Ottobre 3rd, 2023 Riccardo Fucile
QUASI TUTTI SONO POCO ATTIVI, BLINDATI E CON POCHISSIME INTERAZIONI. INSOMMA, SONO VISIBILMENTE FAKE… SU TWITTER SENTENZIANO: “È GIAMBRUNO IN INCOGNITO”
Chi segue i profili social di Giorgia Meloni si sarà accorto che la presidente del Consiglio vanta una marea sconfinata di follower indiani, bengalesi, indonesiani, mediorientali, ma anche sudamericani e in generale extracomunitari. Una quantità di seguaci stranieri tale da surclassare quasi quelli italiani.
Il fenomeno era peraltro riscontrabile molto tempo prima del suo discorso all’Onu, complice il quale Meloni potrebbe essersi aggiudicata nuovi fan (o detrattori) internazionali.
Sono in molti a trovare un filino sospetta – sulle pagine social dell’inquilina di Palazzo Chigi – la massiccia presenza di profili stranieri, molti dei quali con pochissimi o addirittura zero follower, e perlopiù blindati o visibilmente fake.
Tanto che molto spesso sotto i post della presidente del Consiglio, al profluvio di messaggi di utenti extracomunitari, si alternano quelli ironici dei commentatori italiani che sospettano si tratti di bot.
Ovvero di profili social ai quali corrisponde un nome, una foto profilo, spesso perfino una mini biografia, ma che di fatto sono fittizi e manovrati da software e programmi che li fanno interagire con gli utenti reali.
I bot servono ad accrescere numericamente i follower (e quindi la “popolarità”) di un utente, ma anche a pubblicare messaggi, rilanciare quelli altrui, commentare coordinatamente un post o un tweet per incensarlo o delegittimarlo, e grazie ad hashtag e a parole chiave renderlo “trending topic” ovvero farlo svettare fra gli argomenti più rilevanti.
Tornando al “multilaziale” (copyright Pino Insegno) traffico social della Meloni, si trova per esempio tale Abdullah Qamar che lascia qualche commento in inglese, per poi sentenziare in perfetto italiano: “Giorgia, sei la miglior premier di sempre!”. Qualcuno replica: “Lo sai dal Bangladesh?”, e un altro rincara, lapidario: “È Giambruno in incognito…”.
Del resto, è senza dubbio un’esperienza mistica leggere i patriottici post della presidente del Consiglio, spesso ridondanti di orgoglio italico, e poi trovare, tra follower, commenti e like, una copiosa quantità di account extracomunitari con i loro nomi esotici e alfasillabari di terre lontane.
Giorgia non ha la minima ragione di preoccuparsi di un eventuale “gombloddo” che la detronizzi per sostituirla con un Governo tecnico. In tale malaugurata ipotesi, potrebbe sempre presentarsi alle elezioni indiane o bengalesi. Farebbe il bot…to!
(da Dagospia)
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Ottobre 3rd, 2023 Riccardo Fucile
GIUDIZI POSITIVI SCENDONO AL 41%, QUELLI NEGATIVI SALGONO AL 59,2%… NELLA FASCIA 18-44 ANNI LA FIDUCIA E’ CROLLATA AL 31%, IL GOVERNO REGGE LA MEDIA GRAZIE AGLI OVER 65
Negli ultimi 8 mesi l’indice di fiducia nel governo Meloni è calato di quasi dieci punti: si tratta di un trend progressivo punteggiato da 5 ribassi da febbraio a oggi.
Emerge dal periodico “Osservatorio politico nazionale” dell’istituto Ixè. Un percorso in discesa che al momento si è concluso con una flessione dell’1 per cento nell’ultimo mese e porta il gradimento nei confronti dell’esecutivo al 41 per cento.
Per un raffronto: nel suo ultimo mese il governo Draghi chiuse al 60, mentre il governo Conte 2 concluse il suo percorso al 53. Tutto questo mentre ci si avvia al giro di boa del primo anno dal giuramento di premier e ministri nelle mani del presidente della Repubblica.
Le risposte positive al quesito sulla fiducia si dividono tra chi ha “molta fiducia” (poco sopra all’8 per cento) e chi ha “abbastanza fiducia” (il restante 32 e un po’).
Quelle negative – che insieme totalizzano il 59,2 per cento – sono rappresentate dal 32 per cento di chi dice di avere “poca fiducia” e il 27 che non ne ha “nessuna“.
