Ottobre 12th, 2023 Riccardo Fucile
GIORGIA MELONI, CHE SI E’ SCHIERATA A FIANCO DI ISRAELE, VUOLE SISTEMARLO IL PROSSIMO ANNO ALLA GUIDA DELLA BIENNALE DI VENEZIA
La tragedia del Medio Oriente, ennesimo atto di uno scontro di civiltà traboccante di morte e distruzione, è talmente orribile che quel che resta del nostro mondo letterario, da Edith Bruck a Dacia Maraini, ha aperto il computer ed espresso il suo pensiero sui quotidiani e talk. L’unico “pensatore” (così ama definirsi) che manca all’appello è anche il più singolare: il musulmano Pietrangelo Buttafuoco.
Nel 2015 suscitò scalpore la sua scelta di sostituire il Vangelo con il Corano, convertendosi all’Islam. Da Bompiani pubblicò un pamphlet, ‘’Il feroce saracino’’, in cui annunciava che, in onore all’emiro di Sicilia, si era ribattezzato con il nome di Giafar al-Siqilli.
Oggi su “Libero” Giafar-Buttafuoco si spara un pezzo a difesa e in gloria di Elon Musk. Ma su Hamas, Israele, Gaza, mondo arabo: nisba. A chi gli chiede un’intervista al riguardo: glissa. Eppure, c’era una volta che non aveva problemi a teorizzare cose indicibili, del tipo: “Il futuro dell’Europa sarà quello di un Islam addolcito nelle acque del Mediterraneo”
Camuffato da novello Kissinger delle Madonie (Luciano Violante non se l’è fatto scappare e l’ha arruolato nella doviziosa fondazione Leonardo), Giafar al-Siqilli concionava speculazioni intellettuali che avrebbero fatto rimbalzare nella tomba Pirandello e Sciascia messi insieme: “La Sicilia è il perfetto contravveleno nella guerra al fanatismo e al terrorismo. Sia esso islamofobo, sia islamico-fondamentalista”.
E vai Giafar, che sei solo: ‘’L’Islam fa paura perché è la religione che ravviva la Tradizione. Fa paura perché porta in Occidente i valori del Sacro’’. Poi, ditino alzato, fronte aggrottata, Buttafuoco ammoniva il “suo” centrodestra: “E’ un errore scagliarsi contro le moschee, serve lungimiranza. I principi, i valori, quel Dio Patria Famiglia è molto più facile trovarlo nella comunità islamica ché in certi laicismi esacerbati”.
E perfino Giorgia Meloni, che lo ha eletto novello Vate dannunziano di Fratelli d’Italia, e vuole sistemarlo il prossimo anno alla guida della Biennale di Venezia, quando quel birichino di Salvini, per farle dispetto, candidò Giafar a Governatore della Sicilia, si inalberò. E su Facebook scrisse: “Ma ci rendiamo conto del messaggio culturale, prima ancora che politico, che daremmo al mondo? Io sono per la libertà di culto, non ho nulla contro i musulmani e l’Islam… ma santo Dio”.
“Sarebbe un cedimento culturale ai quei fanatici che vorrebbero sottomettere noi infedeli. Mi fa specie che la Lega cada in questa contraddizione con tutte le implicazioni che ci sono nella comune battaglia contro l’immigrazione e il proliferare di minareti in Italia”, tuonò la Meloni.
Imperterrito, con Allah al suo fianco, Buttafuoco allargò il suo campo geopolitico: “Sono stato recentemente in Russia e ne sono tornato favorevolmente colpito della integrità spirituale di quel popolo, votato interamente alla religione della Tradizione e incardinato nel Sacro al punto tale di fare altrettanta paura quanto ne fa l’Islam. Ed è significativo scoprire, con l’islamofobia, quale sia la seconda gamba della sovversione: la russofobia. Chi vuole il mondo ridotto a una sola dimensione odia tutti i colori del cielo. Tutti i raggi delle religioni della Tradizione che fanno a gara per arrivare alla stessa luce, l’unico Dio di tutti”.
