Destra di Popolo.net

TRA CULOTTE E SALOTTI NERI: LA CONQUISTA DEL POTERE DELLA PITONESSA

Luglio 2nd, 2013 Riccardo Fucile

RITRATTO DELLA SANTANCHE’, LA TRASFORMISTA SPREGIUDICATA TRA DITO MEDIO, MUTUO SOCIALE E TACCO 12

«Io sono una pitonessa » va dicendo da qualche giorno Daniela Santanchè, magari senza sapere che nel quadro dell’odierna regressione totemica, questa sua scelta segnala anch’essa uno spostamento all’indietro, o forse no, o forse boh.
Fatto sta che cinque anni orsono, accanto al tavolino di zebra e al tronetto di coccodrillo che adornano il salotto di casa sua, ella volle indicare la statua di un’aquila, non molto tempo prima acquista in un’asta e come sempre sicura del fatto suo, proclamò: «Mi rappresenta» .
Quindi aggiunse: «Le aquile volano alte e da sole. I passerotti invece si muovono tutti insieme nel branco»- che magari era meglio dire lo stormo, ma pazienza.
La figura di Daniela Santanchè è davvero molto interessante perchè più di tante noiose analisi piene di cifre, grafici e tabelle sulla storia, la selezione e la formazione degli uffici di presidenza di Montecitorio e Palazzo Madama, spiega bene e consente di capire meglio quali requisiti, oltre alla fedeltà , e quali titoli sono al giorno d’oggi richiesti a chi voglia assurgere a incarichi istituzionali nelle assemblee elettive.
Lo si dice qui senza alcuna ironia, essendo quest’ultima destinata all’annichilimento dinanzi alla gigantesca mole e alla spaventosa varietà  di materiale anche iconografico che il personaggio ha generato nel corso dell’ultimo decennio in un gorgo di assoluto relativismo ad alto impatto emotivo e sicura ricaduta comunicativa; e perciò salotti neri, alleanze rosa, assessorati in luoghi sperduti della Sicilia, palle di velluto, burka strappati con relative reazioni, e sorveglianze, dichiarazioni di astinenza sessuale, fondazione e lancio di effimeri rotocalchi dalle testate tuttavia piuttosto minacciose tipo «Io spio», consegna di mimose agli alpini in Bosnia, Billionaire fondati e poi rinnegati, corse sulla spiaggia con Sallusti, dispute con attrici sulla quantità  di interventi chirurgici subiti e loro necessariamente ambigua visibilità .
Che poi nemmeno si chiama Santanchè, è il cognome del suo primo marito, chirurgo plastico, concessole al momento del divorzio, curiosa evenienza, o magari no.
