessuno.
Neppure a Bossi.
Che ha dovuto, per l’ennesima volta, ingoiare il rospo messogli sul piatto da questo politico dal moto perpetuo che ha sempre evitato con astuzia di venir seppellito politicamente dagli anatemi del capo.
Il sindaco uscente nega con forza di aver barattato il via libera alle liste civiche con la rinuncia alla corsa alla segreteria regionale del partito: «Le elezioni di Verona non c’entrano nulla con i congressi della Lega. Sono due piani distinti. E non c’è stata quindi nessuna contropartita».
L’ottimismo tosiano non è sfregiato neppure dai sondaggi che confermano come non sarà una passeggiata neppure per lui il voto del 6-7 maggio.
Le varie ricerche, al momento, lo danno tra il 46 e il 48%.
Non vincere al primo turno rappresenterebbe uno smacco d’immagine per lui e un problema al ballottaggio.
Il centrosinistra candida l’ex presidente veneto di Legambiente Michele Bertucco, uno che suscita scarso entusiasmo tra i suoi.
Tanto che si racconta di alcuni centristi del Pd che stanno già lavorando sottotraccia per un accordo con Castelletti.
Movimenti trasversali che smottano tanto il centro destra quanto il centro sinistra.
E confermano come Verona sia da sempre un laboratorio politico fecondo.
Gianni Ballarini
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 27th, 2012 Riccardo Fucile
NO AL DEPOSITO DEL DENARO, LA FINANZA INDAGA UN ACCOMPAGNATORE… INDAGINI ANCHE SULLA PERSONA CHE A DICEMBRE HA ACCOMPAGNATO IL GIORNALISTA A LUGANO
Voleva depositare su un conto svizzero due milioni e mezzo in contanti. 
Ma i funzionari di banca avrebbero rifiutato di accettare l’operazione, non avendo garanzie sulla provenienza dei soldi.
Una vicenda che appare senza precedenti e sulla quale hanno avviato verifiche l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza.
Protagonista è il direttore del Tg4 Emilio Fede, già indagato per favoreggiamento della prostituzione per le feste organizzate nelle residenze dell’ex capo del governo Silvio Berlusconi e per concorso in bancarotta fraudolenta dalla magistratura milanese con l’agente dello spettacolo Lele Mora, tuttora detenuto proprio per l’inchiesta sul fallimento della sua società «Lm management» che per anni ha gestito l’immagine di numerosi personaggi dello spettacolo.
E, si è scoperto poi, serviva a reclutare le ragazze da portare ad Arcore e a Villa Certosa.
La segnalazione è arrivata in Italia alla fine dello scorso gennaio.
A chiedere l’intervento delle autorità di controllo è stato un dipendente della banca che evidenzia un episodio risalente alla fine di dicembre, circa tre mesi fa.
Nella denuncia racconta che Emilio Fede, accompagnato in macchina da un’altra persona, si è presentato presso la filiale dell’istituto di credito di Lugano con la valigetta piena di contanti, ma che è dovuto rientrare in Italia perchè i responsabili della banca non hanno ritenuto opportuno accettare la somma.
Una decisione presa, presumibilmente, tenendo conto dei problemi avuti in precedenza con i magistrati italiani e della necessità di fornire spiegazioni.
Nonostante le autorità svizzere abbiano sempre assicurato la massima collaborazione in ambito giudiziario, gli istituti di credito preferiscono mantenere alto il livello di riservatezza per proteggere i propri clienti.
Dunque è possibile che dopo il clamore mediatico suscitato dalle vicende che hanno coinvolto Fede nei mesi scorsi abbiano deciso di respingere le sue richieste.
Pur di fronte a un investimento molto alto
La scorsa estate, dopo una richiesta di rogatoria sollecitata dai pubblici ministeri lombardi Eugenio Fusco e Massimiliano Carducci era stato infatti interrogato il funzionario della Bsi di Lugano Patrick Albisetti, l’uomo che si era occupato di gestire i depositi di Mora e le richieste di contanti dello stesso Fede.
