Marzo 8th, 2012 Riccardo Fucile
SECONDO I PM: “FU TRADITO DA UN CARABINIERE”… E AVANZANO LA DRAMMATICA IPOTESI PER IL MOVENTE DELLA STRAGE
Dopo aver svelato il depistaggio del falso pentito Vincenzo Scarantino, la Procura di Caltanissetta prova a rimettere in ordine i tasselli della complicata indagine attorno alla morte del giudice Paolo Borsellino.
Determinante si è rivelata la collaborazione del pentito Gaspare Spatuzza, l’ex killer di Brancaccio che rubò la Fiat 126 poi imbottita di esplosivo: nei mesi scorsi, le sue dichiarazioni hanno portato alla scarcerazione di sei innocenti; adesso, fanno scattare quattro ordinanze di custodia cautelare, che sono state firmate dal gip Alessandra Giunta.
Questa mattina, i provvedimenti sono stati notificati in carcere dalla Dia al capomafia pluriergastolano Salvino Madonia (è accusato di aver partecipato nel dicembre 1991 alla riunione della Cupola in cui si decise l’avvio della strategia stragista) e ai boss Vittorio Tutino e Salvatore Vitale (il primo rubò con Spatuzza la 126 per la strage; il secondo abitava nel palazzo della madre di Borsellino, in via d’Amelio, e avrebbe fatto da talpa agli stragisti).
Un quarto provvedimento riguarda il pentito Calogero Pulci, era l’unico in libertà : è accusato di calunnia aggravata, perchè con le sue dichiarazioni avrebbe finito per fare da riscontro al falso pentito Vincenzo Scarantino.
La Procura aveva chiesto l’arresto di una quinta persona, il meccanico Maurizio Costa, a cui Spatuzza si rivolse per sistemare i freni della Fiat 126, ma il gip ha rigettato la misura.
Costa resta indagato a piede libero per favoreggiamentro aggravato.
Ecco, dunque, un primo importante passo avanti per fare luce sui misteri che vent’anni dopo ancora si addensano attorno a via d’Amelio.
La nuova inchiesta porta la firma del procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, degli aggiunti Domenico Gozzo e Amedeo Bertone, dei sostituti Nicolò Marino, Gabriele Paci e Stefano Luciani.
Con i magistrati lavora ormai da anni una squadra della Dia di Caltanissetta, coordinata dal vice questore aggiunto Ferdinando Buceti.
L’ultimo atto d’accusa della Procura nissena si compone di 1670 pagine, riportate e analizzate nel provvedimento del gip: i magistrati ricostruiscono non solo la fase esecutiva della strage, ma affrontano anche i delicati capitoli del movente e dell’eventuale coinvolgimento di uomini delle istituzioni.
Ecco alcuni passaggi cruciali del documento, con le ricostruzioni e le testimonianze che finiscono per chiamare in causa pezzi dello Stato.
Chi azionò il telecomando
I pm escludono che i mafiosi fossero appostati al Castello Utveggio di Montepellegrino, che sovrasta via d’Amelio. Secondo il racconto del pentito Fabio Tranchina, “è quasi certamente Giuseppe Graviano che azionò il telecomando”, scrivono i magistrati. “Era dietro il muro che delimitava la fine della via D’Amelio ed un retrostante giardino”. Graviano è stato già condannato per la strage del 19 luglio.
L’uomo del mistero
Il pentito spiega di aver portato l’auto in un garage di via Villasevaglios, per essere caricata di esplosivo. Era il giorno prima della strage. Assieme ad altri mafiosi c’era un uomo che Spatuzza non aveva mai visto.
Scrivono i pm: “Non è allo stato possibile affermare che l’uomo notato da Spatuzza fosse un uomo appartenente ai servizi di sicurezza per il solo fatto che il collaboratore non ebbe a riconoscerlo come appartenente a Cosa nostra”.
I magistrati aggiungono però: “Non si può escludere allo stato l’ipotesi di un coinvolgimento nella fase preparatoria della strage di personaggi “riservati”, ignoti a Spatuzza”. Ecco il primo dei misteri ancora da risolvere, per cui le indagini proseguono.
La trattativa e il “traditore”
Il secondo mistero riguarda l’agenda rossa di Borsellino, scomparsa sul luogo della strage. In quelle pagine, probabilmente, il giudice aveva annotato la sua ultima scoperta dopo la morte dell’amico Giovanni Falcone.
