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IL CABARET DELL’ESTATE E’ GIA’ FINITO: BAMBOLE NON C’E’ UNA LIRA

Settembre 5th, 2023 Riccardo Fucile

DOPO IL VAUDEVILLE E’ TEMPO DI CONTI E QUELLI PUBBLICI NON TORNANO

Settembre andiamo, è tempo di migrare. Se ne va anche Open to Meraviglia, la figurina di Daniela Garnero coniugata Santanchè, diventata ben presto una figuraccia da mezzo milione di euro. Se ne vanno i granchi blu, chi torna in America, chi finisce nel caciucco. Sparisce il solleone, arrivano Betty e Poppea. S’allontanano i turisti tra le pantegane del Colosseo. Ma ben altre migrazioni sfidano questo settembre che s’annuncia oscuro, tra voltafaccia africani e lamentele europee. Settembre è tempo di conti, quelli pubblici che non tornano, ora meno che mai; la questua non è mai finita, ma le casse si sono svuotate. Riaprono le scuole, è l’eterno ritorno del sempre uguale. Ricomincia la stagione teatrale, anche se le recite non si sono mai fermate. L’estate più rovente del secolo (o forse no) ha portato alla ribalta vecchi e nuovi protagonisti, tra rumori fuori scena e primattori in cerca di copioni. Ce ne sono alcuni degni dei più brillanti vaudeville e altri che introducono a veri e propri drammi della solitudine. Guido Crosetto rinnegato davanti al generale La Qualunque, Antonio Tajani alla ricerca del partito perduto, Carlo Nordio che sfoglia le pagine della sua riforma come petali di margherita, Maurizio Leo che non può ridurre le tasse e, solo ancor più di tutti gli altri, Giancarlo Giorgetti, le cui parole suonano come melanconiche campane del vespro. Peccato perché la calda estate non è stata avara di risate.
Leccornia blu. Uno degli sketch più esilaranti l’ha interpretato Luca Zaia, il quale ha esibito in tv il crostaceo killer come fece Boris Johnson con le aringhe quando voleva difenderle dalla “dittatura europea”, o come l’indimenticabile cetriolo di Matteo Salvini che la Ue insisteva a tutti i costi di raddrizzare, e invece lui, al pari del legno storto kantiano, rifiutava ogni maneggio. Il vorace mangiatore di cozze (anche pelose), vongole e telline provoca “un cataclisma” secondo il presidente della regione Veneto, che ha ottenuto dal governo ben 2,9 milioni di euro, anche se non bastano (naturalmente). Intanto i supermercati Despar lo vendono ai clienti in cinque regioni del nord, “considerando anche le alte qualità alimentari del prodotto e la sua versatilità culinaria”. A Napoli va a ruba a 3,50 euro al chilo, altrove è partita già la bolla: cinque euro in laguna, persino 13 altrove. Vengono spediti anche in America dove è una vera leccornia. Nella zuppa, grigliato, saltato in padella, da provare sulle linguine al posto dell’astice o con spaghetti e bottarga. Non è made in Italy? Ma ci si possono fare bei soldini e la vigile Coldiretti guida la carica degli chef: cuciniamolo in ogni modo.
Di cifre e diete. L’associazione, già pilastro della Democrazia cristiana, oggi è una delle lobby più agguerrite. Non molla un colpo, ha una cifra per ogni cosa. Cifra tonda? Cifra dispari perché dà un tono di maggior precisione. Il solleone arroventa e in un attimo arriva la stima delle perdite. Arriva Poppea, e dopo il primo acquazzone sa già i danni della tempesta. Ha sempre avuto una conoscenza capillare del territorio, zolla per zolla, ma adesso dovrebbe essersi dotata di super calcolatori. Segue il conto della spesa da inviare al ministero, anzi al ministro in persona, il fido Lollo, alias Francesco Lollobrigida, sì, il signor cognato che, complici i sogni di mezza estate, si è lanciato in una nuova teoria economico-dietetica: i poveri mangiano meglio e vivono di più, perché comprano cibo sano dai piccoli coltivatori (diretti o indiretti non importa in questo caso). Gli ha fatto eco Bruno Vespa su X: guardate quegli obesi miliardari americani che muoiono molto prima dei poveri smilzi italiani. Certo, guardiamo Mark Zuckerberg maestro di arti marziali, o lo stesso Bill Gates che non è più l’occhialuto ragazzo di un tempo. Quanto a longevità miliardaria, che dire di Warren Buffett (93 anni) o dell’altro novantenne arzillissimo, Rupert Murdoch, il quale, in quanto australiano diventato americano, deve aver trangugiato le peggiori pietanze dell’occidente?
Fratelli egemonici. Finisce in farsa anche l’egemonia culturale così cara al ministro Gennaro Sangiuliano. Alla disperata ricerca di egemonisti d.o.c., s’è imbattuto in Marco Castoldi, cantante milanese apprezzato in particolare per la tenuta del gel con il quale sorregge un improbabile ciuffo e per le foto hot con l’allora compagna Asia Argento (degna di Gustave Courbet quella in cui con la mano protegge la di lei origine del mondo). Si fa chiamare Morgan come il famoso pirata, con un ego degno di un otre, su di giri più che mai, s’è esibito a Selinunte in un refrain di insulti volgari prima ancora che omofobi. Ha ricevuto un altolà da Marracash e, in attesa che scenda in campo Fedez (niente meno), è stato difeso da Vittorio Sgarbi, vice ministro fino a prova contraria. Lo scontro di civiltà è cominciato. E Sangiuliano attonito non può non sentirsi come l’apprendista stregone.
