Agosto 24th, 2013 Riccardo Fucile
IL PDL NON PUO’ FAR CADERE IL GOVERNO PERCHE’ LETTA HA VENTI SENATORI PRONTI A SOSTENERLO… E IL PDL SI TROVEREBBE SENZA POLTRONE E CON IL CAVALIERE A RISCHIO MANETTE
L’ultimatum è affidato alla penna di Angelino Alfano: “La decadenza dalla carica di senatore di Silvio Berlusconi è impensabile e costituzionalmente inaccettabile”.
Parole recapitate “alle massime istituzioni della Repubblica, al primo ministro Enrico Letta e ai partiti che compongono la maggioranza di governo”, ai quali si precisa inoltre che “non c’è più tempo per rinvii e dilazioni” anche sul versante degli impegni assunti dal governo, a partire “dall’abolizione sulla prima casa e agricoltura”.
Era tempo che il Cavaliere non radunava l’intero stato maggiore del partito nella sua villa di Arcore sotto il sole agostano.
Un vertice durato cinque ore, ma che se non fosse stato per la promessa fatta a Massimiliano Allegri di vedere l’esordio in campionato dell’amato Milan, si sarebbe protratto ben oltre.
Presenti i ministri (oltre ad Alfano Maurizio Lupi, Gaetano Quagliariello, Beatrice Lorenzin e Nunzia De Girolamo), i capigruppo Renato Brunetta e Renato Schifani, Denis Verdini, Lara Comi, Anna Maria Bernini, Niccolò Ghedini, Barbara Saltamartini, oltre agli immancabili Gianni Letta e Daniela Santanchè.
“Vi ho voluti qui per ascoltare il vostro parere sulla difficile situazione che stiamo vivendo – ha esordito il Cavaliere – anche per fare il punto dopo qualche polemica che c’è stata fra di noi”. C’è poco spazio per falchi o colombe di turno.
Al cospetto del leader le posizioni si riallineano, unanimi nel considerare il voto del 9 settembre come il discrimine tra la permanenza del Pdl nell’esecutivo e l’apertura formale di una crisi di governo.
È solo Schifani, che pure era intervenuto al Meeting di Rimini con toni tutt’altro che concilianti, che prova a frenare la china che porta a quella che sembra una vera è propria dichiarazione di guerra.
Chi era presente al vertice fa notare che non è un caso che la firma in calce alla nota conclusiva sia quella di Alfano e non dei capigruppo. “È segretario del partito – spiegano – vicepremier, ma soprattutto il capo-delegazione dei nostri ministri”.
Una missiva imbucata in direzione di Palazzo Chigi da un mittente non qualunque.
Perchè negli ultimi giorni Berlusconi si è convinto: “Non mi posso fidare nè di Letta nè della strada che ha indicato Napolitano”.
Una sola voce si alza in difesa del Colle: è quella di Quagliariello, che invita ancora una volta a guardare ai segnali di apertura e rilancia la possibilità di prendere un po’ di tempo sull’applicazione della legge Severino facendo ricorso alla Corte costituzionale.
Ma non è questa la giornata da dedicare a sofisticati studi sui rivoli giuridici nei quali tentare di far impantanare la questione della decadenza del Cav.
Lo stesso Alfano, per allontanare i sospetti di chi guarda a lui come il principale pompiere sul fuoco che rischia di divampare sul governo, fa un intervento durissimo, “da falco in tutto e per tutto”.
“Se il Pd vota per l’incandidabilità la crisi è nelle cose” è la posizione unanime presa dai colonnelli berlusconiani, impegnati in una prova di fedeltà assoluta al proprio capo carismatico, al quale sono legati da un “indissolubile vincolo d’affetto” prima ancora che dalla “condivisione politica”.
Il leader ascolta, parla poco, alla fine si prende “qualche ora, forse un paio di giorni” per decidere il da farsi. Sa che se pronunciasse qualche parola risolutiva, filtrerebbe fuori dalle pareti della villa.
Non è ancora il momento per passare il Rubicone.
Berlusconi è ormai convinto della necessità di passare comunque all’opposizione, ma è diviso fra due considerazioni.
La prima è quella che ha ripetuto Ghedini: “La decadenza è un falso problema, perchè sarebbe poi scavalcato dal ricalcolo dell’interdizione, che la supererebbe”.
Un motivo in più per andare verso le urne.
Ma c’è la seconda.
Fonti bene informate infatti riferiscono che Alfano avrebbe comunicato ai commensali che durante l’incontro di mercoledi, il presidente del Consiglio lo avrebbe avvertito di avere 20 carte coperte. Venti senatori – traducendo – disposti a salvare il governo per non portare il paese a elezioni.
Non prima del 2015 almeno.