Se è prevedibile che la fiducia e la sfiducia si calibrano in modo diversa a seconda degli schieramenti di centrodestra o centrosinistra, più interessante notare le differenze se si incrocia il dato con quello delle fasce d’età.
Più chiaramente il tasso di fiducia raggiunge la media generale solo nelle fasce d’età dai 45 anni, dato che va a salire dal 40 per cento della fascia 45-54 anni al 42 della fascia 55-64 fino agli over 65 tra i quali il governo ottiene un gradimento superiore al 52 per cento, cioè dieci punti in più della media.
La tendenza è opposta tra i più giovani. La fiducia complessiva nel governo scende al 31 per cento tra chi ha tra 35 e 44 anni e al 34 nella fascia 18-34 anni. In questi ultimi due casi chi ha “molta fiducia” non va oltre il 3-4 per cento.
(da agenzie)
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Ottobre 3rd, 2023 Riccardo Fucile
UN’INCHIESTA GIORNALISTICA SVELA I LEGAMI DI MAXIMILIAN KRAH, CAPOLISTA DI AFD ALLE PROSSIME EUROPEE, CON PECHINO… QUATTRO ANNI FA, È STATA FONDATA UNA SOCIETÀ DI LOBBY
L’estrema destra ha un problema con i dittatori, commenta ironicamente un utente anonimo su X, l’ex Twitter. Il nuovo caso di cui si è discusso molto in Germania riguarda il capolista del partito AfD alle elezioni europee del prossimo anno, Maximilian Krah, molto vicino alla Russia di Putin, contro le sanzioni a Mosca e l’invio di armi a Kyiv come del resto il partito che rappresenta.
Solo che adesso iniziano a venire fuori anche le sue chiare connessioni con il Partito comunista cinese.
Con la Repubblica popolare Krah ha una consuetudine di lunga data, ha studiato tra Hong Kong e Shanghai, dice spesso che non bisogna credere alle “bugie occidentali” sulla repressione cinese degli uiguri nello Xinjiang, che la questione di Taiwan non è affar nostro e invece “le buone relazioni con la Cina sono vantaggiose per l’Europa”.
Nel 2019, l’anno in cui l’AfD vince 11 seggi al Parlamento europeo e aderisce al gruppo Identità e Democrazia, lo stesso della Lega e del Rassemblement National di Marine Le Pen, Maximilian Krah porta la sua battaglia pro Cina nelle istituzioni europee.
Secondo un’inchiesta del quotidiano tedesco t-online, oltre alle sue regolari apparizioni sui media statali cinesi e ai suoi viaggi in Cina pagati dalle aziende di stato come Huawei o la China National Petroleum Corporation, i pettegolezzi sulle relazioni fra Krah e Pechino iniziano soprattutto quando, nel 2020, viene chiuso il “gruppo di amicizia Europa-Cina” di cui faceva parte perché faceva pressioni per intensificare le relazioni economiche con il paese asiatico con metodi non del tutto trasparenti.
Al centro dell’indagine dei giornalisti di t-online c’è soprattutto la rete che si muove attorno al parlamentare, e in particolare il suo assistente, Jian G.
G, di origini cinesi, a un certo punto chiede addirittura ai parlamentari europei di evitare il boicottaggio occidentale e di partecipare alle Olimpiadi invernali di Pechino nell’inverno del 2021.
Jian G. avrebbe organizzato diversi viaggi di Krah in Cina, e avrebbe avuto regolari incontri con funzionari del Dipartimento internazionale del Partito comunista cinese (Idcpc).
Poi ci sono i soldi: poco dopo l’elezione al Parlamento europeo di Krah viene fondata una società di lobby pro Cina da Jian G. e alcuni personaggi legati a Krah, che in una serie di scatole cinesi finiscono sempre per fare capo a qualche rappresentante del Partito comunista cinese.
Per l’intelligence tedesca il problema fondamentale adesso restano i legami tra Krah e il Dipartimento internazionale del Partito comunista cinese: nel luglio scorso è stato pubblicato un documento in cui l’Ufficio federale per la protezione della Costituzione tedesca scrive che l’Idcpc è parte attiva nel sistema di influenza politica della Cina all’estero.