Solitudine dei numeri uno. Ben più tristi e solitari s’aggirano gli uomini ai quali era stata affidata l’egemonia politica. Prendiamo Crosetto che risponde da uomo di governo al generale Roberto Vannacci, anche lui egemonista in fieri con il libro autopubblicato, dizionario dei luoghi comuni destrorsi. Ebbene, sull’uomo senza il quale Fratelli d’Italia probabilmente non esisterebbe, è calato il gelido silenzio dei colleghi. Fratelli coltelli? Carlo Nordio, punta di diamante della grande riforma garantista, ha dovuto raffreddare i suoi eroici furori. Se ne parlerà l’anno prossimo. Forse. Contro la fortezza giudiziaria si sono infranti principi del foro e insigni giuristi; l’ex pm veneziano conosce bene il potere di mettere in scacco chiunque, da destra o da sinistra, voglia riequilibrare i poteri dello stato liberal-democratico. Sembra un lontano richiamo della foresta quello di Antonio Tajani ai mancati eredi politici di Silvio Berlusconi. Come il biblico Daniele circondato da leoni, gattopardi, iene e sciacalli, resta fermo al centro dell’arena. Si rende conto che già stanno facendo i conti di qui alle elezioni europee del prossimo anno: un pezzo a me, un pezzo a te, e a lui le briciole? E’ apprezzabile la fattiva rassegnazione del plenipotenziario fiscale Maurizio Leo. La riduzione delle aliquote Irpef costerà più di 4 miliardi. E almeno 10 miliardi servono per il cuneo fiscale.
L’inflazione ha un impatto perverso: i prezzi salgono e gonfiano i redditi lordi i quali fanno scattare le aliquote, i cittadini pagano, lo stato incassa di più, ma non abbastanza per abbattere le maggiori imposte. I sindacati chiedono un intervento per bloccare questa scala mobile fiscale insieme al taglio dei contributi: fiscal drag e cuneo farebbero saltare ogni compatibilità finanziaria. Soli restano i servitori dello stato che cercano una logica nelle tante follie. Tra questi vogliamo citare Ernesto Maria Ruffini. Per difendere “milioni di italiani ostaggio da troppi anni dell’Agenzia delle entrate” è sceso in campo Salvini. Lui che cerca in ogni modo di fare il controcanto a Giorgia Meloni si è sentito spiazzato quando la capo del governo ha parlato di “pizzo di stato” e non ha voluto essere da meno. Ruffini ha risposto per le rime: “Deve essere chiaro, il contrasto all’evasione non è volontà di perseguitare qualcuno. L’Agenzia è una amministrazione dello stato, non un’entità belligerante”. Hombre vertical o, meglio, vero civil servant.
Le rinunce del Tesoro. In mezzo al circo, assordato dalla cacofonia dei tromboni, è finito Giancarlo Giorgetti. Sul tavolo del Tesoro s’accatastano le liste della spesa, le richieste legittime e no, le suppliche non più imperiali, ma presidenziali. Bisogna tutelare le famiglie in difficoltà, sostenere quelle che fanno più figli, compensare il caro energia, pagare le pensioni anticipate per “seppellire la Fornero” (la riforma sia chiaro), ridurre gli oneri sociali, rimborsare la tassa da inflazione e via via spendendo. Si parla di una legge di Bilancio che stanzi almeno 35 miliardi di euro e nel frattempo si scopre un buco da 20 miliardi nelle entrate fiscali. Insomma, niente trippa per gatti, “andranno fatte rinunce” ripete Cassandra Giorgetti, ma “Nun ce vonno sta”, come si dice dalle parti di Chigi.
Lo stato ospedale. Il divario tra la politica degli annunci e la politica del fare si allarga mese dopo mese. “Assumiamo il controllo strategico della rete fissa”, è il napoleonico proclama di Giorgia Meloni. Poi tocca a Giorgetti spiegare che il governo prende una quota di minoranza (il 20 per cento) e comunque non intende spendere più di 2,6 miliardi di euro, tanto quanto pensa di incassare dalla imposta sui superprofitti delle banche, che in realtà non tassa i profitti, tanto meno i super, ma i ricavi e assomiglia a una patrimonialina. Anche qui è toccato al ministro dell’Economia gettare acqua sul fuoco populista e riportare il provvedimento a più miti consigli: verrà colpito non più dello 0,1 per cento degli attivi bancari, così da non mettere a rischio il patrimonio delle banche che nei prossimi mesi prevedono di dover affrontare seri problemi perché il ciclo economico è cambiato e rischia di invertirsi del tutto. Ma sui conti torniamo fra poco, perché capire come funzionerà il “controllo strategico” è molto complicato e ne spunta una al giorno, l’ultima è prendere tutta Sparkle (cavi sottomarini), valutata 1,25 miliardi.
Che cosa farà il fondo americano, riscuoterà la maggior quota di cedole per l’affitto della rete agli operatori? Solo un quinto del ricavato andrà al Tesoro che, per ripagarsi dell’investimento, dovrà attendere un certo numero di anni. E si stanno facendo i conti senza l’oste francese: la Vivendi di Vincent Bolloré che è ancora il primo azionista di Tim con il 23,75 per cento valuta la rete 31 miliardi, non i 27 dell’accordo governo-KKR (17 dei quali sono debiti). Un rialzo per trattare, oppure prepara lo scontro aperto in assemblea? Nel frattempo, bisogna pensare all’altra società della rete, Open Fiber, con quattro e rotti miliardi di debiti che saliranno a sei vista anche la caduta dei ricavi. Più che controllo strategico siamo dentro a un complesso e per ora confuso salvataggio. Più che lo stato industriale, innovatore, imprenditore che dir si voglia, torna (perché in realtà non se n’è mai andato) lo stato ospedale. E torna proprio mentre le sue risorse si stanno riducendo. Da una parte si teorizza e si pratica l’espansione della mano pubblica, dall’altra risputano le privatizzazioni. In campo c’è il Monte dei Paschi di Siena che andrà venduto l’anno prossimo in base agli accordi raggiunti a Bruxelles. Tajani propone di aggiungere quote dei porti e ospedali, ma Fratelli d’Italia e Lega lo ha bloccato. Zig e zag per rastrellare qualche euro in più.