In quell’indagine il giornalista è stato accusato di aver trattenuto per sè un milione e duecentomila euro dei 2 milioni e ottocentomila che Berlusconi avrebbe fatto avere a Mora attraverso il suo tesoriere Giuseppe Spinelli.
Una «cresta» che il direttore del telegiornale di Rete4 ha sempre cercato di negare, sia pur con scarso successo di essere creduto.
Albisetti aveva rivelato che nell’aprile 2010 Fede si presentò in banca e chiese di prelevare 500 mila euro, ma gliene furono consegnati soltanto 300 mila e fu costretto ad aprire un conto dove depositare gli altri 200 mila che lui avrebbe poi provveduto a ritirare dopo qualche settimana.
Quel deposito era stato denominato «Succo d’agave» e quando i pubblici ministeri gli chiesero spiegazioni su quel deposito Fede fornì una versione poco comprensibile: «Io non avrei voluto aprirlo perchè per me avere un conto all’estero era un rischio e un fastidio».
Qualcuno lo aveva obbligato? Ora ci sono questi altri soldi comparsi in Svizzera. Dopo aver ricevuto la segnalazione sono stati avviati i controlli sugli spostamenti del giornalista per verificare che fosse proprio lui ad aver chiesto di effettuare l’operazione, ma soprattutto per scoprire l’origine del denaro.
Da chi li ha avuti? E ne ha denunciato il possesso al fisco? Chi c’era con lui in quell’auto nel viaggio da Milano a Lugano?
A questi interrogativi dovranno rispondere gli investigatori delle Fiamme Gialle che poi, in caso di mancata dichiarazione, dovranno inoltrare gli atti alla magistratura per i reati di evasione fiscale e tentata esportazione di capitali all’estero visto che la somma supera la soglia consentita per la semplice segnalazione amministrativa.
In passato Emilio Fede aveva sostenuto che ad occuparsi del suo conto era una sua amante cubana che era stata incaricata di prelevare la somma e portarla in Italia.
Una versione ritenuta «non credibile» dai magistrati.
Fiorenza Sarzanini
(da “Il Corriere della Sera“)
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Marzo 27th, 2012 Riccardo Fucile
IL PARAGONE CON LA THATCHER: “LE LEGGI ITALIANE SUL LAVORO SONO FRA LE PIU’ RESTRITTIVE DEL MONDO OCCIDENTALE”
Entusiasmo del Wall Street Journal per Mario Monti che, come recita il titolo di un editoriale, «fa la Thatcher» di fronte alla riforma del lavoro: «Il premier italiano ha una rara opportunità di educare gli italiani sulle riforme economiche».
Monti, esordisce l’articolo, «se ne è andato dai negoziati con i sindacati e ha annunciato che procederà alla riforma delle famigerate leggi sul lavoro, con o senza il consenso delle organizzazioni sindacali. Se a Roma sarà risparmiato il destino recentemente toccato ad Atene, segnatevi questa settimana come il momento della svolta».
Le leggi italiane sul lavoro «sono fra le più restrittive del mondo occidentale».
Il totem dell’articolo 18 praticamente vieta alle imprese con più di 15 dipendenti di licenziare i lavoratori, indipendentemente dagli indennizzi offerti. Monti ha proposto di sostituire questo schema del «posto fisso a vita «con un generoso sistema di indennizzi garantiti quando i lavoratori sono licenziati per motivi economici».
«In gran parte del mondo libero questa sarebbe considerata una riforma utile ancorchè moderata» assicura il WSJ, secondo cui «fra altri punti deboli, la nuova legge non scalfisce il diritto del lavoratore di contestare in tribunale il licenziamento per motivi disciplinari: un regalo non ricambiato fatto ai sindacati».
Ma, ammonisce il quotidiano economico conservatore, «affrontare i sindacati italiani richiede coraggio, e non solo di natura politica. Dieci anni fa in questo mese l’economista Marco Biagi fu abbattuto da terroristi di sinistra per i suoi sforzi di progettare un’altra riforma del lavoro. La mossa di Monti ha provocato la chiamata a uno sciopero generale da parte della Cgil, il più grande sindacato italiano».