Il suo scopo è “di influenzare i decisori e le istituzioni straniere e utilizzare le reti di contatto esistenti per ottenere informazioni”: per l’ufficio federale tedesco “l’Idcpc fa parte dell’apparato dei servizi di intelligence cinesi” e già a luglio chiedeva a tutti i membri della politica e delle istituzioni di esercitare estrema cautela in caso di interazioni con un membro dell’Idcpc. Un approccio a dir poco diverso da quello italiano, che poche settimane prima di quell’avvertimento, a fine giugno, accoglieva a Roma Liu Jianchao, capo dell’Idcpc, ricevuto, tra gli altri, dal presidente del Senato, Ignazio La Russa, dal vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani e dalla segretaria del Pd Elly Schlein.
A essere sorprendente è la virata dell’estrema destra europea a favore del Partito comunista cinese: Matteo Salvini, che nel 2019 era contrario all’ingresso dell’Italia nella Via della seta, ora sembra in una fase completamente opposta e brinda alla Cina al ricevimento dell’ambasciata di via Bruxelles per la festa nazionale. Il 26 luglio scorso, Maximilian Krah era alla Camera dei deputati italiana in compagnia dell’ultrasovranista vice di Salvini, Lorenzo Fontana.
(da il Foglio)
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Ottobre 3rd, 2023 Riccardo Fucile
I MALIGNI DICONO CHE LO FACCIA SOPRATTUTTO PER CONSERVARE UN POSTO DI LAVORO NON AVENDO AZIENDE PROPRIE E POTENDO CONTARE, DOPO CONFINDUSTRIA, SOLO SUL CDA DELLA FIERA DI MILANO
Perché Carlo Bonomi si è esposto alla figuraccia di volersi candidare alla guida della Luiss pur non essere laureato? I maligni dicono che lo faccia soprattutto per conservare un posto di lavoro non avendo aziende proprie e potendo contare, dopo Confindustria, solo sul Cda della Fiera di Milano. Ma è bene sapere che la Luiss è anche un importante centro di potere, di prestigio e di influenza.
L’attuale presidente della Luiss, già presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, infatti, è stato nominato presidente della Luiss School of Government (SoG), formazione di eccellenza per “quanti sono coinvolti nei processi politici del decision making nel settore pubblico e privato” . Si tratta della sezione che ha più contatto diretto con il mondo istituzionale e politico-parlamentare.
Accanto a lui, come “Dean”, responsabile diretto dei corsi e dell’organizzazione, c’è il politologo Giovanni Orsina, noto editorialista i cui articoli, [sono divenuti più benevoli con il centrodestra. Chi conosce bene il dossier spiega che Orsina avrebbe strappato quell’incarico all’autorevole politologo francese Marc Lazar il quale alla Luiss è titolare della cattedra in European Relations finanziata da Bnl-Bnp Paribas, la banca di cui è presidente Luigi Abete che alla Luiss ha un ruolo centrale sia come membro del Cda sia come presidente della School of business.
Quest’ultima è diventata da poco una Spa controllata al 100% dalla Luiss. La gestione è stata affidata proprio ad Abete, ma l’ingresso di un azionista esterno è stato oggetto di uno scontro interno che ha visto già un ruolo di Bonomi. Il fondo Nextalia, nato su iniziativa di Intesa Sanpaolo e UnipolSai, e la stessa Confindustria, era infatti pronto a rilevare alcuni rami della Scuola, ma proprio Bonomi ha chiesto un approfondimento di indagine e lo scorso luglio l’operazione si è arenata.
Il caso della School of business aveva fatto scaturire anche le dimissioni dell’ex ministra Paola Severino, contraria alla cessione della scuola e che attualmente si limita a ricoprire, dopo una vita passata alla Guido Carli, il ruolo di presidente della School of Law
A chi ci ha parlato recentemente, Bonomi assicura che il prossimo presidente della Luiss sarà un nome “autorevolissimo” e qualcuno pensa che possa essere proprio Severino. Nel comitato direttivo della Scuola presieduta da quest’ultima si trova anche Giuliano Amato che è presidente dell’Advisory Board.
Postazione privilegiata per un altro ex ministro, Domenico Siniscalco, che dirige la School of European Political Economy (dove nel Consiglio scientifico troviamo l’immancabile Sabino Cassese, l’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti, l’ex ministro Pier Carlo Padoan e molti altri tra cui Marcello Messori, che fino all’arrivo di Siniscalco era stato il fondatore e direttore della Scuola. La Luiss è insomma una crocevia delicata, un’interfaccia cruciale di relazioni istituzionali importanti e quindi preda ambiziosa.
