Agosto 29th, 2013 Riccardo Fucile
IL DIPARTIMENTO ALL’EDITORIA HA NEGATO I CONTRIBUTI E CHIEDE ANCHE DI RESTITUIRE 15,7 MILIONI…ORA L’ULTIMA SPERANZA E’ IL RICORDO ALLA CORTE EUROPEA O IL MECENATISMO DEL GRUPPO ANGELUCCI
Allarme rosso per i conti del giornale Libero. 
Il bilancio 2012 fotografa una situazione drammatica: 5 milioni di copie in meno su base annua e pubblicità in calo per 1,5 milioni di euro.
E il dipartimento Editoria della Presidenza del Consiglio nega contributi per 34 milioni di euro. Il capitale è sceso sotto soglia e gli amministratori chiedono ai soci di versare il mancante.
Tutta colpa dell’Agcom, l’autorità di garanzia per le comunicazioni. Per anni il dipartimento Editoria ha evitato di vedere che dietro due giornali finanziati, Libero e Il Riformista, c’era lo stesso soggetto, il gruppo Angelucci.
Dopo una multa dell’Agcom, lo Stato ha chiesto i soldi indietro e bloccato i pagamenti per il futuro.
Nella relazione sulla gestione della società Editoriale Libero Srl il presidente Arnaldo Rossi spiega che, dopo due sentenze del Consiglio di Stato, il dipartimento non pagherà i 18,3 milioni di euro chiesti per il triennio 2008-2010 e vuole anche indietro i 15,7 milioni di euro incassati indebitamente da Libero tra 2006 e 2007.
Sono fermi i 4,8 milioni chiesti per il 2011 e dei 4 milioni del 2012 nulla si sa. Sommando i milioni da restituire, quelli che non arriveranno mai e quelli in bilico, mancano all’appello 42 milioni di euro.
Un buco che rischia di risucchiare la testata fondata nel 2000 da Vittorio Feltri e costata ai contribuenti ben 39 milioni di euro fino al 2007, come denunciava su Panorama il direttore Maurizio Belpietro, poi diventato direttore proprio di Libero e membro del cda della società .
I ricavi complessivi nel 2012 sono scesi del 23 per cento e Libero continua a pagare gli stipendi (8,5 milioni di euro il costo del lavoro) grazie alla generosità del gruppo Tosinvest, attivo nel settore sanitario e fondato dal deputato Pdl Tonino Angelucci. Editoriale Libero ha come socio unico la Fondazione San Raffaele, fondata dalla Tosinvest.
Il patron Tonino Angelucci è indagato, con il presidente di Libero Arnaldo Rossi, per falso e truffa aggravata per le erogazioni pubbliche indebite dal dipartimento Editoria.
Il 27 giugno le sue società hanno subito un sequestro di 20 milioni di euro.
Il consigliere Maurizio Belpietro ha gettato la spugna: il 5 giugno scorso il direttore, in teleconferenza con l’assemblea dei soci che si teneva a Roma, si è dimesso dal consiglio. Al suo posto è entrato un vecchio amico degli Angelucci: Carlo Lancella.
Il pm Henry John Woodcock, allora a Potenza, lo aveva intercettato e indagato nel 2003. Voleva arrestarlo perchè sospettava che avesse creato un’associazione a delinquere dedita a condizionare nomine e appalti a Roma.
Accuse non riscontrate e l’inchiesta fu archiviata.
Angelucci proviene dalla Uil, Lancella muove i primi passi nella Cisl. Nelle intercettazioni del 2003 emergevano i rapporti del neoconsigliere di Libero con esponenti di spicco del Pd di area ex Cisl, il presidente delle Poste, Giovanni Ialongo, Sergio D’Antoni e Franco Marini.
Per i suoi 70 anni, all’amico Franco, Lancella donò un Rolex anni Trenta che — stando alle sue affermazioni intercettate da Woodcock — valeva 20 mila euro, anche se Marini non ne immaginava il suo valore.
Lancella dopo avere fatto furore negli anni Novanta nel settore delle pulizie insieme all’ex patron del Perugia Luciano Gaucci, ora si lancia nell’editoria.
La società degli Angelucci — come spiega il presidente Rossi agli azionisti nella sua relazione — ha perso due volte davanti alla giustizia amministrativa: “Il Consigiìo di Stato ha dichiarato inammissibile, con sentenza del 31 gennaio 2013, il ricorso per revocazione ex art. 106 (terzo grado, ndr) proposto dalla Società avverso la sentenza (di secondo grado, Ndr) depositata il 16 aprile 2012”.
La situazione economica è precipitata: “Nel complesso, il rischio di bilancio connesso all’eventuale definitivo esito negativo scaturito dall’Indagine Agcom in capo alla Società ammonterebbe a complessivi euro 34 milioni circa, con conseguenti significativi effetti sull’equilibrio patrimoniale-finanzlario ed economico della società ”.
