Agosto 27th, 2013 Riccardo Fucile
SULLA CARTA IL CENTROSINISTRA POTREBBE GIA’ AVERLI PER UN LETTA BIS ANCHE SENZA L’APPORTO DI TRANSFUGHI BERLUSCONIANI
I senatori tracciano diagrammi a torta o a colonna sulla spiaggia.
Fanno i conti, ora che di colpo si moltiplicano retroscena sull’uscita del Pdl dal governo, e sulle maggioranze alternative a Palazzo Madama.
Valutano la tenuta morale dei colleghi, la posta in palio, le offerte sul piatto.
La domanda che tutti si pongono è: chi saranno i traditori nel partito di Silvio Berlusconi?
Ricominciamo da capo: al Senato servono 159 voti per tenere su l’esecutivo.
Pd più Scelta civica più il gruppo delle autonomie fanno 138.
Ne servono altri ventuno.
Dal misto (che contiene sette vendoliani) ne può arrivare una decina.
Quelli di Sel si pensa che accetterebbero per portare a casa qualcosa con la Finanziaria e soprattutto per ottenere una riforma della legge elettorale da costruire senza che i berlusconiani ci mettano becco.
Poi c’è il gruppo Gal (Grandi autonomie e libertà ), nato perchè il Pdl gli ha prestato alcuni parlamentari al di sopra di ogni sospetto, per esempio un vecchio gentiluomo liberale come Luigi Compagna.
Ma anche lì dentro tre o quattro che non hanno voglia di tornarsene a casa si dovrebbero scovare.
Si calcola che almeno cinque o sei grillini siano disposti a mollare Beppe Grillo, e la maggioranza eccola raggiunta. O a un passo.
Diciamo cinque o sei grillini fidandoci di un leghista che sbaglia di rado: «Ho fatto un’indagine, i numeri per ora sono quelli».
Le previsioni a spanne non tengono conto delle disponibilità che la politica concede ampie.
Siamo soltanto all’inizio e già ieri è uscita la notizia spettacolare di un Domenico Scilipoti pensieroso.
L’ex dipietrista, passato con Berlusconi alla fine del 2010 per compensare la fuga all’opposizione dei finiani, intervistato dall’Espresso ha detto che la squadra di Enrico Letta «sta risollevando il Paese, sta dando prestigio internazionale. Ognuno lavori per creare le condizioni per andare avanti». Avviarsi al voto col porcellum sarebbe inutile, e dunque, se ci fosse crisi di governo, «ogni parlamentare ha a disposizione l’articolo 67 per fare buon uso del proprio mandato: essere responsabili».
Ecco, quello che disse l’altra volta: non c’è vincolo di mandato, ognuno decida per sè. E così Scilipoti ha l’aria di essere pronto a tornare a sinistra pur di non tornare all’opposizione.
La scelta, oltre ad arricchire la figura letteraria di Scilipoti, dà l’idea di come nulla sia sotto controllo, e che di scilipotianamente patriottici non ne mancheranno.
Non c’è nemmeno bisogno dell’epico tradimento alla Dino Grandi, e infatti circolano ipotesi sui soliti notabili siciliani (compreso Salvatore Torrisi, un avvocato catanese sulla cui rettitudine nel Pdl giurano), forse anche con un po’ di pregiudizio antropologico.
Lasciando perdere i pallottolieri, a palazzo si fa una considerazione solida: mollando Letta, il Pdl lascerebbe liberi posti da ministro, ma soprattutto da viceministro e sottosegretario da distribuire a chi desse una mano.
Dice un senatore ex Forza Italia: «Nel Pdl capita sempre qualcuno che arriva in Parlamento un po’ per caso, e che magari non confida molto in una ricandidatura. È gente che conosciamo appena, e che forse spera di portare fino in fondo la legislatura».
Gianfranco Miccichè spiega: «So per certo che nel Pd stanno già lavorando alla campagna acquisti».
Il risultato evidente è che Letta avrebbe l’opportunità di proseguire senza troppe difficoltà . «Credete che ci sfiderebbe così se non avesse le spalle coperte?», dice un senatore pidiellino. La questione matematica lascia dubbi, ma pochi, e molti meno di quelli che sorgono se si pensa a una maggioranza così nuova, così eterogenea e così estemporanea.
Si tratterebbe di mettere assieme i neocomunisti vendoliani con Scilipoti, gli ex pidiellini e con gli ex grillini, e costruire un sostegno all’esecutivo che non avrebbe obiettivi politico, ma soltanto uno scopo tattico: tirare avanti un po’, rispondere a qualche esigenza europea, magari infilare due riforme più popolari che decisive, pensare alla legge elettorale.
Mattia Feltri
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Agosto 27th, 2013 Riccardo Fucile
GLI ENTI LOCALI SONO AUTORIZZATI A INDIRE LA PROVA MA NON AD ASSUMERE I VINCITORI: AUTORIZZATO L’INSERIMENTO SOLO DEL 20% DEL TURN OVER
Vincitori, ma vinti.
Ferdinando, 39 anni di Aversa non lavora da allora o meglio si è buttato nel lavoro nero.
