Agosto 5th, 2013 Riccardo Fucile
UNA PARTITA CON I GIUDICI L’HA VINTA: IL MILIARDO E PASSA DI EURO CHE HA NASCOSTO ALL’ESTERO E NON E’ MAI STATO TROVATO
Dopo tanti processi, la bagarre politica che accompagna la sentenza della Cassazione sull’affare Mediaset rischia di far dimenticare una verità assoluta, che prescinde dagli alterni e comunque controversi risultati dei singoli casi giudiziari, per quanto importanti: Silvio Berlusconi resta senza dubbio l’imputato più furbo d’Italia.
Per misurare la sua grandezza, basta accantonare i codici e seguire la pista dei soldi, ripercorrendo la storia di una formidabile caccia al tesoro che dura da vent’anni.
Un autentico tesoro: a conti fatti, più di un miliardo e 100 milioni di euro.
Una montagna di denaro nascosto all’estero, che una raffica di sentenze definitive, convalidate negli anni scorsi anche dalla Cassazione, nell’indifferenza quasi generale, avevano già certificato come «la cassaforte occulta del gruppo Berlusconi».
Il bello è che nessuna autorità è mai riuscita a toccare un solo euro di quella fortuna. Insomma, per quanto sia ancora lontana la fine di altri processi ad alto rischio, a cominciare dal caso Ruby che vede il leader del centrodestra condannato in primo grado a sette anni, la più grande caccia al tesoro dell’ultimo ventennio l’ha stravinta lui.
Tutto comincia con un calciatore: Gianluigi Lentini, ceduto al Milan dal Torino nel 1994. Berlusconi guida il suo primo governo, dopo il trionfo alle elezioni in cui ha potuto presentarsi come l’anti-politico: uno dei pochissimi capitani d’azienda ancora non coinvolti in Tangentopoli.
Nell’Italia già in crisi, il prezzo di quell’attaccante crea un certo scandalo: 18 miliardi e mezzo di lire. Ma il vero problema è che il presidente del Torino va in bancarotta e a quel punto confessa di aver intascato altri 10 miliardi (5 milioni di euro) in nero.
Da dove arrivano quei soldi?
Da una misteriosa società offshore, la New Amsterdam, che li ha trasferiti in Italia tramite una finanziaria elvetica che spostava anche soldi di Cosa Nostra.
I pm di Mani Pulite scoprono che questa New Amsterdam è gestita dalla filiale svizzera della Fininvest.
Assistiti dal procuratore Carla Del Ponte, riescono a farla perquisire.
Ma non trovano niente. Le carte che scottano sono finite a Londra, nascoste nello studio dell’avvocato David Mills.
A Milano intanto infuria Tangentopoli. Quattro squadre della Guardia di Finanza confessano di aver intascato mazzette dal gruppo Fininvest.
Il governo Berlusconi risponde con il decreto Biondi, che punta a scarcerare i tangentisti, ma viene ritirato a furor di popolo.
L’inchiesta più pericolosa riguarda Telepiù, la prima tv a pagamento, che Berlusconi non potrebbe intestarsi per legge: salta fuori che molti soci sono prestanome di lusso, finanziati segretamente con 320 milioni di euro da un altro giro di società offshore, proprio quelle su cui avrebbero dovuto indagare i finanzieri corrotti dalla Fininvest. Nello stesso autunno del ’94 il principale cassiere di Bettino Craxi confessa che il leader socialista ha intascato cospicue tangenti in Svizzera.
Soldi bonificati dall’ennesima offshore, chiamata All Iberian, che si rivela una cassaforte miliardaria.
Per trovare le carte sparite dalla Svizzera, i magistrati devono mettere in moto la polizia inglese, che il 16 aprile 1996 perquisisce lo studio di Mills. E trova i primi documenti.
Il legale inglese sembra collaborare e ammette di aver aiutato i manager Fininvest a manovrare ben 64 offshore, compresa la New Amsterdam.
Mentre le banche svizzere documentano che la cassaforte centrale, quella All Iberian che pagava Craxi e tanti altri, ad esempio i giudici corrotti dall’ex ministro Cesare Previti, risulta «appartenente al gruppo Fininvest».
Berlusconi, finito all’opposizione, sembra perduto: condannato in tribunale per le tangenti al Psi di Craxi e alla Guardia di Finanza, nel 2000 tenta di trattare un patteggiamento per la maxi-accusa di falso in bilancio, nata proprio dalla scoperta del “sistema All Iberian”, ben 775 milioni di euro nascosti in quei conti offshore.
Ma dopo le prime riforme della giustizia e soprattutto la vittoria elettorale del 2001, per il miliardario imputato cambia tutto.
Una legge del 2002 annienta il reato-base di falso in bilancio: Berlusconi guadagna la prescrizione sia per l’affare Lentini sia per tutta la vicenda All Iberian, oltre che per la corruzione giudiziaria del Lodo Mondadori.
Le sentenze definitive spiegano che «non può certo dirsi innocente», ma ormai neppure il fisco può fargli niente: i conti svizzeri si possono usare come prove solo nei processi penali, mai contro l’evasione in sè.
Intanto una sezione della Cassazione lo assolve pienamente per le tangenti alla Guardia di Finanza, senza neppure un processo-bis, pur condannando i suoi manager-parlamentari: loro hanno corrotto perfino un generale, ma lui poteva non saperlo
E i soldi svizzeri di All Iberian dove sono finiti? Spariti in un altro paradiso fiscale: le nuove carte rivelano che, proprio tra il decreto Biondi del ’94 e la perquisizione inglese del ’96, il tesoro si è spostato alle Bahamas, sotto la regia dell’impenetrabile banca Arner.
Solo nel 2001, dopo altri cinque anni di opposizioni legali della Fininvest, arriva in Italia la documentazione su altri conti svizzeri.