Gli amministratori di Libero avrebbero dovuto riscrivere i bilanci, ma restano appesi a una speranza: “La Società — scrive Rossi — ha presentato in data 5 febbraio 2013 ricorso avanti alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo”.
Visto che “appare probabile il rischio che l’esito finale del procedimento possa comportare pregiudizi negativi per i contributi all’editoria nei termini sopraindicati”, la società editrice di Libero ha chiesto una manleva agli Angelucci .
La holding lussemburghese del gruppo, la Spa di Lantigos SCA, si è impegnata a “manlevare e tenere indenne l’Editoriale Libero Srl dalla perdita che dovesse derivare dalla revoca e/o esclusione dei contributi fino all’importo massimo pari al 90 per cento”.
Il bilancio 2012 chiude con perdite per un milione e 871 mila euro e il presidente Rossi chiede ai soci di mettere subito mano al portafoglio perchè “per effetto di tale perdita il capitale sociale è diminuito di oltre un terzo”.
Nonostante la crisi, Libero non ha rinunciato a una nuova autovettura per 33 mila euro arricchendo il parco macchine fino a 189 mila euro.
Come se non bastasse, la Libero Editoriale ha subito una piccola condanna a Bari nella vicenda della corruzione di Raffaele Fitto da parte del figlio di Tonino Angelucci, Gianpaolo.
“Il Tribunale di Bari il 13-02-2013 — scrive il presidente Rossi — ha condannato la Società al pagamento della sanzione pecuniaria di 2600 euro oltre al pagamento delle spese processuali (…) ritenendola colpevole delle violazioni amministrative di cui agli articoli 21 e 25 del D. Lgs. 231/01”.
Libero sta diventando oneroso per gli Angelucci.
Per tenere in piedi la baracca hanno dovuto sborsare, nel 2012, ben 17 milioni.
A gennaio 2012 c’è stato un aumento di capitale per 7 milioni di euro, interamente versato dal socio unico, la fondazione San Raffaele degli Angelucci.
Altri 10 milioni sono serviti come acconti per la manleva sui contributi e, scrive Rossi, “ulteriori acconti verranno ragionevolmente erogati nel 2013”. Grazie a queste somme “pur con le difficoltà del momento alla data, non sono riscontrati ritardi nei pagamenti degli stipendi”.
Insomma, Belpietro e gli altri 81 dipendenti ricevono lo stipendio puntualmente grazie al mecenatismo del deputato Pdl che maneggia con disinvoltura cliniche, Ferrari e giornali. Tonino Angelucci è indagato anche per i milioni ottenuti dalle sue cliniche nel Lazio, ma Libero si lancia intrepido nelle campagne contro gli sprechi della Sanità , senza citare i guai pugliesi di Gianpaolo o il danno erariale contestato a Tonino per le cliniche laziali. Libero ha sempre criticato lo Stato sprecone che gli dava, illecitamente, i soldi per sopravvivere.
Con gli Angelucci è più difficile sputare nel piatto in cui si mangia.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 29th, 2013 Riccardo Fucile
SUL WEB LA RABBIA DELLA BASE CONTRO IL “PASTORE” GRILLO… RIZZETTO: “IL PORCELLUM VA CAMBIATO”
«Non ricordo un solo caso di proposta dall’alto non approvata plebiscitariamente dalla base. Per farla breve, lunga vita a Grillo finchè il M5S sarà ancora un nano politico».
Le agenzie di stampa attribuiscono a Francesco Campanella – senatore palermitano dalla barba bianca, pacioso e con buon senso dell’umorismo – queste parole durissime.
E altre ancora: «Finchè saremo un gregge avremo bisogno di un pastore e anche di cani da guardia».
Al telefono, Campanella cade dalle nuvole: «Quale gregge? Ah, quelle parole sono di un attivista, che le ha postate sul mio profilo. Noi non siamo certo un gregge e io non siluro il M5S. Al limite mi è scappato un mi piace, ma comunque non le ho scritte io e non le condivido».
Ammessa la rettifica di Campanella, che certo non nasconde le sue opinioni critiche, resta la sostanza di un Movimento in cui «il dissenso viene interpretato come lesa maestà ».
E in cui, per decrittare la metafora del post, c’è «un gregge» di parlamentari, un paio di pastori (Grillo e Casaleggio) e i cani da guardia della comunicazione.
Mai come ora gli eletti sono in ebollizione. E stavolta non c’entrano i soldi. Niente diaria e niente scontrini.
Qui il gioco si fa duro, perchè si parla di politica.
In questi ultimi giorni di vacanza gli «incidenti» sono stati diversi.
Il post del comunicatore Claudio Messora che «invitava» a non «giocare al piccolo onorevole».
Una poesia in romanesco di Paola Taverna, che esponeva plasticamente il rapporto tra ortodossi e dissidenti: «…Proponi accordi strani e vedi prospettive. Mentre io guardo ‘ste merde e genero invettive».
Ciliegina sulla torta, il contrordine di Grillo sul Porcellum, prima feticcio da abbattere ad ogni costo, ora utile strumento per ribaltare il sistema.