Le trombe del giudizio. Arriviamo, così, al cuore della intera faccenda. Come dicevano gli impresari del varietà alle loro soubrette: “Bambole, non c’è più una lira”. Per nove mesi hanno suonato le trombe della vittoria, attenti che non squillino adesso le trombe del giudizio. L’Italia ha vissuto un boom del tutto ragguardevole, tuttavia nell’ultimo trimestre il prodotto lordo è diminuito di quattro decimali, meno 0,4 per cento. Aspettiamo i dati estivi, ma la frenata è evidente. Lo dice l’Istat, non la Cgia di Mestre che, forse ancora sotto i colpi di Caronte, ha tirato fuori che il Mezzogiorno d’Italia cresce quattro volte più della Francia e della Germania messe insieme. Qualcuno ha ironizzato sulla statistica trilussiana, ma nell’associazione sindacale di artigiani e piccoli imprenditori veneziani non ci sono bambini delle elementari, forse volevano sfatare il luogo comune di un sud che affonda nella palude del sottosviluppo, intendevano opporsi al solito piagnisteo. D’altra parte ammettono che in ogni caso il pil del Mezzogiorno continuerà a muoversi con un passo più lento rispetto al centro e al nord Italia. Forse si sono spiegati male, forse è colpa di noi giornalisti, o forse c’è un po’ di captatio benevolentiae. Fatto sta che si sono aggiunti al coro di chi canta il vecchio ritornello senza accorgersi che la musica è cambiata. Oh sì, e come è cambiata. La Germania è bloccata, la Cina arranca. Possiamo anche gioirne perché siamo stufi delle reprimende tedesche e perché i cinesi sono avversari strategici se non veri e propri nemici, ma a chi lo piazziamo il made in Italy, a chi diamo i pezzi per fare le automobili e così via via esportando?
Il partito del grand tour. Ci salverà il turismo, il nostro oro nero come si continua a ripetere. Davvero? Finora è stata una delusione, ai primi di agosto s’è visto un calo del 30 per cento. Si sono aggiunte nuove mete dall’Albania alla Tunisia. Finora il Bel Paese era solo quarto in Europa dopo Francia, Spagna, Grecia. Tra i paesi più visitati al mondo la Francia è imbattibile, l’Italia segue Spagna, Stati Uniti e Cina (ma qui i dati risalgono a prima della pandemia). Le cifre vere sono noiose, quelle immaginarie sono fruttuose. Insieme al “partito dei contadini”, il “partito del grand tour” ha una capillarità, una forza di pressione e una influenza davvero fuor del comune. Si fa a gara a prendere nei comuni e nelle regioni la poltrona di assessore al Turismo. E Fratelli d’Italia batte tutti sotto la guida di Daniela già Santanché e Francesco Lollobrigida: una legione nazionale dalla Liguria alla Lombardia, dalle Marche alla Sicilia dove spicca Manlio Messina. Da assessore al Turismo della giunta Musumeci, si è inventato SeeSicily, un mega progetto di propaganda costato 70 milioni. Allegria. Lui ha scalato i vertici del partito ed è diventato vice presidente del gruppo FdI alla Camera. Ma sul colossale spreco si sono mobilitate tre procure: quella penale, quella della Corte dei Conti e quella europea.
Un piano poco Fitto. Per rilanciare il turismo bisogna investire in infrastrutture e servizi, non in specchietti per le allodole. Il Pnrr punta su una forte digitalizzazione, necessaria, ma non sufficiente. Ci sono quasi tre miliardi di euro, gli unici assegnati sono quelli per i borghi con ben 228 progetti. Il piano, del resto, è in forte ritardo ovunque, peggio di tutti nella transizione ecologica. Sono in pericolo anche il rinnovo del parco ferroviario e i nuovi studi di Cinecittà. Il ministro Raffaele Fitto, plenipotenziario per il Pnrr, lavora alla revisione promessa. La terza rata di 18,5 miliardi di euro dovrebbe arrivare entro settembre, il governo non ha chiesto la quarta rata: non mancano i soldi (finora sono entrati 67 miliardi), mancano i progetti esecutivi. E’ una delle priorità del governo che per la prossima legge di Bilancio punta sul taglio al cuneo fiscale, sostegni alle famiglie numerose e ai redditi più bassi, la sanità per la quale il Pnrr stanzia davvero troppo poco. E’ ancora presto per dare i numeri, non per definire le priorità e qui c’è ancora nebbia fitta.
Mal d’Africa. Abbiamo lasciato per ultima l’emergenza numero uno, non perché vogliamo trascurarla, ma, al contrario, perché ci sembra la più chiara e drammatica rappresentazione del fossato tra annunci e realtà. Da Lampedusa a Trieste è tutto un allarme, mentre la strategia africana del governo non funziona. Gli sbarchi stanno raggiungendo il boom del 2016 (ne arrivarono 181 mila). L’accordo con il presidente tunisino Kaïs Saïed (105 milioni dalla Ue per “governare” i flussi migratori) non ha fermato i barchini (hanno portato oltre 30 mila persone), mentre arriva lo schiaffone dalla Libia che rifiuta persino il nuovo ambasciatore italiano. Salvini rilancia la sua politica dei muri, non partecipa alla “cabina di regia” e sfida: vedremo loro cosa saranno capaci di fare. Il ministro dell’interno, Matteo Piantedosi, salviniano doc che aveva esordito tuonando contro “il popolo dei rave”, ormai viene chiamato prefetto di gomma. Se l’Africa non mantiene le promesse che dire dell’Europa? Non c’è una politica migratoria, ma il paradosso per Giorgia è che a impuntarsi sono i governi sovranisti di Polonia e Ungheria.