E comunque. Il dito medio, il tacco 12, il mutuo sociale, la bava alla bocca, la tele-invasione nel campo rom, la maratona di New York, con il tricolore dipinto sul volto, la multa al Suv, il cappello da cow-boy, i dopo-sci pelosissimi, i mega poster sui Valori con lei grande come un palazzo.
Calamity Jane, Nikita, Lara Croft, l’Aquila, la Serpentessa, l’energia, la fantasia, la follia, la società  dello spettacolo nella sua evoluzione terminale.
Una volta, il giorno che Papa Wojtyla venne a Montecitorio, la Mussolini la prese a capelli per una questione di posti in aula.
Nel solo 2009 è stata vittima di cinque, anzi sei «strani furti» in casa.
Alla radio ha ingaggiato un paragone fra Nilde Iotti e Nicole Minetti.
In tv, perfetta nel casting dei crash-show, ha litigato innumerevoli volte con pacifisti, maomettani, sindacalisti, immigrati, lucciole e da un po’ anche Cacciari.
In compenso, a Cortina, ha spento le candeline con Mastella. Ce l’ha anche con la poligamia e sembra che abbia comprato la famosa pelliccia di leopardo appartenuta a Jackie Kennedy.
Così alla fine, che però non è la fine, l’infelice sintesi è da prendersi in prestito, impegnativamente, e dice di lei che è davvero: al di là  del bene e del male.
Però l’uno e l’altro minuscoli, come se l’oltrepassarli così facilmente comportasse per il futuro vicepresidente della Camera un felice successo, però vuoto; o una verità  ancora troppo complicata da riconoscere.
Per cui nel mare magnum della più seria e a volte anche terribile futilità , tra sfregi alla Cadillac e confessioni sulla biancheria intima (no slip, no perizoma, ma culotte), mutuo sociale e castrazione chimica, delazioni anti-Veronica e convalide di Francesca Pascale, battaglie per il parrucchiere alla Camera e scioperi della fame contro Battisti, referendum per la riapertura delle case chiuse e party in onore di Emilio Fede, ecco, al termine della giostra santanchesca si resta con un ritaglino in mano, sgomenti e perfino allegri rispetto a questa parossistica forma di trasformismo.
E sarà  l’estate, saranno i giornalisti, sarà  tutto, ma in quell’articoletto si può leggere che sulla sua barca, al largo della Costa Smeralda, Daniela e il figlio Lorenzo hanno montato una specie di enorme fionda, o catapulta che sia, per tirare gavettoni di acqua fredda sugli yacht degli amici ricconi, o forse solo su quelli dei nemici, comunque gli archivi sono crudeli, a volte dicono troppo, confondono le idee, ma al tempo stesso le dispiegano — non di rado a dispetto della verità , dell’emicrania e dei voti in Parlamento.