Che sia un bluff o meno, lo stato maggiore del Pdl ha drizzato le antenne: le parole del segretario hanno risvegliato l’antico e infondato timore del Cav di venire strangolato da un abbraccio letale fra il Pd e il Movimento 5 stelle.
È su quel versante che si guarda con preoccupazione, anche se qualcuno sussurra della forte irritazione di Berlusconi nei confronti della pattuglia ciellina: l’ovazione delle larghe intese celebrata al Meeting non è stata ben digerita in quel di Arcore.
Al netto del pallottoliere, la questione di sostanza rimane, ed è l’unico (debole) freno che provoca remore all’idea di far saltare il banco il prossimo 9 settembre.
Se Letta e Napolitano riuscissero a far andare avanti il governo anche senza il Pdl, agli azzurri non rimarrebbe che l’Aventino, al Cavaliere la (metaforica) camicia a righe.
(da “Huffington Post”)
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Agosto 24th, 2013 Riccardo Fucile
OPERATIVITA’ RIDOTTA DA DIFETTI, MANUTENZIONE E ECCESSIVI COSTI DI GESTIONE…IL PARCO FUNZIONANTE NON SUPERA IL 75%, IL PROGETTO E’ FALLATO FIN DAL COLLAUDO, MA NOI LI COMPRIAMO
C’è il rischio concreto che su nove caccia soltanto sei o sette prendano effettivamente il volo e gli altri restino fermi a terra, come un ammasso di ferraglia, anche se li avremo pagati per intero e fino all’ultimo centesimo.
Il rischio è emerso nel corso dell’ultima commissione Difesa che ha avviato l’indagine conoscitiva sul sistema d’arma più costoso della storia.
E potrebbe costare caro: ogni cacciabombardiere, infatti, ha un prezzo variabile tra i 99 e i 106,7 milioni di euro a seconda del modello e se sei o sette restano a terra senza decollare, l’equivalente di 700 milioni di euro volerà fuori dalla finestra.
E’ un “dettaglio” emerso quando la commissione, il 1° agosto scorso, ha affrontato il delicato tema dell’operatività dei super-caccia già oggetto di critiche a livello internazionale che hanno portato a disdette e riduzioni degli acquisti da parte dei paesi aderenti al programma.
A spiegarlo è stato uno dei massimi esperti in materia, Michele Nones, dagli anni ’80 consulente del governo in materia di acquisto di programmi d’arma e oggi direttore dell’area Sicurezza e difesa dell’Istituto Affari Internazionali (AIA).
Non un detrattore del programma d’armamento ma un sostenitore “tecnico” della prima ora.
E’ stato Nones a indicare ai deputati della IV Commissione la probabilità che solo una parte dei micidiali caccia possa effettivamente alzarsi in volo ed entrare in esercizio. L’esperto parte dagli attuali 221 velivoli in dotazione alla Difesa che saranno in parte sostituiti dagli F35.
Nel suo intervento spiega che in realtà quel numero è da considerarsi del tutto aleatorio perchè “credo che al momento ne avremo solo la metà in condizioni di volare”.
E la spiegazione è semplice, ancorchè disarmante: “Nella politica degli armamenti funziona così: si comprano 10 unità sapendo in partenza che tre funzionano e le altre sette sono in manutenzione o in revisione o difettose o non in grado di essere mantenute a causa dei costi”.
E allora gli F35? Quanti potrebbero rimanere a terra nonostante siano i velivoli più evoluti e costosi della storia?
“Il nuovo velivolo (F35, ndr) assicura un’operatività molto superiore a quella attuale che punta almeno al 75%, quindi su 100 velivoli 75 devono volare”.
In altre parole per avere 75 super-caccia in esercizio tocca comprarne 90, un paradosso soprattutto per modelli che la pubblicistica militare proponeva come la punta di diamante della tecnologia disponibile. In realtà , spiega Nones, il problema interseca anche il modo tutto italiano di procedere alle commesse d’armi (e non solo): “A me sembra che sia proprio una brutta abitudine italiana, come per le scuole: costruiamo edifici splendidi. Siccome, però, nessuno ha previsto le spese di manutenzione, dopo due anni nelle università , dove magari il primo giorno funziona tutto, non ci sono i soldi per riparare i computer, non funziona il visore, non c’è neanche la carta igienica e siamo a livelli inauditi. Bisogna che impariamo a gestire bene ciò su cui investiamo il denaro dei nostri contribuenti”.
Tocca solo mettersi d’accordo sul fatto che sia più oculato non imbarcare affatto il rischio o sperare in ritorni economici industriali dall’operazione, nonostante il rischio di veder vanificato a terra parte dell’investimento.