(da Fatto quotidiano)
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Ottobre 3rd, 2023 Riccardo Fucile
“PARLERO’ CON TUTTI, TRANNE VOX”
Dopo il risultato delle elezioni amministrative, a fine maggio scorso, Pedro Sánchez aveva sciolto le Camere: troppo deludente il risultato per i socialisti. Ha scommesso sulle elezioni anticipate per riaffermare la sua leadership e, alla fine, re Felipe VI di Spagna gli ha conferito l’incarico di provare a formare un nuovo governo.
Qualche giorno fa, dopo un giro di consultazioni, Alberto Núñez Feijóo aveva visto negarsi la fiducia del Congresso per una seconda volta: 172 voti al primo scrutinio, poi 173, mentre la soglia minima era pari a 176. Questa mattina, 3 ottobre, dopo un altro confronto con il re, il numero uno dei popolari ha dichiarato: «Tra un governo di bugie e le elezioni ovviamente preferisco il voto. Ma non decido io. L’attore principale di questo film è Carles Puigdemont, Sanchez è solo una spalla. Al momento però trovo umiliante che si presenti un candidato senza avere una maggioranza. Praticamente è la prova che la Spagna non ha un governo». Adesso Sánchez ha tempo fino al 27 novembre per provare a ottenere la fiducia. Intanto, l’ex capo del governo ha annunciato che inizierà a breve i colloqui con le altre forze politiche per tentare di coagulare una maggioranza.
«Sono onorato e molto consapevole dell’enorme responsabilità che ho davanti all’intera società spagnola», ha affermato il socialista. Sanchez ha esplicitato l’auspicio di riuscire a dar vita a un «governo progressista possa durare quattro anni». Poi, ha rivolto un appello ai catalani: «Chi difende l’unità del Paese è contro il conflitto politico, è per la convivenza. Bisogna riavvicinare i catalani dal resto della Spagna. Questa è l’ora dell’impegno, della generosità e della politica per creare un governo stabile: lancio un appello a tutte le forze politiche».
Per il popolare Feijóo, invece, queste trattative con gli indipendentisti porteranno «a un’insicurezza per la Spagna», con settimane di «negoziati oscuri, teatralità e molte bugie». Sanchez, tuttavia, ha già chiarito alla stampa che sul tema dell’amnistia farà «tutto nel rispetto della Costituzione, con trattative trasparenti». E ha concluso: «Nei prossimi giorni, con la naturale parentesi dell’importante vertice europeo di Granada, mi riunirò con le diverse forze parlamentari, ad eccezione dell’ultradestra di Vox, come è logico».
(da agenzie)
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Ottobre 3rd, 2023 Riccardo Fucile
QUANDO AFFOGANO PERCHE’ LE LEGGI NON SONO FATTE PER LORO
1.143 bambini sono morti in mare dal 2014 a oggi, cioè in meno di 10 anni. Complessivamente oltre 28.000 persone annegate nella frontiera meno battuta da chi fugge, però la più pericolosa. Come si dice in questi casi? “Hanno perso la vita”. Di solito si perdono le chiavi, un portafoglio, qualche volta la pazienza. Non è una cosa normale “perdere la vita”, perché poi non la ritrovi e non puoi farne una copia identica dal ferramenta, come per le chiavi.
Si dice “hanno perso la vita” come se fossero stati sbadati, disavveduti o bimbi malaccorti. “Mio figlio è sempre con la testa fra le nuvole, oggi addirittura ha perso la vita, gli ho detto di stare più attento domani”, non è una frase che possiamo ascoltare.
Quei minorenni e quelle minorenni non avevano ancora perso la speranza, quando sono partiti. Neanche i loro genitori. Partono infatti sempre coloro che hanno la forza, la capacità di progettazione del futuro e di un viaggio lungo anni, partono coloro che la speranza ce l’hanno non soltanto in tasca, ma cucita addosso. Sono essi stessi speranza, per loro e spesso per una parte della famiglia, o del villaggio. Partono convinti, quantomeno di non avere alternative
Non hanno semplicemente “perso la vita”, come se l’avessero scommessa da giocatori compulsivi, o sciocchi. L’hanno impiegata onorandola nel modo più sacro possibile: provando a viverla pienamente, non da sopravvissuti. E se “gli è andata male” è perché qualcuno ha fatto loro lo sgambetto, più volte.