Secondo il WSJ, è coraggioso anche decidere di presentare il disegno di legge in parlamento invece di farne un decreto, dato che la riforma è stata dichiarata «inaccettabile» dal Partito Democratico.
D’altronde «una riforma di successo e duratura non può essere effettuata per decreto, bensì dimostrando che questi cambiamenti godono di un mandato popolare».
Monti, conclude il WSJ, ha tre vantaggi rispetto ai predecessori: «rimane popolare in Italia. Dice che non vuole candidarsi alle elezioni».
E per «educare gli italiani» sui rischi di opporsi alle riforme ha un’opportunità «rara»: «può semplicemente chiedere di guardare oltre il Mar Ionio. Se questo non li spaventa, nulla potrà farlo».
E se la politica italiana ha «distrutto più di un riformatore», la differenza è che Monti non ha accettato il posto per fare il supplente.
«Se intende fare di questa riforma il primo e non l’ultimo passo di un’agenda più ambiziosa per rilanciare la crescita italiana, questo suo unico mandato potrebbe diventare grandioso».
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Marzo 27th, 2012 Riccardo Fucile
E IL RISARCIMENTO VA COMMISURATO ALL’ANZIANITA’…IL MODELLO FERRERO E’ PIU’ DURO DELLE PROPOSTE DELLA UE
Per molti il segno dell’Europa sul mercato del lavoro è stato lasciato dalla lettera dei “due
presidenti” della Bce Jean-Claude Trichet e Mario Draghi.
Nell’agosto dello scorso anno il loro diktat all’Italia suonava così: “Adottare una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento”.
Poche parole ma che, inequivocabilmente facevano pensare ad una forte deregolamentazione in uscita e all’articolo 18.
Ma se questa fu la linea radicale di Francoforte, la Commissione europea ha elaborato negli ultimi mesi un proprio progetto volto a riformare il mercato del lavoro del Continente, molto meno schematico e assai più articolato.
Sebbene questo progetto, contenuto nella “Commission note”, intitolata “A proposal for a “single” open-ended contract”, proponga una vera e propria rivoluzione nel mercato del lavoro europeo, per alcuni aspetti il dettagliato manuale d’uso di Bruxelles sembra più tenero del meccanismo Monti-Fornero che sta dilaniando il paese. L’Europa, infatti, dice sì all’indennizzo, ma solo per i nuovi contratti e non esclude il reintegro per motivi economici.
Contro la “segmentazione”
L’analisi e la parole d’ordine sono più o meno le stesse. Il mercato del lavoro europeo, dice la Commissione, è afflitto dalla “segmentazione”, ovvero dalla presenza contestuale di lavoratori temporanei e a tempo indeterminato.
Il fenomeno, aggiunge Bruxelles, provoca preoccupazione dal punto di vista “sociale ed economico” e va “combattuto”. I lavori temporanei creano discontinuità nelle carriere, producono salari più bassi, riducono contributi e pensioni.
Durante la recente crisi, inoltre, la perdita di lavoro si è concentrata sui temporary workers, soprattutto tra i giovani e i lavoratori con basse qualifiche.
Il contratto unico: soluzione europea
La Commissione nota che è assai difficile passare da un contratto temporaneo ad uno a tempo indeterminato: in media in Europa, ci vuole almeno un anno.
Come superare questa fase? Con il single open-ended contract, il contratto unico a tempo indeterminato, più volte emerso nel dibattito italiano sotto la forma, come richiama il documento, del progetto Boeri-Garibaldi, del modello francese (proposto Blanchard) e della versione avanzata da un centinaio di economisti spagnoli.
Il filo comune è quello di un contratto “a tempo indeterminato, che non ha limiti ex ante” ma che, a differenza degli attuali contratti a tempo indeterminato, dispone di un periodo di ingresso “sufficientemente lungo” e un incremento graduale delle protezioni.
Quali protezioni? Il documento della Commissione privilegia l’indennizzo monetario che “cresce con l’anzianità “.
