Marzo 19th, 2012 Riccardo Fucile
NON CI SIAMO: PER LICENZIARE SI GUARDA ALLA GERMANIA, MA PER PAGARE I LAVORATORI IL MODELLO PIU’ VICINO PARE LA GRECIA…NAPOLITANO AMMONISCE: “SAREBBE GRAVE UN ACCORDO SENZA IL CONTRIBUTO DELLE PARTI SOCIALI”
È in corso l’incontro tra il ministro del Welfare, Elsa Fornero, e i sindacati confederali sulla riforma del mercato del lavoro.
Il ministro Fornero cerca di stringere i tempi e incassare il sì del sindacato in vista del tavolo a Palazzo Chigi.
All’incontro oltre al ministro Fornero partecipano il viceministro Michel Martone, i segretari generali di Cgil, Susanna Camusso, di Cisl, Raffaele Bonanni, di Uil, Luigi Angeletti, e dell’Ugl, Giovanni Centrella.
Sul tavolo ci sono diversi temi, ma il nodo da superare resta quello dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Per iniziare l’incontro, le parti sociali hanno dovuto attendere che Elsa Fornero terminasse l’incontro con il Capo dello Stato, durato circa un’ora, a con era presente anche il premier Mario Monti.
Ore decisive per la riforma del mercato del lavoro.
In una giornata cominciata presto e ancora da chiudere, in un vortice di contatti e di incontri alla vigilia del tavolo di martedì a Palazzo Chigi anche con il premier Mario Monti, i sindacati cercano una base comune, una mediazione sull’articolo 18, per evitare la rottura e andare avanti uniti.
Mentre il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, esorta le stesse parti sociali perchè «mostrino di intendere che è il momento di far prevalere l’interesse generale su qualsiasi interesse e calcolo particolare».
Sarebbe «grave – dice – la mancanza di un accordo».
E con il presidente della Repubblica, il premier Monti e il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, hanno avuto in serata un colloquio, incentrato proprio sulla riforma del mercato del lavoro.
In vista dell’incontro con il governo, considerato decisivo per chiudere la partita, anche i leader di Cgil, Cisl e Uil si sono riuniti nella sede della Cgil per trovare una posizione comune sulla modifica dell’articolo 18.
Anche se Susanna Camusso ha smentito l’esistenza di un documento condiviso sulla questione: «Non c’è».
Così il segretario della Cgil, al termine dell’incontro con i leader di Cisl e Uil: «Si sta lavorando, si vedrà – ha aggiunto- ci continuiamo a sentire».
Il fine settimana è stato segnato da dichiarazioni del governo che ha ribadito con il premier Mario Monti – che martedì presiederà il tavolo – e il ministro del Welfare, Elsa Fornero, la volontà di varare la riforma entro questa settimana, con o senza l’assenso delle parti sociali.
I sindacati non hanno gradito la presa di posizione e hanno annunciato di non dare per scontato che l’accordo ci sarà dopo che la settimana scorsa sembrava che la cosa fosse sostanzialmente fatta.
Nodo principale per i sindacati resta la modifica dell’articolo 18.
Il modello sul quale punta il governo è quello tedesco.
Il reintegro continuerebbe a essere garantito per i licenziamenti discriminatori. Possibile invece il licenziamento individuale per ragioni economiche a fronte di un indennizzo.
Spetterà invece al giudice valutare, in caso di licenziamento per motivi disciplinari, se reintegrare il lavoratore o assegnargli un indennizzo.
Si punta anche a velocizzare la durata delle cause del lavoro.
Il leader della Uil, Luigi Angeletti, di solito dialogante, si è messo di traverso sulla possibilità che ci siano licenziamenti per motivi disciplinari.
Anche Susanna Camusso che aveva aperto, nonostante le pressioni interne della Fiom, a modifiche sull’articolo 18 è tornata su posizioni più rigide.
A favore di una mediazione a oltranza il leader Cisl, Raffaele Bonanni.
Nel pomeriggio la Fornero incontrerà i rappresentanti di Rete Imprese Italia scontenti invece per i costi della riforma che aumenta i contributi a carico delle imprese per i contratti a termini e prevede una sorta di contributo in caso di licenziamenti.
I metalmeccanici intanto hanno già deciso: due ore di sciopero da indire martedì in tutte le fabbriche contro ogni eventuale modifica dell’art. 18.