Non sappiamo con precisione cosa, però adesso le indagini di Caltanissetta dicono che Borsellino sapeva dei primi contatti intrapresi da alcuni carabinieri del Ros con l’ex sindaco Vito Ciancimino (contatti che poi si sarebbero trasformati in una trattativa Stato-mafia ancora oggi dai contorni poco chiari).
Lo riferisce ai pm il magistrato Liliana Ferraro, che qualche tempo prima era stata avvicinata proprio da un ufficiale del Ros: “Vidi Borsellino il 28 giugno e affrontai l’argomento”, precisa la Ferraro.
Il giorno dopo, Borsellino incontrò altri due colleghi magistrati, Alessandra Camassa e Massimo Russo. “Si distese sul divanetto del suo ufficio – ha messo a verbale la Camassa – e mentre gli sgorgavano le lacrime dagli occhi, disse: “Non posso pensare che un amico mi abbia tradito”.
Massimo Russo ha aggiunto: “Qualche giorno prima era stato a Roma e aveva avuto un pranzo, forse una cena, con alti ufficiali dei carabinieri. Fu lo stesso Borsellino a parlarcene a un certo punto”.
Sia la Camassa che Russo pensarono che il traditore fosse a quella cena. E adesso lo pensano anche i magistrati di Caltanissetta: “E’ probabile – scrivono – che il traditore fosse tra le persone incontrate”.
Così, dopo i verbali di Camassa e Russo, i pm inseriscono nella loro ricostruzione le dichiarazioni della moglie di Borsellino, Agnese. “Il 15 luglio, verso sera, conversando con mio marito in balcone lo vidi sconvolto, mi disse testualmente: “Ho visto la mafia in diretta, perchè mi hanno detto che il generale Subranni era “punciutu”.
Tre giorni dopo, durante una passeggiata sul lungomare di Carini, mi disse che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò potesse accadere”.
“Punciutu”, vuole dire mafioso. I pm osservano: “Un’inquietante confidenza in relazione alla figura del generale Subranni, capo del Ros dei carabinieri, proprio la struttura che stava conducendo la cosiddetta trattativa”.
Per questa ragione, Subranni è indagato dalla Procura di Caltanissetta per concorso esterno in associazione mafiosa.
Risentita nuovamente dai pm, la signora Borsellino ha aggiunto un ricordo: “Mio marito non mi parlò mai di trattativa, ma a metà giugno mi fece cenno a un colloquio tra la mafia e parti infedeli dello Stato”.
Ancora “metà giugno”, il periodo in cui Graviano avviò i preparativi per la strage, incaricando Spatuzza di rubare la 126.
Ecco il dilemma che si pongono i magistrati: “La trattativa fu tra i motivi aggiuntivi che hanno spinto Cosa nostra ad effettuare proprio nel luglio 1992 la strage di via d’Amelio per mera leggerezza di chi a quella trattativa ha partecipato? Ovvero (purtroppo) qualche ‘servitore dello stato infedele’ si spinse sino al punto di additare volontariamente il dottor Borsellino come ostacolo al buon fine della trattativa?”. Dopo aver riletto le dichiarazioni del pentito Giovanni Brusca i magistrati di Caltanissetta propendono per l’ipotesi più drammatica, “che qualcuno abbia riferito a Cosa Nostra che Borsellino era di ostacolo alla prosecuzione della trattativa”.
Così, il tentativo di bloccare le stragi si sarebbe trasformato nel più grande pasticcio (ovvero patto scellerato) della Repubblica.
La conclusione dei pm è amara: “Alcuni significativi risultati Cosa nostra li ha ottenuti. Si è accertato che i provvedimenti di carcere duro, i cosiddetti 41 bis, sono scesi vertiginosamente, dai 1200 in vigore alla fine del 1992 ai circa 400 alla metà del 1994”.
Chi decise? I pm non credono alla versione dell’ex Guardasigilli Conso, che si è assunto la totale responsabilità di quella scelta.
Così, ancora una volta, l’indagine torna nel cuore dello Stato.
Il “supertestimone” Ciancimino
Un contributo importante per risolvere i misteri di quei mesi i pm di Caltanissetta si aspettavano dal figlio dell’ex sindaco di Palermo.
Ma Ciancimino junior ha deluso, e non poco.
I pm sono disposti a concedergli solo un merito: “Ha contribuito a risvegliare la memoria di persone che, pur non direttamente chiamate in causa da lui, forse temevano che fosse a conoscenza di vicende inerenti la trattativa di cui essi erano stati testimoni privilegiati e che in precedenza non avevano mai rivelato ad alcuno”.