Filippo Ceccarelli

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AMERICHE E ITALIA: DONNE A CONFRONTO

Luglio 2nd, 2013 Riccardo Fucile

DILMA, CRISTINA, MICHELLE, CAMILA: UN PASSATO DI LOTTE PAGATE CON CARCERE E TORTURE… MENTRE LE GRANDI DONNE D’AMERICA CHIEDONO ALLA MAGISTRATURA DI RIPULIRE I PROPRI PAESI DALLA CORRUZIONE, IN ITALIA C’E’ CHI CHIEDE AL PAESE DI LIBERARSI DELLA MAGISTRATURA

Quattro signore governano o si preparano a governare le democrazie che fanno la storia delle Americhe: Dilma Rousseff presidente del Brasile, Cristina Kirchner, Argentina, mentre Michelle Bachelet torna alla Moneda in Cile probabilmente al primo turno di novembre.
Signore più o meno della stessa età , 60-70 anni, in politica da mezzo secolo: non sempre rose e fiori.
Quand’era ragazza Dilma Rousseff volta le spalle alla famiglia agiata: guerrigliera contro la dittatura.
Catturata, torturata, liberata in uno scambio di prigionieri si forma nell’Avana del Che, ma ritrova la concretezza appena la vita diventa normale.
Laurea in Economia, erede politica di Lula, guida un benessere dalla crescita disuguale: ricchi sempre più ricchi anche se la sinistra al governo strappa alla povertà  30 milioni di diseredati.
Sotto i riflettori di calcio e Olimpiadi adesso chiedono la fine della corruzione e la dignità  negata.
Dilma affida ai magistrati di tagliare le mani lunghe che umiliano il Brasile. Ministri in prigione, ma la folla non si accontenta: pretende riforme strutturali.
E la presidente sta trattando.
Anche Cristina Fernandez Kirchner è sfuggita ai militari P2 che avevano espugnato la Casa Rosada.
Vent’anni dopo marito e moglie si riaffacciano mentre la democrazia precipita nel default.
È impegnata nel braccio di ferro con le grandi famiglie dell’informazione. Controllano giornali, radio, Tv, dall’impero Clarin al monopolio dell’unica cartiera del paese. Cristina vorrebbe un’informazione equilibrata: Stato, privati, Ong o associazioni culturali. I privilegiati resistono.
Da qualche mese Michelle Bachelet è tornata da New York dove dirigeva il dipartimento donne delle Nazioni Unite.
Il passato è un lungo dolore. Torturata assieme alla madre, il padre non esce vivo dalle segrete di Pinochet.
Espulsa dal Cile, si laurea in Medicina a Berlino Est. Simpatica, socialmente impegnata nella quotidianità , sentimentalmente disponibile ad amori che non nasconde.
Nel 2005 eredita dal presidente Lagos la poltrona della Moneda; adesso ricomincia allargando il centrosinistra (sfinito da una democrazia cristiana alla deriva) al radicalismo dei movimenti studenteschi.
Agitano le strade per pretendere scuole gratuite e un sistema sanitario accessibile ad ogni cittadino.
Movimenti guidati da un bella ragazza cresciuta in una famiglia comunista: Camila Vallejo.
Dogmatica e radicale, fino qualche mese fa respingeva la candidatura Bachelet e all’improvviso non solo l’abbraccia ma ne diventa la bandiera: “Cambieremo il paese”, i sondaggi volano.
Più tranquille le proiezioni italiane.
L’impegno di Laura Boldrini ed Emma Bonino, buonsenso della Serracchiani, ambizioni di Daniela Santanchè guida spirituale delle spreafiche berlusconiane.
Non si capisce come mai la signora Garnero (“già  coniugata Santanchè” ) vent’anni dopo il divorzio ancora si avvolga nel cognome dell’ex marito.
Carriera senza traumi a parte l’amicizia col faccendiere Bisignani, trascorsi politici con La Russa, precipizio nella Destra di Storace.
Affari e politica sempre a braccetto: gestione della pubblicità  del Giornale di Paolo Berlusconi diretto da Sallusti, ultimo compagno.
Affari notturni nel Billionaire di Briatore e la voglia della vicepresidenza della Camera.
Se le grandi donne d’America chiedono alla magistratura di ripulire il Paese, la Santanchè chiede al paese di liberarsi della magistratura.
Possiamo capire perchè.

Maurizio Chierici

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LA ZANICCHI CANTA, SILVIO STA ZITTO: AD ARCORE POCHI FANTI A SOSTEGNO DI BERLUSCONI

Luglio 2nd, 2013 Riccardo Fucile

POCHE CENTINAIA DI MILITANTI ALL’APPUNTAMENTO ORGANIZZATO DALL’ESERCITO DI SILVIO… SCONSIGLIATO DAI SUOI AVVOCATI, ALLA FINE IL CAVALIERE ESCE PER UN BREVE SALUTO