Che svela la storia delle offshore più strategiche, quelle che pompavano i soldi dentro la cassaforte All Iberian.
E qui comincia l’inchiesta Mediaset. Le nuove carte raccontano che la perquisizione dello studio Mills fu depistata: un banchiere della Arner ha portato via 43 scatoloni di documenti.
Dunque, nuova caccia al tesoro, tra Guernsey e l’Isola di Man. Anche qui sembra sparito tutto, tranne un appunto di cinque righe con un indirizzo di Londra: il nascondiglio dove nel giugno 2003 vengono finalmente trovate le carte mancanti.
Di fronte ai documenti, Mills ammette di aver gestito anche le offshore supersegrete. E conferma che Berlusconi, appena fu indagato, gli chiese di intestarne un paio ai due figli maggiori, comportandosi da vero padrone.
Queste nuove casseforti offshore, così ben nascoste, hanno incamerato solo dal 1994 al 1998 la bellezza di altri 368 milioni di euro.
La difesa le ha sempre definite società estranee, che compravano i diritti di trasmettere film americani e li rivendevano alle tv italiane.
Per l’accusa invece erano solo un trucco (paragonato dai manager al «gioco delle tre carte») che consentiva a Mediaset di gonfiare a dismisura i costi dichiarati al fisco italiano. E a qualche furbone di nascondere i soldi nei paradisi esteri.
Dopo tutte le precedenti sentenze definitive, il nuovo processo Mediaset doveva solo stabilire chi fosse quel furbone.
Partendo da una confessione. Spaventato dalle indagini inglesi, infatti, Mills rivela al suo commercialista e nel 2004 anche ai pm milanesi di aver incassato una tangente di 600 mila euro dalla Fininvest proprio per non testimoniare che le offshore del tesoro televisivo erano «di proprietà di Berlusconi».
E’ allora che si apre l’altro processo per la corruzione del testimone inglese: Mills cerca di ritrattare, ma viene condannato in primo e secondo grado, mentre Berlusconi rinvia i verdetti grazie a leggi incostituzionali.
La mossa più astuta è del 2005: la legge ex Cirielli dimezza i tempi della prescrizione e rende impunibile la corruzione di Mills.
La stessa riforma minimizza anche le accuse del processo Mediaset: dei 368 milioni scoperti dalle indagini, sopravvive solo l’ultima fetta di frode fiscale da 7,3 milioni di euro.
Tra tante sentenze definitive, un dato economico resta assodato: i tesori delle offshore sono spariti.
Anche perchè molte indagini si sono fermate contro muri di gomma: nessuna collaborazione da Hong Kong nè da altri paradisi fiscali.
E perfino a Parigi, quando la procura è andata a cercare due archivi dei contratti di Mediaset, si è sentita rispondere che uno era andato distrutto da «un incendio fortuito», l’altro da «un allagamento».
Paolo Biondani
(da “L’Espresso“)
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Agosto 5th, 2013 Riccardo Fucile
ERA UN ESTREMISTA PRO CAVALIERE: “DOVEVA RITIRARSI DA TEMPO, IL SUO GRUPPO DIRIGENTE E’ FATTO DI ZOMBIE E BONDI SPARA STRONZATE”
C’è stato un tempo in cui Giorgio Stracquadanio era il più fedele dei seguaci di Silvio Berlusconi, al punto di dirigere il (defunto) giornale on line ‘Il Predellino’ e guadagnarsi sul campo l’appellativo di «droide berlusconiano».
Poi la fine del quarto governo del Cavaliere, i dissidi col Pdl, il tentativo (fallito) di riciclarsi con Mario Monti, un tentativo di nuova carriera come ‘consulente politico’.
Oggi Stracquadanio ha quindi abbandonato le vesti dell’urlatore e del presenzialista. Finora non aveva nemmeno commentato la sentenza di condanna per frode fiscale in Cassazione al suo ex ‘caro leader’.
‘L’Espresso’ lo raggiunge in vacanza, mentre prepara un ambizioso ritorno sulla scena.
Prima di tutto con un nuovo quotidiano web, ‘Il Presidenzialista’, dove proporre – insieme a Davide Giacalone, Fabrizio Rondolino e Giovanni Guzzetta – «l’indizione di un referendum di indirizzo» su forma dello Stato («unitario o federale», dice), di governo («parlamentare o presidenziale») e per una nuova assemblea costituente.
Ma, insieme, Stracquadanio coltiva il ruolo di spin doctor.
Per un gruppo di giovani che vuole cambiare il centrodestra. Perchè, racconta, «una nuova generazione c’è, ma trova ostacolo innanzitutto nel Pdl, perchè più parla di rinnovamento, più ci ritroviamo Cicchitto e Schifani. Che non ne sono proprio l’emblema», dice ridendo.
Stracquadanio, il governo sopravviverà alla condanna definitiva a Berlusconi?
«Le sue parole di domenica sono state lapidarie: il governo deve andare avanti per approvare i provvedimenti economici concordati. La riforma della giustizia come priorità non è stata nemmeno evocata».
Nessun aut aut per ora?
«No, il governo non subisce alcun contraccolpo da questa vicenda».
E le minacce di dimissioni in massa?
«Non ci sono mai state, concrete. Quando si deve rappresentare una situazione di gravità si enfatizzano molto i toni. Ma l’operazione fatta in questi due giorni è stata evitare il rischio della dispersione all’interno del partito. Berlusconi ha ancora molto forte in mente l’assemblea a Roma di Italia Popolare, che era sul punto di schierarsi con Monti e aprire una frattura nel partito».
In soldoni?
«Prima ha indurito i toni per tenere insieme il partito, e poi ha dovuto attenuarli per garantire il governo e mantenere il rapporto con il capo dello Stato».
Dovrebbe farsi da parte, dopo la condanna definitiva?