Era il 2008 quando ha cominciato a studiare per il concorso da assistente amministrativo contabile bandito dal ministero dell’Interno.
Nel 2011 escono le graduatorie; risulta idoneo. Cinque vincitori rinunciano e lui pensa è fatta, sono dentro. Invece no.
Oggi disoccupato e senza famiglia, spiega con amarezza: “Ho perso la fiducia nello Stato. I dirigenti del ministero dell’Interno hanno gestito la faccenda come se fosse un’azienda privata”.
Michelangelo, romano di 38 anni, vincitore nel concorso bandito dall’ICE (Istituto commercio estero) nel 2010.
“Ero felice quando è arrivata la raccomandata che ufficializzava il sucesso. Poi, dopo 5-6 mesi, hanno soppresso l’Ente, e da allora è una lotta burocratica: vivere in modo civile significa rispettare i patti. Ma se lo Stato, in questo caso la Pubblica amministrazione, non li rispetta, perchè devo farlo solo io?”.
Sembra assurdo, paradossale.
Ma nell’Italia delle truffe succede così.
Viene bandito un concorso da un’amministrazione pubblica. Un giovane, legge i requisiti richiesti, il ruolo che viene ricercato per l’assunzione di un certo numero di posti nell’Ente indicato.
Decide di partecipare e comincia a studiare le materie richieste, compra i libri, si prepara per mesi, affronta le prove dove si presentano migliaia di persone da tutta Italia.
Supera i test di ingresso, poi anche le prove scritte spesso molto specialistiche, e infine arriva alla prova orale. Passa anche quella. Allora comincia a sperare.
Che il sogno si avveri? Poi dopo mesi di attesa, a volte anni, arrivano le pubblicazioni delle graduatorie e la raccomandata dove si legge: Vincitore numero 95.
È andata. Festeggiamenti, progetti, possibilità . Ma siamo in Italia. Vincere un concorso pubblico non è sinonimo di assunzione.
Un esercito di 100 mila invisibili, vincitori e idonei di concorsi indetti da enti della P. A. non ha ancora mai visto quel posto di lavoro nè ha mai visto riconosciuta la sua vittoria. E magari l’ente ha assunto altre figure in altri ruoli.
In Sicilia, un caso record: 97 restauratori vincitori di un concorso all’assessorato dei Beni culturali della Regione siciliana aspettano da 13 anni di vedere riconosciuti i loro diritti.
Alcuni di loro, nell’attesa, sono invecchiati.
Le storie dei vinti, più che dei vincitori, hanno sigle diverse: gli invisibili popolano le graduatorie dei concorsi indetti da vari enti, ministero dello Sviluppo Economico, INPS, INAIL, ministero dell’Interno, Vigili del Fuoco, tanto per citarne alcuni.
“È un’anomalia tutta italiana”, spiega Michele Gentile, responsabile dipartimento Funzione Pubblica della CGIL, “quello che succede è dovuto a un misto di discrezionalità , burocrazia e politica, unico e senza precedenti negli altri paesi dell’Unione Europea”.
L’articolo 97 della Costituzione Italiana, (ultimo comma) recita: “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.
“Ma questo non assicura nulla”, continua Gentile, “perchè nel nostro sistema c’è un vizio di procedura. Alcune pubbliche amministrazioni devono chiedere due autorizzazioni, una per bandire un concorso e l’altra per assumere e a volte vengono autorizzate a bandire un concorso per mettiamo 100 posti per contabili ma dopo non vengono autorizzate ad assumerli perchè ci sono vincoli di spesa e ogni amministrazione può assumere solo fino al 20% del turnover. Quindi non c’è una politica programmatica sul fabbisogno ma tutto è determinato da un vincolo economico. È una seria priorità da affrontare, sarebbe necessario azzerare il turnover e riaprire una sana prospettiva occupazionale nelle P. A. che oggi non esiste altrimenti è inevitabile che le due categorie più deboli, precari e vincitori di concorsi entreranno presto in serio contrasto”.
“Questa è una storia che grida vendetta”, spiega Alessio Mercanti, promotore e ideatore del Comitato XVII Ottobre (dalla data della prima protesta) che raggruppa tutti i Comitati di vincitori e Idonei di Concorsi della Pubblica amministrazione. “Purtroppo, però, grida sottovoce perchè il vincitore idoneo non lavora, non è iscritto al sindacato e non vota le RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie) e quindi come ci disse un segretario di sindacato, è politicamente perdente. Ma in un paese normale il nostro comitato non dovrebbe neanche esistere. Questa è un’ingiustizia colossale che va sanata. Ci hanno sempre detto di premiare il merito, e allora? Ci hanno detto, come recita la Costituzione, che alle Pubbliche amministrazioni si accede per concorso pubblico e quindi, che fanno ora regolarizzano i precari? La pazienza sta finendo, abbiamo sempre cercato di non fare muro contro muro ma se questo decreto D’Alia non dovesse contenere delle garanzie anche per i vincitori e idonei scenderemo in piazza e faremo sicuramente qualche azione forte. Lo dobbiamo a questi ragazzi che ci credevano, che hanno studiato, che si sono messi in gioco e hanno vinto un concorso e come si fa oggi a chiamarli invisibili, è un’offesa alle brave persone e un’istigazione alla delinquenza”.