Tra i senatori più critici, nei giorni scorsi, oltre a Campanella, Elena Fattori, Alessandra Bencini (minacciata d’espulsione), Luis Orellana, Monica Casaletto, Lorenzo Battista, Maria Mussini e Fabrizio Bocchino.
Otto nomi, ma tra gli irrequieti «silenziosi» la quota sale.
Considerando che fuori dai gruppi ci sono già due espulsi (Adele Gambaro e Marino Mastrangelo) e cinque fuoriusciti (Vincenza Labriola, Alessandro Furnari, Paola De Pin, Fabiola Anitori e Adriano Zaccagnini), non è difficile capire che sono allo studio le manovre per una piccola secessione, con eventuale creazione di un gruppo autonomo, almeno al Senato.
Tutto prematuro, naturalmente, fin quando il governo sta in piedi.
Ieri Giuseppe Vacciano ha pubblicato un brano del «Non Statuto» che rivendica il libero confronto.
Polemico anche il senatore Francesco Molinari (subito definito «venduto»), secondo il quale «andare alle urne con il Porcellum è una pericolosa contraddizione».
E chiude il post (condiviso da Ivan Catalano e Fabrizio Bocchino), con una domanda: «Siamo diventati quelli dello sfascio, del muoia Sansone con tutti i filistei?»
Campanella in un post, stavolta suo, chiede un referendum sul Porcellum.
Con parole accorate: «Amo il Movimento come un figlio, anche se mi fa incazzare. Ma per farlo crescere c’è un solo metodo: quello democratico».
Concorda Walter Rizzetto: «Continuo a pensare che la legge elettorale vada cambiata. Dobbiamo discuterne tra noi. All’assemblea del 2 settembre, dovrà esserci un contradditorio vero, de visu . I problemi non si risolvono con una poesia».
(da “il Corriere della Sera”)
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Agosto 29th, 2013 Riccardo Fucile
TRA I RENZIANI MALUMORI PER LE PAROLE DEL PREMIER: “LARGHE INTESE ETERNE? ALLORA ADDIO PD”
Era tutto pronto. Angelino Alfano l’aveva confermato in maniera accorata a Enrico Letta: “Se non
c’è un segnale definitivo sull’Imu questi non li tengo più, costringeranno Berlusconi a rompere”.
Ma il piano dei falchi Pdl per far saltare il governo Letta questa settimana, se non avesse ottemperato “alla lettera” al diktat sull’Imu, è stato sventato.
Lo rivela, finito il consiglio dei ministri, un ministro del Pdl: “Ci avevano già provato il giorno della manifestazione sotto casa di Berlusconi, ma stavolta era diverso. L’insidia era più concreta, il rischio enorme. Ma per il momento li abbiamo sconfitti”.
Una minaccia ben presente al premier che, aprendo la discussione di ieri al primo piano di Palazzo Chigi, ha avvertito tutti i ministri della reale posta in gioco: “Penso sia inutile che vi dica dell’importanza di questo provvedimento dal punto di vista politico e non solo tecnico”.
Sabato scorso ad Arcore, al summit terminato con la vittoria dei falchi, lo stesso Berlusconi era sembrato infatti avallare la linea dura.
Quella che avrebbe dovuto portare oggi stesso alle dimissioni dei ministri Pdl.
Poi la svolta. Maturata tra lunedì e martedì.
Raccontano che il lunedì nero di Mediaset, con la perdita del 6% del valore in Borsa, abbia giocato un ruolo decisivo per indurre il Cavaliere a tirare il freno.
Poi il pressing dei figli, ma soprattutto dei manager della galassia Biscione. Uno fra tutti: Bruno Ermolli, consigliere di amministrazione di Mediaset, Mediobanca e Mondadori, uomo fidatissimo e ascoltato da Berlusconi.
Che lo avrebbe scongiurato più di tutti di lasciar perdere lo scontro e la tentazione di far cadere il governo. Pena il rischio della distruzione dell’Impero.
Anche i sondaggi piovuti sul suo tavolo lunedì dimostravano che una crisi in questo momento non sarebbe compresa dall’elettorato berlusconiano, all’80% contrario a nuove elezioni.
Con una netta risalita di Enrico Letta, arrivato ad appena un punto e mezzo di distacco dalla popolarità di “super-Matteo” Renzi.
Dunque calma e gesso, ha ordinato il Cavaliere. Tanto che lo stesso Brunetta, fino a ieri fautore della linea dura, nelle ultime 48 ore si è dato da fare più di tutti per raggiungere un’intesa lavorando fianco a fianco con il sottosegretario Pd all’Economia, Pierpaolo Baretta.
E oggi addirittura rilancia sulle parole del premier: “Sono d’accordo con lui, le larghe intese cambiano l’Italia. Spero che il governo duri tutta la legislatura, fino al 2018”.
