Ottobre 22nd, 2023 Riccardo Fucile
ENTRO IL 2050 C’E’ L’INTENZIONE DI COSTRUIRE 15-20 IMPIANTI, MA I MOTIVI PER ESSERE PERPLESSI SONO TANTI
Il primo cantiere nel 2030 e il primo reattore operativo entro il 2035. E poi via, con una tabella di marcia che prevede dalle 15 alle 20 mini-centrali nucleari sparse in tutta la penisola pronte ad essere in funzione entro il 2050, con la promessa che contribuiranno in maniera decisiva all’obiettivo decarbonizzazione completa dell’Italia. È il piano per il ritorno al nucleare consegnato al governo Meloni da Edison, Ansaldo Nucleare, Enea, Politecnico di Milano e Nomisma Energia. Si tratta di un piano per un nucleare – si legge dalle indiscrezioni rese note dal Sole24Ore – che sappia sfruttare le “opportunità offerte dalle nuove tecnologie”, caratterizzate da “zero emissioni, sicurezza rafforzata e migliori prospettive economiche”. Peccato che, secondo gli esperti con cui si è confrontato HuffPost, i mini-reattori siano dotati in realtà di tecnologie già esistenti, con tutti i rischi legati alla sicurezza e allo stoccaggio delle scorie. Trenta miliardi di euro – è la cifra totale che prevede il documento ora in mano al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin – che, secondo Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club, potrebbe essere investita interamente sullo sviluppo delle energie rinnovabili, l’unica vera strada, a suo parere, per raggiungere l’obiettivo della decarbonizzazione. Per il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, tra i tanti problemi c’è proprio quello dei costi: “Anni fa era diverso, ma oggi le energie rinnovabili sono fonti molto più economiche, cosa stiamo aspettando per capirlo?”.
Una cosa positiva ci sarebbe. L’indotto economico, secondo le previsioni del documento redatto dagli stakeholder incaricati dal governo di lavorarci, sarà pari a 100 miliardi di euro, con oltre mezzo milione di posti di lavoro in arrivo, più quasi duecentomila nei decenni successivi all’entrata in funzione di tutti i 15/20 mini-reattori. È un nucleare che, secondo i suoi sostenitori, sarà sostenibile e a zero emissioni. Nel piano all’esame del Mase si parla di un mix tra due tipi di reattori – gli Srm e gli Amr – entrambi caratterizzati da taglie ridotte che, secondo Edison, offrono diversi vantaggi: il minor impatto ambientale, una maggiore sicurezza e una maggiore compatibilità con la rete elettrica già in funzione nel nostro Paese. “Ma quale nucleare ‘sostenibile’”, è la prima reazione a caldo di Francesco Ferrante, del Kyoto Club, già senatore di spicco della corrente ambientalista del Partito Democratico, tre legislature fa. “I mini-reattori Srm non sono affatto una novità dal punto di vista della tecnologia. Sono progetti che si trovano già in giro per il mondo”. Tra l’altro, sottolinea ad HuffPost Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, è lo stesso Sole24Ore di oggi a far notare, in un altro articolo, che i mini-reattori hanno un costo stimato maggiore di eolico e fotovoltaico: “Per non parlare delle scorie radioattive, della dipendenza dall’estero per la capacità di arricchire l’uranio o anche solo del rischio di concentrare la produzione di energia in poche mani proprio nel momento in cui ci stiamo liberando dai monopoli. Poi – prosegue l’ambientalista – mi devono spiegare come pensano, realisticamente, di realizzare dai 15 ai 20 reattori nucleari su un territorio, quello italiano, dove con grande fatica cerchiamo di far realizzare impianti eolici o fotovoltaici, che vengono contestati in tutto il Paese”.