Sul tema, sono state presentate due proposte di legge una a firma di Cesare Damiano la 635 che ancora non è calendarizzata ed un’altra a firma dell’onorevole Baldelli. Damiano, ex titolare del Lavoro in sostanza propone il loro riassorbimento nelle Pubbliche amministrazioni e la proroga dell efficacia delle graduatorie fino al 31 dicembre 2015 con conseguente impegno da parte delle amministrazioni ad assumere nel triennio 2013 2015 i vincitori e gli idonei secondo le graduatorie con principi di trasprenza e imparzialita.
(da “La Repubblica“)
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Agosto 27th, 2013 Riccardo Fucile
150 o 300 METRI QUADRI? DIECI VANI O PIU’? CON PISCINA O PORTIERE?
Una girandola di incontri tra governo e partiti di maggioranza per provare a trovare la quadra sull’Imu.
La trattativa ormai è ristretta a due punti: le coperture per tagliare la tassa e la platea di coloro che continueranno a pagarla sulle prime case.
Ed è proprio su questo secondo punto che si sta discutendo molto, ossia quali case debbano essere considerate di lusso.
Con le attuali classificazioni catastali solo poche migliaia su oltre 30 milioni di abitazioni sono classificate di pregio.
Dunque si stanno cercando nuovi parametri “oggettivi”, come per esempio i metri quadri (150 o 300 sono il limite del “pregio” sul quale si ragiona”, o la presenza di alcuni elementi (piscine, portieri, etc.), che possano aiutare a definire una casa “lussuosa”.
Intanto si è chiuso l’incontro tra Guglielmo Epifani e i ministri del Pd e arriva il comunicato: “Le priorità riguardano la scuola, il rifinanziamento della Cassa integrazione guadagni, il tema degli esodati. In una fase di drammatico calo dei consumi interni sarebbe utile evitare il previsto aumento dell’aliquota Iva”.
Attorno al tavolo di via del Nazareno, oltre al capogruppo al Senato Luigi Zanda e al responsabile economico del partito Andrea Colaninno, l’intera compagine governativa: da Dario Franceschini a Graziano Delrio, da Cecile Kyenge a Maria Chiara Carrozza, da Massimo Bray ad Andrea Orlando.
Tutti insieme mettono i puntini sulle “i”: il risanamento del paese non passa per l’abolizione dell’Imu, i problemi sono altri.
Ma, ovviamente, il piatto forte è stato quello: “Il tema del superamento dell’Imu, come previsto dal programma di governo — prosegue la nota – dovrebbe essere affrontato attraverso soluzioni eque e che siano nel contesto di un riforma federale”.
Schermaglie utili al Pd per dimostrare di non aver ceduto completamente il passo alle richieste del Pdl (“Non accettiamo ultimatum, non c’è solo l’Imu”, ha ribadito Epifani), ma l’accordo sembra ad un passo, in vista dell’incontro tra il segretario del Pd ed Enrico Letta previsto per il pomeriggio.
Delrio aveva fornito un’indicazione di massima: le abitazioni di lusso sarebbero solamente 73mila su oltre 33milioni.
Il Pdl è intenzionato a restringere il più possibile la platea degli interessati, per il Pd quel numero sarebbe proprio esiguo.
La partita si gioca tutta sull’altezza su cui verrà fissata l’asticella.
Ma, nonostante le incertezze che ancora rimangono sul piatto, la strada imboccata in vista del Consiglio dei ministri di domani è quella di un sostanziale accordo: nelle more delle diverse ipotesi ancora al vaglio, l’abolizione (o la sostanziale rimodulazione) riguarderà il solo 2013. Dal 2014 , a sostituirla, arriverà la service tax, che verrà definita nella legge di stabilità .
(da “Huffington Post“)
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Agosto 27th, 2013 Riccardo Fucile
TRA GLI ELETTI A PALAZZO MADAMA MOLTI NON SONO D’ACCORDO CON GRILLO… CRITICHE ANCHE A MESSORA: “CHI E’ LUI PER DIRCI COSA FARE?”
Si rivedranno solo tra una settimana.
Ma i senatori Cinque Stelle hanno già (ri)cominciato a litigare.
Tutta colpa di un post scritto da Claudio Messora (responsabile della comunicazione a palazzo Madama) sul suo blog, byoblu.
Dalle vacanze, ha lanciato l’accusa agli eletti che giocano a fare il “piccolo onorevole”.
Ovvero, colpevoli di tradire uno dei punti cardine del Movimento, il principio del portavoce: non sei lì per ragionare con la tua testa, pensare strategie o elaborare teoremi.
Uno vale uno, si fa quel che dice la base.
Ad alcuni degli eletti, l’affondo del comunicatore non è piaciuto. Chi è Messora per dirci cosa dobbiamo fare? Così, chi pubblicamente — come Francesco Campanella e Elena Fattori — chi nelle segrete stanze di WhatsApp, hanno cominciato a chiedersi cosa volesse quel blogger che per di più è “pagato da noi”.
Tutto poteva finire lì, nelle beghe che già in passato hanno movimentato i rapporti tra i comunicatori (scelti da Grillo e Casaleggio) e i parlamentari Cinque Stelle.