«Doveva farsi da parte prima, per evitare i guai. L’ultimo colloquio che ebbi con lui fu prima della caduta del suo ultimo governo. Allora lo incontrai per tre ore, e gli consigliai di mettersi sotto la tutela dello Stato e organizzare il suo ritiro di scena facendosi dare delle garanzie. Sono sicuro che se allora il Cavaliere avesse deciso di rimanere il ‘padre nobile’ del suo partito, oggi non sarebbe un condannato. Anzi magari sarebbe senatore a vita».
Anche oggi si parla di salvacondotto.
«L’unica possibilità seria è la commutazione della pena – da detentiva a pecuniaria – per l’anno residuo, non coperto da indulto. Non sarebbe irragionevole, e gli risparmierebbe l’umiliazione dei domiciliari. Per Sallusti è stato fatto senza grandi scuotimenti nel quadro istituzionale o giudiziario».
Ma Berlusconi è condannato per evasione fiscale.
«Di leader democratici che siano incappati in problemi giudiziari ne ho sentiti tanti. Ma che siano andati in galera, ne ho sentiti pochi. Anzi, non ne ho sentiti affatto».
Il problema è della giustizia o di chi commette i reati?
«Il problema è che quel reato lì se Berlusconi non avesse fatto politica non si sarebbe mai neanche ipotizzato. Sono convinto, come lo sono sempre stato, che sia oggetto di una persecuzione. Perchè se lei squaderna la vita di qualunque imprenditore italiano, di evasioni fiscali gliene contestano venticinque».
Questo è un suo parere.
«L’incertezza del diritto tributario è talmente elevata che l’applicazione di una norma o meno è ampiamente discrezionale».
Quindi Berlusconi doveva farsi da parte all’epoca della caduta del suo ultimo governo, dice. Ma oggi?
«Oggi a maggior ragione. Non per le ragioni giudiziarie. E’ che ha perso sei milioni e mezzo di voti. Questo vale molto più di una condanna. Oggi il centrodestra, per ragioni totalmente politiche, è destinato a essere minoritario».
Eppure senza Berlusconi i sondaggi lo davano anche più minoritario.
«Non importa. Quel che importa sono le prospettive. Con Berlusconi leader e la mancata rivoluzione liberale, mai perseguita seriamente, non c’è possibilità per cui si recuperi la maggioranza degli elettori. Non può diventare vincente».
Quindi deve rifondarsi.
«Esattamente, perchè si è esaurita una fase di vent’anni. E se anche ci fosse stato un rinvio o un’assoluzione, il tema politico non sarebbe cambiato di una virgola. La possibilità del Cavaliere di riconquistare la maggioranza degli elettori non c’è più. L’asse del blocco sociale che vota centrodestra si è rotto, spostato a destra ed è molto più statalista di quanto lo fosse originariamente. Si è perso il vento del Nord, il blocco liberale».
Il Pdl è diventato un partito che tutela interessi corporativi?
«In qualche misura sì. Non è più il partito della liberalizzazione, della riduzione del peso della spesa pubblica, del taglio del debito. Non è il partito tatcheriano che abbiamo tentato di costruire. Berlusconi non è stato la Tatcher. Berlusconi perde sul piano giudiziario perchè prima perde sul piano politico, non il contrario».
Un tempo non troppo lontano probabilmente sarebbe stato sul balcone di palazzo Grazioli insieme a Santanchè, Verdini e al resto della dirigenza Pdl.
«Ho visto la foto del gruppo dirigente che va a trovare il Cavaliere, subito dopo la sentenza: sembravano degli zombie. Sono contento di non essere lì in mezzo».
Perchè?
«Perchè lì si sta consumando la fine di una storia, non l’inizio di una nuova».
E il ritorno a Forza Italia?
«Non è che perchè si chiama Forza Italia torna il 1994. Il Cavaliere ha vent’anni di più; la classe dirigente è particolarmente logorata».
Quanto al rischio di «guerra civile» paventato da Bondi?
«Ma quando mai, è una stronzata. Bondi ha detto una fesseria. C’è stata una guerra civile fredda tra i due blocchi elettorali e sociali, ma il fatto che non si sia venuti a capo di nulla – perchè non ci sono state le riforme – sostanzialmente ha attenuato questo scontro. Se il centrodestra avesse realizzato il suo programma elettorale del 1994, avremmo avuto una rivoluzione simile a quella tatcheriana. E tutti ricordano che livello di scontro sociale ha dovuto superare. Se uno smantella un sistema assistenziale e lo sposta verso il mondo produttivo, deve fare i conti con i lavoratori. Ma non è successo. E’ stata un’espressione buttata là in una gara a chi la sparava più grossa».
Fabio Chiusi
(da “L’Espresso”)
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Agosto 5th, 2013 Riccardo Fucile
“LE SENTENZE VANNO RISPETTATE” AMMONISCE IL CAPO DELLO STATO… BRUNETTA E SCHIFANI TORNANO CON LE PIVE NEL SACCO, FURIBONDI SANTANCHE’ E VERDINI, MA LE COLOMBE COMMENTANO: “E’ GIA’ TANTO CHE NAPOLITANO LI ABBIA RICEVUTI CON TUTTO QUELLO CHE E’ SUCCESSSO”
“Ve l’ho sempre detto che di Napolitano non ci si può fidare. Vuole vederci morti. E se andiamo avanti così, finisce con Berlusconi che va ai domiciliari che non ci esce più perchè lo sbraneranno le altre procure”. L’urlo di rabbia di Denis Verdini è incontenibile, quando a palazzo Grazioli i due capigruppo del Pdl Brunetta e Schifani riferiscono dell’incontro al Quirinale.
Perchè peggio di così non poteva andare.
La trattativa su un “salvacondotto” per Berlusconi è andata male. Anzi, non si è nemmeno aperta.