Per il resto, i pm nisseni parlano di “un giudizio finale sostanzialmente negativo sull’attendibilità intrinseca” di Massimo Ciancimino.
In un altro passaggio, i magistrati parlano addirittura di “pseudo collaborazione di Ciancimino”, che “sembra essere più favorevole agli interessi di Cosa nostra che a quelli dello Stato”.
Ma perchè questo atteggiamento? I pm ipotizzano che Ciancimino voglia ancora “salvaguardare il proprio patrimonio”, ma ipotizzano pure che dietro di lui “si nasconda una occulta cabina di regia”.
Salvo Palazzolo
(da “La Repubblica”)
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Marzo 8th, 2012 Riccardo Fucile
IL CAPPIO SVENTOLATO CONTRO LA CORRUZIONE NEL ’93 IN AULA E’ DIVENTATO UN’AUTOCONDANNA…DAI RAPPORTI CON IL BANCHIERE FIORANI PER SISTEMARE I CONTI DEL PARTITO AI GIORNI NOSTRI
Quando nacque e presto si affermò la Lega, primissimi anni 90, molti immaginarono e alcuni anche scrissero che c’ erano di mezzo finanziamenti esteri.
Chi diceva la Germania, chi la Libia, chi altre meno precisate nazioni comunque decisea disarticolare l’ Italia.
Poi, più modestamente, si scoprì che Bossi prendeva la macchina e scendeva a Ravenna a battere cassa dai Ferruzzi, che all’ inizio nemmeno lo ricevevano di persona, poi riuscì a entrare in contatto con Carlo Sama.
E quindi arrivò la prima, storica bustarella, per giunta a Roma, anzi, peggio, a via Veneto, consegnata da un emissario della Montedison a un ambasciatore del Senatùr fra i tavolini allora un po’ polverosi del bar Doney.
Erano 200 milioni, e per questa faccenda Bossi, il futuro ministro delle Riforme, è stato condannato in via definitiva a 8 mesi al processo Enimont.
Questo per dire che la Padania è nata molto prima dell’ innocenza e poi perchè in quella storia di primigenia corruzione, troppo presto oscurata da rabbiosi proclami magniloquenti e perfino da cappi di forca sventolati nell’ aula di Montecitorio, è già inscritto il rapporto della Lega con il denaro: un rapporto non solo furbo, ma anche cialtronesco, e come s’ intuisce oggi abbastanza sciagurato.
Basti ricordare che il messo padano che buscò materialmente la mazzetta, l’ indimenticabile Patelli, baffuto ex idraulico da tempo uscito dalla Lega e oggi organizzatore di cori gospel e di residualissime democrazie cristiane, spiegò ai magistrati di aver subito portato i quattrini nella sede e di averli chiusi a chiave in un cassetto: «Quella notte però la sede venne scassinata, portarono via carte di ogni tipo e sparirono anche i soldi».
Il che evidentemente autorizzò Bossi a inerpicarsi in una fantastica ricostruzione, per cui «scopriamo che con una mano il sistema dava, e con l’ altra toglieva. Questa – concluse – è roba da servizi segreti deviati, siamo caduti in un trappolone», e già .
Così, prima del Natale 1993, fu organizzata una colletta per i poveri militanti e i 200 milioni raccolti in una damigiana accreditati sul conto corrente della Procura.
L’ auto-sacrificio del Patelli espiatorio ebbe il suo culmine nel crudele riconoscimento: «Io sono un pirla».
Ma da allora in poi quanti altri impicci, tra buffi e crac, furfanterie e negligenze, stecche personali ed evasioni collettive hanno allietato le temerarie finanze del Carroccio!
Il caso Boni piove infatti sul bagnato.
Si può tentare un minimo di storia.
Per cui la fase secessionista coincide con iniziative costose e folli, tipo la Cuba di Fulgencio Batista: villaggi turistici e casinò in Croazia, sale bingo, agenzie turistiche, oltre all’ acquisto del sacro pratone di Pontida e a circuiti alimentari made in Padania.
E poi il quotidiano, il settimanale, la radio e visto che c’ erano pure la tv.
Ma soprattutto il sogno della banca leghista, Credieuronord, la madre di tutti gli scialacquatori, che di conseguenza si fece subito incubo.