È questa la proposta avanzata dal segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, al Comitato centrale riunito lunedì.
«Proprio perchè ad oggi le condizioni per un accordo positivo non le vediamo – ha spiegato Landini – perchè le condizioni del Governo non sono accettabili e l’esecutivo vuole mettere mano all’art. 18, propongo che il Comitato centrale proclami per martedì almeno due ore di sciopero con modalità da definire in tutto il territorio nazionale per dire che non siamo disponibili ad accettare una modifica dell’art. 18. L’art. 18 non si può mettere in discussione».
«Io ho sempre sostenuto che il mio impegno è massimo perchè si raggiunga un’intesa» con le parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro. Lo ha detto il ministro del Welfare, Elsa Fornero, nel corso del suo intervento al convegno “TuttoPensioni” organizzato dal Sole 24 Ore.
«Credo con molta sincerità – ha aggiunto – che una riforma raggiunta con il consenso delle parti sociali abbia un valore aggiunto che la stessa riforma approvata senza il consenso non ha».
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Marzo 19th, 2012 Riccardo Fucile
UNA FAMIGLIA SI TRASCINA UN DEFICIT STATALE PARI A 88.000 EURO… NELL’ULTIMO ANNO E’ AUMENTATO IL CARICO FISCALE DI 998 EURO AD ABITANTE, DI 2732 A FAMIGLIA
In un anno, da febbraio 2011 a gennaio 2012, il debito pubblico è passato da 1.875,917 a 1.935,829 euro, con un aumento di 59,912 miliardi.
Pertanto, solo nell’ultimo anno, l’aumento del carico per ciascuno dei 60 milioni di residenti, neonati compresi, è stato pari a 998 euro, mentre per ciascuna famiglia l’onere è cresciuto di 2.723 euro.
Lo rilevano Adusbef e Federconsumatori, aggiungendo che sulle spalle di ciascun italiano grava dunque un debito pari a 32.300 euro e su ciascuna famiglia di 88mila euro.
Dal 1996 in poi, sottolineano ancora Adusbef e Federconsumatori, gli incrementi del debito pubblico sono andati crescendo di volume: il primo governo di centro sinistra (1996-2001) ha proceduto a colpi di 2,7 miliardi di euro al mese.
Col successivo governo Berlusconi (2001-2006) siamo arrivati ad oltre 3,8 miliardi al mese.
Il nuovo governo Prodi (2006-2008) ha ritoccato le emissioni portandole a 3,9 miliardi al mese.
Con l’ultimo governo Berlusconi (2008-2011) l’incremento si impenna fino a superare i 6 miliardi al mese.
Ma sotto il governo Monti la cifra è addirittura raddoppiata arrivando a quasi 15,5 miliardi di euro al mese e “raggiungendo un record difficilmente superabile”.
Le due associazioni ricordano anche la loro ricetta per ridurre il debito pubblico, ripetuta negli ultimi 10 anni: la soluzione, dicono, “passa per la vendita dell’oro e delle riserve di Bankitalia, non più necessarie a garantire la circolazione monetaria, la lotta agli sprechi ed alla corruzione, i tagli dei privilegi ovunque siano annidati, il tetto agli stipendi dei manager pubblici, la sostituzione delle auto blu in tutti i settori (nessuno escluso) con l’abbonamento ai servizi pubblici di trasporto locale e nazionale, la riduzione dei finanziamenti pubblici ai partiti”.
Per rilanciare l’economia in recessione, infine, “occorre finalizzare almeno il 50% dei prestiti triennali di 251 miliardi di euro, che le banche hanno ricevuto dalla Bce al tasso dell’1%, costituendo un fondo straordinario per ridare ossigeno alle famiglie ed alle imprese strangolate, ad un tasso non eccedente il triplo, introdurre l’accisa mobile sui carburanti per impedire un surplus fiscale (ben 4 miliardi di euro negli ultimi anni incassati dallo Stato), congelare l’aumento dell’Iva previsto dal 1 ottobre dal 21 al 23% ed i rincari dell’Iva intermedia che vanno a gravare sui beni di prima necessità “.
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Marzo 19th, 2012 Riccardo Fucile
L’AZIENZA ESTERNALIZZA E IL LAVORO SI PERDE IN UNA ZONA GRIGIA SENZA REGOLE…”TRASFERTE A SPESE NOSTRE, FERIE NON PAGATE, CHI SI AMMALA PERDE IL LAVORO, NIENTE MATERNITA”…”CERTE IMPRESE SCOMPAIONO E RECUPERARE I SOLDI E’ DURA”
Aggrappati ai cancelli, a scambiarsi informazioni in mille lingue.