“Il ritorno industriale — spiega Nones — è una grande scommessa. Non è, infatti, sulla produzione dell’F35 che misureremo i ritorni, ovvero i vantaggi tecnologici industriali per l’Italia, ma sulla fase di manutenzione e supporto logistico. Ho 63 anni e i capelli bianchi, e stiamo parlando di qualcosa che penso forse vedremo tra 10, 12, addirittura 15 anni. Molti di voi sono più giovani, quindi potranno verificare. È stata una scommessa vinta o persa? Non lo so. Potranno verificarlo altri. Se, però, sarà vinta, lo sarà perchè avremo la possibilità di lavorare sul supporto logistico del velivolo non solo italiano, quindi non dei novanta velivoli italiani, ma delle centinaia di velivoli che saranno in circolazione in Europa”.
E in questo Nones potrebbe non avere tutti i torti, visti i problemi che gli F35 hanno mostrato ancora in fase di collaudo.
Alla fine, i nuovi caccia sarebbero un investimento a perdere: l’Italia li compra nella speranza che non si alzino mai, chi per ragioni di Pace, chi per ragioni di portafoglio.
Thomas Mackinson
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Agosto 24th, 2013 Riccardo Fucile
LA PAROLA CHIAVE E’ “CONDANNA” A UNA PENA E LA LEGGE SI RIFERISCE ALLE SENTENZE NON AI REATI
Berlusconi è sostenuto da tre categorie di persone: credenti, clienti, stipendiati.
I primi non si chiedono che specie di uomo sia (intelligente, colto, onesto; o il contrario di tutto questo); lo amano come si crede in Dio, per fede.
I secondi sanno che si tratta di uomo spregiudicato, aggressivo e ricco; ma hanno messo la loro vita nelle sue mani precludendosi ogni altra strada; la loro appartenenza a B. è un fatto di sopravvivenza.
Gli ultimi sono professionisti al servizio di un cliente; percepiscono un compenso commisurato alla loro abilità nel sostenerne la causa; non ha senso aspettarsi che ne riconoscano l’inconsistenza.
Sicchè discutere ogni giorno sull’ultimo coniglio cavato dal cappello degli scout lanciati alla ricerca di una via di fuga non ha nessun senso: puoi dimostrare senza ombra di dubbio che è solo un coniglio e non una ragionevole interpretazione legislativa, mai se ne convinceranno o, se convinti, lo ammetteranno.
Allora per quali persone argomentare?
È ovvio, per quelle che dicono di non appartenere a queste categorie.
Così avranno qualche strumento in più per smascherare i conigli. Facendo finta, naturalmente, di credere che davvero sono intellettualmente e politicamente onesti.
La legge sull’incandidabilità dice che non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per delitti non colposi, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni.
La parola chiave è “condanna”: quella che il giudice pronuncia alla fine del processo, quando non “assolve”.
Condanna a cosa? A una pena.
Nel caso che interessa B., una pena detentiva superiore a 2 anni di reclusione.
E noi sappiamo che la “condanna” inflitta a B. dalla Corte d’appello di Milano e confermata dalla Cassazione è stata: 4 anni di reclusione.
Tutto ciò che può influire sulla pena da scontare in concreto avviene dopo la “condanna”. Che sia applicabile o no, un indulto (che diminuisce la misura della pena) che il Presidente della Repubblica commuti la pena detentiva in quella pecuniaria (il che azzera la pena detentiva), che il condannato sia ammesso all’affidamento in prova, tutto questo non ha nulla a che fare con la misura o la natura della pena oggetto della “condanna”. Essa resta quella originariamente stabilita dal giudice e a questa la legge sull’incandidabilità ha fatto riferimento.
Vi sono almeno due buoni motivi a sostegno di questa tesi.
1) il tenore letterale della legge. L’articolo 12 del codice civile (norme sulla legge in generale): si deve interpretare la legge secondo il significato proprio delle parole. E qui si parla di condanna a pena superiore a …; e non di pena da espiare in concreto.
2) i precedenti della Corte costituzionale (sentenza 118/1994): la condanna penale è un semplice presupposto oggettivo di “indegnità morale”, “requisito negativo” ai fini della capacità di assumere e di mantenere determinate cariche elettive. Dunque è la “condanna” del giudice ad avere rilievo quanto all’incandidabilità e non gli interventi successivi della politica (indulto, grazia, commutazione pena).
Quest’ultimo argomento fa giustizia di un’altra trovata di B&C: la presunta inapplicabilità della legge sull’incandidabilità a condanne per reati commessi prima della sua entrata in vigore.
È proprio un coniglietto da niente, quasi non ha orecchie per acchiapparlo.
1 — la legge si riferisce alle sentenze, non ai reati.