Perchè Giorgio Napolitano ai due “Renati” ha spiegato che certo capisce la situazione difficile politicamente, e anche psicologicamente, di un leader che vede restringersi i margini di agibilità politica.
Ma non ci sono margini per quei provvedimenti di clemenza su cui tanto si è almanaccato. E che sono stati anche invocati con buona dose di approssimazione: una grazia richiesta sotto minaccia delle dimissioni dei parlamentari e non richiesta nè dal condannato nè dai suoi legali.
Per non parlare del “modello Sallusti”, impraticabile al “caso Berlusconi”.
E soprattutto, riferiscono i capigruppo del Pdl, che il capo dello Stato ha portato tutta la discussione su un piano “politico”, partendo dal presupposto che le sentenze si rispettano.
È stata già una concessione aver ricevuto alti rappresentanti di un partito che ha invocato un incontro al Quirinale dopo giorni parole incendiarie e para-eversive e come quasi sotto forma di ricatto.
Ecco che quando i capigruppo hanno insistito sulla necessità di garantire l’agibilità politica a Berlusconi, quella di Napolitano è stata una presa d’atto.
Le forme di detenzione non sono nelle sue prerogative.
Così come sulla decadenza da senatore è il Parlamento ad essere sovrano.
Più che assicurare che “rifletterà ” sulle “questioni poste” non può. Ha ascoltato. Punto.
Ma c’è un motivo se il capo dello Stato ha risposto chiedendo assicurazioni sul governo.
Una sorta di “che intenzioni avete?” dopo l’agitazione dei giorni scorsi, l’evocazione urlata delle urne e la sussurrata promessa di fedeltà all’esecutivo Letta.
È tutta qui la trattativa franata. Nella parole di un capo dello Stato che non scende sul piano di un intervento ad personam per Berlusconi.
E che anzi, nel corso di un confronto assai “schietto” mette sul tavolo la questione vera: “Non ci manda a votare con questa legge elettorale — è il resoconto degli azzurri nel vertice pomeridiano — che presenta profili di incostituzionalità ”.
Non è roba di cavilli. È un ragionamento che mette di fronte i fautori della rottura di fronte all’irresponsabilità di uno scenario sudamericano: non si può votare a ottobre col rischio che a dicembre l’Alta Corte dichiari incostituzionale la legge elettorale.
A quel punto in intero Parlamento sarebbe illegittimo.
È su questo avviso che nel vertice a palazzo Grazioli cala il gelo.
Perchè, è l’interpretazione più gettonata, è chiaro che Napolitano ha il “piano b”: un Letta bis con chi ci sta per la legge elettorale.
È chiaro che Napolitano non è un giacobino e capisce il dramma “politico” e “umano” di un partito che vede condannato il proprio leader.
Ma è altrettanto chiaro che da lui non arriverà alcuna forzatura politica su ambiti che sono di pertinenza della magistratura.
Ecco la drammatica discussione che nel pomeriggio si svolge con i falchi, Santanchè, Bondi e Verdini su domiciliari e servizi sociali.
E con la Pitonessa che immediatamente drammatizza: “Berlusconi andrà in galera”.
E mentre i falchi sognano l’ordalia finale col Pdl che tenta la spallata sulla scia dell’emotività del loro leader che entra in galera, e mentre le colombe si dicono fiduciose perchè “già è tanto che Napolitano ci ha ricevuto dopo quello che è successo in questi giorni”, la verità è che Berlusconi non sa che fare.
Provato, prostrato da un senso di impotenza e sconforto, vede assottigliarsi il ventaglio delle possibilità .
E non è un caso che la sua testa sia frastornata anche dal filone Ruby.
Se entri in carcere, è la tesi di Verdini, non ci esci più: Mediaset dura un anno, a Milano faranno gli straordinari per far arrivare la successiva condanna a sette anni: o si rompe ora, o mai più.
(da “Huffington Post“)
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Agosto 5th, 2013 Riccardo Fucile
“PER SCONTARE LA PENA VENGA DA NOI”: ANCHE MARIO CAPANNA SI OFFRE
Religiosi, sindaci e animalisti. Tutti vogliono redimere Silvio.
L’ultima offerta arriva da Mario Capanna. Ma in questi giorni sono tante le associazioni e i comuni che hanno proposto a Silvio Berlusconi di “ospitarlo” per scontare la sua pena.
E se in realtà l’ex premier non ha ancora deciso se optare per gli arresti domiciliari o per l’affidamento ai servizi sociali (ha tempo fino a ottobre) e ha già fatto sapere che difficilmente sceglierà questa strada considerata da “delinquente comune”, la caccia è già partita.
MEGLIO CHE STARE CHIUSO IN VILLA
L’ultima offerta («sincera»), si diceva, viene dal leader sessantottino Mario Capanna che propone a Berlusconi di lavorare alla Fondazione Diritti Genetici.
Uno scherzo? In una lettera indirizzata al Cavaliere Capanna ha precisato di essere serio: «Non è una boutade. Al contrario: è un’offerta sincera. Proviene da un Suo avversario politico, che non l’ha mai considerata il Nemico».
E il motivo – c’era da aspettarselo – è di tipo ideologico.
Scrive ancora Capanna: «Tra condannati, io per reati derivanti dalle lotte studentesche, di cui vado fiero, ci si intende meglio -scrive Capanna- e dunque mi permetto di esporle un ragionamento: restare chiuso per un anno in una delle sue, sebbene sontuose, residenze non ce la vedo».
SALVATAGGIO DELL’ANIMA
C’è chi, invece, ne fa una questione di redenzione dell’anima. E se in lista tra i più “papabili” compare Don Mazzi, amico di vecchia data di Berlusconi e già garante del pentimento di Lele Mora, si allunga di ora in ora l’elenco dei prelati che offrono la loro comunità . «Silvio, vieni qui, a Sturla», scrive su Facebook don Valentino Porcile, parroco ligure.