Patti chiari e lati oscuri. Ce lo impone l’Europa è sempre stato il grande alibi di chi governa sia a sinistra sia a destra, sia pur con intenti e significati opposti. Adesso anche qui siamo a una strategica resa dei conti. Con la pandemia sono state sospese le vecchie regole: un tetto pari al 3 percento del pil per il deficit pubblico e del 60 per cento per il debito. C’è un’ampia consapevolezza che non abbiano funzionato, anzi hanno avuto una funzione pro ciclica intrinseca, lo ha ricordato Mario Draghi l’11 luglio scorso a Cambridge (Massachusetts): “Ogni volta che un paese cresceva rapidamente avrebbe visto entrate inaspettate che avrebbero fatto sembrare il tetto del deficit allentato, portando a sua volta a impegni di spesa crescenti e deficit più elevati. Ma se il ciclo avesse avuto un cambiamento brusco, quelle entrate sarebbero svanite mentre gli impegni sarebbero rimasti riducendo rapidamente lo spazio fiscale”. Il patto non ha evitato la crisi dei debiti sovrani nel 2010, né ha garantito la stabilità finanziaria, il compito è toccato alla Bce con la svolta del 2012, quanto alla crescita è stata favorita anch’essa da un costo del denaro sotto zero e un massiccio acquisto di titoli di stato: un quarto del debito italiano, 685 miliardi di euro ai quali vanno aggiunti i 383 miliardi nelle casse delle banche italiane. La riforma presentata dal commissario Paolo Gentiloni introduce maggiore flessibilità e si affida a una contrattazione con i singoli stati che tenga conto delle diverse condizioni e delle singole necessità. La Germania chiede una bussola comune per evitare una discrezionalità eccessiva, fonte di conflitti spesso non ricomponibili. Su questo ha ragione, anche se ripropone un rigido automatismo (almeno l’un per cento di riduzione annua del debito) che rischia di ripetere i vecchi difetti. Non si torna indietro, ma non si va avanti abbastanza. Mentre l’Italia può restare incastrata. La Commissione europea vorrebbe chiudere il negoziato al 31 dicembre, qualche settimana prima di andare a casa. Vedremo i risultati elettorali, ma è facile prevedere che la nuova commissione sarà più conservatrice anche nelle politiche di bilancio, lo sono del resto gli stessi governi “sovranisti” che piacciono alla Meloni. La riforma attribuisce maggiori poteri di indirizzo e di controllo a Bruxelles, soprattutto sui paesi ad alto debito, siamo sicuri che non sarà penalizzata proprio l’Italia?
Italia in trappola? Il governo intende mettere in un solo paniere tutte le uova europee, Mes compreso, con il rischio di fare una frittata e chiede di prendere tempo, tuttavia il nuovo patto non potrà operare retroattivamente sul bilancio 2024 né sulla Nadef 2024-27. Il problema è avere una proposta sulla quale costruire un consenso, non battersi per una tregua. Escludere dal calcolo del deficit gli investimenti per la riconversione verde e digitale, oltre alle spese militari, fa senso, tuttavia non sarebbe un gran sollievo se viene previsto per i paesi ad alto debito con “squilibri macroeconomici eccessivi” (l’Italia e la Grecia) che la procedura per disavanzo eccessivo scatti automaticamente e non riguardi solo la finanza pubblica, ma anche le politiche di riforma. Draghi nel suo discorso ha avanzato alcune proposte ambiziose: 1 – “un bilancio centrale a fini di stabilizzazione e trasferimenti fiscali transfrontalieri”, due condizioni che dovrebbero accompagnare la politica monetaria e attenuarne gli effetti negativi; 2 – una spesa “federalizzata”, cioè in capo all’Unione europea per una quota delle risorse necessarie a raggiungere gli obiettivi strategici condivisi; 3 – “l’emissione di debito comune per finanziare questo investimento”. Ma il governo da lui presieduto si è limitato a sostenere la riforma Gentiloni. Non c’erano le condizioni politiche per fare altro, eppure sulle regole europee dalle quali dipende gran parte del nostro futuro, non si è aperto un dibattito nazionale e non lo si sta aprendo nemmeno adesso. Secondo Draghi “gli europei oggi hanno solo tre opzioni: paralisi, uscita o integrazione”. Altro che granchi blu, bisogna temere i sorci verdi. La nostra carrellata non ha una conclusione, tanto meno pistolotti finali. Tornano a sventolare le bandierine (autonomia per la Lega, premierato per i Fratelli), s’infiamma la polemica sui colossali sprechi del bonus edilizio (girano le cifre più disparate: 60, 73, 86 miliardi di euro) che è stato ridotto, ma non è scomparso, come del resto il Reddito di cittadinanza sul quale si scatena la piazza populista, fino a minacciare via social media Giorgia Meloni. Finita la luna di miele e ancora non cominciata la conta elettorale, sarebbe meglio fare un serio tagliando alla macchina che sta per incepparsi ben bene.
(da ilfoglio.it)