Non dice che è incandidabile chi ha commesso reati ma chi ha riportato “condanne”. Dunque non è il reato a dover essere consumato dopo l’entrata in vigore della legge; è la sentenza che deve essere pronunciata dopo la vigenza della legge.
2- Sottigliezze giuridiche, capisco. Troppo per B&C. Proviamo così.
La legge vuole che sia incandidabile chi è stato condannato, non chi ha commesso reati. Attribuisce valore al marchio esteriore, la condanna; non alla circostanza concreta, il reato, che magari non è stato ancora definitivamente accertato o che è rimasto ignoto. Insomma, non sta bene che uno che è stato riconosciuto irrevocabilmente delinquente sieda tra i padri coscritti della Patria.
Non è un problema di sostanza ma di forma. Il che ci porta al nocciolo della questione. In realtà al motivo per cui bisogna smetterla di smascherare coniglio dopo coniglio, replicando agli infiniti paralogismi di questa gente.
Non ci fossero leggi, Tribunali e Corte costituzionale; nè mai fosse stato previsto il caso di un presidente del Consiglio dei ministri che ruba al suo paese centinaia di milioni. Non ci fosse insomma un problema di legalità formale.
Quale popolo potrebbe accettare di essere governato da chi viola le stesse leggi che impone ai cittadini che governa?
Bruno Tinti
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 24th, 2013 Riccardo Fucile
IN SEI ANNI USATO MENO DELLA META’ DELL’IMPORTO… IN SETTE MESI VANNO INVESTITI 30 MILIARDI
Mancanza di visione strategica, incapacità progettuale, sciatteria burocratica.
Oppure, più semplicemente, menefreghismo.
Per spiegare la lentezza, che talvolta sconfina nell’indifferenza, con cui l’Italia spende i fondi europei, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Ma sui numeri c’è ben poco da questionare. Al 31 maggio scorso, a sette mesi esatti dalla scadenza del programma comunitario 2007-2013 ci rimanevano ancora da spendere 29 miliardi e 719 milioni: il 60% dei 49 miliardi 498 milioni che ci erano toccati in dote dall’Europa sei anni fa
La malattia è nota da tempo, ed è da tempo che si va inutilmente cercando la cura.
«Ma adesso — dice il deputato del Pd Angelo Rughetti — è evidente che il problema non è più la cura ma il malato stesso. E il malato è un’amministrazione pubblica in cui ciascun ente ha un pezzetto di processo da governare. La frammentazione dei processi decisionali paralizza completamente la politica di coesione così com’è stata strutturata negli ultimi vent’anni e come, purtroppo, si sta attuando anche nel prossimo ciclo di programmazione».
Il fatto è che non soltanto i fondi europei si spendono con il contagocce, ma si spendono male. Così male da giustificare l’allarme lanciato in Parlamento, durante un question time con il ministro della Coesione Carlo Trigilia, dallo stesso Rughetti: secondo il quale siamo arrivati al punto che questa si sta trasformando in una nuova emergenza nazionale.
La tesi è che il “come” si spendono quei soldi è forse altrettanto grave del non spenderli. Un’esagerazione
I regolamenti europei stabiliscono che i fondi strutturali debbano essere utilizzati per ridurre il divario fra le varie regioni europee, creando condizioni di sviluppo, appunto, «strutturale».
Va da sè che la frammentazione eccessiva dei programmi riduce in modo significativo questa componente.
Determinando in alcune particolari situazioni ambientali il rischio di alimentare il clientelismo locale.
Dice una elaborazione sui dati Opencoesione al 30 aprile scorso realizzata dall’Ifel (l’ufficio studi dell’Associazione dei comuni della quale Rughetti è stato segretario generale fino alle elezioni) che i fondi europei destinati all’Italia sono polverizzati in oltre 75 mila progetti.
La maggior parte dei quali piccoli o piccolissimi.
Basta dire che il 77,4% del totale riguarda iniziative al di sotto dei 150 mila euro.
Ma scavando negli elenchi si resta allibiti di fronte a contributi per singoli progetti di poche centinaia di euro. Com’è possibile, è presto detto.
Con il Fondo europeo di sviluppo Regionale, per esempio, si possono anche erogare contributi alle piccole e medie imprese, e questo ha fatto sì che in alcune circostanze il rubinetto di Bruxelles innaffiasse con una pioggerella fittissima migliaia di iniziative.
Su circa 4.100 progetti certificati del Fesr in Sicilia, tanto per dirne una, i contributi alle imprese sono oltre 2.300: ben più della metà .
Soldi alle farmacie, ai ristoranti, alle pensioncine, alle salumerie, ai carrozzieri. Assegni da 1.500, 3.000, al massimo 12 mila euro.