L’impressione è che il governo abbia chiesto alle società interessate di ragionare a dei mini-reattori proprio con la speranza di renderli meno esteticamente ‘pericolosi’, con un minor impatto ambientale. C’è in effetti un’opinione pubblica di cui tener conto. Anche perché gli italiani hanno già sonoramente bocciato il ritorno al nucleare con due distinti referendum nel 1987 e nel 2011, con percentuali bulgare, rispettivamente intorno al 75 e al 95 per cento. “Sono più piccoli, ma non risolvono alcun problema dal punto di vista né delle scorie né della sicurezza” continua Ferrante. Anzi, “sono decenni che gli esperti che sostengono il nucleare ci dicono che, per l’economia di scala, più grandi sono e più sono convenienti”. Il governo punta sui mini-reattori per abbattere tempi e costi di ogni centrale – un vecchio Tallone d’Achille di qualsiasi proposta di riportare il nucleare in Italia – ma prova a rendere più attrattivo il nuovo nucleare sottolineando, nel documento non ancora ufficiale, come questa nuova tecnologia sia non solo complementare ma anche capace di valorizzare di più le energie rinnovabili. I mini-reattori, secondo quanto si legge sul Sole, avrebbero applicazioni termiche chiave nell’ottica della transizione energetica, consentendo di produrre idrogeno che poi andrà a decarbonizzare i settori economici più difficili da sottoporre alla transizione energetica.
“Sì – prosegue Ferrante – ma per raggiungere l’obiettivo della neutralità carbonica nel 2050 bisogna ricorrere alle fonti rinnovabili che conosciamo. Il nucleare che, secondo le ultime ricerche, sarebbe più ‘pulito’ non esiste ancora a livello tecnologico. A chi mi dice che nucleare e rinnovabili possono formare una coppia perfetta nel nostro mix energetico rispondo come faceva l’economista Paul Summerson di fronte alla necessità di effettuare alla spesa pubblica Usa durante la crisi del 1929: Signori, o burro o cannoni”. Le risorse previste per il Piano governativo, secondo Ferrante, potrebbero tranquillamente essere utilizzate per puntare su un maggiore sviluppo delle rinnovabili, “che tra l’altro costano meno”. E comunque, aggiunge il vicepresidente del Kyoto Club, “la strategia comunicativa del governo è in linea con quella messa in campo dai nuclearisti negli ultimi anni, dopo le batoste subite con i due referendum: “All’epoca sostenevano che il nucleare era l’unica strada possibile perché le rinnovabili erano solo una nicchia inutile. Adesso si sono resi conto dell’utilità delle rinnovabili, con tutti gli investimenti messi in campo dalle grandi potenze, a partire da Cina e Usa, e dunque provano a vendere il nucleare giudicandolo come complementare alle rinnovabili”.
Una critica, per il numero uno di Legambiente, deve riguardare anche le aziende coinvolte in questo Piano dal governo, a partire da Edison, di proprietà del colosso francese Edf. “Lo scorso anno – ricorda Ciafani – Edf è stata nazionalizzata perché stava fallendo”. Proprietaria di tutti gli impianti nucleari francesi, che producono il 70% dell’elettricità del Paese transalpino, Edf stava fallendo “perché ci sono alcuni reattori che devono chiudere e ora stanno cominciando ad affrontare i costi dello spegnimento, smantellamento e messa in sicurezza del sito oltre alla gestione dei rifiuti radioattivi. Lo scorso anno, i fiumi francesi sono stati in sofferenza idrica a causa della siccità che ha colpito anche l’Italia. In seguito a questa carenza idrica, Edf ha dovuto spegnere diverse centrali nucleari. Perché senza l’acqua non puoi raffreddarle e dunque devi spegnerle. Insomma, quando si tratta di nucleare è sempre la solita storia: quando si tratta di produrre energia e fare profitti se ne occupano le aziende. Quando si tratta di chiudere e gestire gli impianti, dunque le perdite economiche, si ricorre allo Stato, cioè ai contribuenti. E questa storia, quella di Edf, è del 2022. Non di chissà quale decennio lontano”.