Se non fosse che le parole di Messora sono state riprese e benedette dal capo del Movimento in persona. E così, la lista dei contestatori di Messora finisce inevitabilmente per trasformarsi in una pattuglia di senatori in rotta con il leader.
Oltre a Campanella e alla Fattori ci sono Maria Mussini, Alessandra Bencini, Monica Casaletto, Luis Orellana, Lorenzo Battista e Fabrizio Bocchino.
Da sempre considerati i più “dialoganti” del gruppo, ora finiscono all’indice come i papabili transfughi nell’ipotesi della fine delle larghe intese.
Loro sono convinti che prima di tornare a votare, si debba a tutti i costi cambiare la legge elettorale.
Anche con un altro governo. Esattamente il contrario di quello che da qualche giorno va sostenendo Grillo: l’odiato porcellum, d’un tratto, è diventato il male minore; servono elezioni subito anche perchè — è la tesi M5S — se la legge elettorale la rifanno Pd e Pdl, noi siamo tagliati fuori per sempre.
“Gradirei un feedback da chi ha creduto in noi”, dice la senatrice Alessandra Bencini. È una di quelli che non ha gradito le parole di Messora e raccontano che il suo messaggio su WhatsApp sia stato tra i più duri (di Grillo ha detto: “Da comico erudito, è diventato ero-udito”, a sottolineare il calo di appeal del leader M5S).
Ora spiega che non sono loro ad aver tradito il principio del portavoce.
Semmai, è il contrario: “Io la voce la porto volentieri — dice la Bencini — però quando ci sono decisioni da prendere sarebbe bello consultare la base…io se c’è più concretezza la porto ancora più volentieri”.
A lei piacerebbe poter avere il riscontro degli 8 milioni e passa di italiani che hanno messo la croce sul simbolo Cinque Stelle, ma si accontenterebbe anche degli iscritti che rappresentano lo “0,5 per cento” degli elettori, magari arricchito dai nuovi attivisti dei meetup, ancora non certificati sul portale.
“Bisogna tracciare una linea politica — insiste capire dove si parte e dove si può arrivare. Io quando facevo l’attivista lo sapevo bene. Ora che sono lì, se avessi il conforto di una consultazione, sarei più tranquilla nelle scelte da fare. Avevamo detto che la legge elettorale andava cambiata per forza, anche solo quella. Invece adesso vedo che non è più così. Ma chi l’ha deciso? E perchè non lo chiediamo a chi ci ha votato?”.
Paola Zanca
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 27th, 2013 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DI CONFARTIGIANATO: A RISCHIO PIZZE AL TAGLIO, PASTICCERIE E PANIFICI
Una `stangata’ da 9,2 miliardi quella che gli imprenditori hanno pagato nel 2012 sotto forma di Imu sugli immobili. Stangata che oltretutto è anche già diventata più pesante `grazie’ ad un meccanismo di rincaro automatico.
I conti, alla vigilia del Cdm che dovrà rivedere l’intera materia, li fa Confartigianato che lancia anche un ulteriore allarme: con l’arrivo della Tares alcune piccole imprese artigiane si troverebbero a pagare il 300% in più.
Come le pizzerie al taglio, i panifici (93%) o le pasticcerie (181%). Con effetti prevedibili sulle stesse aziende.
Nel 2012 – spiega Confartigianato – gli imprenditori italiani per l’Imu sugli immobili produttivi hanno pagato 9,3 miliardi, il 39,1% dei 23,7 miliardi di gettito.
Ma da gennaio 2013 l’imposta sui capannoni è anche più costosa: l’aumento automatico del moltiplicatore da applicare alle rendite catastali per gli immobili produttivi, ha fatto lievitare il prelievo dell’8,3%, cioè +491,2 milioni per le aziende.
Non solo: con la Tares le tasse su imprese e famiglie cresceranno del 17,6%.
E si scopre che, rispetto all’Ici, l’Imposta municipale sugli immobili ha generato un maggiore prelievo fiscale di 14,5 miliardi sui contribuenti italiani.
A pagare di più, nel passaggio da Ici a Imu, sono stati gli imprenditori. Infatti il 50,6% dei Comuni italiani ha aumentato l’aliquota base da applicare agli immobili produttivi, il 47,9% ha mantenuto l’aliquota base del 7,6 per mille e soltanto l’1,6% dei Comuni l’ha ridotta: con il risultato che l’aliquota media applicata agli immobili produttivi è pari al 9,4 per mille, a fronte del valore base del 7,6 per mille.
Se l’Imu ha aumentato il prelievo fiscale sulle imprese, le cose non sembrano migliorare con la Tares.
Secondo Confartigianato, l’applicazione del nuovo tributo su rifiuti e servizi provocherà un aumento medio di 26 euro per abitante, pari al 17,6% in più rispetto a quanto avviene con l’applicazione degli attuali tributi sui rifiuti: Tarsu e Tia.
I rincari derivanti dalla Tares andrebbero a sommarsi ai continui aumenti registrati in questi anni dalle tariffe dei rifiuti: tra marzo 2012 e marzo 2013 sono cresciute del 4,9%, tra marzo 2008 e marzo 2013 gli aumenti sono stati del 22,1% e, addirittura, negli ultimi 10 anni hanno raggiunto il + 56,6%.