Naturale che oggi i falchi mastichino amaro, dopo aver visto allontanarsi le elezioni a data indefinita e con Letta che non vede più alcuna “scadenza” al suo governo.
In un partito spaccato a metà , nel giorno in cui le colombe celebrano la loro vittoria, gli “hardliners” rivendicano tuttavia di aver portato a casa il risultato: “Saccomanni fino a sabato diceva che non c’erano coperture – rimarca Daniela Santanchè – e se non avessimo alzato la voce col cavolo che il Pd avrebbe ceduto”.
Daniele Capezzone resta col fucile puntato e “la lente di ingrandimento” per capire quali coperture siano state trovate.
In ogni caso una minaccia molto pesante grave ancora sul governo, il voto sulla decadenza del Cavaliere dal Senato.
Capezzone ci tiene a metterlo in chiaro: “Molto bene sull’Imu. Ma questo è un altro binario rispetto alla difesa dei diritti di Berlusconi. Non è un lasciapassare per il plotone di esecuzione della giunta”.
Anche la “Pitonessa” avverte che “l’Imu va bene, ma la democrazia è più importante”. Lo stesso Berlusconi, pur avendo lasciato fare agli avvocati sulla questione della decadenza (su consiglio di Ghedini ha anche evitato finora di firmare i referendum sulla giustizia), resta scettico: “Mi sono morso la lingua e non ho presentato una memoria scritta, altrimenti avrei dovuto dire quello che penso veramente di questa magistratura “. Il Cavaliere teme comunque che le mezze aperture arrivate da una parte del Pd “siano tutta una presa in giro” e che alla fine la sua decadenza arriverà comunque.
Se i duri del Pdl ieri sono rimasti scornati dall’accordo nel governo sull’Imu, anche nell’ala dei renziani la proiezione di Letta così in avanti ha suscitato malumori e irritazione.
“Non possiamo mica istituzionalizzare le larghe intese con il Pdl – argomenta un uomo del sindaco di Firenze – a meno che Letta non pensi a una fusione dei due partiti. Che ne resterebbe del Pd dopo quattro anni passati a governare con Alfano e Brunetta?”.
Il 30 agosto Renzi lo dirà alla festa de l’Unità di Forlì.
Lo stesso giorno in cui Letta parlerà alla festa di Genova.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Agosto 29th, 2013 Riccardo Fucile
LA CONCESSIONE DELLA GRAZIA NON COPRE AUTOMATICAMENTE LA PENA ACCESSORIA DELL’INTERDIZIONE, MA SOLO LA CONDANNA PER FRODE FISCALE
L’ultima trovata per salvarsi non ha retto lo spazio di un mattino.
Chiedere a Napolitano di commutare magari solo l’interdizione dai pubblici uffici?
Il piano berlusconiano dal Colle non viene preso in considerazione.
Questa strada appare impraticabile a Giorgio Napolitano anche di fronte al nuovo pressing rivelato ieri da Repubblica
Impossibile poter mettere mano solo al capitolo dell’esclusione dai pubblici uffici di Silvio Berlusconi.
Il capo dello Stato lo aveva del resto già lasciato intendere chiaramente, nella sua lunga e dettagliata nota del 13 agosto scorso.
C’è un passaggio chiave in quella dichiarazione, che – viene ricordato – resta la “bussola” del Quirinale nella battaglia sulle sorti del leader del Pdl.
Questo: la porta aperta per valutare un’ipotetica richiesta di grazia può riguardare «un eventuale atto di clemenza individuale che incida sull’esecuzione della pena principale».
La pena principale. Così, non a caso, ha messo nero su bianco quindici giorni fa il presidente della Repubblica.
Dai berlusconiani è arrivato ugualmente un tentativo di forzatura. E dal Quirinale si rileva che in ogni caso la concessione della grazia non andrebbe a coprire e sanare automaticamente anche la pena accessoria dell’interdizione, ma appunto solo la condanna definitiva della Cassazione per la frode fiscale.
Risultato: l’ex premier magari eviterebbe domiciliari o servizi sociali ma finirebbe comunque fuori dalla scena politica
I sogni di una via d’uscita per Berlusconi “appoggiata” dal Quirinale tornano così nel cassetto.
La moral suasion che il Colle sembra indicare agli ambasciatori di Berlusconi come agli inviati del Pd, che tengono i contatti in queste agitate giornate, resta allora un’altra: riflessione e valutazione attenta sul caso, questo sì, senza una corsa affannosa a chiudere il caso quando arriverà in Giunta
Dal Pd si sono levate voci che non escludono l’ipotesi di portare davanti alla Consulta per una verifica di costituzionalità la legge Severino.
Senza al contempo manovre dilatorie all’infinito, senza strappi e rotture sulle regole, e soprattutto senza attacchi alla magistratura che al Colle non tollerano oltre.
Da questo punto di vista la sordina di Berlusconi ai falchi può rappresentare un passo avanti.