La verità è che a quei 1.143 bambini e bambine la vita è stata sottratta, non si sono distratti, non è colpa loro, è colpa nostra.
E’ colpa di quando pensiamo “meglio a loro che a noi”, o anche semplicemente “noi non possiamo farci niente”; è colpa di quando il legislatore sceglie di stare all’angolo cullandosi nell’idea che “è sempre andata così, non cambierà niente”, la frase più pericolosa del mondo.
Eppure non è destino, fatalità, ventura; non sono neanche i trafficanti di esseri umani, eppure rappresentano una specie di essere umano immonda. Ma loro proliferano perché si incuneano in leggi sbagliate, trovano linfa in altre ingiustizie precedenti, consuetudini errate, paure banali a cui si è concesso il potere di scrivere gli ordinamenti degli Stati. Siamo stati noi, popolo, a eleggere chi vota questi ordinamenti; gli accordi con la Libia, e recentemente con la Tunisia, non sono stati sottratti a sorte dal grande libro delle possibilità.
1.143 è una cifra al ribasso perché i conteggi si fanno sulle storie che si conoscono, le altre finiscono per non contare niente, neanche da morte, nemmeno sul pallottoliere. Sono scomparse, nel vero senso della parola. Anche se uno scomparso aspetti che possa tornare e invece per un bambino in fondo al mare è più difficile, perché ci sono i pesci con cui giocare, le alghe in cui nascondersi, le aragoste da salutare quando passano sul fondo, regali e lente
Cosa credete, che i bambini smettano di giocare perché li avete uccisi? Allora voi non conoscete i bambini! I bambini trovano sempre il modo per divertirsi. Lanciano bambolotti in aria e li riprendono durante la fila all’entrata di un campo profughi, sanno intrattenersi al gioco della “ciabatta più rotta” quando si ritrovano la mattina a scuola senza calzature; i bambini e le bambine sanno far correre i sassi, parlare i pesci, sono in grado anche di far volare uno stecco di legno accanto a un altro stecco di legno, formare così un’aviazione civile e sorpassare le frontiere del mondo. Possono fare tutto i bambini, anche affogare in mare quando le leggi non sono fatte per gli Uomini ma per gli interessi economici.
I bambini scomparsi in mare non tornano, questa è una regola da sapere. Preferiscono rimanere a giocare fra le poseidonie, rincorrendo i saraghi.
Nel mare dove giocano i bambini affogati dalle leggi degli adulti il ghiozzo è un pesce intelligentissimo, la tellina sa compiere i salti rovesciati carpiati doppi con avvitamento mentre recita Verne, e tutti conoscono la molva occhiona e quando passa commentano “quanto è bella”.
I bambini sono i pezzi più importanti del globo, possono fare tutto ma non riescono a scegliere di non morire, è l’unica cosa che non riescono a fare. Altrimenti non sarebbero 1.143 i bambini e le bambine affogate nel mar Mediterraneo dal 2014 a oggi, cercando una vita nuova.
(da Fanpage)
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Ottobre 3rd, 2023 Riccardo Fucile
I TEMPI DI ACCERTAMENTO SI ALLUNGANO. I CITTADINI SPENDONO DI TASCA PROPRIA E I MEDICI SCAPPANO
Più di un italiano su tre quando deve fare una visita oppure un esame diagnostico si rivolge al sistema privato. Quindi paga di tasca propria la prestazione. La grande crisi del sistema sanitario pubblico, sulla cui importanza ha insistito il presidente Mattarella, sta tutta qui, nello scivolamento verso il mondo del privato, che un tempo era residuale e ora è centrale per l’assistenza. Il dato è di Agenas, l’Agenzia sanitaria delle Regioni, che ha calcolato come il 35% di coloro che hanno bisogno di farsi vedere da uno specialista o di fare accertamenti non passano attraverso strutture pubbliche o convenzionate (quindi sempre gratuitamente o al costo del ticket), ma vanno fuori, si rivolgono all’ampia offerta di centri privati, oppure all’intramoenia, cioè alla libera professione dei dipendenti del servizio sanitario nazionale.