«Quale soggetto programmatore di politiche di sviluppo e industriali — si chiede Rughetti — potrebbe mai immaginare che una tale polverizzazione degli interventi possa dare dei risultati strutturali?»
Questi soldi, poi, sono quelli che si riescono a spendere anche più rapidamente dei finanziamenti per i grandi progetti.
Mentre lo stato di avanzamento dei 58 mila progetti di importo inferiore a 150 mila euro è al 56,5%, quello delle meno di ottanta opere oltre i 50 milioni è invece al 34,5%.
La casistica è semplicemente micidiale, dal Sud al Nord.
Il sistema integrato del Porto di Napoli, un progetto da 240 milioni che dovrebbe essere finanziato con i soldi del Fondo sociale europeo 2007-2013 è a zero.
Zero, esattamente come il Pia Navigli Lombardi, 19,4 milioni sul Fesr Lombardia.
Zero, come il quarto megalotto della statale 106 Jonica.
Zero, come un nuovo impianto a Marina di Stabia, finanziato (quando sarà ) con i fondi previsti per il turismo.
Zero, come il progetto di recupero del Parco della Fortezza di Poggio Imperiale a Poggibonsi, 10,4 milioni del Fesr Toscana.
Zero, come la convenzione con il ministero del Lavoro per un grande piano di formazione professionale: zero su 60 milioni.
Ma è umiliante anche lo stato di avanzamento dei lavori di adeguamento della rete ferroviaria di Bari (un per cento di 180 milioni), della metropolitana leggera di Sassari (3,7 per cento di 49 milioni), degli interventi per sistemazione di un torrente a Vicenza (2,7 per cento di 10,3 milioni) e del centro elettronico di Napoli per il monitoraggio del territorio (7,7 per cento di 28,4 milioni).
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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Agosto 24th, 2013 Riccardo Fucile
ANCHE LA LOMBARDIA SCIVOLA NEL 2013 AL 128° POSTO
L’Italia resta fuori dalla mappa delle Regioni più competitive d’Europa.
Lo rivela l’Indice 2013 della Commissione Ue che segnala come la cosiddetta «blue banana», in parole povere la dorsale economica che collegava un tempo la zona della «grande Londra» alla Lombardia (unica regione italiana a rientrarvi), via Benelux e Baviera, «abbia cambiato forma».
INDICE
Rispetto alla prima edizione, del 2010, l’Indice di competitività regionale mostra una morfologia più policentrica con regioni forti soprattutto laddove si trovano le capitali o le grandi aree metropolitane.
E se a capitanare la classifica sono Utrecht (Olanda), seguita dalla grande Londra» dal Berkshire-Buckinghamshire-Oxfordshire (Gran Bretagna) e poi da Stoccolma (Svezia), la Lombardia non compare nella lista delle prime 100, scivolando al posto numero 128.
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Agosto 24th, 2013 Riccardo Fucile
ALFANO: “TUTTO IL PARTITO E’ UNITO ATTORNO AL SUO LEADER, INACCETTABILE LA DECADENZA DA SENATORE”… MA NON SI TROVA UNA VIA D’USCITA
«Tutti insieme rivolgeremo alle massime istituzioni della Repubblica, al primo ministro Letta e ai partiti che compongono la maggioranza, parole chiare sia sulla questione democratica che deve essere affrontata per garantire il diritto alla piena rappresentanza politica e istituzionale dei milioni di elettori che hanno scelto Silvio Berlusconi (la cui decadenza dalla carica di senatore è impensabile e costituzionalmente inaccettabile), sia sul necessario rispetto degli impegni programmatici assunti dal Governo a partire dall’abolizione dell’Imu su prima casa e agricoltura. Non c’è più tempo per rinvii e dilazioni».
Dopo un vertice fiume, tocca ad Alfano prendere la parola e fare il punto sulla situazione del governo, appeso alla decisione sulla decadenza di Berlusconi dalla carica di senatore. Un’ipotesi definita «impensabile e incostituzionale».
Insomma hanno votato una norma incostituzionale per sbaglio…
«Il Popolo della Libertà – chiude Alfano- è come sempre unito, compatto e deciso, a fianco del suo presidente Silvio Berlusconi, a cui è molto legato da indissolubili vincoli di affetto e di condivisione politica».
Nel frattempo il Cavaliere aveva lasciato i commensali per un impegno più importante che stare a sentire falchi e colombe litigare: la partita del Milan a San Siro.
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Agosto 24th, 2013 Riccardo Fucile
LA STRADA SOFT SUGGERITA DA COPPI E GHEDINI E APPOGGIATA DA FIGLI E INTERESSI AZIENDALI
Una piccola crepa si è aperta nelle granitiche certezze del Cavaliere, fin qui risolutissimo a far brillare una mina sotto al governo.