Per alcune tipologie di imprese, l’applicazione della Tares sarebbe un vero e proprio salasso: è il caso delle attività artigiane di pizza al taglio operanti in piccoli Comuni che attualmente applicano la Tarsu e che, con l’introduzione della Tares, subirebbero rincari del 301,1%.
Non andrebbe meglio per i laboratori artigiani di pasticceria che pagherebbero il 181,7% in più. Aumenti significativi anche per i piccoli produttori di pane e pasta che nel passaggio da Tarsu a Tares sarebbero costretti a sborsare il 93,6% in più.
«Gli imprenditori – commenta il Presidente di Confartigianato Giorgio Merletti – non possono sopportare ulteriori aumenti di pressione fiscale, nè l’incertezza su tempi e modalità di applicazione dei tributi. Per quanto riguarda l’Imu non è giusto che gli immobili produttivi siano trattati alla stregua delle seconde case: i nostri laboratori vanno esentati dall’imposta perchè sono la nostra prima casa. In definitiva, su Imu e Tares vanno trovate soluzioni che, oltre ad evitare l’inasprimento della tassazione, siano capaci di garantire la semplificazione impositiva e amministrativa».
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Agosto 27th, 2013 Riccardo Fucile
E A FINE ANNO L’IMU CAMBIERA’ NOME IN TASSA SUI SERVIZI, COSI’ IL PDL POTRA’ DIRE CHE L’HA ABOLITA
Una volta, quando il potere dell’Europa non era così invasivo, tutto sembrava più semplice.
Per far tornare i conti i ministri si inventavano incassi iperbolici da lotta all’evasione, oppure tagli di spesa che mai si sarebbero prodotti.
Con l’approvazione – l’anno scorso – della riforma costituzionale che ci impone il pareggio di bilancio, il mondo è cambiato.
Tanto entra, tanto deve uscire. Non sono possibili soluzioni creative o poste improbabili.
Ecco perchè a 36 ore dal consiglio dei ministri decisivo sul destino della rata di dicembre dell’Imu, la riunione che dovrebbe porre le premesse politiche dell’accordo sulla futura «Service tax», Pd e Pdl sono ancora divisi da due miliardi di euro.
«C’è da lavorare, ma possiamo farcela», dissimula Angelino Alfano.
Perchè tanto ottimismo?
Sulla carta il governo ha bisogno di 6,5 miliardi di euro. Ovvero la somma necessaria a coprire il mancato gettito Imu di quest’anno (quattro miliardi), ad evitare l’aumento dell’Iva almeno fino a capodanno (un miliardo), rifinanziare la cassa integrazione in deroga (un altro miliardo) e le missioni militari all’estero.
Il Tesoro ne ha trovati nel bilancio due e mezzo, un altro miliardo (forse uno e mezzo) dovrebbe arrivare dal maggior gettito Iva che – sempre sulla carta – garantiranno le fatture arretrate emesse dai più fortunati creditori dello Stato.
Qualche centinaio di milioni sarà raggranellato grazie agli effetti delle riduzioni di spesa volute da Monti e forse – così almeno chiede il Pdl – dal taglio di alcuni programmi dei cosiddetti «aiuti alle imprese» così come previsti dal noto piano Giavazzi.
Per raggranellare il resto si farà ricorso all’aumento delle care e vecchie tasse indirette: sui giochi e gli alcolici.
Nè più nè meno ciò che il Pdl in campagna elettorale proponeva per abbattere del tutto la tassa sulla prima casa.
Quel progetto valeva tre miliardi e mezzo di nuove tasse, per la fortuna di fumatori e bevitori ne basteranno meno.
Molto dipenderà da quel che si deciderà fra oggi e domani e dalla conferma (o meno) del blocco dell’aumento Iva dal 21 al 22%,; in assenza di coperture scatterà il primo ottobre. Il governo sta cercando di evitarlo ad ogni costo, ma la decisione è tuttora appesa ad un filo.
Ciò che ormai è certo è che l’Imu sulla prima casa, la tassa formalmente abolita in ossequio alla pervicacia del Pdl, rientrerà dalla finestra con un nome diverso. L’accordo fra i partiti – che verrà perfezionato nella legge di stabilità entro metà ottobre – prevede che dal 2014 i Comuni possano imporre una tassa progressiva sui servizi indivisibili.
Terrà conto del reddito (si partirà dal nuovo Isee), del numero dei componenti e – inutile dirlo – della dimensione dell’immobile.
La pagheranno inquilini e proprietari. I Comuni avranno la libertà di decidere se computare nella nuova tassa la prima casa oppure no, e comunque continueranno a imporre una patrimoniale in senso stretto ai possessori di seconde e terze case, immobili di lusso, castelli e ville. In ogni caso – va detto – i redditi bassi pagheranno di meno.
Almeno questo è quello che promettono i grandi numeri sul tavolo del Tesoro: invece dei cinque miliardi e mezzo ottenuti nel 2012 dalla somma di Imu e tassa sui rifiuti, la nuova tassa ne varrà al massimo tre.