(da Dagoreport)
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Ottobre 12th, 2023 Riccardo Fucile
SOLO IL 55% DELLE MAMME TRA I 20 E I 49 ANNI SVOLGE LA PROPRIA PROFESSIONE DOPO IL PARTO… IN 22 PAESI UE SU 27, IL TASSO DI OCCUPAZIONE DELLE DONNE CON TRE FIGLI È PIÙ ALTO RISPETTO ALL’ITALIA – SENZA I SERVIZI DI SOSTEGNO AI GENITORI È QUASI IMPOSSIBILE FAR CRESCERE UN RAGAZZINO SENZA SACRIFICARE LA CARRIERA
«Quando sei diventata mamma avresti voluto continuare a lavorare? La maggioranza delle donne alle quali lo chiediamo dice sì. Questo spiega perché la maggior parte dei part time sono femminili e soprattutto sono involontari».
L’economista femminista Azzurra Rinaldi, docente universitaria e direttrice della School of Gender Economics all’Università di Roma Unitelma Sapienza, scrittrice e cofounder di Equonomics, è convinta che il tema dei servizi per l’infanzia e l’occupazione femminile riguardi l’economia nazionale, il Pil e le pensioni future.
«L’Italia è uno dei Paesi dove lavorano meno donne con figli. Manca la consapevolezza del riflesso macroeconomico ma – dice Rinaldi – sappiamo che ogni euro investito in servizi per l’infanzia torna indietro 13 volte. Se servizi per l’infanzia e lavoro femminile fossero considerati in un’equazione economica non avremmo perso per strada un sacco di soldi e di Pil».
Ma i dati più recenti, come quelli di Openpolis 2022, ci raccontano che «l’Italia è uno dei Paesi dove lavorano meno donne con figli». Le donne italiane tra 20 e 49 anni con un figlio occupate nel 2021 sono il 55,5%. In 22 Paesi Ue su 27 il tasso di occupazione di quelle con 3 figli è più alto. In Slovenia, Portogallo, Danimarca e Svezia la quota con 3 figli è attorno all’80%. Così nella maggior parte dei Paesi dell’Unione le donne con tre figli lavorano più di quelle italiane con un unico figlio.
E fa niente se sei una madre che avrebbe voluto continuare a lavorare. «In Italia – spiega Rinaldi – quando una donna diventa mamma crolla il patto economico. Non sono opinioni, ma dati. Almalaurea anche quest’anno certifica che le donne si laureano prima, con i voti più alti. Difficilmente vanno fuori corso negli studi universitari. Questo significa che a livello di investimento collettivo il Paese punta sulla nostra formazione».
«Serve una radicale inversione di tendenza. Servono buone politiche e prassi ma soprattutto dobbiamo avere il coraggio di dire no all’estrema parcellizzazione degli interventi», sottolinea Antonella Parigi, presidente dell’associazione Torino Città per le donne che organizza il festival Women & the City, al via oggi a Torino per 4 giorni con 150 ospiti e 50 eventi.
In Italia il congedo non viene preso dal 57% degli uomini. Il modello spagnolo nel nostro sistema patriarcale modificherebbe lo stereotipo culturale e avrebbe un impatto immediato sull’equità e l’efficienza del mercato del lavoro». «Il vero lavoro da fare è sugli uomini – conclude l’economista -. I padri dove stanno? Io vorrei poter sentire le loro voci: vorrei vedere una piazza piena di uomini che chiedono il congedo di paternità di 5 mesi. Vorrei sentirli gridare che vogliono stare con i loro figli, prendersene cura al pari di mamme e compagne».
(da La Stampa)
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Ottobre 12th, 2023 Riccardo Fucile
CI SONO PERSONE CHE SONO FERME IN BARELLA DA OLTRE 40 GIORNI, SENZA SAPERE DOVE ANDARE E A CHI RIVOLGERSI … IL PERSONALE SANITARIO: “VIVONO IN CONDIZIONI DEGRADANTI. NON SI PUÒ ACCETTARE CHE CHI NON HA MEZZI O FAMILIARI CHE LO SOSTENGONO FINISCA COSÌ”
Da 43 giorni un 77enne è su una barella del pronto soccorso del policlinico di Tor Vergata. E non è il solo. Un uomo di 81 anni è lì da 25 giorni, una 51enne da 22 e un 90enne da 16. Ieri c’erano inoltre altri 8 pazienti in attesa di un posto letto anche da otto giorni. Il presidente Francesco Rocca, appena insediatosi a marzo alla guida della Regione Lazio, sostenuto da un’ampia maggioranza di centrodestra, aveva assicurato che avrebbe cancellato subito quelle lunghissime e degradanti attese nei pronto soccorso da parte di pazienti che hanno bisogno di ricovero.