La proposta? « Ti faccio io un bel programmino di servizi socialmente utili. Ti faccio fare un anno di continui giri. A scoprire come sta davvero una famiglia che non arriva a fine mese. A vedere chi è un tossicodipendente. A vedere come sta una prostituta che arriva in Italia menata di botte e costretta a vendersi sulla strada».
E l’elenco – lunghissimo – continua.
Un’altra idea arriva da Don Armando Zitelli, presidente del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA), che provocatoriamente illustra: «Berlusconi venga a scontare la sua condanna in una cooperativa sociale. Siamo pronti ad accoglierlo. Essendo stato uno dei protagonisti dell’affossamento dello stato sociale nel nostro paese, potrebbe finalmente verificare di persona quanto di buono fanno, ogni giorno, gli operatori sociali».
IL RILANCIO DEL BACINO TERMALE
Non mancano inviti da sindaci e assessori che propongono il loro comune. «Ci pensiamo noi…», sostiene il primo cittadino di Cavriglia Ivano Ferri. Un’opportunità in più, dunque, per il Cavaliere.
Poi c’è chi come il sindaco di Abano scrive direttamente all’avvocato del Cavaliere Niccolo Ghedini.
E questa volta il tono dell’offerta è meno polemico: «Per me sarebbe un onore accoglierlo perchè lo ritengo una risorsa più che valida per il rilancio del bacino termale più grande d’Europa oltre ad essere un’opportunità importante per fargli conoscere un territorio poco considerato dal governo centrale e che ora sta cercando il proprio rilancio, anche attraverso la rivisitazione dell’assetto amministrativo», scrive il primo cittadino Luca Claudio.
PER DARE LEZIONI AI CLOWN
E se non sarà il rilancio del bacino termale ad attirare l’ex premier, c’è anche l’opzione Napoli. Presso l’associazione Il tappeto di Iqbal, Berlusconi potrebbe ricevere dai percorsi di pedagogia circense e clownerie.
I titolari sono infatti convinti «che tali azioni darebbero al condannato Berlusconi Silvio la possibilità di riabilitarsi e utilizzare positivamente le sue attitudini clownesche come metodo di benessere per gli altri se si considerano i riconosciuti benefici della clownterapia anche in campo scientifico per persone fragili e in difficoltà .
Potrà usufruire egli stesso di tali benefici ed essere a sua volta, acquisite competenze formali e non formali, egli stesso portatore di tali benefici verso le persone bisognose di un sorriso».
CANI E VECCHIETTI
E se si pensa all’attenzione mediatica ricevuta da Dudù, il barboncino della Fidanzata Pascale, rimane un’ultima possibilità .
Ossia impegnarsi a favore degli amici a quattro zampe. L’Aidaa, l’associazione italiana difesa animali ambiente, infatti propone al leader del centrodestra di trascorrere un anno a occuparsi degli animali.
E spiegano «Crediamo che sarebbe un esempio non trascurabile per milioni di italiani vedere un ex presidente del consiglio fare il dog sitter per i nonnini di Roma in difficoltà nel portare ai giardinetti il cane durante la giornata».
(da “il Corriere della Sera“)
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Agosto 5th, 2013 Riccardo Fucile
SI TRATTA DEL “MODELLO SALLUSTI”, MA GIURIDICAMENTE NON REGGE: “IL CAVALIERE E’ IMPUTATO IN ALTRI PROCESSI E NON HA RICONOSCIUTO CHE LA SENTENZA E’ LEGITTIMA”
È la speranza di una “trattativa” col Colle, il “piano b” di Silvio Berlusconi.
Basata su una richiesta di quello che i suoi legali considerano l’ultimo salvacondotto possibile.
Che non è la grazia.
E che viene chiamato nella war room del Cavaliere il “modello Sallusti”.
Consiste nella commutazione della pena da detentiva a pecuniaria. Esattamente quello che ottenne il direttore del Giornale che scontò ai domiciliari solo 18 giorni, grazie all’intervento di Giorgio Napolitano.
Una via, secondo gli avvocati dell’ex premier, per garantire “l’agibilità politica” al leader del Pdl.
Ecco quella rassicurazione a Napolitano e Letta (“Enrico”) sul governo che “va avanti”. Non è un caso che è mancata qualunque enfasi sulla riforma della giustizia, fino a due giorni l’unica condizione posta dal Cavaliere per tenere in vista il governo. Segno, dicono nell’inner circle, che “la trattativa si è aperta”. O forse che è semplicemente iniziata la manovra per aprirla.
Solo quando si capirà come andrà a finire, solo allora, si tireranno le conclusioni sul governo: “Se non verrà data agibilità politica al nostro leader — spiegano a palazzo Grazioli — tutto può succedere”.
E il Quirinale diventa uno dei tanti bersagli della campagna elettorale a cui Berlusconi sta già pensando. Non è un caso che, nell’euforia del dopo-comizio, a più di un fedelissimo ha detto: “Entro la prossima primavera si vota, se si vota prima è perchè stacca la spina il Pd che ormai non regge”.
Ed è proprio la richiesta di una “soluzione di salvataggio” il mandato che hanno avuto i capigruppo nell’incontro con Giorgio Napolitano.
E la richiesta, appunto, è nell’articolo 87 della Costituzione. Dice: “(Il presidente della Repubblica) può concedere la grazia e commutare le pene”.
È una via stretta, anzi strettissima. Ma l’unica possibile, visto che per l’amnistia è impraticabile perchè dovrebbe essere votata dal Pd.
E pure sulla “grazia” si è registrato il gelo del Colle.
Per i falchi è l’ennesima “presa per i fondelli”, perchè il capo dello Stato non farà un atto del genere.