La piaga insoluta delle liste d’attesa
Cosa spinge i cittadini a rivolgersi al privato? La risposta tira in ballo uno degli enormi problemi della sanità italiana di questi anni: le liste di attesa. La legge dice che le prescrizioni possono avere diverse classi di priorità: U (urgente), che indica una prestazione da fare prima possibile e comunque entro 72 ore; la B (breve), che dà un limite massimo di 10 giorni; la D (differibile) che prevede 30 giorni massimi per le visite e 60 per gli esami; e la P (programmata), per prestazioni da fare entro 120 giorni. La crisi riguarda la classe D, che è la più diffusa. In tutte le Regioni, anche al Centronord, può capitare di sentirsi dire che per la gastroscopia bisogna aspettare un anno e che per la risonanza non si riesce a fissare un appuntamento perché le agende sono piene. Così il privato diventa una necessità per chi vuole risposte in tempi accettabili.
L’offerta in discesa e troppi esami inutili
Le liste di attesa nascono da due fattori. Il primo è l’offerta pubblica più bassa rispetto alla domanda, il secondo l’inappropriatezza e cioè la richiesta di prestazioni che non servono. Sull’ultimo punto, da tempo si promettono riforme per evitare prescrizioni di visite ed esami inutili. Riguardo all’offerta, è lampante, sempre osservando i dati Agenas, la sua inadeguatezza. Il pubblico non riesce a lavorare agli stessi ritmi degli anni prima del Covid. Nel 2019 si facevano 228 milioni di visite ed esami (scesi poi a 163 e 194 milioni nel 2020 e 2021). L’anno scorso ci si è fermati a 205 milioni, cioè l’11% in meno. Ma bisogna considerare che la domanda nel frattempo è aumentata, anche perché devono essere recuperate prestazioni non fatte durante la pandemia. Ma se il fondo sanitario non viene rimpinguato non è possibile aumentare l’offerta.
Lavoratori in fuga verso paghe più alte
La fuga verso il sistema privato non riguarda solo i cittadini. Uno dei grandi temi legati al sottofinanziamento del sistema sanitario ha a che fare con i lavoratori. Ci vorrebbero stipendi più alti per medici e infermieri, lo ha detto anche il ministro alla Salute, Orazio Schillaci. Finché la paga resta la stessa, circa tremila al mese per un camice bianco ospedaliero, ci saranno trasferimenti nel privato. Secondo i sindacati ogni anno duemila medici lasciano il Sistema sanitario nazionale per andare in strutture private, dove magari guadagnano il doppio, oppure a fare i liberi professionisti. In questo caso, capita che rientrano negli ospedali per fare i turnisti al pronto soccorso, oppure aprono un loro studio. A quel punto è impossibile stimare quanto guadagnino, comunque molto di più di un assunto in ospedale.
La spesa privata cresciuta di sette miliardi
Si chiama spesa sanitaria “out of pocket” ed è quella che le famiglie sostengono appunto di tasca propria. Il valore di questo esborso privato è cresciuto negli anni, di pari passo con il venir meno della risposta del servizio pubblico. I cittadini si sono in parte sostituiti allo Stato. Secondo l’Istat, la spesa diretta delle famiglie nel 2012 era di 34,4 miliardi di euro. E nel 2022 è arrivata a quota 41,5 miliardi. La crescita, quindi, è stata in 11 anni di oltre il 20%, pari a 7 miliardi di euro in più. Oltre 20 miliardi vengono spesi per visite specialistiche, servizi dentistici, servizi di diagnostica e per servizi paramedici (cioè infermieri, psicologi, fisioterapisti, eccetera). Altri 15 sono serviti a comprare farmaci, apparecchiature medicali e altro. Quasi 6 miliardi sono stati spesi per i ricoveri ospedalieri e in strutture di assistenza a lungo termine.
Sempre più un affare per le assicurazioni
Con la sanità pubblica in crisi, migliorano di anno in anno gli affari delle assicurazioni. Le forme integrative in questi anni hanno avuto una vera esplosione. Intanto, tra i lavoratori ci sono circa 15 milioni di assistiti con il welfare contrattuale o aziendale, che valgono circa 3 miliardi all’anno. Nel 2013 gli assistiti erano meno della metà, cioè 7 milioni. La svolta c’è stata nel 2018 quando i decreti Turco e, poi, Sacconi hanno dato nuovo slancio ai fondi sanitari. Circa 1,5 milioni di persone si sono iscritte a sistemi di mutua simili a quelli di dipendenti e liberi professionisti, anche se non lavorano. Infine, ci sono le compagnie di assicurazione. Le polizze dei singoli (sanitarie o infortuni) riguardano circa 4 milioni di persone. Il giro d’affari supera il miliardo di euro (cifra quasi doppia rispetto a dieci anni prima).