Di recente ha annunciato che quel fenomeno, definito boarding, nel Lazio si è ridotto del 25%. Il caso di Tor Vergata sembra dimostrare il contrario, con anziani impossibilitati in quelle condizioni anche a fare una doccia e a poter togliere i panni dal borsone per sistemarli in un armadietto.
E’ anche un problema sociale, con persone in difficoltà, che vengono accompagnate dal 118 in un pronto soccorso e restano lì, non sapendo dove andare e non venendo sostenute dai servizi sociali. «Chi resta giorni e giorni al pronto soccorso è esposto al rischio di infezioni, occupa una barella e costa tanto al servizio sanitario. Soprattutto vive in condizioni degradanti e non si può accettare che chi non ha familiari che lo sostengono e mezzi particolari finisca così», sostengono, chiedendo l’anonimato, alcuni sanitari dello stesso ospedale.
«Qui lavoriamo in un quadrante povero, arriva di tutto, ma l’organizzazione non funziona», aggiungono. Una situazione destinata a peggiorare con l’arrivo della stagione fredda. «A Roma oggi ci sono 600-700 persone in attesa di un posto letto — afferma un infermiere — e come sempre diventeranno 900 con l’arrivo dell’influenza. Non si combatte il boarding acquistando più barelle o smistando i pazienti […]».
Dalla Regione Lazio si giustificano sostenendo che il caso non è sanitario ma sociale. «Quelle persone non hanno bisogno di un ricovero, ma di un altro tipo di aiuto. I servizi sociali rispondono che non hanno un posto dove ospitarle e restano in ospedale perché altrimenti finirebbero in mezzo alla strada», specificano fonti vicine a Rocca, che ha mantenuto per sé anche la delega alla sanità.
Soggetti fragili che lo Stato riesce ad aiutare a fatica. «Proprio oggi abbiamo soccorso un senzatetto che da giorni viveva in piazza Mazzini, un medico tedesco con un’infezione gravissima a una gamba. Lo dico perché una delle grandi problematiche di Roma è che spesso come pronto soccorso entriamo in situazioni incredibilmente incresciose e complesse. Quando sbagliamo sono il primo a riconoscerlo, ma stiamo parlando di situazioni difficili, a cui non ci sottraiamo, ma che richiedono tempo», afferma il direttore generale del policlinico Tor Vergata, Giuseppe Quintavalle.
«Il pronto soccorso — aggiunge — è uno dei pochi, forse l’unico baluardo che fa di tutto. Occorre un raccordo tra i vari servizi per un’azione comune», aggiunge. Quella necessaria a evitare di alloggiare un mese e mezzo in una struttura d’emergenza dove un’attesa di 24 ore è già considerata eccessiva.
(da La Repubblica)
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Ottobre 12th, 2023 Riccardo Fucile
ORA INDAGA LA CORTE EUROPEI DEI DIRITTI DELL’UOMO… COME MAI NORDIO NON MANDA UN ISPETTORE? PERCHE’ SALVINI E MELONI NON SI INDIGNANO?
Ma non è l’unico caso. Diverse fonti che frequentano l’ufficio immigrazione di Roma raccontano che nelle ultime settimane anche altri ragazzi hanno subìto lo stesso trattamento, ma per meno giorni. Ora su questa vicenda la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha chiesto ieri chiarimenti al governo italiano
C’è un minore straniero non accompagnato che ha vissuto per dieci giorni all’interno di una cella di sicurezza di due diverse questure di Roma. Perché per lui non si trovava un posto nella capitale in una comunità di accoglienza per minorenni.
