AL DI LÀ DEL TUNNEL DELLA TORINO-LIONE, DIBATTITO E TANTI SOLDI: LA SCELTA FRANCESE
IN FRANCIA IL GOVERNO HA AGITO DIVERSAMENTE: PROGETTO RESO NOTO A TEMPO E DISCUSSO COI SOGGETTI INTERESSATI, NESSUNA FRETTA E ATTESA PER CONOSCERE L’IMPORTO VERSATO DALLA UE, L’86% DEI LAVORI ASSEGNATI PER LEGGE A IMPRESE DELLA ZONA
Ah, les italiens! Dall’altra parte del tunnel (che verrà ), il furore sulla questione Tav è un po’ la versione aggiornata della solita caciara all’italiana.
Perchè in Francia, finora, è andato tutto liscio, e il dèbat public è a un punto cruciale: come previsto dalla legge introdotta nel 1995, quando un’opera pubblica di grande impatto deve essere realizzata è obbligatorio per l’ente promotore render noto il progetto e consentire ai soggetti interessati (enti locali, cittadini, autorità ) di esprimere le proprie valutazioni e critiche.
Se il promotore ignora i suggerimenti o le richieste di modifica ricevute, si assume in pieno tutti i rischi derivanti da eventuali contestazioni e difetti conclamati, divenendo responsabile anche per ritardi, danni e ostacoli alla fruizione dell’opera.
Fino al 19 marzo, cittadini e amministratori francesi toccati dalla Lione-Torino potranno quindi dire la loro e avvisare il governo: se sbagli, poi paghi.
Ma il progetto vero e proprio per l’Alta velocità transalpina è ancora tutto da inventare, come ha dimostrato l’accordo siglato in pompa magna qualche giorno fa tra Italia e Francia: il primo articolo annuncia che il patto “non ha come oggetto di permettere l’avvio dei lavori definitivi della parte comune” rimandando a “un protocollo addizionale separato tenendo conto in particolare della partecipazione definitiva dell’Unione europea”.
Ovvero: siccome l’Ue deciderà quanto finanziare davvero dell’opera per una quota che può arrivare fino al 40 per cento, ma che potrebbe anche essere molto più bassa (visto il continuo lievitare di prezzi e tempi), i cugini francesi ci hanno detto chiaro e tondo di non avere molta fretta nel completare l’opera da 24 miliardi di euro.
La quale, tra l’altro, è un affare sicuro per loro: dell’intero tracciato noi pagheremo il 50 per cento pur ospitando sul territorio nazionale solo un quinto delle opere.
E soprattutto la Francia si vedrà finanziare un tratto di Alta velocità di suo esclusivo interesse, la Lione-Chambery, garantendosi la leadership nell’assegnazione di tutti gli appalti su tutto il tracciato.
Sarà per quello che i no-Tav francesi faticano a trovare sponde?
“La Lione-Torino è stata una vera fortuna per noi. Con Schengen avevamo perso un migliaio di posti di lavoro, perchè i controlli alla frontiera non servivano più” ha spiegato Jean Claude Raffin, sindaco di Modane, il paese dove sbucherà la galleria e che ha già ricevuto dalla compagnia ferro-viaria Ltf 100 mila euro di sovvenzioni. Soldi buoni, che si aggiungono agli accordi già stipulati sui business futuri: l’86 per cento dei lavori devono essere assegnati a imprese locali, le maestranze devono pernottare nelle aree dei lavori, e per chi volesse gestire lo smaltimento e l’utilizzo dei materiali di risulta a scopo industriale si aprirebbero percorsi imprenditoriali superfacilitati.
Inoltre, fisco più leggero per gli abitanti della zona (circa un quarto dei valsusini, dislocati in territorio ampio e non in una stretta valle) e vari progetti di compensazione da attuarsi man mano che l’opera procede.
Anche il governo Monti ha mostrato interesse per la via compensativa: subito 20 milioni di euro sbloccati dal Cipe per rattoppare la “linea ferroviaria storica Torino-Bussoleno — ha detto ieri raggiante il governatore piemontese Roberto Cota —, perchè non possiamo abbandonare i pendolari che ogni giorno usano il treno per andare al lavoro”.
Ecco la chiave, antica e un po’ dèmodè, che potrebbe far scattare i meccanismi dell’ingranaggio.
Se il premier decidesse di mettere in secondo piano il ruolo del commissario al Tav Mario Virano, ormai usurato da anni di frizioni coi comitati, per arrivare a calcolare persino un’uscita del progetto dalle Grandi Opere verso una più morbida gestione con legge ordinaria — e connessa partecipazione degli enti locali —, lo scenario muterebbe totalmente.
Col pieno consenso dei tanti che attendono impazienti la tintinnante manna europea: banche, imprese, politici.
Chiara Paolin
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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