Il tarlo del dubbio gliel’hanno insinuato tre dei cinque figli che l’altro ieri si sono affacciati tutti insieme ad Arcore, guarda combinazione, proprio nelle stesse ore in cui vi transitava il capo delle «colombe» Alfano: i due rampolli maggiori (Piersilvio e Marina) insieme col più giovane (Luigi, ramo Veronica).
Altra coincidenza: era in quel momento assente la «pitonessa» Santanchè, e non c’erano nemmeno le «amazzoni» più scatenate di solito accampate a Villa San Martino, quelle che lanciano sanguinosi insulti al Pd ritenendo di rendere in questo modo un buon servizio al Capo.
Cosicchè i discorsi tra genitore e figli hanno registrato un singolare paradosso: invece del padre, come accade di solito, sono stati i giovanotti a raccomandagli di non fare sciocchezze e forzature tali da mettere a repentaglio la sua personale libertà , oltre che le ricchezze della famiglia.
Alfano, inutile dire, ha dato manforte alle ragioni del realismo, snocciolando le possibili vendette della politica, della magistratura, delle istituzioni, qualora la sfida fosse portata alle estreme conseguenze.
Tutto questo accadeva giovedì sera. E il pressing non si è concluso lì, perchè ieri si è mosso il Biscione, vale a dire l’azienda Mediaset per bocca dei suoi manager allarmatissimi: se una crisi facesse deragliare il treno della ripresa, addio investimenti pubblicitari delle multinazionali (si decidono a settembre) e tanti saluti alla speranza di regalare a Silvio qualche ritorno.
Come sempre nei momenti decisivi, è stato visto varcare il cancello Gianni Letta.
Ma le vere novità sono emerse dall’incontro con gli avvocati. Se mai verrà scongiurato il patatrac del governo, con tutto quanto ne può derivare, gli storici futuri non potranno non riconoscerne una quota di merito a Ghedini e a Coppi.
Stanno sforzandosi di far intendere al loro cliente quanto sarebbe vantaggioso un atto di clemenza da parte del Colle, che Berlusconi fin qui ha giurato sdegnosamente di non voler chiedere in quanto se lo aspetta, semmai, quale «risarcimento» morale delle «persecuzioni» subite.
Secondo il pool legale, Silvio farebbe bene a proporsi pure per un affidamento in prova ai servizi sociali che, ove mai fosse accordato dal giudice di Milano, gli lascerebbe ampi margini di libertà personale e la concreta chance di vedersi cancellate le pene accessorie (leggi: incandidabilità ) nel caso di buona condotta.
Per la prima volta, ecco la piccola novità che fa trepidare le «colombe» berlusconiane, l’uomo non ha mandato a quel paese chi gli parlava di servizi sociali.
Rimane viceversa intrattabile sulla decadenza da senatore.
Su questo, non ci sono spiragli. Se il 9 settembre la Giunta delle elezioni boccerà la relazione di Augello (Pdl) che mira a prendere tempo, la temperatura salirà alle stelle.
E se nei giorni seguenti il Pd voterà per espellere Berlusconi dal Senato, a quel punto la crisi sarà automatica, i ministri Pdl daranno le dimissioni un minuto dopo.
Diverso sarebbe se, con la scusa di chiarire certi dubbi sulla legge Severino, venisse procrastinata la decadenza del Cav in attesa che si pronunci la Corte Costituzionale.
In quel caso, incrociano le dita gli avvocati (ma fanno scongiuri anche i figli, per non parlare di ministri, vice-ministri e sottosegretari), potrebbe innescarsi un percorso virtuoso sulla scia tracciata dieci giorni fa da Napolitano.
Ricapitolando: niente decadenza immediata, affidamento ai servizi sociali su richiesta degli avvocati, seguito forse da una grazia o da una commutazione della pena.
Di tutto questo si sta ragionando nel «Gran Consiglio» convocato ad Arcore con tutta la delegazione ministeriale al completo, più Cicchitto, Gasparri, Bonaiuti, Bondi, Verdini, la Santanchè…
Non andrà per le lunghe in quanto alle 18 comincia la partita di calcio Verona-Milan, e prima del fischio d’inizio verranno tutti congedati.
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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Agosto 24th, 2013 Riccardo Fucile
LA GIUNTA PDL STANZIA 136.000 EURO PER SETTE INSERTI PUBBLICITARI: DESTINAZIONE LA CONCESSIONARIA DELLA SANTANCHE’, COMPAGNA DEL DIRETTORE SALLUSTI
Stesso mare, stessa stagione. E stesso finanziamento, alla società di Daniela Santanchè.
Ugo Cappellacci, governatore della Sardegna dal 2009 per il Pdl, non lesina sulla comunicazione.