Eppure nessuno di loro è dipendente del colosso pubblico della cantieristica. “Sono quelli degli appalti esterni”, così vengono chiamati dai colleghi di Fincantieri.
Gli ultimi degli ultimi, l’anello finale della catena. Basta chiedere loro di mostrarti la busta paga: le voci previste dalla legge sembrano esserci, il reddito è di 1.300 euro, come per tanti colleghi “regolari” italiani.
Ma si chiama “paga globale” e comprende tutto: tredicesima, indennità , tfr.
Lo stipendio vero è poco più della metà .
Ma c’è dell’altro: “Le trasferte sono a spese nostre, le ferie non sono pagate”, giura Abdul, tunisino. Aggiunge: “Se ci ammaliamo perdiamo il lavoro”.
E niente maternità : Romina voleva fare un figlio, ha rinunciato. Chissà , forse dopo un passaggio in ospedale, quando glielo chiedi abbassa lo sguardo.
Accade a Sestri Ponente, come a Porto Marghera e in altri stabilimenti del gruppo.
Vengono in mente gli appelli di Giorgio Napolitano al rispetto delle leggi in materia di lavoro. Chissà se il presidente immagina che cose di questo genere sono quasi la norma nella cantieristica. Privata, ma anche pubblica. A Genova, davanti all’ufficio di Bruno Manganaro (Fiom-Cgil), ogni mattina si presentano decine di lavoratori che prestano la loro opera a Fincantieri. Sono “quelli degli appalti esterni”. Gente che arriva da cinquanta paesi, perchè i cantieri sono una Babele, dove si parlano mille lingue e non esiste razzismo (alla mensa esistono cibi diversi a seconda della confessione religiosa). Ma tra questi super-precari non è raro trovare italiani.
Ormai è la regola: nei periodi di boom i dipendenti di Sestri erano un migliaio, quelli degli appalti esterni 2.000.
Racconta Manganaro: “Dagli anni Ottanta Fincantieri, ma non è la sola, ha deciso di esternalizzare. Il motivo dichiarato era la concorrenza asiatica”.
Oggi fino all’80 per cento di una nave viene appaltato a grandi imprese che a loro volta subappaltano. E qui i controlli si perdono: “Alla fine gli operai vengono assunti da società che spuntano come funghi, spesso vengono dal sud. O magari dalla Romania”.
Certo, ci sono anche società serie. Per altre, però, il discorso è diverso: “Assumono, ma verso la fine del contratto spariscono. Recuperare i soldi da una ditta romena è dura” racconta Manganaro. Davanti a lui una fila di lavoratori rimasti senza stipendio.
Ma non sono solo i soldi, anche se ci muoviamo sull’orlo della miseria: “Con gli appalti gli incidenti sul lavoro si sono moltiplicati”, assicura Sandro Bianchi che per la Fiom si è occupato di Fincantieri per anni.
Dalle denunce di Luca Trevisan e Giorgio Molin della Fiom di Venezia che si occupa di Porto Marghera è partita un’inchiesta della Procura.
Si parla di operai esterni che lavorano 250 ore al mese, cioè otto ore al giorno, sabati e domeniche comprese.
Vuol dire fatica immane, ma anche rischiare la pelle: “Quando sei su una nave maneggi pesi di tonnellate, usi macchinari che se ti scappano di mano ti ammazzano” racconta Gabin.
Aggiunge: “I nostri colleghi ‘regolari’, giustamente, pretendono che siano rispettate le norme di sicurezza. Ma noi non possiamo fare storie. Rischiamo il licenziamento e poi c’è di mezzo il permesso di soggiorno”. Allora si va avanti, si entra nei cunicoli tra le due carene dove devi fare saldature al buio, quasi senza aria. Un errore e soffochi.
Finiti i turni si torna a casa, se si può chiamare così: appartamenti dove vivono anche in venti. Magari procurati dalle stesse ditte che fanno la cresta anche sull’affitto.
“Possibile che Fincantieri non sappia nulla?” si chiedono i sindacalisti Fiom.