Pesa, come un macigno la questione giuridica, che per Napolitano non è un dettaglio. Un intervento di clemenza, si può prendere in considerazione, se richiesto, quando la sentenza è completa, quando cioè sarà calcolata l’interdizione.
E, con buona probabilità , accadrà solo dopo e non prima la decadenza dell’ex premier al Senato.
È una trattativa che parte male.
E parte male perchè il condannato Berlusconi è imputato nel processo Ruby e indagato nel processo di Napoli sulla compravendita.
Che si dichiara innocente e attacca i giudici.
La richiesta non è un atto di clemenza.
Lo spiega Stefano Ceccanti, uno dei saggi di Napolitano e da sempre vicino al Quirinale: “Chiedere un atto di clemenza presuppone riconoscere che la sentenza è legittima e giusta. Altrimenti si sta chiedendo al Quirinale un quarto grado di giudizio che smentisca la Cassazione”.
Ecco il punto.
Quando Napolitano dirà di no, è pronto lo spartito del grande perseguitato.
(da “Huffington Post”)
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Agosto 5th, 2013 Riccardo Fucile
LE PASIONARIE AZZURRE INDICANO MARINA PER LA SUCCESSIONE AL TRONO
Marina Berlusconi regina delle Amazzoni.
Dalla «pitonessa» Daniela Santanchè a Lara Comi, a Michaela Biancofiore l’idea del Cavaliere di fare della sua primogenita la sua erede anche politica trova, innanzitutto, il consenso delle fedelissime azzurre
Nel più ineguale dei Paesi europei dal punto di vista delle opportunità di genere, «il sergente d’acciaio», come l’Huffington Post ha definito la presidente di Fininvest e Mondadori costituirebbe, infatti, un’autentica novità .
«Può essere un’icona femminista, un Berlusconi» si è chiesto il prestigioso Foreign Policy , pochi giorni fa?
Ebbene, la risposta è sì: almeno per le pasionarie azzurre, questo è sicuramente auspicabile.
Lara Comi ha detto: «Sarebbe un’ottima prospettiva». E Laura Ravetto: «È Marina, l’erede di Berlusconi».
La Santanchè unisce a quella politica una forte simpatia da imprenditrice.
L’altro ieri – dopo che Marina ha partecipato a palazzo Grazioli alla riunione con tutti i big del partito – Santanchè ha dichiarato: «Sarei contenta se per questo giro ci fosse ancora il presidente Berlusconi, ma Marina mi va benissimo. Non solo perchè è donna e questo Paese ha bisogno di più donne, perchè hanno il coraggio di parlare come mangiano, e poi sarei entusiasta di una donna con le capacità di Marina».
Se diventasse capo del Pdl o della nuova Forza Italia, Marina sarebbe la prima donna leader di un partito in Italia, eccezion fatta per la però assai breve parentesi di Emma Bonino al Partito Radicale.
E sarebbe anche il leader di partito più giovane.
Marina compie infatti 47 anni sabato prossimo e in ogni caso, secondo Foreign Policy , Marina sembra meglio attrezzata per confrontarsi con il sindaco di Firenze, 38 anni (se diventasse leader del Pd), dei vari delfini e successori.
Cosa di cui è straconvinta Michaela Biancofiore, secondo cui Marina è «la Renzi, molto più seria, preparata ed affidabile del centrodestra».
I dubbi però non mancano. Sono dubbi maschili. E dubbi dello stato maggiore del partito.
«Deve dirlo Berlusconi, ma deve dirlo anche il partito, perchè siamo un partito», ha dichiarato Denis Verdini, dopo la condanna Ruby.
Il capogruppo alla Camera Renato Brunetta ha detto senza mezzi termini che a lui piacciono le democrazie e «non le dinastie: nè quelle monarchiche nè quelle repubblicane».
Dimenticando che negli Stati Uniti ci sono state e ci sono le dinastie politiche dei Kennedy, dei Bush, dei Clinton
C’è anche chi, tra i parlamentari, sotto il vincolo dell’anonimato, snocciola una serie di «problemi situazionali» («che ne sarà dell’azienda?») e soprattutto «istituzionali» («con lei si perpetuerà il conflitto di interessi soprattutto perchè la sentenza della Cassazione riguarda l’azienda, cioè Mediaset: si perpetuerà così anche il conflitto con la magistratura») che renderebbero inopportuno per Forza Italia affidarsi a Marina.
Nessuno mette in dubbio però che se e quando si andrà a votare, Marina B. ha un cognome che è come un brand, un marchio di fabbrica.
Maria Antonietta Calabrò
(da “il Corriere della Sera“)
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Agosto 5th, 2013 Riccardo Fucile
A NOI DISNEYLAND CI FA UNA PIPPA, VERRANNO DA TUTTO IL MONDO PER VEDERCI
L’ Italia è una monarchia teledipendente, fondata sui parenti”. Una mattina ti svegli e scopri che il Paese non è più una Repubblica.
Tutto cambiato.
Senza modificare la Costituzione.
A re Silvio I succede Marina I.
Ma che cosa ha fatto questa donna dalla mascella volitiva per meritarsi l’onore? Ha ereditato un impero costruito da altri, magari frodando il fisco.
Lo ha gestito obbedendo al padre, all’ombra di governi amici. E adesso è pronta al Governo, cioè a decidere della vita di 60 milioni di persone. Tra cui noi.
È così assurdo che deve essere vero.
Ma, se ci pensi, la cosa più incredibile è il tuo stupore: vivi in un Paese governato dal nipote di un Richelieu de noantri che da decenni frequenta ogni tipo di corte, dove il potere economico passa di padre in figlio, le cattedre universitarie portano i nomi delle dinastie, i primariati degli ospedali tra poco saranno distribuiti per testamento.
E ti stupisci ancora?
Ecco, sei tu il problema.