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CHI E’ VINCENZA REPACI, LA FERROVIERA 25ENNE CHE DISSE TRE VOLTE NO AI LAVORI SUI BINARI DI BRANDIZZO

Settembre 5th, 2023 Riccardo Fucile

ERA IN SALA CONTROLLO A CHIVASSO E SE AVESSERO SEGUITO LE SUE INDICAZIONI LA TRAGEDIA SAREBBE STATA EVITATA

Si chiama Vincenza Repaci (per tutti Enza) ed ha 25 anni, la testimone chiave nell’inchiesta della procura di Ivrea sulla strage ferroviaria di Brandizzo. È lei la giovane dirigente di movimento delle Ferrovie che era di turno alla sala controllo di Chivasso quella sera del 30 agosto.
E fu lei, dunque, giovane ma quanto mai consapevole delle proprie responsabilità, a negare per tre volte l’autorizzazione all’inizio dei lavori sui binari sulla tratta Torino-Milano.
Avvertimenti ignorati da chi vigilava sulla squadra di operai della Sigifer, per ragioni che saranno le indagini ad accertare. Originaria della Val di Susa, Repaci era stata destinata al posto di Chivasso dopo un periodo di formazione ad Alessandria.
I suoi colleghi, riporta il Corriere, la descrivono come una dipendente «appassionata del suo lavoro, scrupolosa, precisa». Ieri, a quattro giorni dal tragico schianto del treno, è stata sentita per tutto il giorno dai pm della procura di Ivrea, Giulia Nicodemi e Valentina Bossi, che coordinano le indagini della Polfer.
E ha ribadito la versione che emerge anche dalle registrazioni delle telefonate di quella sera: «L’ho detto per tre volte: i lavori non dovevano cominciare perché era previsto il passaggio di un treno», ha spiegato Repaci rievocando i ripetuti scambi avuti con Antonio Massa, il tecnico di Rfi deputato alla «scorta» del cantiere Sigifer, ora indagato insieme con il capocantiere Andrea Girardin Gibin.
«Deve passare un treno in ritardo», gli disse la donna in una prima conversazione. «Non potete farlo (i lavori, ndr) prima di mezzanotte», gli ribadì in una seconda telefonata di richiesta di autorizzazione.
Quindi la terza, drammatica telefonata, in cui ai dubbi di Massa sul ritardo del convogli merci in arrivo da Alessandria Repaci lo ferma ancora una volta: «Aspetta che chiedo».
I ragazzi della Sigifer, a quel punto, sono però già al lavoro sui binari. E non c’è più il tempo di evitare la strage: il treno arriva ad alta velocità e travolge i cinque, mentre Massa è con ogni probabilità ancora al telefono con la dirigente movimento. «Ho sentito un colpo, come di una bomba. Poi è caduta la linea», avrebbe raccontato ieri la donna ai magistrati. Repaci richiama Massa, che le risponde sotto choc: «Sono tutti morti».
La deposizione in procura e l’orgoglio della madre: «Ha gestito tutto al meglio»
Sconvolta dall’accaduto, la giovane ferroviera ha staccato la spina per qualche giorno, lontano dal posto di lavoro. Quindi ieri è rientrata, ed è stata tutto il giorno a colloquio con i magistrati. Cui oltre alle telefonate di quelle ore convulse ha spiegato tanto altro, sforzandosi di ricostruire ogni dettaglio utile di quella notte, così come il contesto dei diversi passaggi procedurali che vengono seguiti quando si aprono cantieri sui binari.
Ad attenderla fuori dalla procura di Ivrea per tutto il tempo della deposizione c’erano i genitori. Che hanno potuto riabbracciarla poco prima delle 20. All’uscita dagli uffici della procura, alle 19,40, ad attenderla c’erano il compagno e la mamma. «Sono stupita positivamente di come mia figlia abbia gestito la situazione quella notte», ha commentato orgogliosa la madre della ragazza, citata dalla Stampa.
A chi le chiedeva conto della situazione, fuori dal tribunale, aveva già ribadito di essere certa che Enza non abbia la benché minima responsabilità per l’accaduto: «Mia figlia non c’entra nulla con quello che è successo, lei ha fatto il suo lavoro. Noi non c’eravamo quando è avvenuto l’incidente. Ero preoccupata per la sua reazione, continuavo a chiedere a sua sorella come stesse, mi rispondeva che era tranquilla». E dalla sua deposizione potrebbero essere emersi altri dettagli cruciali per permettere alle indagini di avanzare.
(da La Stampa)

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US OPEN TENNIS, ALEXANDER ZVEREV FA CACCIARE UN TIFOSO: AVEVA CANTATO L’INNO NAZISTA

Settembre 5th, 2023 Riccardo Fucile

“COME TEDESCO NON SONO ORGOGLIOSO DELLA STORIA”

Il campo da tennis intitolato ad Arthur Ashe si è trasformato in un luogo di scontro anche politico, nel corso della partita tra Alexander Zverev e Jannik Sinner, durante gli US Open.
Uno spettatore è stato infatti espulso dopo aver cantato le parole di apertura dell’inno tedesco dell’era nazista, Deutschland Uber Alles.
Ad udire e segnalare l’accaduto è stato proprio il giocatore e concittadino del tifoso incriminato, Zverev: stava servendo nel quarto set degli ottavi contro Sinner, quando si è rivolto all’arbitro James Keothavong. Lamentando di aver sentito pronunciare «la frase di Hitler più famosa al mondo».
Keothavong ha dunque consultato gli agenti della sicurezza nel tentativo di identificare il colpevole. Che alla fine è stato individuato in un uomo che indossava un berretto da baseball blu: è stato fatto allontanare dal complesso.
A margine dell’incidente, Zverev ha commentato con i giornalisti: «Ha iniziato a cantare l’inno di Hitler dell’epoca, era un po’ troppo. Mi piace quando i tifosi sono rumorosi, mi piace quando sono emozionati, ma penso che come tedesco non sono molto orgoglioso della storia, non è proprio una buona cosa da fare».
(da agenzie)

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IL COMMENTO DEL NEW YORK TIMES DOPO PALERMO E CAIVANO: “RIFLETTERE SULL’ATTEGGIAMENTO DELL’ITALIA NEI CONFRONTI DELLE DONNE”