Bianchi racconta: “Abbiamo siglato accordi con la società . Noi accettavamo gli appalti esterni purchè ci fosse un tetto quantitativo e qualitativo. Ma poi non è andata così. Gli appalti non fanno risparmiare soldi, perchè una manodopera non qualificata abbassa la qualità e può produrre danni. Invece si appalta tutto, anche la progettazione, disperdendo il know how”.
Fincantieri non ci sta: “In tutto il mondo la cantieristica si basa sull’esternalizzazione. Solo il 20-30 per cento del lavoro è compiuto dal cantiere. Ma non è il far west: facciamo controlli sulle condizioni di lavoro, sul pagamento di stipendi e contributi. Ce la mettiamo tutta, anche se c’è sempre chi non rispetta la legge”.
Intanto “quelli degli appalti esterni” aspettano davanti ai cancelli di Fincantieri oppure a quelli delle Riparazioni Navali del porto.
Ma sono già pronti a emigrare in Germania.
Anche all’estero hanno bisogno di lavoratori che non fanno problemi.
E poi Ifriom, Gabin, Vladimir non hanno molto da perdere: niente casa, niente famiglia.
Niente.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 19th, 2012 Riccardo Fucile
OGNI DUE MESI UN AGENTE DI CUSTODIA SI TOGLIE LA VITA, IMPICCANDOSI O SPARANDOSI: E’ L’ALTRA FACCIA DELL’INFERNO DEL SISTEMA PENITENZIARIO, FATTO DI DEGRADO, TAGLI AGLI ORGANICI E FATISCENZA DELLE STRUTTURE
Un cappio legato al collo o un colpo di pistola: di solito le guardie carcerarie decidono di farla finita così.
Sì, perchè in Italia di carcere non muoiono solo i detenuti.
Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria stima, dal 2000 ad oggi, 68 suicidi tra gli agenti carcerari.
Solo lo scorso anno ne sono avvenuti otto.
Numeri discordanti da quelli censiti dai sindacati autonomi di categoria, che confermano le stime sul 2011, sostenendo però che in totale sono 88 quelli che si sono tolti la vita nell’ultimo decennio.
In ogni caso, un bollettino di guerra.
E nei primi due mesi del 2012 al lungo elenco si sono aggiunti altri due ‘baschi azzurri’: entrambi prestavano servizio a Rebibbia, Roma.
Fatti che testimoniano, se ce ne fosse ancora bisogno, il pessimo stato di salute del sistema penitenziario italiano, affetto da mali cronici come sovraffollamento, inadeguatezza strutturale e carenza di personale.
L’ultima ‘pianta organica’ della Polizia Penitenziaria risale al maggio 2000 e prevede 45.121 agenti.
A quella data il corpo contava 42.800 unità e la quota fissata era in linea con la capienza delle carceri.
Ma nell’ultimo decennio l’organico è calato costantemente, complice il blocco del turnover non sono stati rimpiazzati i 700 agenti che ogni anno vanno in pensione: attualmente gli effettivi in servizio sono circa 38 mila.
Con un sottorganico che sfiora le 7.000 unità , gli agenti sorvegliano 66.632 detenuti, censiti il 29 febbraio dal ministero della Giustizia, ammassati uno sopra l’altro perchè la capienza regolamentare dei 206 penitenziari italiani è di 45.742 posti.
Una situazione che genera continue tensioni, come testimoniano le oltre 5.000 giornate di lavoro perse ogni anno in seguito alle aggressioni subite da parte dei detenuti.
Per affrontare la piaga sovraffollamento, a febbraio il Parlamento ha varato il decreto salva carceri approntato dal Governo Monti, che punta a diminuire il numero di accessi negli istituti di pena, ma la cui efficacia è ancora da valutare.
Per l’emergenza suicidi tra le guardie carcerarie le risposte sono state solo parziali.
Ad aprile 2008, dopo due casi nell’arco di pochi giorni, l’allora capo del Dap Ettore Ferrara annunciò la creazione di un apposito call center dedicato gli agenti.
Ma il servizio non è mai partito.
Gli anni passano e i problemi restano gli stessi.
A ottobre 2011, dopo l’ennesimo caso, l’ex numero uno del Dap Franco Ionta ha istituito una commissione di studio sul fenomeno.
«Nella lunga serie di suicidi tra la Penitenziaria a volte c’è un mix di fattori personali e cause di servizio che può risultare fatale», spiega Donato Capece, segretario del Sappe.