Dai, metti via maalox e tavor, non ti avvelenare la vita.
Pensala così: in fondo Berlusconi è un padre preoccupato del destino della sua bambina. Che decide di farle il regalo più bello: “Ti lascio il mio Paese, ti offro 60 milioni di persone”. Tu non faresti lo stesso?
Ma veramente ci sarebbero la Repubblica, la Costituzione…
Sveglia! Guarda l’Inghilterra, la terra della Magna Charta. È una monarchia da secoli e nessuno si preoccupa. Loro hanno gli Windsor e tu avrai i Berlusconi.
Ma lo sai quanti turisti arrivano a Londra per vedere quattro signori che sembrano usciti dall’album fotografico di tua nonna? Ahò, milioni.
Pensa alle folle che arriveranno ad Arcore per vedere la sovrana affacciata al balcone. E poi… siamo sinceri, che palle quegli Windsor! Hanno campato trent’anni sulla storia del principe ereditario innamorato di una matura signora con i capelli cotonati. Qui abbiamo vallette con le tette come meloni, minorenni, consigliere regionali vestite da suore.
Metti lo stempiato William con Piersilvio… ma hai visto che muscoletti guizzanti, pensatelo con una bella divisa di Dolce&Gabbana.
Fidati, verranno da tutto il mondo per vederci.
Roba che Disneyland ci fa una pippa.
Ma… ci sarebbe il conflitto di interessi…
Non sei stanco di parlarne? Se il sovrano ha tv e giornali è molto meglio.
Pensa che copertine: re, regine e chiappe al vento. Ma forse preferisci le interviste ai costituzionalisti…
Però Elisabetta e Filippo contano come il due di picche. Escono per Wimbledon e li rimettono in naftalina. Il massimo dello scandalo sono i cappellini da daltonici.
Dai, faresti lo stesso con tua figlia. Chissà .
Ma c’è un dettaglio.
Ai nostri venti milioni di figli, chi ci pensa?
Ferruccio Sansa
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Agosto 5th, 2013 Riccardo Fucile
LA TENTAZIONE DI ANDARE IN PIAZZA CON I MINISTRI E POI LA RETROMARCIA
Qualcuno di loro lo trova «provato», per qualcun altro è «comprensibilmente stanco», per altri ancora «leggermente incupito».
Ma il Silvio Berlusconi che alle dieci di ieri sera è seduto alla tavola di Palazzo Grazioli, circondato dai ministri pidiellini del governo Letta e dai due capigruppo, è un politico ferito ma ancora disposto a lottare.
Sarà la tattica di chi sa di dover iniziare da oggi una lunghissima partita a scacchi col Quirinale, sarà la voglia di allontanare lo scenario delle dimissioni dal Senato che pure aveva messo in conto, sta di fatto che – prima che vengano serviti gli antipasti – il Cavaliere scodella di fronte ai commensali la posta in gioco del dialogo con Giorgio Napolitano
Il tempo dei tecnicismi – che sia il percorso per la grazia o la ricerca di un’amnistia – non è ancora arrivato.
L’unica cosa certa è che Berlusconi, in cambio del sostegno al governo Letta ribadito con forza ancora ieri, si aspetta che il Colle gli garantisca in qualsiasi modo quella che un testimone della cena di ieri chiama «l’agibilità politica».
Una via, insomma, che consenta a un condannato con sentenza passata in giudicato di non essere privato del suo ruolo alla guida del centrodestra italiano.
Che, in fondo, è un tema che coincide con la frase che Renato Brunetta ha indirizzato l’altro giorno a Napolitano dall’assemblea dei parlamentari del Pdl e che verosimilmente ribadirà oggi quando insieme a Renato Schifani salirà al Quirinale.
«Presidente, faccia un gesto perchè dieci milioni di italiani non siano privati del loro leader»
Un gesto di Napolitano, l’agibilità politica di Berlusconi.
È questa la rotta del percorso che il Cavaliere continua a mettere in cima ai suoi desiderata.
E questa strada, almeno a ieri, sembrava un pochino più lontana dal tema della grazia se è vero, com’è vero, che tanto Gianni Letta quanto i ministri del governo hanno fatto sapere al «Presidente» che l’unica via stretta per arrivare al provvedimento di clemenza è un’uscita di scena, con tanto di dimissioni dal Senato.
Il contrario dell’agibilità politica.
Ma se la giornata di ieri consentirà alla delegazione del Pdl di presentarsi oggi al Colle forte del «sostegno» al governo ribadito da Berlusconi, questo lo si deve ai «pompieri» che attorno all’ora di pranzo hanno spento in extremis un incendio doloso.
Per tutta la mattinata, infatti, i falchi del Pdl tentano un «blitz» per cambiare segno alla manifestazione di Palazzo Grazioli e trasformarla da un’adunata di «colombe» a una prova di forza nei confronti del Quirinale.
Ci prova per prima Daniela Santanchè, dicendo a Berlusconi «che non possiamo mostrarci deboli». Poi è il turno di Maurizio Gasparri, un altro che riesce a contattare Berlusconi: «Dobbiamo premere sull’acceleratore. È giusto che anche i ministri vengano in piazza con tutti noi».
Nel piano dei «falchi», l’adunata sotto Palazzo Grazioli deve trasformarsi nella prima iniziativa della prossima campagna elettorale.
Infatti, più d’uno suggerisce al Capo di far venire anche la figlia Marina.
Secondo alcune ricostruzioni è in quel momento – e siamo poco prima dell’ora di pranzo – che Berlusconi vacilla.
Angelino Alfano, quando sa del blitz dei falchi, è furibondo: «Se in piazza veniamo noi ministri, il governo salta subito».
Ed è lo stesso identico adagio con cui i due amici di una vita, Gianni Letta e Fedele Confalonieri, convincono il Cavaliere a non cedere alle pressioni dell’ala dura del Pdl.