Settembre 5th, 2023 Riccardo Fucile

LA CULTURA DIETRO LA VIOLENZA E IL RUOLO DEI SOCIAL

Alla fine di agosto, due ragazzine di 10 e 12 anni sono state violentate da un gruppo di adolescenti e da un 19enne al Parco Verde di Caivano, in provincia di Napoli. Pochi giorni prima, una ragazza di 19 anni ha accusato sette ragazzi di averla violentata al Foro Italico di Palermo. Vicende terribili, che hanno scosso l’opinione pubblica e sollecitato l’intervento della politica. Ma cosa ci dicono della società in cui viviamo? Della cultura che permea le strade del nostro Paese? Il New York Times prova a dare una risposta a questi interrogativi, in un lungo articolo dal titolo Rape Cases Seize Italy’s Attention and Expose Cultural Rifts. Che parte proprio da Caivano, anzi, da una piscina abbandonata, che la polizia locale ha identificato come uno dei luoghi dove le due minorenni sarebbero state reiteratamente abusate. Gaia Pianigiani e Gianni Cipriano, rispettivamente firma e fotografo del reportage, si sono recati personalmente nei luoghi che hanno fatto da cornice all’orrore. E hanno ripreso tutto: siringhe abbandonate, un materasso lurido, graffiti, macerie, pezzi di vetro. Tra quei rifiuti le violenze sarebbero andate avanti per molti mesi, prima di essere scoperte e raccontate. Imponendo riflessioni sulle periferie, sul maschilismo e sul ruolo dei social media. Ma anche mettendo in luce profonde diversità su come affrontare il problema della violenza sulle donne.
Ordine e disciplina
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, scrive il quotidiano statunitense, più che sui problemi legati al sessismo, ha scelto di concentrarsi sull’ordine e la legge, definendo i criminali «barbari». «Questo territorio sarà ripulito e presto vedrete i risultati della nostra presenza qui», ha promesso nel corso della sua visita a Caivano. «Non possono esserci zone apolidi in Italia – ha aggiunto -. E lo dico ai tanti Caivano d’Italia». Strade e parchi del Comune, un giorno prima della visita di Meloni, erano pieni di agenti di polizia. Dopo le violenze, i funzionari locali hanno dichiarato la loro intenzione di intensificare la presenza delle forze dell’ordine. Ma questa, secondo i residenti intervistati dal quotidiano statunitense, non è la soluzione: «Non abbiamo bisogno di più poliziotti», ha detto al Nyt un abitante di nome Antonio. «Abbiamo bisogno di più tempo a scuola, di più assistenti sociali e di più psicologi per aiutare i bambini che vivono in famiglie che non possono prendersi cura di loro». Le due ragazzine che hanno subìto le molestie, per esempio, provengono dal Rione Iacp, e prima di venir trasferite in una Casa famiglia vivevano assieme alle loro famiglie, che i vicini hanno definito «problematiche».
Un problema italiano?
Prima di Caivano, e prima anche di Palermo, si sono susseguite notizie su donne accoltellate, colpite da colpi di arma da fuoco o avvelenate, dai loro partner o da persone che conoscevano. Bisogna tuttavia considerare, specifica il Nyt, che la risonanza delle notizie sulla violenza sulle donne può essere stata influenzata dal rallentamento del ciclo delle notizie in estate, e dunque i fatti non sono necessariamente indicativi di una crescita del fenomeno. I numeri sembrano in linea con quelli degli altri Paesi europei: il 27% delle donne italiane afferma di aver subìto violenza. «Si tratta di un fenomeno culturale, profondamente radicato da decenni in una società maschilista», ha spiegato Antonella Veltri, presidente di D.i.Re, la rete nazionale dei centri antiviolenza. «Ora sta prendendo una piega nuova, ancora più orribile, con i social media che agiscono come un megafono», ha aggiunto.
Il ruolo dei social
Nella vicenda di Palermo, per esempio, i social media non sono stati solo uno strumento per ferire gli aggressori (una volta diffuse le loro generalità), ma anche per accanirsi sulla vittima. Che è stata ricoperta di insulti e minacce, al punto di dichiarare: «Sono stanca, mi state portando alla morte. Io stessa anche senza questi commenti non ce la faccio più. Non ho voglia di lottare né per me, né per gli altri. Non posso aiutare nessuno se sto così». E ancora: «Mi avete rotto con queste cose del tipo “ah ma fa i video su TikTok con delle canzoni oscene”, “è normale che poi le succede questo”, oppure “ma certo per come si veste”». Secondo un recente report dell’Istat, in Italia è ancora diffusa l’idea che le donne vittime di abusi siano in qualche modo colpevoli di aver provocato l’aggressione. Una visione che a detta del Nyt riecheggia anche nelle parole, che recentemente hanno fatto molto discutere, pronunciate da Andrea Giambruno, compagno della premier Giorgia Meloni e anchorman di Rete 4. Ovvero: «Se eviti di ubriacarti e di perdere i sensi, magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche perché poi il lupo lo trovi».
La legge
Dichiarazioni collegate da un filo rosso, sottile ma visibile, alla decisione del Tribunale di Firenze di assolvere due 19enni accusati di aver violentato una 18enne durante una festa, ritenendo che ci fosse stata una «percezione errata del consenso». E questo perché la ragazza aveva già avuto in passato rapporti con uno degli imputati. Non è la prima volta che le aule dei Tribunali italiani assumono un linguaggio offensivo nei confronti delle vittime di stupro, come denunciato dalla Corte Europea dei Diritti Umani. «Un simile trattamento scoraggia le donne dal farsi avanti», ha spiegato Ilaria Boiano, avvocato dell’associazione Differenza Donna. «Gli ultimi casi sono solo la punta dell’iceberg, purtroppo», ha affermato. «Molte donne non lo denunciano nemmeno».
(da New York Times)

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IL BLITZ A CAIVANO DELLE FORZE DI POLIZIA E’ STATA UN’INUTILE SCENEGGIATA DEL GOVERNO

Settembre 5th, 2023 Riccardo Fucile

TUTTI SAPEVANO CHE CI SAREBBE STATO, E’ STATO FATTO IN RITARDO E LA CAMORRA HA AVUTO TUTTO IL TEMPO DI METTERE AL SICURO QUELLO CHE NON DOVEVA ESSERE TROVATO

Lo scrittore Roberto Saviano boccia il maxi blitz ad «alto impatto» svolto oggi 5 settembre a Caivano, dove in una vasta operazione di Carabinieri, Polizia e Guardia di finanza sono stati sequestrate nel cuore della piazza di spaccio diverse armi, proiettili e denaro contante.
Secondo Saviano quella di questa mattina «non è altro che una inutile sceneggiata di propaganda. I maxiblitz, come avvenuto a Caivano, non cambiano il destino di un territorio, non offrono riscatto, sono operazioni fatte per pura propaganda politica».
Un’operazione commentata a stretto giro anche dalla premier Giorgia Meloni, che l’ha definita «solo l’inizio di quel lungo percorso che il Governo si è impegnato a portare avanti per ripristinare legalità e sicurezza». Sui suoi social, l’autore di Gomorra commenta invece che i 400 uomini delle forze dell’ordine impiegati per l’operazione «hanno trovato appartamenti vuoti e sequestrato una quantità di denaro che per una piazza di spaccio sono solo pochi spiccioli.
La camorra ha avuto tutto il tempo di mettere al sicuro ciò che non doveva esser trovato. Risultato? Qualche pregiudicato andrà sotto processo, terranno dei blindati in strada per un po’ di tempo fingendo di credere che possano funzionare da deterrente… E poi, come sempre, il nulla».
A dimostrazione di quanto il «blitz annunciato» non avesse intimorito le organizzazioni criminali a Caivano, Saviano cita l’ultimo episodio criminale, avvenuto proprio la notte precedente: «Nonostante il blitz annunciato, un uomo è stato gambizzato; ecco, questo dà la cifra di quanto le organizzazioni criminali temano i proclami governativi. Dà la cifra di quanto sia vana la militarizzazione di questi territori. La Premier Meloni e il Presidente della Regione Campania De Luca annunciano l’arrivo massiccio di forze dell’ordine: “Bonificheremo Caivano”, ‘Li andremo a prendere casa per casa’. Eppure, quello che con onestà dovrebbero dire è che le operazioni di polizia non sono mai mancate in quei territori. A essere mancato è tutto il resto: tutte le altre, fondamentali, manifestazioni in cui uno Stato degno di essere definito tale, fa sentire la propria presenza».
(da agenzie)