Con un risultato magari innescato da un eventuale approfondimento di qualche mese: si chiuderebbe la finestra per un voto anticipato in autunno, cosa che non può che far piacere al Colle
Però gli strattoni alla giacca del presidente della Repubblica da parte del Pdl restano quotidiani, e senza tenere in considerazione i suoi poteri e il suo ruolo.
Come potrebbe ad esempio il Quirinale mettersi a “sindacare” già sull’interdizione quando la Corte d’Appello di Milano determinerà solo nei prossimi mesi il tetto definitivo per l’ex premier?
Nel centrodestra sognano di tirarla per le lunghe, allungare il brodo in Giunta fino appunto al verdetto dei giudici milanesi.
Ma pare una missione impossibile. Emergono infatti altri ostacoli su quest’ultima manovra di salvataggio concepita dal Cavaliere.
Impossibile infatti, giuridicamente, circoscrivere la commutazione al solo capitolo interdizione: si può trasformare solo la pena detentiva in ammenda (da calcolare secondo il numero di giorni di carcere).
Possibile invece tecnicamente cancellare insieme sia la condanna che la pena accessoria. Ma appunto è un strada che Napolitano – lo dice la nota del 13 agosto – non intende imboccare
In cima ad ogni cosa nella partita che il capo dello Stato sta giocando con l’ex premier a caccia del salvancondotto, resta la faccenda della grazia.
Per il Quirinale, Berlusconi ha un unico modo perchè venga presa in esame: chiederla. La valutazione di un atto di clemenza, che naturalmente non include affatto la garanzia di accettazione, passa per una formale richiesta e dunque l’accettazione della sentenza.
E’ un punto sul quale il capo dello Stato ha più volte fatto sapere di non transigere. Anche per questo ha dato mandato al segretario generale del Quirinale Marra di scrivere una lettera al senatore Maurizio Gasparri, che invece parlava di una grazia concessa “motu proprio” a Joseph Romano, il colonnello americano condannato per il rapimento di Abu Omar.
Non è andata così, gli hanno risposto dal Colle. «La domanda di grazia per Romano è pervenuta – ha risposto Marra al vicepresidente del Senato – l’ha inoltrata al Quirinale il suo avvocato ».
E magari, ma di questo naturalmente non si fa cenno nella lettera, senza mettersi a fare la guerra ai magistrati che lo avevano condannato.
Umberto Rosso
(da “La Repubblica“)
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Agosto 29th, 2013 Riccardo Fucile
LE TROPPE LEGGI RIMASTE VUOTE
Due anni fa il governo Berlusconi decise d’investire sui prestiti d’onore agli studenti. Ottima idea,
ottima iniziativa.
Scopriamo adesso che fin qui ne hanno fruito in 597, quando negli Usa sono 39 milioni gli ex studenti che stanno saldando il loro prestito d’onore.
Insomma l’ennesima promessa tradita, anche se il tradimento non fa mai notizia.
La notizia sta sempre nell’annuncio, nel messaggio che accompagna l’ultima lieta novella normativa.
Come l’abolizione del precariato nella pubblica amministrazione, decisa ieri dal governo Letta; e speriamo che sia vero.
Altrimenti inciamperemmo su un’altra legge-manifesto: le «grida in forma di legge» su cui levava l’indice, già nel 1979, il Rapporto Giannini.
A chi convengono? Perchè restano orfane di ogni applicazione? E come mai alle nostre latitudini fioccano come la grandine?
A occhio e croce, questo fenomeno si manifesta in due sembianze.
In primo luogo, le leggi fatte apposta per non funzionare.
Fra cui s’inscrive, per l’appunto, la disciplina sui prestiti d’onore: un misero fondo di 19 milioni, un tasso d’interesse che scatta il primo giorno dopo il prestito (anzichè dopo la laurea), e che fa schizzare la rata a mille euro al mese.
Ovvio che non ci sia poi la fila agli sportelli.
In secondo luogo, le leggi che reclamano ulteriori adempimenti normativi, per esprimere tutti i propri effetti.
E se l’adempimento non viene mai adempiuto? Amen, la legge rimarrà una pia intenzione, una nuvola di parole mute.
Questi corpi celesti solcano da tempo il nostro orizzonte giuridico.
Celebre il caso della vecchia legge sulla Protezione civile, inoperante perchè priva del suo regolamento esecutivo.
Da qui ritardi e disfunzioni nei soccorsi, quando nel novembre 1980 un terremoto devastò l’Irpinia; da qui un messaggio televisivo di Pertini, con parole di fuoco nei confronti del governo per la sua omissione normativa.
Ma sta di fatto che negli ultimi anni gli episodi si moltiplicano, sicchè l’eccezione è ormai diventata regola.
Durante il gabinetto Berlusconi, per esempio, fu annunciata in pompa magna la riforma Gelmini dell’università , la cui efficacia dipendeva tuttavia da un centinaio di regolamenti futuri.
Mentre il gabinetto Monti concluse la propria esperienza lasciando ai posteri 490 norme da rendere pienamente vincolanti, con regolamenti o con atti amministrativi.