A Iva Zanicchi e Daniela Santanchè è andata perfino peggio che a Giuliano Ferrara. La manifestazione davanti al cancello della villa di Arcore per sostenere Berlusconi è stata un flop: poche centinaia i fan dell’“Esercito di Silvio”, concentrati nel triangolo d’asfalto da cui s’accede alla residenza di Berlusconi, con le auto che continuavano a passare alle loro spalle, perchè non c’è stato neppure bisogno, fino all’ultimo, di bloccare il traffico.
Erano perfino meno che alla piccola manifestazione convocata a Roma da Giulianone Ferrara con il rossetto e la parola d’ordine “Siamo tutti puttane”.
Così Berlusconi, benchè acclamato a gran voce, si è solo fatto vedere alla fine della piccola manifestazione, senza prendere la parola.
L’unica che è riuscita a parlare con lui è una che la villa di Arcore la conosce bene: Raissa Skorkina, una delle 32 testimoni del bunga-bunga ritenute false dal tribunale di Milano, era al telefono con Silvio mentre i suoi lo acclamavano.
Sul piccolo palco ha fatto gli onori di casa una Iva Zanicchi scatenata: “Siamo qui per Silvio! Lunedì scorso non hanno condannato lui, ma la giustizia italiana”.
Poi fa cantare un verso di una sua canzone: “Prendi questa mano, zingara”, non senza una vecchia versione osè: “Prendi questo in mano, zingara!”.
Infine, lancia la versione definitiva: “Prendi questa mano, Silvio!”.
Scesa dal palchetto l’Aquila di Ligonchio, parte a palla, sotto il sole implacabile, la musica tecno. “No, questa musica non va! Non ci piace!”, strilla Iva.
Silenzio per qualche minuto, finchè si alzano a tutto volume le note di Azzurra libertà  e Meno male che Silvio c’è.
I fan canticchiano, ma conoscono le parole dei loro inni perfino meno di quanto certi calciatori conoscano quelle di Fratelli d’Italia.
In compenso agitano le bandiere di Forza Italia, più volte evocata non solo come punto di partenza della “straordinaria avventura di Silvio”, ma anche come punto di arrivo, probabile prossimo approdo, “per essere più vicini alla gente”.
Cartelli contro la giustizia dei giudici comunisti e contro Ilda Boccassini (“Boccassini: ai lavori socialmente utili dopo una vita per lavori inutili, a carico del contribuente”). Tra i fan s’aggirano Stefania Prestigiacomo, Laura Ravetto, Daniele Capezzone.
Sale sul palco il coordinatore lombardo del Pdl, Mario Mantovani, che prende la parola sfidando l’evidenza: “È straordinario, siete centinaia, siete migliaia!”.
E poi: “Qui ci porta il cuore! Per il nostro presidente! Il nostro popolo è in sofferenza da lunedì, quando è arrivata una certa sentenza che grida vendetta anche al cospetto di Dio”.
Arrivano i rinforzi: Daniela Santanchè e Denis Verdini.
“Silvio tieni duro”, grida Daniela. “Lunedì scorso ho voluto essere in aula, per guardare negli occhi quelle tre donne che hanno condannato Silvio usando altre donne. Una vergogna”.
Mostra di non ricordare, Daniela, la sua stessa conversazione telefonica, nel 2011, con l’amico Flavio Briatore (“Silvio ha ripreso, continua con le feste”, “è proprio malato”, “ha ragione Veronica”).
Poi tocca a Sandro Bondi: “Volete bene a Berlusconi?”.
I fan rispondono, naturalmente, sì.
“Siamo venuti qui per far sentire il nostro calore, la nostra vicinanza, il nostro affetto a Berlusconi, ma ci sono ragioni per le quali non è opportuno che esca da villa San Martino. Gli è stato sconsigliato dai suoi legali di partecipare. Ha il cuore gonfio di rabbia di fronte alla posizione così rigorosa dei suoi avvocati”.
Alla fine Silvio arriva, si mostra, ma sta zitto.
Un pensionato: “Mi sento tradito. Ci hanno illuso, siamo venuti per sentirlo”.
Poco distante, Raissa Skorkina tornata sul luogo del delitto, a bordo della sua Mini grigia. Parla al telefono con Silvio mentre ancora tutti lo aspettano.
“No, non parla. Sono qui anch’io per sostenerlo, ma resto in disparte per non metterlo nei guai. Io non sono un’olgettina, l’ho conosciuto ben prima di Minetti e delle altre, sono stata la sua fidanzata dal 2005 al 2007. Perchè mi mettete insieme alle altre? Mi offendete, fate passare anche me per puttana, mentre io ero la sua fidanzata”.
Come, “anche me”?
Intanto i cori continuano: “Meno male che Silvio c’è”.