“Più alta è l’anzianità del lavoratore maggiore è l’indennità in caso di licenziamento”, si spiega.
Il rapporto di Bruxelles, che cita le “Employement guidelines del 2010” approvate dai capi di Stato e di governo dell’Unione, calcola che un lavoratore con un salario iniziale di 20 mila euro l’anno, dopo 16 anni, può contare su una indennità di licenziamento di 50 mila euro.
Meno incertezza per le imprese e più assunzioni
Questo meccanismo, in sigla il “Soe”, secondo la Commissione, oltre a favorire l’assorbimento dei lavoratori temporanei, aiutato da incentivi contributivi, favorirebbe la stabilità e la produttività .
Dal punto di vista delle imprese, inoltre, “ridurrebbe il livello di incertezza” grazie alla semplicità del calcolo del costo dei licenziamenti e di conseguenza favorirebbe le assunzioni.
Quanto ha a che fare questo progetto con il disegno di legge in arrivo del governo? Sembrerebbe poco.
L’Italia infatti, per ora, ha rinunciato a graduare l’indennizzo con il periodo di lavoro limitandosi, almeno a vedere i documenti del governo, a prevedere un indennizzo modulabile dal giudice dai 15 ai 27 mensilità di retribuzione.
Con più costi per le imprese e vanificando la certezza degli oneri per il licenziamento.
La questione del reintegro: l’Europa non dice no
E il reintegro?
La Commissione seppure convinta che l’indennizzo sia la via migliore, non esclude affatto il reingresso.
Anzi traccia tre possibili scenari legislativi: il primo è quello di “ridurre in modo consistente la protezione legale” (lasciandola intatta solo per la discriminazione) e affidare la protezione solo all’indennizzo monetario.
E’ chiaro che in questa soluzione, scelta dall’Italia, hanno grande importanza politiche attive del lavoro e un meccanismo di flexsecurity che nel progetto del governo sembrano abbastanza deboli.
La seconda ipotesi suggerita, riguarda i paesi con una “alta” legislazione a protezione del lavoro (ci si riconosce l’Italia).
La ricetta consigliata da Bruxelles, prevede che in questi paesi il contratto unico possa articolarsi in stadi successivi e mantenere intatte alcune protezioni: si parte con un periodo di prova con protezione legale minima, seguito dalla conferma e successivamente dal raggiungimento della stabilità dove “il livello di protezione legale può essere quello previsto dalla legislazione del lavoro per i contratti a tempo indeterminato” (per l’Italia si tratterebbe del reintegro anche di fronte ad un licenziamento per motivi economici).
Una terza ipotesi prevede che le protezioni legali, cioè il reintegro, possano essere messe in atto anche prima della stabilizzazione, cioè fin dalla fase di conferma del lavoratore che segue il periodo di prova.
Tre opzioni di fronte alle quali, sembra di capire, l’Italia ha scelto la più radicale.
Con la scelta del contratto unico, infatti, Monti e Fornero avrebbero potuto ottemperare alle indicazioni dell’Europa mantenendo tuttavia intatti istituti come il reintegro per motivi economici (magari con l’attenuazione del noto modello tedesco).
Il doppio binario: l’art. 18 vale anche per i contratti in essere?
Infine il problema degli attuali lavoratori a tempo indeterminato.
Per loro vale o meno il nuovo articolo 18 senza reintegro per chi viene licenziato per motivi economici?
Sembrerebbe che lo smembramento dell’articolo 18, nella ipotesi del governo, valga anche per i contratti in essere.
Tuttavia il documento della Commissione sembra assai più morbido: il contratto unico, si dice, “sarà applicato solo ai nuovi contratti e non a quelli già firmati”.
Anzi per rendere più attrattivo il single open-ended contract, la Commissione propone incentivi rivolti ai lavoratori e alle imprese per abbandonare il vecchio contratto a tempo indeterminato e scegliere il nuovo contratto unico.
Ma di questi suggerimenti dell’Europa la nuova flessibilità italiana non sembra aver fatto tesoro.
Roberto Petrini
(da “La Repubblica”)
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