(da La Repubblica)
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Ottobre 3rd, 2023 Riccardo Fucile
I TASSISTI SONO UNA CATEGORIA POTENTE, REFRATTARIA A CONCEDERE QUALCHE LICENZA IN PIÙ. POSSONO BLOCCARE LE CITTÀ E VEICOLARE IDEE, ANCHE POLITICHE. IL GOVERNO DI DESTRA LI PROTEGGE; E I SINDACI DI SINISTRA HANNO PAURA DI METTERSELI CONTRO. CON QUESTA LOGICA, PERÒ, ABBIAMO DISTRUTTO IL SERVIZIO TAXI
Quando un produttore accorto come David Zard doveva lanciare un nuovo musical, invitava alla prova generale soltanto i tassisti: «Portate chi volete, seguirà rinfresco». Il messaggio implicito era: se lo spettacolo vi piace, parlatene bene ai clienti.
I tassisti sono una categoria potente, e non solo perché compatta e refrattaria a qualsiasi innovazione, fosse anche solo concedere qualche licenza in più. Sono rimasti tra i pochi a vivere in mezzo alla gente, a parlare con le persone, a far partire i passaparola. Possono bloccare le città; e possono veicolare idee, anche politiche. Meglio non toccarli.
Con questa logica, però, abbiamo distrutto il servizio taxi. A Roma la situazione è drammatica. Code infinite fuori dalle stazioni, a qualsiasi ora, in qualsiasi giorno, con qualsiasi tempo. Code pure a Fiumicino e Ciampino, con corsa ad accaparrarsi lo straniero ignaro e a lasciare a terra l’italiano. Centralini che non accettano prenotazioni, attese infinite al telefono, app che rispondono sempre: «Siamo spiacenti non abbiamo auto in zona».
A Firenze la situazione non è molto diversa. A Milano e Napoli è appena migliore. Ma la questione non riguarda solo le grandi città: anche a Parma, a Verona, a Padova accade che ci siano code di clienti in attesa del taxi, anziché — come in tutto il mondo — code di taxi in attesa di clienti.
La causa è evidente: mancano taxi; Uber di fatto in Italia non è mai arrivato, si appoggia agli Ncc (noleggio con conducente) o addirittura agli stessi taxi, quindi il numero di auto pubbliche resta lo stesso. I tentativi di trovare una soluzione d’intesa con i tassisti sono miseramente falliti. Il governo di destra li protegge; e i sindaci di sinistra hanno paura di metterseli contro.
Intendiamoci: i tassisti fanno bene a difendere una categoria di artigiani e padroncini dalla proletarizzazione che ne deriverebbe se diventassero dipendenti di una multinazionale. Ma la difesa degli interessi di parte si può giustificare fino a quando non lede gli interessi pubblici e i diritti degli altri. Se una persona non autosufficiente non trova un taxi per andare in ospedale, per un esame o per visitare una persona cara, non c’è interesse di categoria che tenga: occorre intervenire.
Conosco l’obiezione: il problema dei taxi riguarda un’élite, non a caso a Roma protestano i «Vip»: Pippo Baudo, Nancy Brilli, Enrico Montesano. Nulla di più falso; e non solo perché Baudo, Brilli, Montesano sono artisti amati dal pubblico che generosamente espongono la loro immagine per porre un problema che riguarda tutti.
La domanda di taxi non è fissa. Se i taxi si trovassero più facilmente, anche quando piove o c’è lo sciopero dei mezzi o c’è la partita, più persone li prenderebbero. Invece si è tentato — invano — di risolvere il problema aumentando, anziché il numero delle vetture, il prezzo delle corse; che sono ormai più care che a New York
In tutte le grandi città del mondo, la presenza dei taxi è misura della forza della classe media, di quel ceto che un tempo si sarebbe chiamato borghesia. La città delle auto pubbliche per eccellenza è Londra; a Madrid e a Barcellona il servizio è efficiente ed economico; anche a Parigi la situazione è molto migliore che in Italia. A Mosca i taxi sono pochi, perché la classe media è debole: i ricchi viaggiano in Suv con autista e scorta; gli altri in metropolitana, che se non altro a Mosca — a differenza che a Roma — funziona.
