Marzo 22nd, 2012 Riccardo Fucile
LA RIFORMA DEL LAVORO ACCENDE LA DISCUSSIONE NEL PARTITO: CENTINAIA DI INTERVENTI, TRA L’OBBLIGO DI NON FAR CADERE IL GOVERNO E L’ESIGENZA DI DIFENDERE I DIRITTI DEI LAVORATORI
I rapporti con la Cgil. I veti incrociati. La necessità di risolvere le tensioni interne per garantire la sopravvivenza del partito. La riforma del lavoro annunciata dal governo di Mario Monti accende la discussione nel Partito Democratico.
Dai vertici ai militanti: un confronto che prosegue senza sosta dalla serata di ieri.
E sui social network l’attenzione degli elettori del partito di Pierluigi Bersani è alle stelle.
Le richieste sono tante, difficili da tenere insieme: appoggiare il governo, non retrocedere di un passo sull’articolo 18, modernizzare salvaguardando i diritti dei lavoratori. E in tanti avvertono questo passaggio come decisivo per il futuro del Pd.
I messaggi diretti a Bersani e ai leader dei democratici sono centinaia.
E se in tanti considerano positivi molti punti della riforma Monti-Fornero – “la retribuzione degli stage, il nuovo regime dei co.co.co. sono misure importanti” – il punto dolente è la parziale riscrittura dell’articolo 18.
Il solo indennizzo previsto per i licenziamenti economici non soddisfa gli elettori del Pd.
C’è chi scrive: “Voto Pd da sempre. Ma adesso mi toccherà spostarmi più a sinistra”. Ancora: “Ma cosa state combinando? Come si fa ad accettare tutto questo? La libertà di licenziamento avrà risultati devastanti”.
Certo, c’è chi appoggia il segretario e confida nella “discussione parlamentare”.
Ma non manca chi fa notare differenze di peso politico all’interno della maggioranza che sostiene Monti: “Caro Bersani, il Pdl riesce e vince sui Taxi, sulle Farmacie, sui Notai, sull’asta delle frequenze TV, la responsabilità dei giudici, le intercettazioni, la concussione, la corruzione. Il Pd, invece, accetta la nuova riforma delle pensioni con la disperazione dei lavoratori che si sono dimessi a pochi anni dal pensionamento, l’aumento delle tasse, la diminuzione del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni. E oggi l’articolo 18”.
Sullo sfondo, un interrogativo diffuso: “Ma chi dovrebbe difendere le classi più deboli in questo Governo?”.
In tanti si affidano a slogan. Secchi, decisi.
“Non voterò chi appoggerà questa riforma”, “Meglio scendere in piazza con la Fiom e la Cgil”, “Speriamo che gli altri partiti di sinistra si sveglino”.
C’è chi immagina spostamenti di consenso verso Sinistra e Libertà e Italia dei Valori, perchè “almeno loro hanno una posizione chiara”.
Le accuse sono dure: “Vi lascio ai vostri inciuci. Speriamo che Vendola e Di Pietro si sveglino”.
Ancora: “Bersani, vi scongiuro, a questo punto è meglio che non facciate più niente. Ve lo chiede un lavoratore. Detto questo, il mio voto potete dimenticarvelo”.
Sullo sfondo, le due anime del Pd.
C’è chi sottoscrive le parole di Enrico Letta: “Lavoreremo ancora fino alla fine per soluzioni più condivise, ma il nostro voto favorevole non può essere messo in discussione”.
E chi condivide e rilancia quelle dei rappresentanti della sinistra del Partito.
Come Stefano Fassina: “La riscrittura dell’articolo 18 non va bene, perchè rischia di rimanere un guscio vuoto con un notevole allargamento delle possibilità di licenziamento”.
Carmine Saviano
(da “La Repubblica“)
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Marzo 22nd, 2012 Riccardo Fucile
DEMOCRATICI DIVISI SULL’ESITO DEL NEGOZIATO: FIORONI APPREZZA, FASSINA NO… IL PD COSTRETTO A DIRE SI’ MA IL LEADER TEME TENSIONI SOCIALI E LO STRAPPO CON LA CGIL
Al Pd lo hanno battezzato il «disaccordo concordato». 
E ai più anziani tra i dirigenti del partito ha ricordato un termine del politichese del tempo che fu: le convergenze parallele.
Tradotto, significa che a Largo del Nazareno sperano di gestire senza strappi, rotture e polemiche con la Cgil questa vicenda della riforma del lavoro.
Non sarà facile.
Quando il provvedimento arriverà in aula il Pd sarà costretto a dire il suo sì, anche di fronte al no di Camusso.
«Il nostro voto favorevole, pur con tanti distinguo, non può essere in discussione», sottolinea infatti Enrico Letta.
Bersani preferisce non essere così esplicito. È fortemente irritato con il governo: «Non ha cercato con convinzione l’accordo. I patti non erano questi, i patti erano che si sarebbe tentata l’intesa in tutti i modi», è il suo rimprovero.
Quello che più temono in questo momento i vertici del Pd è lo scoppio di focolai di tensione sociale.
Il segretario è stato chiaro con i suoi: «Prepariamoci, perchè adesso si apre una fase non facile. La questione sociale esiste e potrebbe aggravarsi nei prossimi mesi. Chi protesta, chi non ce la fa più a fare sacrifici va ascoltato».
A questo proposito si mostra preoccupato anche Stefano Fassina: «Il governo rifiutando le aperture fatte dalla segreteria della Cgil alimenta una tensione sociale che non fa bene a nessuno. Quando parlava dell’articolo 18 in conferenza stampa Monti sembrava Sacconi».
Sul merito del provvedimento, come era prevedibile, nel Pd ci sono reazioni diverse.
Beppe Fioroni non ha dubbi: «Credo che sia stata trovata, sia nel metodo che nel contenuto, una soluzione importante. Si incentiva il lavoro a tempo indeterminato, vengono rafforzati gli ammortizzatori sociali, l’articolo 18 resta con una significativa manutenzione. Nella riunione, altro fattore degno di nota, si è registrata l’unità su tanti punti. Adesso nessuno faccia saltare il banco».
Di tutt’altro tenore le osservazioni di Fassina: «Da quello che si può capire finora ci sono dei punti positivi, ma anche molti buchi, per esempio per quel che riguarda gli ammortizzatori sociali. La parte che riguarda l’articolo 18 non va bene perchè lo svuota completamente».
Secondo il responsabile economico infatti va introdotto il sistema tedesco nel senso pieno del termine, ossia affidando sempre al giudice la decisione, anche nel caso dei licenziamenti economici.
La pensa nello stesso modo Cesare Damiano: «Il modello tedesco, al quale si fa spesso riferimento, prevede nel caso di licenziamento per motivi economici senza giusta causa di lasciare al giudice la possibilità di scegliere tra reintegrazione e risarcimenti».
La linea ufficiale del Pd sull’articolo 18 è questa.
E pubblicamente Bersani dice: «Su questa riforma dovrà pronunciarsi il Parlamento».
Come a dire che è pronto a chiedere delle modifiche: «Prenderemo le nostre iniziative», assicura Fassina.
Ma Bersani sa bene che non si faranno altri passi avanti nella ricerca di un’intesa con la Cgil. Inevitabilmente, le strade del Pd e quelle del sindacato di Camusso si divideranno.
E a largo del Nazareno, nonostante le dichiarazioni contrarie, ci si prepara già ad affrontare l’eventuale richiesta del governo di inserire la riforma in un decreto.
Maria Teresa Meli
(da “La Repubblica”)
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