Ora su questa vicenda la Cedu, cioè la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, ha scritto al governo chiedendo chiarimenti. In particolare, i giudici europei hanno chiesto quale siano state le condizioni di detenzione a cui è stato sottoposto il minore nei giorni scorsi, e quali misure sono state adottate «in merito alla collocazione del ricorrente nei locali del commissariato Casilino Nuovo e del commissariato di via Teofilo Patini».
Il minorenne vive al sicuro in una casa famiglia dal 6 ottobre, dal giorno in cui è stata avviata contro il governo di Roma la procedura davanti alla Cedu, che ieri ha chiesto ha scritto all’Italia, chiedendo chiarimenti. Ma andiamo con ordine.
Questa è una storia di violazioni che coinvolge vari livelli di responsabilità istituzionali. A cominciare dal fatto che quando il ragazzo è sbarcato a Lampedusa, alla fine di settembre, è stato identificato dalla polizia come maggiorenne, nonostante fosse in possesso di un certificato di nascita attestante la minore età. E, da qui, è stato trasferito in un centro di accoglienza straordinario per adulti nella capitale.
Quando però dopo qualche giorno si è recato nel commissariato Casilino Nuovo per dichiarare le proprie generalità e segnalare la propria presenza sul territorio nazionale, i poliziotti hanno scoperto che aveva soltanto 14 anni.
ODISSEA
Da allora il ragazzo ha vissuto una vera e propria odissea nelle celle di sicurezza di due questure romane. Perché gli agenti del commissariato, fin da subito, avevano contattano la sala operativa sociale del comune di Roma e la procura presso il Tribunale per i minorenni per l’individuazione di una struttura presso cui collocare il minore.
«Ma non è stato possibile in tale data individuare un centro di accoglienza per minori o una casa famiglia presso cui collocare il ragazzo e pertanto, dietro indicazioni del pubblico ministero, è stato disposto che il minore rimanesse in custodia del commissariato», si legge nel ricorso d’urgenza alla Cedu dell’avvocata Vittoria Garosci.
Il 6 ottobre scorso, data del ricorso, la legale ha scritto nell’atto che «sebbene siano trascorsi oltre 7 giorni dalla presentazione presso gli uffici di polizia, il minore si trova ancora in custodia della polizia, in attesa di collocamento, e sta vivendo in condizioni disumane e degradanti, oltre che gravemente lesive dei suoi diritti in quanto minore».
E ancora, Garosci ha riferito a Domani che il minore è rimasto all’interno del commissariato Casilino Nuovo per cinque giorni, dal 28 settembre al 3 ottobre, poi è stato trasferito all’interno di un’altra struttura della polizia, in via Teofilo Patini, dove ha sede l’ufficio immigrazione. Vivendo così dieci giorni tra due celle, trattenuto all’interno di una stanza sotto stretta sorveglianza degli agenti, con la possibilità di uscire solo per andare in bagno. Il minore in questione ha consumato i suoi pasti a terra, con il cibo che veniva poggiato sulle gambe, senza alcuna attenzione alle esigenze alimentari, alcune delle quali dettate, tra l’altro, da convinzioni religiose.
Ecco, dunque, come ha trascorso le sue giornate un minore straniero non accompagnato che non aveva commesso alcun reato e che è stato rinchiuso per dieci giorni all’interno della camera di sicurezza di una caserma della polizia; per quattro giorni, dal 28 settembre al 2 ottobre, gli è stato sequestrato dagli agenti pure il cellulare, in mancanza di alcun provvedimento formale. Non solo. Mentre è stato detenuto, il ragazzo non ha potuto incontrare un assistente sociale né un avvocato, né risulta che per tutelare la sua condizione sia stato nominato un tutore dal tribunale dei minorenni.
TUTTI INFORMATI
Eppure, sia il Garante nazionale diritti all’infanzia e adolescenza, sia quello regionale, insieme alla procura per il tribunale dei minorenni di Roma, risultavano essere stati allertati attraverso Pec il 2 ottobre scorso, insieme alla sala operativa sociale del Comune, appunto. E qui il quadro delle responsabilità istituzionali nella vicenda si complica ulteriormente.