Ma per quale ragione la politica italiana ha trasformato ogni legge in un inganno? Semplice: perchè è incapace di decidere, e allora finge di produrre decisioni.
Disegna acrobazie verbali, sciorina commi incomprensibili, che volano come coriandoli nel Carnevale del diritto.
Oppure pratica l’arte del rinvio, confezionando norme che restano altrettanti corpi senza gambe, fin quando non interverrà la disciplina d’attuazione.
D’altronde le leggi in quarantena possono ben rivelarsi utili dal punto di vista dei partiti. Nel 1945, dopo la guerra, in Norvegia conservatori e laburisti bisticciavano circa il mantenimento della legge sul controllo dei prezzi: i primi volevano abrogarla, i secondi no.
Finì che la legge rimase in vigore, però soltanto sulla carta, giacchè non venne più applicata; e così entrambi i partiti cantarono vittoria davanti al proprio elettorato.
Mezzucci, espedienti da magliaro.
Ma in questo gioco illusionistico siamo noi i maestri, mica i norvegesi.
Sicchè, quando vi folgora l’annuncio dell’ultima rivoluzione normativa, mentre vi buca i timpani il coro contrapposto dei detrattori e degli entusiasti, sappiate che non è il caso di scaldarsi.
In Italia la legge non è sempre una cosa seria.
Michele Ainis
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Agosto 29th, 2013 Riccardo Fucile
CONDANNATO A 5 ANNI E 4 MESI PER CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA, ERA LATITANTE… LA CASSAZIONE AVEVA CONFERMATO: “FAVORI’ LA COSCA DI ‘NDRANGHETA ROSMINI”
L’ex deputato Amedeo Matacena è stato arrestato a Dubai.
L’ex parlamentare di Forza Italia era latitante dallo scorso mese di giugno, quando era diventata definitiva una sentenza di condanna a 5 anni e 4 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa.
Secondo quanto accertato dai giudici, l’ex deputato favorì la cosca Rosmini.
A giugno era stata confermata la pena, con anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
E lui si era reso irreperibile.
Così scriveva la Cassazione nelle motivazioni della sentenza (depositate il 14 agosto): “Evidentemente non si può stringere un ‘accordo’ con una struttura mafiosa, se non avendo piena consapevolezza della sua esistenza e del suo modus operandi. Tanto basta per ritenere che Matacena ben sapesse di aver favorito la cosca dei Rosmini (e tanto lo sapeva da aver preteso la esenzione dal ‘pizzo’)”.
Matacena, calabrese, eletto con Forza Italia nel 1994 e nel 2001, era irrintracciabile (a Roma, nè a Reggio Calabria e nemmeno a Montecarlo dove ha la residenza)da quando i carabinieri andarono a notificargli l’ordine di esecuzione della pena, dopo il verdetto.
La condanna di Matacena, difeso senza successo da Franco Coppi e dall’ex Guardasigilli Alfredo Biondi, più volte ministro e a lungo parlamentare liberale e nelle fila di Forza Italia, è stata emessa anche — sottolinea la Cassazione — per il ”ritorno di immagine” che a favore dei Rosmini derivava dall’appoggio del deputato reggino appartenente a una famiglia di imprenditori.
“E’ dunque lo stesso vertice della cosca — scrivono i supremi giudici nelle sentenza estesa dal consigliere Maurizio Fumo — che afferma a) che Matacena non puo’ essere sottoposto a estorsione, b) che in passato lo stesso ha ‘sempre favorito’ l’associazione, c) che, anche nel presente, Matacena e’ disponibile (‘a noi ci favorisce, ci aiuta se abbiamo bisogno’)”.
Tra gli elementi che provano i rapporti tra il clan Rosmini e l’ex deputato arrestato a Dubai, la Cassazione ricordava pure ”la rapida carriera politica di Giuseppe Aquila (da manovale a bordo dei traghetti ‘Caronte’ della famiglia Matacena a presidente della giunta provinciale di Reggio Calabria)”.
Aquila — ricorda la Corte — ”era uomo che faceva parte della famiglia (di sangue e mafiosa) dei Rosmini”.
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Agosto 29th, 2013 Riccardo Fucile
“E’ LA MENTE DEL MECCANISMO ILLECITO ATTO A CONSENTIRE LA LIEVITAZIONE DEI COSTI DI MEDIASET A FINI DI EVASIONE FISCALE”…FIRMANO TUTTI I GIUDICI PER RIMARCARE L’UNANIMITA’ DEL GIUDIZIO
Silvio Berlusconi fu l’ideatore e il beneficiario, anche dopo la dismissione delle cariche sociali, del
meccanismo del giro dei diritti televisivi, che produceva illecitamente benefici fiscali per le sue aziende” e “disponibilità patrimoniali su conti correnti esteri intestati a società controllate”.
Un fenomeno per cui la definizione di “sovraffatturazione” appare inadeguata.