Gianni Barbacetto

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DALLE CIMICI NASCOSTE AI DECIFRATORI DI FAX, ECCO LA MACCHINA DELLO SPIONAGGIO USA

Luglio 2nd, 2013 Riccardo Fucile

COSI’ SNOWDEN HA SVELATO LA PORTATA DELLO SCANDALO

«Nel mondo dello spionaggio tutti spiano tutti, solo gli ingenui o gli ipocriti se ne meravigliano », dice una fonte dei servizi segreti britannici alla Bbc.
«Ma la gravità  delle rivelazioni di questi giorni dipende da tre fattori: le prove circostanziate di attività  di spionaggio americano ai danni degli alleati europei, poichè un conto è immaginare che attività  del genere esistano, un altro leggerle nero su bianco; la vastità  delle dimensioni di tale attività ; e la delicatezza politica del momento, con il negoziato Usa-Ue sul libero scambio commerciale in corso».
Lo scandalo, concordano gli esperti di intelligence a Londra, ha fatto venire alla luce una «macchina dello spionaggio elettronico» così estesa e ramificata all’interno dei servizi segreti americani da giustificare l’allarme dei paesi che se ne sentono il bersaglio e delle associazioni per la difesa delle libertà  civili.
All’inizio di giugno le prime indiscrezioni ottenute da Edward Snowden, la talpa della Nsa e della Cia, pubblicate dal Guardian, parlano di decine di milioni di telefonate raccolte dalla Nsa attraverso i centralini della Verizon, una delle grandi società  di telecomunicazioni americane.
Poi diventa chiaro che si tratta di centinaia di milioni di telefonate, di cui apparentemente non viene spiato il contenuto ma soltanto i “metadati”, ovvero chi chiama chi, quanto spesso, da che numeri.
Quindi il Washington Post, sempre grazie alle informazioni di Snowden, rende noto che nove giganti di internet, tra cui Facebook, Google, Microsoft e Yahoo, permettono alla Nsa di sorvegliare direttamente tutto il loro traffico web tramite un programma di spionaggio chiamato Prism.
Successivamente, il Guardian riporta che la Gchq, l’agenzia di spionaggio elettronico britannica, controlla 600 milioni di telefonate al giorno, su decine di cavi a fibre ottiche, diretti in tutta Europa, nel quadro di un’operazione denominata Tempora, i cui dati vengono condivisi con gli agenti della Nsa americana.
E in questo ambito si scopre che durante il summit del G20 del 2009 a Londra numerose delegazioni partecipanti, tra cui quelle di Turchia e Sud Africa, furono spiate dal Gchq e dalla Nsa, entrando nei loro computer e creando addirittura appositi Internet cafè i cui terminali erano sorvegliati dallo spionaggio angloamericano.
A quel punto, con Snowden fuggito a Hong Kong e poi scomparso, il South China Morning News, un quotidiano cinese in lingua inglese, riceve dalla “talpa” le prove di oltre 60mila operazioni di hackeraggio condotte dalla Nsa in tutto il mondo, molte delle quali contro la Cina.
Una volta che Snowden ha raggiunto Mosca, le sue rivelazioni continuano sul settimanale tedesco Der Spiegel, che afferma di avere visto documenti da cui traspare che la Nsa spia i computer delle ambasciate dell’Unione Europea a Washington e a New York, oltre che Justus Lipsius, un edificio di Bruxelles dove si riunisce il Consiglio dei ministri della Ue.
E si arriva così all’ultimo scoop di Snowden, la notizia che 38 ambasciate e sedi diplomatiche estere sono state prese di mira da Nsa, Cia e forse anche Fbi nascondendo microfoni- spia, manomettendo computer, ascoltando con antenne speciali, incluse le ambasciate di paesi europei amici degli Usa come Germania, Francia, Italia e Grecia, così come di altri alleati quali Giappone, Corea del Sud e India.
Le cifre sono impressionanti: 97 miliardi di dati d’intelligence setacciati in un solo mese, 500 milioni di comunicazioni sorvegliate in media in un mese nella sola Germania, 20 milioni di telefonate e 10 milioni di messaggi web intercettati quotidianamente in Germania, con un picco di 60 milioni di comunicazioni spiate per esempio il 7 gennaio scorso.
Uno degli strumenti usati per penetrare le ambasciate si chiama Dropmine, un programma per leggere comunicazioni criptate trasmesse via fax.
E Snowden fornisce i nomi in codice delle singole missioni di spionaggio: l’ambasciata d’Italia alle Nazioni Unite è chiamata “Cicuta”, l’ambasciata italiana di Washington è chiamata “Bruneau” o “Hemlock” (il nome in inglese della pianta che produce la cicuta o altri veleni).