Alessandro Barbera
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Agosto 27th, 2013 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL DIRETTORE DI DEMOPOLIS, PIETRO VENTO: QUINDICI MILIONI GLI ASTENUTI… SE RENZI CI SARA’ CSX AUMENTERA’, SE BERLUSCONI NON CI SARA’ CDX IN CALO
«Centrodestra e centrosinistra finirebbero pari».
Il direttore dell’istituto di sondaggi Demopolis, Pietro Vento, fa il punto sulle ricerche demoscopiche in ista di possibili nuove elezioni.
E aggiunge una specie di ‘dislaimer: « Tutti i dati attuali sono al netto di due incognite: quello che faranno Berlusconi e Renzi».
Quanto a Grillo. fa invece bene a tentare la via del voto. «ha capacità di convincere e il suo dato può variare molto».
Inoltre, il M5S non ‘restituirà ‘ voti ai partiti tradizionali: «Solo uno su dieci di chi lo ha votato a febbraio sceglierà altre sigle».
State lavorando dando per scontato il voto?
«Il ritorno alle urne, considerate le convinzioni più volte ribadite da Napolitano, non appare – almeno per il momento – un’ipotesi scontata, ma certamente stiamo facendo le prime rilevazioni in questo senso».
E gli elettori come la vedono?
«La maggioranza assoluta degli italiani, pur amando poco le larghe intese, non ritiene utili oggi le elezioni anticipate, nella convinzione che potrebbe ripetersi un risultato similare a quello registrato a fine febbraio».
Qualcosa potrebbe fargli cambiare idea?
«La valutazione dei cittadini cambierebbe, probabilmente, in presenza di una nuova legge elettorale. L’85 per cento degli italiani, intervistati da Demopolis, chiede da tempo di cambiarla: una maggioranza netta e politicamente trasversale».
Come la vorrebbero?
«Secondo i nostri dati gli italiani vorrebbero soprattutto riappropriarsi della possibilità di scegliere i propri parlamentari, anche per poter tornare ad eleggere candidati che siano espressione del territorio. Accanto al superamento delle liste bloccate, il 60 per cento ritiene inoltre auspicabile che si possa determinare nelle due Camere una maggioranza omogenea in grado di garantire la governabilità del Paese. L’obiettivo però sembra molto complesso da conquistare in un sistema politico come quello odierno in Italia».
Dovranno accontentarsi?
«E infatti, dopo l’esperienza degli ultimi anni, l’opinione pubblica appare comunque molto scettica: appena il 36 per cento degli italiani crede che il Parlamento riuscirà davvero ad approvare nei prossimi mesi una nuova legge elettorale».
Senza riforma aumenterà l’astensione?
«L’affluenza, se si votasse oggi, crollerebbe di quasi 20 punti in sei anni: dall’84 per cento del 2006 al 67 per cento. Sono oltre 15 milioni di elettori quello che si asterrebbero. E’ la diffidenza, la principale ragione: la convinzione che la politica, anche per assenza di risorse, non sia più in grado di incidere sulla vita reale dei cittadini».
Quelli che si recherebbero alle urne, però, saprebbero già chi scegliere?
«Centrosinistra e centrodestra finirebbero pari, entrambi al di sotto degli 11 milioni di voti: due grandi minoranze, con il centrosinistra al 34,6 per cento ed il centrodestra al 34,5 per cento. Secondo il Barometro Politico Demopolis, lo stacco non supererebbe i 100 mila voti».
La condanna di Berlusconi e la polemica sulla decadenza ha inciso? In favore di chi?
«Ancora non lo sappiamo. Per avere questo dato dobbiamo aspettare la rilevazione che inizieremo la prossima settimana, quando gli italiani saranno tornati a prestare attenzione e quando sarà ricominciata l’informazione politica televisiva, che sappiamo contare moltissimo. E’ comunque ancora un dato che viene letto con perplessità ».
La scelta definitiva del Pd conterà ?
«Quello che accadrà il 9 settembre in Giunta conterà molto, sicuramente. Anche per quello gli italiani sono ancora perplessi».
E se Berlusconi fosse incandidabile, quanto cambierebbe il risultato del Pdl?
«L’avvio di una nuova campagna elettorale modifica sempre profondamente i dati. Nel caso centrodestra, il Pdl è certo ben consapevole del fatto che non potrebbe mantenere l’attuale consenso nel caso in cui Berlusconi non si candidasse».
E il centrosinistra, va meglio con o senza Renzi?
«Il ruolo di Matteo Renzi, che appare in grado modificare significativamente i tradizionali confini del consenso al Partito Democratico, potrebbe pesare molto. E’ impossibile prevedere oggi quanto, ma colpisce la fiducia, oltre il 50 per cento, che riscuote trasversalmente»
Nei vostri sondaggi considerate l’alleanza Pd e Sel o un centrosinistra più largo? A sinistra o al centro? Quale raccoglierebbe più consensi?
«Noi, per avere un metro di confronto, utilizziamo le alleanze delle precedenti elezioni. Anche perchè è difficile prevedere come si presenterà il resto della sinistra».