Nel frattempo in questi ultimi dieci giorni i minori stranieri non accompagnati “ospiti” nelle cellette dell’ufficio immigrazione di Roma sono stati diversi, una decina. Parcheggiati lì in attesa di un posto in accoglienza. «I tempi di attesa sono di circa una settimana/10 giorni, nel corso dei quali i minori non potranno fare ritorno al Cas, e saranno in custodia al commissariato stesso», racconta a Domani una fonte ben informata di quanto accade negli uffici di Via Patini.
È in questo limbo del diritto che minorenni stranieri arrivati senza la famiglia in Italia si ritrovano detenuti, sempre più spesso, senza alcuna convalida giudiziaria. Per questo l’avvocata Garosci ha denunciato alla Cedu l’Italia per aver violato una serie di articoli della Convenzione per i diritti dell’uomo.
Nel suo ricorso si chiede «l’immediato collocamento del minore in una struttura adeguata alle sue esigenze, di assistenza, informazione e protezione». E questa volta non saranno i giudici italiani a valutare le azioni del governo sul rispetto dei diritti fondamentali e della dignità delle persone migranti, ma quelli europei.
(da editorialedomani.it)
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Ottobre 12th, 2023 Riccardo Fucile
“DALLA MIA ESPERIENZA NELLA DIGOS E’ EVIDENTE CHE IL VIDEO E’ STATO GIRATO DALLE FORZE DELL’ORDINE”… “COME I CORVI DI SICILIANA MEMORIA, SI E’ VOLUTO COLPIRE UN GIUDICE”
Un grande e oscuro mistero aleggia nelle stanze degli ambulacri del potere romano. Un video, che ricorda “il corvo” di siciliana memoria, viaggia nello spazio e plana in un dispositivo chiamato cellulare.
Non si conosce il mittente e nemmeno l’autore del video, ma si conosce perfettamente il destinatario, ossia il vicepremier, nonché ministro Matteo Salvini. E qui ci sarebbe da disquisire sulla bontà della pubblicazione, che tanto rilievo mediatico ha avuto. Ma poi torno di nuovo a parlarne.
Il ministro Salvini si comporta come un omertoso, tant’è che si rifiuta di rendere pubblico il mittente. E vabbè ci sta, un amico non si tradisce mai. Questo dovrebbe valere per un normale cittadino, ma non per un ministro in carica e per giunta capo di un partito che sta al governo.
Pertanto, appare evidente che tutta la vicenda gira attorno alla giudice Iolanda Apostolico, che ha disapplicato il famoso decreto Cutro. Insomma, la pubblicazione del video ha un preciso target. E, agli occhi della basita Meloni e del ministro Salvini, la Apostolico avrebbe commesso il delitto di lesa maestà.
La coppia Meloni-Salvini ignora che in questo Paese – mi piace chiamarlo sempre così – esiste lo Stato di diritto e che qualsiasi diatriba tra i poteri dello Stato, viene risolta nelle forme e nei loghi deputati. Con le abbanniate (urlate) non si risolve assolutamente nulla, almeno che non si voglia, come afferma qualcuno, buttarla in caciara per creare una distrazione di massa.
Nel frattempo, sulla scena mediatica appare il presunto padre del video, ovvero un carabiniere, che in un secondo tempo smentisce di essere l’autore del video pubblicato da Salvini.
A tal proposito, proprio dalla mia pregressa attività nella Digos e nelle Squadre mobili, presumo che il video sia stato girato da un appartenente alle forze dell’ordine. E qui, appare evidente la trasgressione a un dovere istituzionale: quello che salta negli occhi è che detto video è stato tenuto nel freezer per ben 5 anni. Ed ecco il dolo eventuale.
Il video viene amorosamente conservato, per essere scongelato alla bisogna, col fine ben preciso di colpire la giudice Apostolico.
Oserei dire, nel caso di specie che, si è trattato di una vendetta servita su un piatto freddo. Non avevo dubbi. E se la giudice Apostolico non avesse disapplicato il decreto, ci sarebbe stato l’accanimento terapeutico nei suoi confronti?