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SUPERBONUS, ORA GRIDANO ALLA “MEGA-TRUFFA”, MA L’HANNO SEMPRE APPOGGIATA

Settembre 5th, 2023 Riccardo Fucile

MISURA CHE E’ SERVITA A TUTTI I PARTITI PER FARE PROPAGANDA… LEGA, FDI E FORZA ITALIA IN PRIMIS

È il 16 luglio del 2020 quando il Senato approva il decreto Rilancio su cui il governo Conte-2 aveva posto la fiducia: 159 sì e 121 voti contrari. Il decreto contiene il Superbonus al 110% ma anche la cedibilità di tutti gli altri crediti fiscali edilizi: nessuno da FdI, Lega e Forza Italia contestò la misura.
Il capogruppo di FdI, Nicola Calandrini si era perfino scagliato contro la farraginosità della procedura per il Superbonus: “Durerà per soli 18 mesi… i tempi rischiano di rendere impraticabile l’ottenimento di questo incentivo”.
In totale, sul Superbonus si contano almeno una trentina di modifiche. Anche solo limitandosi alle principali, in nessun momento la norma è stata contestata né ha ricevuto scossoni fondamentali – da parte dei suoi critici odierni – fino all’autunno del 2022.
Aprile 2021.
Il 26 aprile del 2021 Draghi conferma l’utilità del bonus e che “non c’è alcun taglio”. Aggiunge che “la misura è finanziata fino alla fine del 2022” e che è un “provvedimento importante per costruzioni e ambiente”.
A ottobre il premier spiega che i bonus edilizi “hanno avuto un ruolo molto positivo per stimolare la ripresa nelle costruzioni”. Lo stesso Beppe Grillo aveva legato il sostegno del M5s al governo alle rassicurazioni – arrivate – sul mantenimento della misura.
Dicembre 2021.
La legge di Bilancio per il 2022 proroga così l’incentivo e inserisce scadenze differenziate. Nel disegno di legge presentato in Parlamento, era stato proposto di limitare il bonus ai proprietari delle villette unifamiliari con un Isee inferiore ai 25 mila euro.
Durante l’esame in Senato, il tetto era stato poi cancellato. Tra i favorevoli all’eliminazione del vincolo c’è la Lega: “Niente tetto Isee. L’avevamo promesso” twittò Matteo Salvini il 21 dicembre.
A onor del vero, la proposta del Carroccio era di ridurre dal 110 all’80 % il Superbonus, ma sempre senza limiti Isee. Salto in avanti: il 13 febbraio 2022, l’allora ministro allo Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti critica la scelta del Parlamento di non limitare il Superbonus che darebbe “soldi ai miliardari”. Poco dopo Salvini lo definì “strumento assolutamente efficace”.
Gennaio 2022.
Dopo aver prorogato la misura, passata la partita del Quirinale, il governo decide per una stretta sulla cedibilità dei crediti dei bonus edilizi e si inizia a lottare sui limiti. Circolano bozze, FdI accusa il governo di voler “ammazzare il Superbonus”.
A gennaio, arriva il decreto Sostegni, licenziato dal Consiglio dei ministri. Giancarlo Giorgetti, in conferenza stampa, cita Draghi e precisa che “il problema sono i meccanismi di cessione disegnati senza discrimine” e puntualizza: “Non tocchiamo il Superbonus”. Il 26 marzo la Camera dà il via libera. I bonus possono essere ceduti un massimo di tre volte: la prima a tutti i soggetti e le due successive solo a banche, intermediari finanziari e società appartenenti a un gruppo bancario vigilato.
Luglio 2022.
Nei mesi successivi prosegue il balletto dei crediti. A luglio del 2022 il governo deposita un emendamento che prevede che le banche potranno “cedere sempre il credito a soggetti” diversi da “consumatori o utenti” ma nessuna proroga viene concessa. Per tutta l’estate non si trova un accordo, l’opposizione chiede che si trovi una soluzione. Il 14 settembre il dl Aiuti bis si sblocca con la riformulazione dell’emendamento sulla responsabilità in solido di chi acquista i crediti fiscali, che si configura solo se c’è “dolo o colpa grave”. Tutti i partiti difendono la misura.
Dicembre 2022.
Cambio di governo, arriva qui la prima stretta meloniana. Anche per accontentare Forza Italia, il 110% viene però prorogato al 31 dicembre 2022 solo per i condomini a determinate condizioni. Per gli altri scende al 90%. Solo ora iniziano i partiti di destra iniziano a criticare il Superbonus.
Febbraio 2023.
C’è il blocco definitivo alla cessione dei crediti da tutti i bonus edilizi: il decreto legge 11 del 2023 è approvato in Cdm nel giro di sette ore giovedì 16 febbraio. Giorgetti è finalmente senza freni: “Misura necessaria per bloccare gli effetti di una politica scellerata usata in campagna elettorale”. Quella di tutti.
(da IL Fatto Quotidiano)

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FIRENZE, IL TURISTA TEDESCO CHE PROVOCA 5.000 EURO DI DANNI ALLA STATUA DEL BIANCONE PER UNA FOTO