La scomparsa dei taxi è poi l’effetto collaterale di un altro fenomeno. Da qualche anno ormai la primavera e l’autunno rappresentano per l’Italia il picco della stagione turistica. Non siamo abbastanza bravi — tranne eccezioni — a valorizzare d’estate le nostre coste come meriterebbero. Ma a maggio e a ottobre, con il Medio Oriente e il Nord Africa non ancora tornati ai flussi del passato, le nostre città sono prese d’assalto. E non sono più nostre.
Hotel che fino a qualche anno fa il ceto medio poteva ancora permettersi hanno ora prezzi proibitivi. C’è un albergo nel centro di Firenze dove su 59 impiegati uno solo è italiano; sono più rappresentate la Mongolia e l’Afghanistan, e tanti ti parlano in inglese non soltanto perché i clienti sono quasi tutti americani, ma perché non sanno l’italiano. Anche nel centro di Milano hanno aperto ristoranti che espongono il menu soltanto in inglese: una cosa che non avviene in nessun Paese del mondo.
Tra i suoi gloriosi primati, Roma ha anche quello di essere l’unica città percorsa sia dalle carrozzelle con i cavalli come a Marrakech sia dai pullman turistici a due piani come a Los Angeles, oltre a tandem, golf-car, monopattini e ogni sorta di veicolo rigorosamente lanciato contromano quando non sui marciapiedi. Da Venezia in giù i nostri centri storici stanno diventando luna park. E nei luna park non esistono taxi.
Aldo Cazzullo
(da il “Corriere della Sera”)
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Ottobre 3rd, 2023 Riccardo Fucile
“QUESTO MODO ASTIOSO DI GESTIRE LE CRITICITÀ, COME SE CI FOSSE SEMPRE UN TORTO SUBITO ANZICHÉ UN ERRORE COMMESSO, MI RICORDA QUELLO CHE ADOTTA SPESSO QUALCUN ALTRO: GIORGIA MELONI”
Selvaggia Lucarelli non molla la presa su Andrea Giambruno, giornalista Mediaset e come noto compagno della premier Giorgia Meloni. Durante Diario del giorno, lo spazio del Tg4 che conduce, aveva definito i flussi dei migranti una “transumanza”, espressione seguita da numerose proteste, tanto rumorose quanto strumentali.
Parole e immagini passate ai raggi x da Lucarelli: «Di questo video di “scuse” di Andrea Giambruno per aver definito le migrazioni “transumanze”, mi colpiscono alcune cose: la prima è l’utilizzo del plurale maiestatis in apertura (“ci prendiamo 30 secondi”), come a voler spartire le colpe con altri. La seconda è il modo in cui definisce i destinatari delle scuse, ovvero “il pubblico da casa”, “l’azienda che mi ospita” e poi quelli che sarebbero i VERI DESTINATARI delle scuse definiti con vaghezza “QUESTE PERSONE”. Ed è interessante perché passa dall’associarli agli animali a togliergli un’identità sociale, non sono neppure “migranti”, sono “queste persone”. Tipo “lui, coso”».
Poi c’è tutto l’aspetto non verbale della comunicazione: «La parlata robotica, con pause continue e innaturali, aggrava la sensazione di disumanità. Infine, la mia parte preferita, quella passivo-aggressiva finale, con i finti ringraziamenti ai giornalisti che l’hanno criticato e quel rancore malcelato che esplode nel volume di quel “MOLTO” pronunciato rompendo il muro del suono.
Questo modo astioso di gestire le criticità, come se ci fosse sempre un torto subito anziché un errore commesso, come se sospeso nell’aria, nel mondo invisibile ma percepibile del non detto, ci fosse sempre un “ve la faró pagare” mi ricorda quello che adotta spesso qualcun altro: Giorgia Meloni». Insomma, Lucarelli nel video di poco più di un minuto – di scuse e di ammissione di un errore, tra l’altro… – vede “disumanità” e atteggiamento “passivo-aggressivo”, e tira in ballo la compagna.
(da iltempo.it)
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