Grillo? Lo date al 18. Sembra basso: non si rischia, come fu per tutti alle scorse elezioni, una sottovalutazione?
«Il loro è un dato in continua evoluzione. L’esempio più evidente della variabilità del consenso del M5S è rappresentato dall’andamento: dal 3,5 per cento di due anni fa, al 21 per cento rilevato da Demopolis per l’Espresso nel dicembre scorso, al 25,6 per cento delle Politiche, sino al 18 per cento di oggi. Passando per il risultato delle amministrative, a macchie».
Paga qualcosa o no per non aver fatto nascere un governo col Pd?
«Quello che sappiamo è che il loro è un voto d’opinione in costante mutamento, molto altalenante. Se si tornasse oggi alle urne, sette elettori su dieci confermerebbero comunque il voto espresso alle ultime politiche al Movimento 5 Stelle, due sceglierebbero oggi di astenersi e solo uno su dieci opterebbe per altri partiti».
Fa bene a chiedere le urne, insomma.
«Il suo dato cambierà ancora, anche perchè il vantaggio di Grillo, in campagna elettorale, sugli altri partiti, è la capacità di convincere».
Luca Sappino
(da “l’Espresso“)
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Agosto 27th, 2013 Riccardo Fucile
“LO DICE LA COSTITUZIONE, PER QUESTO LE CHIACCHIERE STANNO A ZERO… A BERLUSCONI RESTANO SOLO LA GRAZIA O L’AMNISTIA”
E’ inutile girarci attorno: la sopravvivenza del governo Letta dipende dalla ‘agibilità politica’ di Silvio Berlusconi.
Dipende, in breve, dalla cassazione della sentenza della Cassazione che lo ha trasformato in un avanzo di galera.
Questione giuridica, ancor prima che politica.
Si può fare? Chi può farlo? E come?
All’indomani del verdetto, dal fortino Pdl s’è levato un grido: riforma della giustizia, subito! Parole vaghe, che oltretutto ci risuonano nei timpani da vent’anni almeno.
Anche la corsa a firmare i referendum radicali non può aiutare la corsa contro il tempo giudiziario dell’imputato-condannato Berlusconi.
Non è separando le carriere tra giudici e pm, nè ottenendo una legge sulla responsabilità civile dei magistrati, che lui otterrà un salvacondotto.
Potrà forse consumare una vendetta, ma gli resterà comunque una corona di spine sulla testa. E le spine aprono una doppia ferita: sulla sua libertà personale, però anche sulla sua libertà politica.
Quest’ultima è un effetto dell’interdizione ai pubblici uffici, nonchè della legge Severino: decadenza immediata da parlamentare, incandidabilità per i sei anni successivi.
Poi, certo, la decadenza deve pur sempre pronunziarla il Parlamento, a norma dell’articolo 66 della Costituzione.
E infatti già s’esercita l’esercito degli azzeccagarbugli, negando gli effetti retroattivi della legge. Balle giuridiche, ma altresì politiche: nè il Pd nè 5Stelle potranno mai avallarle, perderebbero la metà dei propri voti.
E rimarrebbe in ogni caso un’impossibilità fisica, piuttosto che giuridica: come può svolgere attività parlamentare un signore agli arresti domiciliari?
In realtà la lotteria di Berlusconi si gioca su un terno costituzionale: 68, 79 e 87.
Il primo articolo dichiara che le sentenze definitive di condanna s’applicano senza autorizzazione delle Camere.
Non era così in origine, ma nel 1993 – durante Tangentopoli – l’art. 68 fu riscritto, e i parlamentari persero la protezione che i costituenti gli avevano accordato.
A Berlusconi il vecchio testo avrebbe fatto comodo, ma ormai è tardi, e comunque la riforma della riforma sarebbe un’avventura.
Tuttavia è una speranza disperata anche l’articolo 79, ovvero l’amnistia.
Perchè nel 1992 pure questa norma venne emendata in senso restrittivo: adesso serve una maggioranza dei due terzi in Parlamento, quando quella assoluta basta per cambiare la Costituzione stessa.
All’illustre condannato rimane perciò un unico baluardo: art. 87, la grazia.
Ecco perchè il capo dello Stato vi si è soffermato a lungo, nella sua nota del 13 agosto. Trattandosi di decisione presidenziale, toglierebbe il Pd dall’imbarazzo, gli permetterebbe di lavarsene le mani.
Al vantaggio politico s’accompagna tuttavia un handicap giuridico: la sentenza costituzionale n. 200 del 2006.
Che ha riconosciuto la competenza solitaria del presidente, ma ne ha pure vincolato l’uso: la grazia è ammessa unicamente per «eccezionali esigenze di carattere umanitario».
A occhio e croce, non parrebbe il caso di Silvio Berlusconi.
Ma sta di fatto che Napolitano ha concluso il suo primo settennato graziando Joseph Romano, l’agente Cia che rapì Abu Omar.
Una decisione motivata non da ragioni umanitarie bensì dalla ragion politica, come attesta lo stesso comunicato che il Quirinale diramò nell’occasione. Politica internazionale, per essere precisi. Significa che Napolitano potrebbe fare il bis con Berlusconi? Che in nome della stabilità politica potrebbe chiudere gli occhi sulla legalità ?
