RIINA: “LO STATO CERCÃ’ COSA NOSTRA”
“LE STRAGI? OPERA DI BRUSCA E SERVIZI. MI HANNO ARRESTATO CIANCIMINO E PROVENZANO ”
La Trattativa? “Io non cercavo nessuno, erano loro che cercavano me”.
L’arresto sulla circonvallazione di Palermo? “Non è vero quello che hanno detto i carabinieri, a me mi hanno fatto arrestare Provenzano e Ciancimino”.
Il papello? “Mai visto”.
Il ruolo dei servizi segreti nelle stragi di Capaci e di via D’Amelio? “Brusca non ha fatto tutto da solo, c’è la mano dei servizi segreti. La stessa cosa vale per l’agenda rossa. Perchè non vanno da quello che aveva in mano la borsa e si fanno consegnare l’agenda?”.
E il famigerato bacio ad Andreotti nel salotto di Ignazio Salvo? “Appuntato, ma lei mi vede che bacio Andreotti? Posso solo dire che era un galantuomo e che io sono stato sempre dell’area andreottiana”.
Parola di Totò Riina.
Dopo vent’anni trascorsi al 41 bis nella più assoluta omertà , il capo dei capi di Cosa nostra rompe il silenzio e, nelle pause dei processi che lo vedono imputato, chiacchiera a ruota libera con gli agenti di custodia del Gom che presenziano ai suoi collegamenti in videoconferenza dal carcere di Opera.
Di che parla il padrino corleonese? Della mafia, dello Stato, dei servizi segreti, della sua cattura dovuta a un “tradimento”, e dei rapporti tra boss e politici nella stagione a cavallo tra le stragi.
Non sono dichiarazioni da poco. Nei due “sfoghi” di poco consecutivi (il primo è del 21 maggio scorso, il secondo del 31 maggio), il superboss di fatto conferma l’esistenza della Trattativa, ne attribuisce l’iniziativa allo Stato, offre un formidabile riscontro alle dichiarazioni del teste Massimo Ciancimino sul suo arresto dovuto alle “soffiate” di Binnu, e poi riferite da don Vito agli ufficiali del Ros (piuttosto che alla collaborazione del pentito Balduccio Di Maggio), e — dulcis in fundo — nega l’esistenza del papello.
“Stanno facendo pure le perizie calligrafiche dei miei figli — dice Riina — ma io di questo papello non so niente. La vera mafia in Italia sono i magistrati e i politici che si sono coperti tra loro e scaricano ogni responsabilità sui mafiosi”.
Il padrino, insomma, si ritaglia il ruolo di vittima sacrificale delle vicende che ruotano attorno al dialogo Stato-mafia: “Avete visto quante persone hanno chiamato a testimoniare al processo Stato-mafia? Vogliono chiamare circa 130 persone. Le pare giusto quello che stanno facendo? Mi vogliono condannare per forza, mi stanno mettendo sotto pressione. A me e tutta la mia famiglia”.
Dichiarazioni di fuoco che sorprendono il direttore del carcere di Opera Giacinto Siciliano che, in una nota allegata alle relazioni di servizio ha definito “anomale” le “ripetute affermazioni del Riina su vicende processuali o fatti che lo riguardano” (come l’arresto), rispetto all’atteggiamento “di riservatezza” che da sempre “lo ha contraddistinto”.
Per Siciliano, che fino a poco tempo fa lo stesso Riina definiva “il papà di tutti i detenuti”, la “loquacità ” del superboss corleonese potrebbe essere spiegata in due modi: un “messaggio” lanciato all’esterno, oppure un comportamento riconducibile “a un deterioramento cognitivo legato all’età ”.
Per questo motivo il direttore di Opera, che è imputato con l’ex funzionario del Dap Salvatore Leopardi in un processo a Roma per aver insabbiato le dichiarazioni del pentito Antonio Cutolo e averle passate ai servizi segreti (processo sul quale è stato invocato il segreto di Stato), ha già annunciato di aver “sensibilizzato il personale tutto, anche quello sanitario, al fine di proseguire il monitoraggio costante, evidenziando eventuali anomalie”.
Ma all’ipotesi che Riina sia rimasto vittima di un “deterioramento cognitivo”, come il suo ex compare Provenzano, proprio nel momento in cui anche lui si lascia sfuggire qualche parola di troppo, nel carcere di Opera non crede nessuno.
Quando il 31 maggio scorso, nel corridoio che conduce alla saletta della videoconferenza, il boss si è rivolto all’agente di custodia, dicendogli “sono venuti loro a cercarmi”, lo ha fatto in modo diretto e ad alta voce, per essere ascoltato chiaramente.
A precisarlo è stato lo stesso agente che ha aggiunto il dettaglio durante il proprio interrogatorio.
Sulle confidenze del superboss, infatti, i due agenti del Gom hanno stilato una relazione di servizio che è stata depositata agli atti del processo di Palermo sulla trattativa Stato-mafia.
Lo scorso 6 giugno, i pm Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia hanno interrogato le due guardie carcerarie ed entrambe hanno confermato il contenuto delle dichiarazioni del padrino, aggiungendo la frase sulla Trattativa, sfuggita in un primo tempo alla relazione.
“Io — ha detto Riina — sono stato 25 anni latitante in campagna senza che nessuno mi cercasse. Com’è possibile che sono responsabile di tutte queste cose?”.
Gli agenti del Gom hanno riferito che il boss appare interessatissimo al processo sulla Trattativa, ma infastidito dalle vicende che ruotano attorno al suo arresto.
Fu il prezzo del patto mafia-Stato?
Riina ancora non si dà pace: “Glielo dicevo sempre a Binnu di non mettersi con Ciancimino”. Ma certamente non è apparso loro stanco e rassegnato: “Io sto bene, mi sento carico, e riesco a guardare oltre queste mura”.
E se per la vicepresidente delle vittime dei Georgofili, Giovanna Maggiani Chelli, quello di Riina è un messaggio (“dica quello che sa, lo deve ai nostri figli”), per ora il boss non verrà interrogato dai pm del processo sulla Trattativa, che ieri hanno respinto tutte le eccezioni delle difese, difendendo la competenza della Corte di assise di Palermo: la decisione alla prossima udienza, il 4 luglio.
Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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