Penso che il video sarebbe rimasto nel freezer per chissà quanti anni ancora. Intanto, registro che la giudice Iolanda Apostolico (e altri giudici), ha di nuovo disapplicato il decreto. Io, in ragione della mia esperienza professionale e quindi osservante delle leggi, non biasimo affatto la decisione della giudice Iolanda Apostolico, non ne ho il diritto né la competenza. Invero, ho pienamente diritto di opinare le scelte che i politici compiono. Parimenti, giova che io ricordi che, esiste un organismo chiamato Csm, punto.
Concludo questo assunto, citando un pensiero di un mio corregionale: “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”. Matrimia, quante maschere popolano la vita pubblica italiana. Vorrei evidenziare un’altra citazione di sciasciana memoria, ma evito. Non è difficile immaginarla.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Ottobre 12th, 2023 Riccardo Fucile
E INTANTO GLI SPECIALIZZANDI SCAPPANO
La crisi è nerissima e va avanti ormai da anni. I pronto soccorso italiani sono in affanno e via via che il numero dei medici scende, come un cane che si morde la coda, sempre meno professionisti vogliono lavorare nell’emergenza. E per chi resta è sempre più dura. Ma sono tanti i fattori che hanno fatto peggiorare le condizioni di questi reparti, che spesso si trovano in difficoltà, come racconta la storia di Tor Vergata a Roma.
Orari pesanti e niente attività privata
Chi lavora al pronto soccorso deve sopportare turni pesanti, con molte notti al mese e anche weekend. In altri reparti i turni sono più agevoli. Poi c’è un problema economico. Lo stipendio è considerato troppo basso anche dallo stesso ministro alla Salute, Orazio Schillaci, che ha promesso aumenti. La paga è la stessa degli altri medici pubblici, ma chi lavora al pronto soccorso, come chi esercita altre specialità, non fa praticamente mai attività privata, che permette a tanti professionisti di arrotondare.
Quei 5mila medici in meno
Secondo Simeu, la società scientifica dell’emergenza, mancano oggi circa 5.000 medici nei pronto soccorso. E la situazione non sembra destinata a sbloccarsi a breve. Basta vedere le scuole di specializzazione. Proprio le condizioni di lavoro difficili spingono i giovani medici verso altre attività. E quest’anno il 70% delle borse di studio in medicina di urgenza sono andate deserte. Nel frattempo ci sono moltissimi medici assunti, circa 600 l’anno scorso, che lasciano. Si spostano magari nel privato, provano ad andare all’estero oppure partecipano ai bandi per i medici di famiglia o professionisti di altri reparti ospedalieri.
Il caso turnisti
Le Regioni sono disponibili a fare di tutto per assumere ma ai concorsi si presentano sempre molti meno professionisti di quelli necessari. Qualcuno punta sui turnisti, cioè paga liberi professionisti anche 100 euro l’ora, cioè 1.200 euro per un turno di notte. Si tratta di una pratica che presto dovrà finire, visto che in un decreto di maggio si è previsto che debba concludersi entro un anno. Ma non sono da escludere proroghe, visto che in alcune Regioni il sistema si regge sui turnisti.
Niente spazio nei reparti
Il lavoro è difficile anche perché il pronto soccorso è diventato un punto di riferimento per i cittadini, pure quelli che hanno problemi lievi,che si potrebbero risolvere altrove e cioè sul territorio. L’iper afflusso, anche di casi banali, rende il lavoro più difficile. Ma il presidente di Simeu Fabio De Iaco sottolinea un’altra criticità, che ha a che fare anche con quello che sta succedendo a Tor Vergata in questi giorni. Si tratta del cosiddetto “boarding”.
Nei reparti di degenza spesso non si trova posto per chi ha bisogno del ricovero e quindi la persona interessata rimane parcheggiata anche molto a lungo nei corridoi o nelle stanze del pronto soccorso. E’ questa la causa forse più importante del sovraffollamento, visto che i pazienti con problemi banali rappresentano un problema soprattutto per se stessi, visto che sono spesso costretti a una lunga attesa prima di essere visitati.