C’è però, in astratto, un’altra soluzione, almeno formalmente in sintonia con la sentenza costituzionale n. 200.
La soluzione Sallusti, cui Napolitano (dicembre 2012) commutò la pena detentiva in pena pecuniaria.
Dice l’art. 87 della Costituzione: il presidente della Repubblica «può concedere grazia e commutare le pene». Se le due attribuzioni sono separate, la sentenza n. 200 s’applica alla grazia, ma non alla commutazione delle pene.
Una questione di forma, di congiuntivi, di parole.
Ma è su questo crinale tra sostanza e forma, tra le cose e le parole, che si gioca il destino della legislatura.
Michele Ainis
(da “L’Espresso”)
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Agosto 27th, 2013 Riccardo Fucile
BRIATORE HA IL SENSO DELL’HUMOR. “DANIELA NON HA BISOGNO DI STARE IN PARLAMENTO PER COMANDARE, FA POLITICA PER PASSIONE”
“Questi qui non hanno midollo, ecco perchè sparano contro la Santanchè. Lei è un’imprenditrice che fa politica per passione, al contrario loro. E’ colpa dei vari Cicchitto, Alfano e Gasparri se l’Italia è ridotta così”.
Flavio Briatore interrompe la sua vacanza a Merano — “dove sono andato per riposarmi dopo un’estate di lavoro andata alla grande” — perchè “per la Dani ci sono sempre: la conosco da 35 anni, dai tempi di Cuneo, e la stimo. E’ un’amica vera, che è riuscita a creare il marchio Santanchè”.
Lei disse della Campbell: “Naomi è un marchio, non una donna”. Vale lo stesso per la pitonessa?
Lei è ancora meglio: lavora 14 ore al giorno, è consistente, ha sempre supportato il presidente anche nei momenti difficili. Al contrario di questi personaggi che, prima delle scorse elezioni, già cercavano di posizionarsi su altri partiti, pensando che Berlusconi fosse morto. Se l’attaccano, è perchè è diventata ingombrante.
Pensa che abbia così tanto potere, all’interno del partito?
Il fatto è che Berlusconi l’ascolta eccome, perchè Daniela ha senso pratico. Si fida di lei, che non l’ha mai tradito, e si è sempre esposta in prima persona. Mentre chi la critica è solo capace di fare i pensierini della sera su cosa gli conviene di più. Ma dove vanno, Alfano o Gasparri, se Berlusconi esce di scena?
Gasparri l’ha tirata in ballo: “Morire per Berlusconi sì, ma per il Twiga no”.
Lo devo ancora ringraziare: mi ha fatto un sacco di pubblicità gratis.
Alla Santanchè, sua socia nella discoteca di Forte dei Marmi, avrà fatto meno piacere.
Ma Daniela deve tenere duro perchè ha a che fare con gente che è solo capace di saltare da una poltrona di velluto all’altra. E la cosa drammatica è che della situazione italiana loro, che ne sono responsabili, se ne fregano. Ora parlano pure di elezioni anticipate, ma si può sapere a cosa servono se non cambiano prima la legge elettorale?
Però la stessa Santanchè ha detto che a giudicare il Cavaliere devono essere gli elettori.
Su questo non sono d’accordo: andare al voto in queste condizioni non sarebbe una mossa intelligente.
Quindi non condivide la linea dura dei falchi?
Io capisco che non accettino un alleato che ti vota contro sull’ineleggibilità . Anche perchè il Pdl, senza Silvio, è un partito che vale il 7 per cento.
Ma tra le colpe del Pd non c’è quella di aver fatto condannare Berlusconi.
Infatti non è bello che il destino del governo dipenda dalle vicende giudiziarie di Silvio, ma bisogna ammettere che il suo è un caso particolare. E che 10 milioni di persone l’hanno voluto sapendo benissimo che aveva processi in corso. Quindi è indispensabile trovare una soluzione politica: Napolitano può e deve fare qualcosa.
Questa strada, stando alle voci che arrivano dal Colle, sembra sempre più impraticabile.
Infatti stavolta trovare una via d’uscita mi pare davvero molto difficile. Non mi chieda neanche cosa farei io al suo posto, perchè ci vorrebbe la bacchetta magica.
Lei che di Berlusconi è amico, come pensa che stia vivendo questo momento?
E’ molto, ma molto amareggiato. E’ il ritratto di una persona non felice.
Perchè teme il carcere?
Guardi, parliamo di un’opzione pesantissima, ma lui è un duro. Ha una tempra incredibile, e quando dice che rinuncerà ai domiciliari io ci credo.
Forse il problema, più che la reclusione, sarà il fatto che questa coinciderà con la sua uscita definitiva dalla politica. Nove mesi in galera sono tanti.
Io invece dubito che sarà la sua fine. Grillo non è in Parlamento eppure il leader indiscusso, pur stando fuori dal Palazzo, rimane lui, no?
Berlusconi che comanda dal carcere è un’immagine vagamente inquietante.
Di certo non mollerà . E conviene a tutti dato che, senza di lui, il Pdl è morto.
Beatrice Borromeo
(da “il Fatto Quotidiano“)
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