Alle 14, quando alla manifestazione di Roma mancano ancora quattro ore, su Palazzo Chigi incombono i più oscuri presagi.
Non a caso Enrico Letta, che fiuta l’allarme dopo alcuni contatti col suo vicepremier, avverte Guglielmo Epifani: «Vediamoci dopo la manifestazione di Berlusconi perchè può davvero succedere di tutto».
Non succederà nulla soltanto grazie a un nuovo giro di telefonate con cui, a turno, Alfano, Gianni Letta e Confalonieri convincono l’ex premier a evitare mosse azzardate.
I ministri tirano un sospiro di sollievo. «Io non ho la presunzione di indicare la strada giusta a Berlusconi. Ma non consentirò che qualcuno balli sulle disgrazie del nostro Presidente. Mi riferisco sia a chi sta a sinistra che ad alcuni che stanno tra di noi», scandisce Nunzia De Girolamo dalla macchina che la sta portando verso Palazzo Grazioli.
E ancora: «Berlusconi ha detto che non molla e noi stiamo tutti con lui. Ma è un uomo di Stato e non avrebbe mai consentito a uomini e donne del governo di mettere in imbarazzo le istituzioni».
Dello stesso avviso, seppure senza fare espressamente i nomi di Santanchè e compagnia, era stata Mariastella Gelmini. «Berlusconi ha fatto un discorso da statista. E qualcuno tra di noi, oggi, ci sarà rimasto male», aveva sussurrato in piazza l’ex ministro.
Un adagio confermato dalla leader dei giovani di Forza Italia Annagrazia Calabria («Berlusconi ha dimostrato di essere un uomo di Stato») e anche da Mara Carfagna («Manifestazione pacifica e bellissima»).
E l’allarme scende da rosso ad arancione. Nonostante quel gesto per l’agibilità politica che il Cavaliere si aspetta da Napolitano.
E nonostante la posizione berlusconiana sulla magistratura che «in democrazia» si può criticare rimanga costante, ferma, inscalfibile.
Tommaso Labate
(da “il Corriere della Sera“)
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Agosto 5th, 2013 Riccardo Fucile
CRESCENDO ROSSINIANO NELLA CRONACA DEL FLOP DALL’EMITTENTE DEL CAVALIERE
«La folla è davvero immensa », dice Cesara Buonamici in giacca color ciclamino. L’edizione straordinaria del Tg5 alle 18, come certi cinegiornali del Luce, ha i toni enfatici dell’evento epocale.
La diretta da via del Plebiscito è un crescendo rossiniano, il comizio di Silvio Berlusconi è seguito da un riassunto stile Bignami, in studio, per chi si fosse distratto e avesse perso i passi principali.
Buonamici sintetizza «l’appassionato discorso di Berlusconi che ha parlato davvero col cuore, in maniera davvero appassionata ».
Ripete come un mantra «folla immensa», tra lo sventolio di bandiere e primi piani accaldati.
«Ma vediamo i punti» dice la giornalista «quello che lo spinge è l’interesse superiore del paese; ha parlato di queste giornate definite “angoscianti”, ha ribadito gridando la sua innocenza, ha ricordato che paga 567 milioni di tasse. Ancora ha ringraziato la folla immensa, questa folla che lo vuoleabbracciare e toccare».
La folla. Non si sa quanti siano, Buonamici cerca un assist: «Ci colleghiamo con Alan Patranga per capire il senso dei numeri».
Da via del Plebiscito contare la «folla immensa» (qualche migliaio di persone) è problematico. «Fare numeri è difficile, sono diverse decine di migliaia di sostenitori». Decine di migliaia è un azzardo, ma il meteo è una certezza: «Sono quasi 40 gradi, ci sono persone arrivate da tutta Italia: Calabria, Sicilia, Puglia».
«Berlusconi li ha abbracciati tutti», sottolinea Buonamici «li ha ringraziati per questa fortissima manifestazione di solidarietà . Ha ripetuto: io non mollo. Ricordiamoci sempre che su questa immagine di immensa folla ha detto: il governo deve andare avanti, prima di ogni altra cosa viene l’interesse dell’Italia».
Ricordiamocelo.
Non una parola su quello che sta succedendo nel Paese, non un commento dell’opposizione.
In collegamento telefonico Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale: «Una manifestazione commossa, affettuosa, numerosa. La magistratura non può togliere di mezzo decine di migliaia di italiani », seguito da Vittorio Feltri: «La cosa più importante e percorribile è l’amnistia, che potrebbe risolvere molti problemi, anche per le persone che sono in carcere in condizioni disumane».
Il Tg5 delle 20 si apre col titolo: “Non mollo”. Passaggi salienti del comizio e finalmente la «folla immensa » parla.
Folla eroica: «Siamo partiti alle 6 e mezza di stamattina » dice una ragazza. «Cosa vi spinge?» chiede il giornalista. «La presenza di Silvio».
Un sostenitore di Pistoia: «È condannato da una cosa che non ha nessuna base giuridica».
Una signora da Brescia armata di cartello “Silvio ti amo”: «Non merita questo trattamento. L’Italia si deve vergognare, tratta il suo nome migliore in questo modo», «Siamo qui a chiedere la grazia» le fa eco un signore.
Michaela Biancofiore rilancia: «Sarebbe bello che Napolitano passasse alla storia e chiedesse la grazia spontaneamente per Berlusconi ».
Commenti sparsi di Cicchitto, Saltamartini, Bergamini.
La radicale Rita Bernardini è lì a caccia di firme perchè Berlusconi sostiene i referendum.
Se il presidente del Consiglio, secondo quanto riferiscono fonti di Palazzo Chigi, è cauto, il Tg5 sintetizza: «Giudizio positivo di Letta: qui comincia una settimana cruciale».
Silvia Fumarola
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