Poi sottolinea: «Spesso gli agenti vivono per lunghi periodi lontano dalle loro famiglie, accumulano turni su turni per riuscire a ottenere un paio di riposi in fila e poter tornare qualche giorno nelle loro città . Una volta a casa si trovano di fronte i problemi di una famiglia da cui sono assenti, e il peso di tutte queste responsabilità può travolgerli».
Non è raro che in cella gli agenti si trovino faccia a faccia con la morte, in molti casi sono i primi a trovare i corpi dei detenuti che si tolgono la vita.
Nei casi in cui dopo il decesso di un detenuto viene aperto un fascicolo di inchiesta, «capita anche che gli agenti vengano sospesi dal servizio, con stipendio dimezzato, altre volte vengono trasferiti in un’altra struttura», spiega ancora Capece.
Che respinge al mittente le accuse di negligenza: «Con questo organico non possiamo svolgere al meglio il nostro compito, soprattutto nei penitenziari più grandi di notte una sola persona sorveglia anche 100 detenuti.
A Rebibbia mediamente ci sono 25 unità in servizio nel turno di notte, distribuite su 8 padiglioni: come possono sorvegliare a dovere oltre 1.700 detenuti?».
Lo scorso 13 dicembre è stato bandito un concorso per 455 nuove guardie carcerarie, 375 uomini e 80 donne.
La selezione è attesa entro l’estate, con oltre 4.200 candidati in lizza. Basterà per risolvere i problemi della Polizia Penitenziaria?
Andrea Managò
(da “L’espresso on line”)
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Marzo 19th, 2012 Riccardo Fucile
SOLO PD E FLI FANNO CERTIFICARE I LORO BILANCI DA UNA SOCIETA’ ESTERNA DI REVISIONE, GLI ALTRI FANNO TUTTO IN FAMIGLIA
Trasparenza e controlli: zero.
La lezione che impartisce la penosa vicenda dei rimborsi elettorali assegnati alla Margherita e finiti ancora non si sa esattamente dove, eccola.
Per troppo tempo si è fatto finta di non vedere che i bilanci dei nostri partiti non rispondono a nessuno dei requisiti cui dovrebbe sottostare chiunque maneggi denaro pubblico.
Verifiche esclusivamente formali, ipocrisie procedurali, opacità spesso garantita.
Con l’aggravante che tutto questo è consentito da una legge dello Stato, approvata alla fine degli anni 90, alla quale è allegato persino un modello contenente le voci da compilare.
Entrate, uscite, debiti, crediti, proprietà …
C’è proprio tutto.
Ma i controlli? Il solo Partito democratico, dai tempi della segreteria di Walter Veltroni, affida volontariamente l’esame dei propri conti a una primaria società di revisione.
Mentre il Fli di Gianfranco Fini ha recentemente introdotto questa disposizione nel suo statuto.
Nessun altro partito fa certificare il bilancio: semplicemente perchè la legge non li obbliga a farlo.
Ai controlli ci pensa un collegio sindacale interno. Il quale è composto normalmente da fedelissimi della segreteria politica e dal tesoriere, che è il vero dominus delle finanze del partito.
Tutto in famiglia, insomma, al riparo da occhi indiscreti.
Dissociarsi da questa linea, come aveva fatto il Pd ai tempi di Veltroni coinvolgendo qualche controllore esterno, è un atto anch’esso volontario.
La legge non prescrive assolutamente nulla circa l’indipendenza dei sindaci.
Vero è che i bilanci devono essere presentati al Parlamento, dove c’è un apposito comitato che ha l’incarico di esaminarli.
Si tratta però di una presa d’atto squisitamente formale. Il comitato si limita a verificare che il documento contabile sia stato compilato correttamente, secondo il famoso modulo allegato a quella legge approvata alla fine degli anni 90.
Altro non può fare.
Di più.
Nonostante i partiti siano finanziati con una valanga di contributi pubblici, la Corte dei conti non ha alcuna possibilità di metterci il becco.
L’unico compito che le è affidato è quello di esaminare i rendiconti delle spese elettorali. Senza però alcun potere sanzionatorio: i magistrati si devono limitare a segnalare al Parlamento eventuali irregolarità .
La legge impone poi che i bilanci siano resi pubblici. E ci mancherebbe altro. Finiscono sulla Gazzetta Ufficiale e su qualche giornale.
Nessuna norma, però, stabilisce che i conti dei partiti debbano essere accessibili pure su Internet.