(da La Repubblica)
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Ottobre 12th, 2023 Riccardo Fucile
IN UN PAESE DOVE LE PROCURE SOVRANISTE IMPAZZANO E NESSUNO MANDA ISPEZIONI, NORDIO CERCA DI DARE IL CONTENTINO AI DIFFAMATORI DELLA APOSTOLICO
“A seguito di 4 interrogazioni parlamentari, essendo doveroso rispondere, ho dato mandato alle articolazioni competenti del Ministero di acquisire articoli di stampa e pubblicazioni sui social media relativi alla giudice di Catania, Iolanda Apostolico. Non si tratta di un accertamento ispettivo né tanto meno dell’avvio di un’azione disciplinare” Così il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio.
Saranno acquisiti articoli pubblicati sui giornali e tutto quanto è stato condiviso al riguardo sui social, tra cui anche il video postato dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini
La giudice di Catania è finita al centro delle polemiche dopo la sua prima decisione non convalidare il trattenimento di tre immigrati, disapplicando di fatto il decreto Cutro del governo Meloni. Dopo quell’ordinanza del 30 settembre, ne è seguita una simile l’11 ottobre, quando la giudice ha liberato quattro tunisini sbarcati in Sicilia destinati al centro per richiedenti asilo di Pozzallo, come disposto in precedenza dal questore di Ragusa
(da agenzie)
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Ottobre 12th, 2023 Riccardo Fucile
“LA RAI TRASMETTE UN DOCU SU MIO PADRE, LO SCOPRO DALLE AGENZIE. LO PRESENTA CON SOLI ESPONENTI DI CENTRODESTRA, CHE SCHIFO”
TeleMeloni, la nuova Rai voluta dalla destra e che sta riuscendo nell’impresa di realizzare pessimi ascolti, ha ingaggiato anche una spiacevole polemica con Gaia Tortora, giornalista e figlia del celebre conduttore Enzo. La discussione è nata a seguito della messa in onda di un ‘documentario’ sul caso di Tortora, una trasmissione di cui la stessa Gaia Tortora non ha gradito il taglio.
«Ho avuto modo di vedere il documentario. Mio padre era un uomo riservato. Capisco ora perché non sono stata invitata. La Rai si occupi di quelli che ancora oggi non hanno voce. Invece di mettere insieme testimonianze e spacciare per documentario».
«Non ne sapevo nulla. Rai Documentari produce e trasmette un docu su mio padre. Lo scopro da uno spot. Lo presenta con soli esponenti di centrodestra. Lo scopro da agenzie. Questo tipo di strumentalizzazione mi fa schifo».
La giornalista successivamente ha anche replicato al direttore di Rai Doc, Fabrizio Zappi che ieri aveva definito «pretestuoso» il suo atteggiamento sottolineando che la figlia di Enzo Tortora era stata «più volte contattata dalla produzione per la realizzazione del documentario».
«Ora è mio diritto non partecipare ad un progetto che non mi convince e per questo in una delle tante proposte che ricevo ho detto che non ero interessata. Anche perché se non ricordo male era da poco scomparsa mia sorella. Resta che non sono stata invitata alla proiezione» insiste Gaia Tortora che aggiunge: «da parte del direttore di Rai Documentari darmi della pretestuosa non sapendo assolutamente nulla di passato e presente si qualifica da solo…».
Infine, la figlia di Enzo Tortora conclude: «E’ mio padre. Ho il diritto di dire ciò che penso e non ho mai vietato nulla. Questa operazione per me è molto chiara. Andiamo avanti».
(da Globalist)
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Ottobre 12th, 2023 Riccardo Fucile
CHI L’HA ATTACCATO E’ SIMILE AI PADRONI DEI LAGER LIBICI…. NOSTRA OPINIONE: UN INFAME NON CHIEDERA’ MAI SCUSA, E’ NELLA SUA NATURA DI RIFIUTO UMANO
Mimmo Lucano è innocente, già lo sapevamo ma lui fino a ieri ha rischiato di andare in carcere per alcune innnocenze commesse per salvare il mondo. Da oggi no.
Sono cadute tutte le accuse, rimane giusto una sciocchezzuola nel mezzo ed è forse un bene, serve a ricordarci che il potere schierato contro il modello Riace – e contro gli uomini di buona volontà – può comunque arrivare a fare malissimo.