Lo scrive la Cassazione nelle 208 pagine di motivazioni della sentenza Mediaset (che ha reso definitiva la condanna a 4 anni per il Cavaliere), depositate questa mattina. E con le quali recepisce, di fatto, l’impostazione della Corte D’Appello. A firmare le motivazioni, tutto il collegio dei giudici e non solo l’estensore come d’uso.
Berlusconi ideatore.
Il Cavaliere – scrivono nel dettaglio i giudici – fu “l’ideatore del meccanismo del giro dei diritti che a distanza di anni continuava a produrre effetti (illeciti) di riduzione fiscale per le aziende a lui facenti capo in vario modo”.
“Il sistema organizzato da Silvio Berlusconi – rilevano i componenti della sezione feriale – “ha permesso di mantenere e alimentare illecitamente disponibilità patrimoniali estere, conti correnti intestati ad altre società che erano a loro volta intestate a fiduciarie di Berlusconi”.
L’ex premier “conoscendo perfettamente il meccanismo, ha lasciato che tutto proseguisse inalterato – si legge nella sentenza – mantenendo nelle posizione strategiche i soggetti dal lui scelti e che continuavano a occuparsi della gestione in modo da consentire la perdurante lievitazione dei costi di Mediaset a fini di evasione fiscale”.
Inverosimile la truffa.
Mentre c’è “l’assoluta inverosimiglianza dell’ipotesi alternativa che vorrebbe tratteggiare una sorta di colossale truffa ordita per anni ai danni di Berlusconi” – sottolineano gli estensori – “da parte dei personaggi da lui scelti e mantenuti nel corso degli anni in posizioni strategiche”.
Questo perchè i personaggi chiave della vicenda Mediaset sono stati “mantenuti sostanzialmente nelle posizioni cruciali anche dopo la dismissione delle cariche sociali da parte di Berlusconi e in continuativo contatto diretto con lui”.
Per cui “la mancanza in capo a Berlusconi di poteri gestori e di posizione di garanzia nella società non è dato ostativo al riconoscimento della sua responsabilità “.
Firma tutto il collegio.
Nell’ultima pagina infatti tutti i componenti del collegio hanno firmato la sentenza in qualità di magistrati estensori. Si tratta di Amedeo Franco, Claudio D’Isa, Ercole Aprile, Giuseppe De Marzo, a cui segue la firma del presidente Antonio Esposito.
Una scelta non casuale, dopo le polemiche causate dall’intervista di Esposito al Mattino.
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Agosto 29th, 2013 Riccardo Fucile
PER NON FAR PAGARE L’IMU AI PROPRIETARI DI CASE DI LUSSO, A OTTOBRE AUMENTERA’ L’IVA, COSI SE LO PRENDERANNO IN QUEL POSTO LE FAMIGLIE A BASSO REDDITO… PER QUELLE CHE VOTANO PDL SILVIO SI INVENTERA’ CHE VI PORTA ANCHE LA PIZZA GRATIS A CASA…. UNICA AVVERTENZA: NON FATE APRIRE LA PORTA A VS. FIGLIA DI 17 ANNI
L’Europa vuole sapere come l’Italia coprirà il mancato gettito derivante dall’addio all’Imu?
La risposta del governo arriva a stretto giro di posta, seppur indirettamente.
E’ il viceministro dell’Economia Stefano Fassina (Pd) ad anticipare cosa avverrà nei prossimi mesi: nuove tasse.
“La cancellazione per tutti di entrambe le rate dell’imposta rende ormai ‘irrimediabile’ l’aumento dell’Iva previsto per il primo ottobre” ha scritto il ‘giovane turco’ in un intervento sull’Huffington Post.
“In una fase così difficile — ha spiegato il viceministro — dedicare un miliardo per eliminare l’Imu per meno del 10% degli immobili di maggior valore, ha sottratto preziose risorse a finanziare, ad esempio, il rinvio dell’aumento dell’Iva previsto, oramai irrimediabilmente grazie alla “vittoria” del Pdl sull’Imu, per il 1 ottobre. O per allentare il Patto di Stabilità Interno dei Comuni e rianimare i piccoli cantieri e l’attività di migliaia di imprese artigiane e relativi lavoratori”.
Parole dure quelle del numero due di via XX Settembre, nonchè molto distanti da quelle di giubilo espresse ieri dalla parte democratica del governo e dal Pdl. L’aumento dell’Iva a ottobre, però, non può che smorzare l’entusiasmo di Enrico Letta, visto che rischia di diventare il prossimo casus belli nell’equilibrio tutt’altro che solido delle larghe intese.
Omai è evidente la strategia del Pdl: ogni tassa va tolta e sostituita con un’altra di uguale o maggior importo, basta chiamarla in modo diverso.
Fino a che i nodi vengono al pettine: quando ci troviamo con lo spread a 550, allora si chiama qualcuno a “risanare” i conti, salvo poi accusarlo di ogni nefandezza restrittiva.