Settembre 5th, 2023 Riccardo Fucile

QUEL COGLIONE PRIMA HA SCAVALCATO LA RECINZIONE, POI’ SI E’ ARRAMPICATO SULLA STATUA

Un turista tedesco ha provocato cinquemila euro di danni alla statua del Biancone in piazza della Signoria a Firenze per farsi una foto.
L’episodio si è verificato nella notte tra domenica 3 e lunedì 4 settembre. L’uomo è stato rintracciato nella mattinata di ieri e denunciato per danneggiamento di beni culturali.
Il 22enne residente a Berlino all’una di notte si è trovato con due amici davanti alla fontana del Nettuno. Ha scavalcato la recinzione ed è salito sul bordo della vasca. Poi si è arrampicato sulla zampa del cavallo arrivando alla base della carrozza e lì si è fatto fotografare.
Scendendo, ha appoggiato il piede sulla zampa, danneggiandola. Ma l’allarme, racconta oggi l’edizione fiorentina di Repubblica, è scattato soltanto quando il ragazzo è sceso dalla fontana. Quando i vigili sono arrivati i tre si erano già dileguati.
Il cittadino tedesco è stato successivamente rintracciato in un B&B. Per lui è arrivata la denuncia ai sensi dell’articolo 518 del Codice Penale. I successivi accertamenti degli esperti hanno rilevato che la zampa anteriore destra ha subito il distacco di alcune stuccature realizzate nel restauro del 2018. Mentre dalla zona superiore del carro, in marmo rosso, si è staccata una porzione triangolare di circa 25 millimetri.
(da agenzie)

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TRUFFA SUL BONUS FACCIATE: 31 PERSONE INDAGATE E 52 MILIONI SEQUESTRATI, 37 AZIENDE COINVOLTE

Settembre 5th, 2023 Riccardo Fucile

ALTRO CHE I PICCOLI TRUFFATORI DEL REDDITO DI CITTADINANZA, IL MALAFFARE SI ANNIDA TRA I “PRENDITORI” CORROTTI

Gli investigatori della Procura di Roma stanno indagando su una presunta truffa nell’utilizzo dei fondi per il bonus facciate.
Al momento, 31 persone risultano indagate, con l’accusa di indebita percezione di erogazioni pubbliche, truffa ai danni dello Stato, riciclaggio e autoriciclaggio.
Oltre 52 milioni di euro di crediti d’imposta sono stati inoltre sequestrati: sarebbero stati percepiti illecitamente perché i relativi interventi, secondo quanto é emerso dall’attività investigativa, non sono stati mai realizzati. 37 società, tra prime e seconde cessionarie del credito, risultano coinvolte nell’inchiesta.
Le indagini sono state condotte dal Comando provinciale di Reggio Calabria della Guardia di Finanza. Inizialmente, infatti, l’inchiesta era stata avviata dalla procura di Locri, ma poi è stata trasmessa a quella della Capitale per competenza territoriale.
Il meccanismo
A segnalare le prime irregolarità sono stati i proprietari degli appartamenti di un condominio in Calabria: avevano notato, nei propri documenti fiscali, la presenza di crediti di imposta, connessi ad agevolazioni finalizzate ad interventi di recupero edilizio, da loro mai richiesti, né tantomeno realizzati.
E che risultavano poi ceduti a quattro imprese con sede a Roma e a San Cesareo: tutte, secondo quanto accertato dagli investigatori, amministrate dallo stesso soggetto, ovvero uno degli indagati.
Le imprese avevano infatti accettato cessioni di crediti inesistenti, per un importo corrispondente alle somme che sono state sequestrate, da parte di 160 persone che, in realtà, erano ignare di tutto.
Il meccanismo prevedeva poi la monetizzazione del credito attraverso la cessione della quota restante ad altre 33 società, le “seconde cessionarie” appunto, con sedi su tutto il territorio nazionale, che hanno proceduto a loro volta a monetizzare parte dei crediti. Il gip della Capitale ha convalidato il sequestro già disposto dal gip del Tribunale di Locri.
(da agenzie)

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I CUCCIOLI DI AMARENA SONO DI NUOVO INSIEME: NOTATI IERI SERA SOTTO UNA PIANTA DI MELO, SONO IN BUONE CONDIZIONI

Settembre 5th, 2023 Riccardo Fucile

SONO ALL’INTERNO DELL’AREA DEL PARCO, SI SONO ALIMENTATI IN MANIERA AUTONOMA, I TECNICI NON INTENDONO FORZARE LA MANO SULLA LORO CATTURA

La buona notizia è che i due cuccioli dell’orsa Amarena, dopo essersi separati per un po’ di tempo, si sono riuniti all’interno dell’area del Parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise (Pnalm).
Lo hanno verificato i tecnici del Pnalm che ieri pomeriggio hanno avvistato i due cuccioli nei dintorni di una pianta di melo in aperta montagna. I tecnici del Parco hanno accertato che i due cuccioli hanno percorso più di 10 chilometri dal luogo dove è stata uccisa la madre a San Benedetto dei Marsi (L’Aquila), ma non è escluso che, data anche la giovane età, proseguano le loro scorribande nel territorio.
Le condizioni dei due giovani esemplari di orso bruno marsicano, nati tra dicembre e gennaio scorsi, sembrano buone. Il fatto che in questi giorni si siano alimentati depone a loro favore e quindi spinge i tecnici a non forzare la mano sulla loro cattura.
Notizie che confermano le attese di Luciano Sammarone, direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, che a La Zampa aveva detto: “I cuccioli ora hanno 8 mesi, avrebbero dovuto rimanere con la loro madre fino alla primavera prossima. Ma vedendo la loro dinamicità, è molto probabile che già si nutrissero di altro oltre che del latte materno. Cosa credibile anche perché Amarena nella precedente cucciolata aveva avuto quattro figli ed era impensabile che li nutrisse tutti e quattro con il suo solo latte”.
Si tifa per una loro indipendenza e autonomia all’interno dell’areale del Parco che permetterebbe loro di sopravvivere in condizioni naturali.
La cattura infatti, ha spiegato Sammarone a La Zampa, “serve per capire in che condizioni sono, non vogliamo destinarli alla cattività”.
Due gli scenari individiduati dal direttore del Parco: “In base ai nostri protocolli, approvati dal Ministero dell’Ambiente con il parere dell’Ispra, se sono in buone condizioni di salute, pensiamo di traslocarli in una zona più interna al Parco, ovviamente una di quelle che loro hanno frequentato con la mamma e sicuramente più lontani da pericoli come il traffico di veicoli o incontri sbagliati. Se invece mostrano carenze fisiche, i cuccioli potrebbero andare incontro a un periodo di tenuta in un recinto completamente isolato per farli crescere e fargli mettere su peso per poi comunque liberarli prima dell’inverno. Ma questo lo decideranno gli esperti”.
(da agenzie)

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