Con delibera dell’8 agosto scorso, approvata nell’ultima riunione di giunta prima delle vacanze, ha stanziato 136mila euro (Iva esclusa) per “sette inserti interamente dedicati alla Sardegna” su Il Giornale.
Soldi pubblici che andranno “a favore della Società Visibilia srl”, come recita il documento.
Ovvero, alla concessionaria di pubblicità “responsabile del progetto editoriale”, che ha come amministratore unico e proprietaria la Santanchè, compagna del direttore del Giornale, Alessandro Sallusti.
Sempre nei pensieri di Cappellacci.
Già l’estate scorsa, il governatore aveva destinato 141mila e 200 euro(Iva inclusa, quella volta) alla Visibilia per 6 inserti.
Ovviamente, sul quotidiano di Sallusti. Insomma, passano gli anni, ma il governatore non si dimentica della regina dei “falchi” del suo partito.
O meglio, delle iniziative editoriali per promuovere la sua Regione.
Quest’ anno gli inserti saranno sette, di 4 pagine ciascuno.
Informa la delibera: “Il progetto editoriale è dedicato alle azioni che hanno connotato l’attività istituzionale della Regione nei diversi settori strategici. Nell’ambito degli inserti saranno sviluppati i temi del turismo, dell’ambiente, dei trasporti, dell’economia, della sanità , dell’innovazione tecnologica, dell’agricoltura e della zona franca”.
Interessante l’ultima voce, relativa al progetto di rendere la Sardegna “un paradiso fiscale, una sorta di Montecarlo estesa”, come afferma il sito www.zonafrancasardegna.com.
Un’idea pressochè irrealizzabile, norme alla mano. Ma Cappellacci la sta cavalcando, in vista della Regionali del prossimo anno.
Quindi, quattro pagine a tema con i soldini regionali.
Ma quando usciranno i sette inserti? La delibera non riporta date.
Il portavoce del governatore, Alessandro Serra, afferma: “Saranno in edicola tra settembre e ottobre”.
Incerta la data, sicure le polemiche.
Le opposizioni pungono: “Quale ricaduta dovrebbe portare la pubblicazione sul Giornale di questi inserti di propaganda, quali effetti concreti sul turismo o sul lavoro? E perchè proprio sul giornale della famiglia Berlusconi? Pubblicare un inserto sul turismo dopo l’estate non è un controsenso?
“Noi vogliamo ampliare la stagione turistica della Sardegna”. Certo è che sulle spese per la “pubblicità istituzionale” Cappellacci proprio non si tira indietro.
L’estate scorsa stanziò senza bando 796mila euro, versati a trenta tra emittenti e società , tra cui appunto la Visibilia della Santanchè.
Michela Murgia, scrittrice e neo candidata alla Regione, protestò: “La giunta decide spese che sono un elenco di indecenze: eppure ha appena tagliato del 20 per cento le risorse per le manifestazioni culturali e tolto 94mila euro ai fondi per la tutela dei beni librai”.
L’anno prima, nel 2011, fu bufera per la crescita esponenziale delle spese pubblicitarie.
Il consigliere regionale Paolo Maninchedda (Gruppo Misto) denunciò: “Per il 2011 erano già stati stanziati 3 milioni e 865mila euro: nel corso dell’anno i fondi per la pubblicità istituzionale sono schizzati a 6 milioni e 470mila euro”.
Bel lusso, per una Regione con un tasso di disoccupazione al 18,5 per cento (quello nazionale è del 12,1), e che nel solo 2012 ha perso 43mila occupati, stando ai dati dell’Agenzia regionale per il lavoro.
Cifre da emergenza, per la Sardegna che finirà sugli inserti: ma in autunno.
Luca De Caroli
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 24th, 2013 Riccardo Fucile
SERVIREBBE UNA CONDIVISIONE CHE NON C’E’ E IL REATO DI FRODE FISCALE NON SI PUO’ ESTINGUERE
Una chimera. Si sintetizza in questa parola l’ipotesi che Berlusconi, e qualsiasi altro condannato a una pena come la sua (4 anni) e per un reato come il suo (la frode fiscale), possa sperare di cavarsela grazie all’amnistia.
Un provvedimento di clemenza che, tra quelli possibili (la grazia, l’indulto), è tra i più difficili da realizzare in Italia.
Perchè presuppone una forte volontà politica condivisa, di cui al momento non c’è traccia, e soprattutto una motivazione d’importanza nazionale che la giustifichi, anch’essa del tutto assente. Se davvero si facesse, questa sarebbe esclusivamente un’amnistia ad personam.
Ben altre sono state le cause in passato.