Enrico Franceschini
(da “La Repubblica”)

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TOTO’, LO STATO E LA MALASTAMPA

Luglio 2nd, 2013 Riccardo Fucile

TRATTATIVA STATO MAFIA: POCHI GIORNI FA L’INCURSIONE IN CASA DEL PM TARTAGLIA, IGNORATA DAI MEDIA NAZIONALI, IERI LE PAROLE DI TOTO’ RIINA

Proseguono gli sforzi dei giornali italiani per confermare l’ultima classifica di Reporter Sans Frontières sulla libertà  di stampa, che ci vede al 57° posto nel mondo, alle spalle di Botswana, Niger, Sud Corea, Ungheria, ma con ampi margini di peggioramento.
Sabato mattina le agenzie informavano di una strana incursione in casa del pm di Palermo Roberto Tartaglia che sostiene l’accusa al processo sulla trattativa Stato-mafia con i colleghi Di Matteo e Del Bene: ignoti visitatori hanno abilmente forzato la serratura, spostato preziosi gioielli della moglie senza rubarli e individuato e trafugato a colpo sicuro una pen-drive fra le tante: proprio quella contenente verbali ancora segreti dell’inchiesta-bis sulla trattativa.
Un messaggio preciso: sappiamo quel che fai, per noi non esistono segreti, entriamo in casa tua quando vogliamo, e attento ai tuoi cari.
Un’operazione che puzza di servizi distante un miglio, infatti — a parte il deputato Lumia, il ministro D’Alia e l’Anm — nessun’autorità  dello Stato ha solidarizzato col pm.
E la grande stampa ha completamente ignorato la notizia (a parte il Fatto, si capisce). Parlare di Tartaglia significa nominare la trattativa, e non sta bene.
Inoltre, a furia di raccontare le minacce subìte dai pm che l’hanno scoperta (anche Di Matteo e Del Bene ne ricevono da mesi), la gente potrebbe capire che quel processo “non s’ha da fare”. E perchè.
Mentre gli ignoti visitatori gli entravano in casa, Tartaglia era impegnato in udienza a rintuzzare la raffica di eccezioni e cavilli difensivi non degl’imputati mafiosi, ma dei rappresentanti dello Stato, che fanno carte false per traslocare il processo da Palermo verso lidi più placidi e sabbiosi: quelli di Roma.
Magari al Tribunale dei ministri.
Mancino ha la spudoratezza di sostenere che la sua presunta falsa testimonianza, commessa nel 2011, sarebbe reato ministeriale: e pazienza se Mancino smise di essere ministro nel marzo 1994.
Un ministero, come il diamante, è per sempre.
E vale il principio del “lei non sa chi ero io”.
Vedremo che spazio avranno sui giornali di oggi le dichiarazioni di Totò Riina sulla trattativa con lo Stato (“io non cercavo nessuno, sono loro che cercavano me”), sul suo arresto (opera “di Provenzano e Ciancimino, non dei carabinieri”) e sul furto dell’agenda rossa di Borsellino (“c’è la mano dei servizi”), ascoltate dagli agenti che l’accompagnavano in udienza il 31 maggio e riferite ai pm.
Ma soprattutto vedremo come verranno presentate.
Perchè quando parla un mafioso, pentito o meno non importa, politici e giornali si regolano così: se il boss dice cose funzionali al potere, è un testimone attendibile proprio perchè mafioso; viceversa, è inattendibile proprio perchè mafioso.
Brusca era attendibile quando confessò la strage di Capaci e altre decine di omicidi, ma appena parlò di trattativa divenne un bugiardo.
Spatuzza era credibile quando smontò il depistaggio su via D’Amelio e se ne assunse la colpa, ma poi parlò di B. e Dell’Utri e divenne un peracottaro.
Riina non è pentito: parla da mafioso. Ma stavolta lo fa non con dichiarazioni spontanee in aula (lì ogni parola sarebbe un’autoaccusa, per un boss che nega tutto, anche l’esistenza della mafia): lo fa off records, ma avendo cura di essere ascoltato, perchè il messaggio arrivi a destinazione.
Sull’agenda rossa e sul suo arresto, Riina non può sapere nulla di preciso: dunque ciò che dice lascia il tempo che trova. Ma sulla trattativa sa molto, perchè il primo destinatario della mediazione di Ciancimino per conto del Ros era lui.
E le sue parole collimano con tre sentenze definitive sulle stragi del 1992-’93, mentre smentiscono la versione dei rappresentanti dello Stato: la trattativa fu avviata dallo Stato, non da Cosa Nostra.
Quando Riina dice “io non cercavo nessuno, sono loro che cercavano me”, sta ricattando chi sa lui, ma dice la pura verità .
A questo siamo: il capo della mafia è un po’ più credibile dello Stato.

Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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RIINA: “LO STATO CERCÃ’ COSA NOSTRA”

Luglio 2nd, 2013 Riccardo Fucile

“LE STRAGI? OPERA DI BRUSCA E SERVIZI. MI HANNO ARRESTATO CIANCIMINO E PROVENZANO ”

La Trattativa? “Io non cercavo nessuno, erano loro che cercavano me”.
L’arresto sulla circonvallazione di Palermo? “Non è vero quello che hanno detto i carabinieri, a me mi hanno fatto arrestare Provenzano e Ciancimino”.
Il papello? “Mai visto”.
Il ruolo dei servizi segreti nelle stragi di Capaci e di via D’Amelio? “Brusca non ha fatto tutto da solo, c’è la mano dei servizi segreti. La stessa cosa vale per l’agenda rossa. Perchè non vanno da quello che aveva in mano la borsa e si fanno consegnare l’agenda?”.
E il famigerato bacio ad Andreotti nel salotto di Ignazio Salvo? “Appuntato, ma lei mi vede che bacio Andreotti? Posso solo dire che era un galantuomo e che io sono stato sempre dell’area andreottiana”.
Parola di Totò Riina.
Dopo vent’anni trascorsi al 41 bis nella più assoluta omertà , il capo dei capi di Cosa nostra rompe il silenzio e, nelle pause dei processi che lo vedono imputato, chiacchiera a ruota libera con gli agenti di custodia del Gom che presenziano ai suoi collegamenti in videoconferenza dal carcere di Opera.
Di che parla il padrino corleonese? Della mafia, dello Stato, dei servizi segreti, della sua cattura dovuta a un “tradimento”, e dei rapporti tra boss e politici nella stagione a cavallo tra le stragi.
Non sono dichiarazioni da poco. Nei due “sfoghi” di poco consecutivi (il primo è del 21 maggio scorso, il secondo del 31 maggio), il superboss di fatto conferma l’esistenza della Trattativa, ne attribuisce l’iniziativa allo Stato, offre un formidabile riscontro alle dichiarazioni del teste Massimo Ciancimino sul suo arresto dovuto alle “soffiate” di Binnu, e poi riferite da don Vito agli ufficiali del Ros (piuttosto che alla collaborazione del pentito Balduccio Di Maggio), e — dulcis in fundo — nega l’esistenza del papello.
“Stanno facendo pure le perizie calligrafiche dei miei figli — dice Riina — ma io di questo papello non so niente. La vera mafia in Italia sono i magistrati e i politici che si sono coperti tra loro e scaricano ogni responsabilità  sui mafiosi”.
Il padrino, insomma, si ritaglia il ruolo di vittima sacrificale delle vicende che ruotano attorno al dialogo Stato-mafia: “Avete visto quante persone hanno chiamato a testimoniare al processo Stato-mafia? Vogliono chiamare circa 130 persone. Le pare giusto quello che stanno facendo? Mi vogliono condannare per forza, mi stanno mettendo sotto pressione. A me e tutta la mia famiglia”.
Dichiarazioni di fuoco che sorprendono il direttore del carcere di Opera Giacinto Siciliano che, in una nota allegata alle relazioni di servizio ha definito “anomale” le “ripetute affermazioni del Riina su vicende processuali o fatti che lo riguardano” (come l’arresto), rispetto all’atteggiamento “di riservatezza” che da sempre “lo ha contraddistinto”.