Con il risultato che talvolta si è costretti a una specie di caccia al tesoro per rintracciarli. La forma, come sempre, è salva.
La sostanza molto meno.
Si potrebbe continuare ricordando che con un decreto «mille proroghe», varato poche settimane prima delle elezioni politiche del 2006, è stata portata a 50.000 euro la soglia al di sotto della quale un contributo privato a un partito può restare comodamente anonimo.
Ma già ce ne sarebbe abbastanza per pretendere che la legge sui bilanci delle organizzazioni politiche venga cambiata con la velocità del fulmine, introducendo controlli reali su come i nostri soldi vengono spesi. In Parlamento ci sono già delle proposte in tal senso.
Perchè non si tolgono dai cassetti e non vengono immediatamente discusse?
La fiducia nei partiti da parte dei cittadini è già ai minimi storici: la maleodorante storia dei soldi della Margherita può essere una mazzata letale.
Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera“)
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Marzo 19th, 2012 Riccardo Fucile
SESSANTA ORDINANZE DI CUSTODIA CAUTELARE EMESSE DAL TRIBUNALE DI NAPOLI… SEQUESTRI PER UN MILIARDO DI EURO, ACCUSE CHE VANNO DAL CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA AL RICICLAGGIO, DALLA CORRUZIONE AL FALSO IN ATTO PUBBLICO
Importante blitz della Guardia di Finanza napoletana contro un noto gruppo imprenditoriale nel settore degli alimentari, delle compravendite immobiliari, della gestione di alberghi e dei materiali ferrosi e con quattro divisioni di rilievo nazionale: il gruppo Ragosta.
Le accuse: associazione camorristica e riciclaggio.
E soprattutto impunità grazie alla complicità dei giudici tributari.
Nella notte eseguite sessanta ordinanze di custodia cautelare: ventidue persone in carcere, venticinque ai domiciliari, tredici divieti di dimora.
Sono ben sedici i giudici tributari coinvolti (tre in carcere e tredici ai domiciliari).
Tra questi otto funzionari impiegati presso le Commissioni Tributarie Provinciale e Regionale di Napoli, un membro del Garante del Contribuente della Campania e un funzionario dell’Agenzia delle Entrate di Napoli.
Oltre a loro anche diversi imprenditori e prestanome tutti in nome e per conto della camorra e del clan Fabbrocino egemone da sempre nella zona del nolano.
Oltre un miliardo di euro sequestrati: centinaia di beni non solo in Campania ma anche in Lombardia e direttamente nella città di Milano.
Per alcuni indagati è stata disposta la detenzione in carcere, per altri la misura degli arresti domiciliari, per altri ancora il divieto di dimora a Napoli.
Le Fiamme Gialle hanno, infine, sequestrato quote societarie, titoli azionari, fabbricati, conti correnti, terreni ed automobili per un valore di un miliardo di euro. Alle persone coinvolte nell’inchiesta, quasi tutte bloccate in Campania, solo alcune in Lombardia, sono contestati reati che vanno dal concorso esterno in associazione camorristica al riciclaggio, dalla corruzione in atti giudiziari al falso.
L’inchiesta riguarda “affari” illeciti di esponenti di rilievo del clan Fabbrocino.
Attraverso le indagini della Guardia di Finanza si è poi progressivamente allargata ad altre operazioni illecite, fino a coinvolgere imprenditori operanti nei settori della commercializzazione del ferro, della compravendita immobiliare e della gestione di alberghi ed ha infine chiamato in causa giudici tributari e funzionari pubblici.
Inquirenti e finanzieri hanno, infatti, accertato che decine di contenziosi tributari sarebbero stati oggetto di episodi di corruzione e che in tal modo si sarebbero risolti in maniera favorevole ai ricorrenti, spesso in odore di camorra, con grave danno per le casse dello Stato.
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Marzo 19th, 2012 Riccardo Fucile
L’ASSESSORE ALLA SICUREZZA DELLA REGIONE LOMBARDIA, FRATELLO DI IGNAZIO, E’ INDAGATO PER FINANZIAMENTO ILLECITO AI PARTITI NELL’INCHIESTA ALER…COINVOLTO ANCHE IL GENERO DI LA RUSSA, IL CONSIGLIERE COMUNALE OSNATO
Una nuova bufera giudiziaria si è abbattuta sul Pdl lombardo e sul Pirellone. L’assessore alla Sicurezza della Regione Lombardia, Romano La Russa (fratello dell’ex ministro Ignazio), è indagato per finanziamento illecito ai partiti nell’ambito dell’inchiesta sul caso Aler, l’Azienda regionale edilizia residenziale.