Ci fu l’amnistia dopo la seconda guerra mondiale per chiudere un’epoca storica e ci fu quella, peraltro l’ultima, del 1990 che nasceva dall’entrata in vigore, il 24 ottobre dell’89, del nuovo codice di procedura penale
Il Guardasigilli Anna Maria Cancellieri ha parlato altre volte della necessità di fare un’amnistia in Italia
Da quando è diventata ministro della Giustizia con il governo Letta, ma anche prima da titolare del Viminale con Monti, Cancellieri ha più volte detto che l’amnistia è un passo necessario da compiere in Italia, ma solo ed esclusivamente per risolvere il problema delle carceri.
Come già l’ex Guardasigilli Paola Severino, anche Cancellieri si è sempre rimessa alla volontà del Parlamento e non ha mai ipotizzato che l’iniziativa dell’amnistia possa venire dal governo
Napolitano e Cancellieri hanno già avuto occasione di parlare tra loro della necessità di un’amnistia in Italia
Già in un paio di incontri, i due hanno concordato sulla inderogabile necessità di restituire alle carceri la funzione, ormai perduta per il sovraffollamento, di rieducare i detenuti. Napolitano non ha mai mancato, anche in occasione degli scioperi della fame e della sete del leader radicale Marco Pannella, di sollecitare le Camere a fare tutto quello che è in loro potere per migliorare la vita, oggi degradata, dei detenuti Sono già presenti in Parlamento progetti di legge per votare un’amnistia?
Tra Camera e Senato ci sono tre proposte per l’amnistia. I firmatari sono Sandro Gozi (Pd) a Montecitorio, Luigi Manconi (Pd) e Luigi Compagna (Gal) al Senato. Nessuna delle tre però può andar bene per Berlusconi perchè la pena massima da coprire non supera i 4 anni
È possibile, anche alla luce delle amnistie che sono state fatte in Italia, ipotizzare una clemenza che copra reati con un tetto di pena fino a sei anni?
È praticamente impossibile. Non esistono precedenti in questa direzione. Le passate amnistie sono arrivate per lo più fino a 3 anni o al massimo 5. Ma l’ultima volta che si è cercato di vararne una – era il 2000, l’anno del Giubileo, Giovanni Paolo II sollecitava un gesto di clemenza, al governo c’era Prodi – e due personaggi famosi come i due “Sergi”, Sergio Segio, ex di Prima Linea e Sergio Cusani, ex protagonista di Mani pulite, presentarono un progetto con un’amnistia a 5 anni, lo videro bloccato proprio nel gioco delle inclusione e delle esclusioni dei reati
Il delitto di Berlusconi può essere amnistiato?
Il leader del Pdl è stato condannato a 4 anni, ma per l’amnistia come per l’indulto il calcolo non si fa sulla pena effettivamente irrogata, ma sulla pena massima in astratto, nel caso della frode ben 6 anni. Un tetto talmente alto che il Pd non potrebbe mai “tollelarlo” come possibile
Un’amnistia può prevedere che si conceda il salvacondotto anche a chi dovesse incappare in nuove condanne penali?
L’ultimo indulto del maggio 2006 stabilì che in caso di nuova condanna l’effetto dell’indulto sarebbe stato cancellato.
In un Paese come l’Italia, dove il problema dell’evasione fiscale è particolarmente sentito e dove è stata aspra anche la polemica contro i condoni, è ipotizzabile che un’amnistia benefici un condannato per frode fiscale
In questo momento storico una simile amnistia solleverebbe una vera protesta popolare e avrebbe effetti devastanti sul piano dei consensi elettorali per chi dovesse proporla.
L’amnistia può cancellare l’interdizione?
Dovrebbe prevederlo espressamente
L’amnistia può eliminare gli effetti della legge Severino e rendere un condannato comunque candidabile
L’amnistia cancella il reato. Per cancellare anche la pena è necessario anche un contemporaneo indulto. Berlusconi però ha già usufruito di un indulto, e di certo non potrebbe cumulare i benefici di un secondo.
Anche in questo caso si aprirebbe una controversia sulla natura della Severino. Se la considera solo come una conseguenza sulla candidabilità , neppure amnistia e indulto potrebbero bloccarne gli effetti.
Quali tempi parlamentari sono ipotizzabili per un provvedimento di amnistia che richiede i due terzi dei voti sia alla Camera che al Senato?
Sicuramente sarebbero molto lunghi, perchè costruire una piattaforma per l’amnistia è operazione tecnica e politica molto complicata.
A parte il tetto massimo, il dibattito del 2000 si bloccò su quali reati era necessario includere ed escludere.
È fin troppo evidente che i reati di Berlusconi, dalla frode, alla corruzione per induzione, alla prostituzione minorile, non potrebbero mai essere inclusi in un’amnistia votata da Pd, Sel, M5S.
Liana Milella
(da” La Repubblica“)
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