Poi tornano loro e risputtanano i conti per riottenere il consenso.
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Agosto 29th, 2013 Riccardo Fucile
SUL SUO SITO IL VICEMINISTRO CONFERMA: “NELLA SERVICE TAX CI SARA’ UNA COMPONENTE PATRIMONIALE COME PER L’IMU E IL NUOVO PRELIEVO POTREBBE ESSERE ANTICIPATO AL 2013 PER COPRIRE LA CANCELLAZIONE DELLA PRIMA RATA”
Ieri, come nei provvedimenti dei mesi scorsi e come speriamo negli atti a venire, il governo Letta
ha raggiunto un compromesso utile all’Italia su alcune emergenze economiche e sociali del Paese. È un compromesso perchè il governo Letta è un governo di compromesso tra due forze politiche che sono e rimangono alternative per valori, programmi e interessi materiali rappresentati.
Il PdL ha ottenuto una parte delle sue priorità . Noi abbiamo realizzato parte delle nostre. Pertanto, inevitabilmente, il compromesso contiene parti, secondo la nostra lettura delle priorità del Paese, giuste. Ma, insieme, contiene parti, per noi, sbagliate. Dobbiamo dire la verità . Altrimenti, non siamo capiti e riconosciti nella nostra identità alternativa al profilo e al programma della destra.
Le parti giuste sono, innanzitutto, il rifinanziamento della Cassa Integrazione in deroga che, con il mezzo miliardo di euro di ieri, arriva a 2,5 miliardi per l’anno in corso. Sono sufficienti? Vedremo. Nelle prossime settimane verrà completato il monitoraggio e in caso servano ulteriori risorse il governo interverrà con la Legge di Stabilità .
È giusto anche l’intervento, per circa 700 milioni di euro, sulla categoria più debole di esodati: i licenziati individuali, ossia le persone licenziate al di fuori degli accordi sindacali. Non siamo ancora alla soluzione completa del dramma incominciato a dicembre 2011, ma è un ulteriore e significativo passo avanti.
È giusta anche la conferma della tassazione della prima casa. Infatti, è abolita l’Imu. Non è abolita la tassazione sulla prima casa. Non per sadismo comunista, ma per evitare di tagliare servizi fondamentali o caricare ulteriormente sul piano fiscale i produttori, ossia il reddito da lavoro e di impresa.
La service tax (denominata “Taser”, Tassa sui servizi comunali) tratteggiata nel documento allegato al verbale del consiglio dei ministri va nella direzione di un impianto pienamente federale dell’imposta, indica la rendita catastale come base imponibile, fissa, nel caso di abitazioni affittate, il contributo prevalente a carico del proprietario e impegna il legislatore a tutelare le abitazioni di minor valore (oggi esenti dall’Imu grazie alla detrazione). In sintesi, conferma una componente patrimoniale dell’imposta come è per l’Imu. È, infine, giusto, il taglio dell’Imu sui beni strumentali delle imprese.
Le parti sbagliate riguardano l’intervento sull’Imu per il 2013, in particolare la cancellazione per tutti della prima rata “saltata” a giugno scorso: in una fase così difficile, dedicare un miliardo per eliminare l’Imu per meno del 10% degli immobili di maggior valore, ha sottratto preziose risorse a finanziare, ad esempio, il rinvio dell’aumento dell’Iva previsto, oramai irrimediabilmente grazie alla “vittoria” del PdL sull’Imu, per il 1 ottobre. O per allentare il Patto di Stabilità Interno dei Comuni e rianimare i piccoli cantieri e l’attività di migliaia di imprese artigiane e relativi lavoratori.
L’errore va evitato nel reperimento dei 2,4 miliardi necessari a finanziare la cancellazione della seconda rata dell’Imu 2013 dovuta a dicembre. Vanno chiamate a contribuire anche le prime abitazioni di valore più elevato attraverso un acconto della service tax o altre soluzioni temporanee. Altrimenti, priorità di interesse generale continuano a soffrire.
In alternativa all’intervento voluto dalla destra, noi, il centrosinistra, saremmo intervenuti sull’Imu in modo equo e efficace anche per il 2013: avremmo innalzato la detrazione Imu per esentare fino a l’85% dei proprietari. Avremmo portato a regime la soluzione e evitato la ricerca di una complicata, per amministrazioni comunali e contribuenti, approssimazione dell’Imu attraverso la service tax.
Purtroppo, il governo Letta non è il governo del centrosinistra. È un governo di compromesso. Il compromesso raggiunto è utile all’Italia. Merito, in primis, di Enrico Letta. Ma la macchina della propaganda della destra va a mille. “Silvio vince”. “Missione compiuta”. Sono i titoli degli house organ della famiglia Berlusconi.
Tanti, a sinistra, contrari alle larghe intese, si indignano e, inconsapevoli o subalterni al vento dell’anti-politica, amplificano stupidamente il messaggio berlusconiano.
Si prescinde, come è solito, dai dati di realtà .
Stefano Fassina
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