Il ritorno al governo con Berlusconi servì soprattutto a ripianare i debiti, con la gentile collaborazione di un notaio e poi del banchiere Fiorani, che però non era esattamente un benefattore, ma pure lui a Roma ladrona aveva i suoi amici importanti da difendere e da baciare sulla fronte, come il governatore Fazio, e le sue rogne da grattarsi, e le sue magagne da ricompensare, e insomma i conticini correnti di alcuni ministri padani si rimpinguarono pure, ma i loro titolari se la videro brutta, e nel frattempo a Bossi gli era anche preso il coccolone.
A questo punto, 2003 e dintorni, nel sancta sanctorum del Sole alpino devono essere accadute cose tanto segrete e mnisteriose quanto decisive e illuminanti ai fini di ciò che sta accadendo oggi, tra cerchi magicie investimenti in Tanzania.
Ma nel complesso si può pensare che ormai da diversi anni alcuni esponenti leghisti, finora identificabili ai livelli bassi del movimento, abbiano addentato il succoso e nutriente, ma anche avvelenatissimo frutto del potere.
E le vicende saranno anche diverse fra loro, ma tutte rispondono a una caduta di tensione morale, come si diceva un tempo.
E gli allevatori, per esempio, guidati dall’ onorevole Robusti, non volevano pagare le multe.
E in Friuli l’ onorevole Ballaman scarrozzava parenti e amici con l’ auto di servizio.
E in Piemonte distribuivano posti secondo criteri molto, ma molto romani e meridionali, per dirla alla leghista.
E in Veneto beccavano un piccolo assessore, anzi due che buscavano quattrini su sponsorizzazioni e vendita di permessi di soggiorno, pensa tu; e l’ ex presidente del Consiglio, Cavaliere, era condannato per la bancarotta del maledetto villaggio turistico croato, che si doveva chiamare «Skipper»; e altri due assessori erano pizzicati dalle parti di Brescia, per via di un centro commerciale; e un altro, ritenuto un po’ troppo disinvolto sul fotovoltaico, rischiava l’ arresto alla provincia di Piacenza.
E insomma, adesso alla regione Lombardia è arrivato il botto.
E non è detto che anche stavolta si cercherà e magari si troverà qualcuno disposto a darsi del «pirla» o a invocare le trappole dei servizi segreti deviati. –
Filippo Ceccarelli
(da “La Repubblica“)
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Marzo 8th, 2012 Riccardo Fucile
SI ALLARGA IL CASO LOMBARDIA, ALTRI DIECI COINVOLTI… NUOVI PARTICOLARI SUL RACCONTO DELL’ARCHITETTO PENTITO: “LA SOMMA VENNE DA ME CONSEGNATA AL SEGRETARIO DI BONI NEGLI UFFICI DELLA REGIONE”
Nel corso del 2008 nell’ufficio del presidente del consiglio regionale della Lega, Davide Boni, sono state recapitate “sei o sette buste” piene di denaro.
“Gli ho dato effettivamente 200 mila euro”, racconta oggi il pentito dell’inchiesta milanese che sta facendo tremare il quartier generale leghista, l’architetto-mazzetta Michele Ugliola.
Solo un episodio di un “sistema” che, giorno dopo giorno, emerge sempre più nitido. All’indomani delle perquisizioni alla Regione Lombardia, l’indagine sul presidente leghista accusato di corruzione, si allarga ad altri dieci politici (gran parte persone dello staff di Boni), e ad altrettanti imprenditori.
Sembra quasi banale il modo in cui prende forma il dettagliato racconto dei pagamenti, che il pentito di questa inchiesta inizia a rendere, dall’estate scorsa, ai pm milanesi Alfredo Robledo e Paolo Filippini.
Per quella tranche da 200mila euro (solo una parte degli oltre 300 mila complessivi versati), “la somma venne da me data al Ghezzi (capo della segreteria di Boni e indagato), dal quale mi recavo la mattina presto, nel suo ufficio in Regione, in via Sassetti, all’undicesimo piano”.
Il pretesto era di prendere un caffè insieme, ricorda Ugliola, “poi gli consegnavo il denaro all’interno di una busta”.
La causale? Erano le percentuali per “gli affari andati in essere nel Comune di Cassano D’Adda (nell’hinterland milanese)”.
E lo stesso sistema sarebbe stato esteso anche ad altre pratiche ben più succose che necessitavano di un via libera regionale.
Il quadro descritto dal pentito inizia cinque anni fa.