Mimmo Lucano con la sentenza di ieri si è tolto un macigno che in questi anni lo aveva schiacciato, ridotto a un ragazzino bullizzato per essere stato troppo bravo a scuola. Condannato per troppo amore, per non essere riuscito a contenerlo, galeotto per aver espanso quell’amore oltremodo.
Mimmo negli ultimi anni parlava con fatica, addirittura, e forse continuerà a farlo per un bel pezzo, perché le scorie che la violenza della condanna aveva prodotto non riuscirà mai a cacciarle del tutto, nonostante sia stata cancellata la condanna.
La campagna mediatica violentissima che soprattutto esponenti di questo governo avevano prodotto ha lasciato detriti dove prima c’era un modello. E dove oggi c’è un’assoluzione gli infingardi passano oltre invece di cospargersi il capo di cenere, dimettersi, chiedere scusa o addirittura perdono, spogliarsi della propaganda e rivestirsi con parole nuove. Macché, loro hanno già individuato altri nemici, sono già ripartiti, fingono di non aver usato la crudeltà come bobina di un film che invece hanno girato loro dall’inizio.
Coloro che in questi anni hanno attaccato Mimmo Lucano non sono differenti dal padroncino di un lager libico: anche loro hanno trafficato in esseri umani, hanno interrotto senza patimenti storie di rinascita, hanno creato catene e poi le hanno allucchettate fra i conservatorismi della Storia. Giuda, del male combinato, almeno si pentì.
Gli accusatori di Mimmo Lucano invece non si vergognano di lavorare già per le prossime elezioni, mentre con un occhio amministrano male l’odierno.
Mimmo Lucano a Riace aveva costruito una società ideale, aveva progettato un mondo alternativo, e quel mondo funzionava. Per farlo aveva dovuto scardinare le certezze del vecchio sistema, infastidendo così i retrivi, importunando i passatisti. Per questo lo avevano condannato: aveva favorito l’umanità e loro l’avevano chiamata “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.
Mimmo Lucano non si era mai preso un euro, questa era l’unica cosa che perfino l’accusa gli aveva riconosciuto: mai un euro per sé. Gli avevano trovato i conti correnti vuoti come quelli di un insegnante precario, o di un fattorino. Impossibile anche difendersi, Mimmo Lucano ha dovuto chiedere aiuto nonostante la ragione, in tribunale funziona così, ma evidentemente non funziona così bene.
Mimmo Lucano era stato condannato per aver amato senza mettere confini, per aver accolto senza una selezione all’ingresso, perseguitato (sì, perseguitato) per avere deciso di fare tutto questo in un Paese dove invece i voti si prendono agitando il cappio contro i poveracci.
Non si può andare contro il sistema senza rimetterci la salute e la libertà, era questa la lezione che avevano deciso di dare a Mimmo Lucano. Il modello Riace funzionava troppo, poteva essere sposato ed esportato. Poteva sovvertire l’equilibrio su cui si basa lo sfruttamento dell’Uomo sull’Uomo. Era pericoloso.
Al G8 di Genova uccisero un ragazzo, e torturarono una generazione, perché avevamo ragione. In fondo, non sono cambiati. Alcuni dei protagonisti politici sono addirittura gli stessi, o i loro delfini.
Mimmo Lucano esce a testa altissima, l’esperienza di Riace invece è stata stritolata tra una menzogna di Salvini e un pezzo d’odio di Meloni. In più di un senso, loro hanno vinto di nuovo. Ed è così difficile costruire sulle macerie, che non possiamo sapere – oggi – cosa accadrà in futuro. Chi ha sempre odiato, delegittimato, scavato fossati fra esseri umani, continuerà a farlo. E chi ha deciso di praticare l’aiuto, probabilmente, continuerà parimenti a farlo.
Essere umano è colui che di fronte alla richiesta di aiuto di un altro essere umano, decide di rispondere. Lo sapevamo, ora lo ha ripetuto anche una sentenza di secondo grado: svolgere il proprio lavoro senza comprossi comodi, si può fare. Mimmo Lucano è libero.
(da Fanpage)
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