Lo si evince dall’avviso di chiusura delle indagini nei confronti di 12 persone indagate a vario titolo per turbativa d’asta, corruzione e illecito contributo elettorale.
Fra gli indagati c’è anche Marco Osnato, consigliere comunale Pdl a Palazzo Marino e genero dello stesso La Russa.
Nel corso dell’inchiesta – condotta dai pubblici ministeri Maurizio Romanelli e Antonio Sangermano – è emerso che due dirigenti dell’Aler avrebbero eluso, in concorso con cinque service manager, “gare a evidenza pubblica operando il frazionamento degli affidamenti a diverse ditte”, mentre l’illecito finanziamento riguarda il contributo elettorale di oltre 10mila euro corrisposto da un imprenditore per finanziare candidature alle elezioni regionali 2010 e municipali milanesi nel 2011. Tra i beneficiari del finanziamento illecito ci sarebbero sia La Russa sia Osnato.
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Marzo 19th, 2012 Riccardo Fucile
IL CANDIDATO DEL CENTROSINISTRA POTREBBE PASSARE GIA’ AL PRIMO TURNO… A UN EVENTUALE BALLOTTAGGIO PREVARREBBE SU MUSSO 58% A 42%… IL SONDAGGIO E’ STATO REALIZZATO POCO DOPO CHE IL PDL AVEVA UFFICIALIZZATO IL NOME DI VINAI CHE QUINDI POTREBBE ANCORA RIEQUILIBRARE IL RAPPORTO DI FORZE CON MUSSO
Marco Doria vince di brutto, potrebbe anche risultare il quarantesimo sindaco di Genova già al primo turno. Raccoglie già il 48% dei consensi ed è dato in crescita.
Il suo principale avvrsario, allo stato attuale Enrico Musso, è staccato di 27 lunghezze e anche in caso di ballottaggio perderebbe male, 58% a 42%.
E’ quanto emerge dal sondaggio riservato della Swg, commissionato dal Pd genovese, di cui si parla da qualche giorno nel mondo politico genovese e rimasto finora segretato (ma oggi “Repubblica” lo rende noto).
I numeri dicono Doria (Pd, Sel, Idv) al 48%, Musso (lista civica, Udc, Fli) al 21%, Vinai (Pdl) al 12%, Rixi (Lega) al 9% Putti (Cinque Stelle) al 6%.
Sotto l’1% i candidati minori.
Con una precisazione di cui tenere conto: il sondaggio è stato realizzato pochi giorni dopo che il Pdl aveva ufficializzato il nome del proprio candidato Vinai, ancora poco veicolato quindi a livello di immagine, e pertanto dato in crescita in prospettiva., nel gioco della ridistribuzione dei voti tra centro e centrodestra.
Il rapporto Musso 21%-Vinai 12% è tutto da verificare nel tempo: non a caso nel centrodestra parlano di un altro sondaggio che darebbe ribaltato il rapporto di forze tra i due, a vantaggio di Vinai.
Ma restiamo ai dati Swg: la lista personale di Doria raccoglierebbe un 8%, portando il Pd al 28%, Sel al 6% e Idv al 6%.
Il candidato della Lega, Rixi, raccoglierebbe pari pari i voti del suo partito, il 9%, non uno di più.
Come avevamo previsto, Doria viene riconosciuto come il “nuovo” e sta riuscendo a mobilitare il “popolo del centro-sinistra”, in passato spesso diviso.
Solo il 6% dei “grillini” potrebbe impedirgli una clamorosa affermazione al primo turno.
Dall’altra parte il Pdl (accreditato di una percentuale maggiore dei partiti che appoggiano il candidato centrista Musso) deve impedire il voto disgiunto a favore di Musso se vuole avere speranze di arrivare al ballottaggio.
La partita nell’ambito del centrodestra si giocherà sulla base della credibilità dei due candidati: Musso è in corsa da tempo ed è persino più conosciuto di Doria, a Vinai il difficile compito di recuperare il tempo perso dal Pdl in sterile polemiche interne.
Almeno per arrivare al ballottaggio e salvare la faccia.
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