“Intorno alla metà del 2007 conobbi Dario Ghezzi – racconta a verbale – già all’epoca capo di gabinetto di Davide Boni, che mi fu presentato dall’architetto Saldini (Silvio, ex delegato al Design del Pirellone, architetto di fiducia di Paolo Berlusconi). La presentazione era finalizzata al fatto che io potessi stipulare un accordo con lui e Boni perchè facilitassero l’ottenimento della valutazione d’impatto ambientale su alcune aree di Luigi Zunino (l’immobiliarista ex azionista di riferimento del gruppo Risanamento), che era mio cliente da metà degli anni Novanta”.
Una pratica da accelerare, insomma, e che aveva come commensali interessati anche altri esponenti della giunta del governatore Formigoni.
“Certamente – rammenta Ugliola – vi era un attenzione da parte di Saldini e dell’allora assessore alle Attività produttive, Franco Nicoli Cristiani (arrestato nel novembre scorso per tangenti), del cui assessorato Saldini era consulente”.
La combriccola della mazzetta muove i primi passi così: “Ghezzi si è dimostrato interessato fissando un incontro con Boni. Avvenne nell’ufficio di Ghezzi e nell’occasione stringemmo un accordo nel senso che Boni si impegnò a farmi ottenere la valutazione favorevole ai fini dell’autorizzazione commerciale, impegnandosi anche perchè rilasciasse quella di competenza di Nicoli Cristiani”.
A che prezzo? Per agevolare le aziende dell’immobiliarista Zunino, Boni e il suo staff avrebbe preteso molto: “Ottocentomila euro per il via libera all’area di Rodano Pioltello, 800 mila euro per l’area Falck di Sesto San Giovanni e di 200mila per l’area Santa Giulia”.
Uno sconto su un saldo totale già salato? Non proprio.
Il mistero è presto spiegato: “Preciso – aggiunge Ugliola – che la somma è minore perchè vi era già l’accordo di programma quindi la pratica amministrativa era in fase avanzata”.
Per chiarire nei dettagli i termini dell’affare, l’esponente della Lega Boni e il suo capo di gabinetto, a volte decidono anche di guardare in faccia gli imprenditore da “aiutare”.
“Ci fu l’incontro con Zunino, Boni e Ghezzi presso la foresteria negli uffici di Risanamento di via Bagutta, nel corso del quale si ribadirono questi impegni e Zunino confermò, alla loro presenza, il mio ruolo di suo consulente di fiducia in questi affari”. E qui entra in scena ancora Nicoli Cristiani.
L’area interessata, in questo caso, è “la Marconi 2000 di Varedo”.
A sollecitare un intervento dell’architetto ammanicato con il Palazzo Ugliola, è un altro immobiliarista, Gabriele Sabatini.
“Mi curi come hai curato Zunino?” gli avrebbe chiesto l’imprenditore.
E l’onnipresente Ugliola la richiesta la spiega banalmente così: “Questa sua frase significava che avrei dovuto occuparmi sia della progettazione tecnica sia dei rapporti con i politici regionali per ottenere le autorizzazioni necessarie con gli assessori Nicoli e Boni”.
Un interessamento che risale al 2009, ma che secondo lo stesso pentito “non si è poi concretizzato, perchè Sabatini rinunciò al piano”.
Sulle tangenti tra i leghisti e i rappresentanti del Pdl alla Regione Lombardia non sembrano esserci stati fraintendimenti, polemiche, incomprensioni.
Per la realizzazione a Lonate Pozzolo, nell’hinterland milanese, di un impianto per lo smaltimento di amianto, un pool di imprenditori stanzia 200 mila euro, “da destinare a tangenti per ottenere l’autorizzazione dei politici competenti”.
L’attentissimo Ugliola, non vuole farsi scappare l’ennesima occasione, e ne parla “con Boni, Ghezzi e Buscemi (ex assessore alle risorse idriche con delega ai Rifiuti).
Boni e Ghezzi ritennero l’importo offerto congruo e ne accettarono la promessa, mentre Buscemi in questa occasione non ne volle”.
Un moto d’orgoglio? Non proprio.
“Questa rinuncia è giustificata dal fatto che lui aveva un forte interesse ad ottenere la valutazione d’impatto ambientale, per la quale stavamo stipulando un incarico professionale per una società del suocero, tale Daccò (Piero, attualmente detenuto per il crac dell’ospedale San Raffaele fondato da don Luigi Verzè)”.
Emilio Randacio
(da “La Repubblica“)
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