Per Siciliano, che fino a poco tempo fa lo stesso Riina definiva “il papà  di tutti i detenuti”, la “loquacità ” del superboss corleonese potrebbe essere spiegata in due modi: un “messaggio” lanciato all’esterno, oppure un comportamento riconducibile “a un deterioramento cognitivo legato all’età ”.
Per questo motivo il direttore di Opera, che è imputato con l’ex funzionario del Dap Salvatore Leopardi in un processo a Roma per aver insabbiato le dichiarazioni del pentito Antonio Cutolo e averle passate ai servizi segreti (processo sul quale è stato invocato il segreto di Stato), ha già  annunciato di aver “sensibilizzato il personale tutto, anche quello sanitario, al fine di proseguire il monitoraggio costante, evidenziando eventuali anomalie”.
Ma all’ipotesi che Riina sia rimasto vittima di un “deterioramento cognitivo”, come il suo ex compare Provenzano, proprio nel momento in cui anche lui si lascia sfuggire qualche parola di troppo, nel carcere di Opera non crede nessuno.
Quando il 31 maggio scorso, nel corridoio che conduce alla saletta della videoconferenza, il boss si è rivolto all’agente di custodia, dicendogli “sono venuti loro a cercarmi”, lo ha fatto in modo diretto e ad alta voce, per essere ascoltato chiaramente.
A precisarlo è stato lo stesso agente che ha aggiunto il dettaglio durante il proprio interrogatorio.
Sulle confidenze del superboss, infatti, i due agenti del Gom hanno stilato una relazione di servizio che è stata depositata agli atti del processo di Palermo sulla trattativa Stato-mafia.
Lo scorso 6 giugno, i pm Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia hanno interrogato le due guardie carcerarie ed entrambe hanno confermato il contenuto delle dichiarazioni del padrino, aggiungendo la frase sulla Trattativa, sfuggita in un primo tempo alla relazione.
“Io — ha detto Riina — sono stato 25 anni latitante in campagna senza che nessuno mi cercasse. Com’è possibile che sono responsabile di tutte queste cose?”.
Gli agenti del Gom hanno riferito che il boss appare interessatissimo al processo sulla Trattativa, ma infastidito dalle vicende che ruotano attorno al suo arresto.
Fu il prezzo del patto mafia-Stato?
Riina ancora non si dà  pace: “Glielo dicevo sempre a Binnu di non mettersi con Ciancimino”. Ma certamente non è apparso loro stanco e rassegnato: “Io sto bene, mi sento carico, e riesco a guardare oltre queste mura”.
E se per la vicepresidente delle vittime dei Georgofili, Giovanna Maggiani Chelli, quello di Riina è un messaggio (“dica quello che sa, lo deve ai nostri figli”), per ora il boss non verrà  interrogato dai pm del processo sulla Trattativa, che ieri hanno respinto tutte le eccezioni delle difese, difendendo la competenza della Corte di assise di Palermo: la decisione alla prossima udienza, il 4 luglio.

Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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