(da Huffingtonpost)
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Ottobre 22nd, 2023 Riccardo Fucile
IL 29% DEGLI INTERVISTATI PENSA CHE SI SAREBBE DOVUTO EVITARE IL RICORSO AL DEBITO AGGIUNTIVO IN MISURA COSÌ RILEVANTE, IL 27% INVECE GIUDICA EQUA LA SCELTA, MENTRE IL 10% AVREBBE OPTATO PER UN MAGGIOR DEBITO
Lo scorso lunedì è stata varata la manovra finanziaria del governo. Manovra sottoposta a grandi vincoli, determinati dalla situazione economica non positiva, dal costo del debito, dall’incidenza di spese ineludibili come quelle relative al Superbonus, e così via.
Lo stesso ministro dell’Economia Giorgetti aveva più volte avvertito che non si sarebbe potuto fare tutto, e ha definito il risultato prudente ed equilibrato, dettato dalla problematicità della situazione. In sostanza, pur a fronte di un utilizzo non irrilevante del deficit, una manovra che risponde solo a poche delle promesse elettorali.
Come vedremo, questa impressione di «grigiore» pervade l’elettorato nel giudicare la manovra, che è però per ora non molto conosciuta. Infatti solo il 5% se ne dichiara molto informato, il 39% si reputa abbastanza informato, mentre la maggioranza assoluta è poco (39%) o per nulla (17%) informata. Con le punte più elevate di disinformazione tra incerti e astensionisti (73%), mentre i più informati sono gli elettori Pd (61%).
Le scelte sul Fisco dividono gli elettori: 39% approva, 38% disapprova. Con le prevedibili divisioni: tra gli elettori di centrodestra, e in particolare tra chi vota FdI, prevale nettamente l’approvazione, mentre tra gli elettori dei partiti di opposizione prevale la critica [
Solo per il canone Rai emerge una differenza rilevante: la piccola riduzione del costo, da 90 a 70 euro vede una prevalenza dei consensi (46%) rispetto ai dissensi (34%).
L’extragettit
Come detto, la manovra, che assomma a poco meno di 24 miliardi, viene finanziata in parte rilevante con un extragettito ovvero debito aggiuntivo per 16 miliardi. Che giudizio se ne dà da parte degli italiani? Il tema è naturalmente un po’ ostico, tanto che più di un terzo non è in grado di esprimere un parere.
Il 29% pensa che si sarebbe dovuto evitare il ricorso al debito aggiuntivo in misura così rilevante (cosa che convince maggioritariamente solo gli elettori del Pd, con il 60%, mentre lascia molto più freddi gli elettori degli altri partiti di opposizione); una percentuale sostanzialmente analoga (27%) tutto sommato giudica equa la scelta, mentre il 10% avrebbe optato per un maggior debito. Le differenze in questo caso sono contenute, ma è interessante rilevare che il livello più alto di accordo con questa opzione (17%) si registra tra gli elettori M5S e delle altre liste, tra le quali troviamo sinistra e Terzo polo.
(da Il Corriere della Sera)
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Ottobre 22nd, 2023 Riccardo Fucile
“FORTE CONDANNA PER GLI ATTACCHI AEREI ISRAELIANI”
I Patriarchi e Capi delle Chiese di Gerusalemme esprimono la loro «forte condanna» per «gli attacchi aerei israeliani» alla chiesa di San Porfirio a Gaza e sottolineano che non lasceranno la Striscia.
«Nonostante la devastazione causata alle nostre e ad altre istituzioni sociali, religiose e umanitarie, restiamo comunque pienamente impegnati ad adempiere al nostro sacro e morale dovere di offrire assistenza, sostegno e rifugio a quei civili che vengono da noi in un bisogno così disperato. Anche di fronte alle incessanti richieste militari di evacuare le nostre istituzioni di beneficenza e i nostri luoghi di culto, non abbandoneremo questa missione cristiana, perché non c’è letteralmente nessun altro posto sicuro al quale questi innocenti possano rivolgersi».
Patriarchi e Capi delle Chiese di Gerusalemme, che hanno le loro istituzioni nella zona di Gaza e che Israele chiede di sgomberare, confermano che non lasceranno la Striscia. La loro nota, diffusa ieri sera, è supportata da Justin Welby, Arcivescovo di Canterbury, in questi giorni a Gerusalemme per esprimere solidarietà alle Chiese colpite, dall’ospedale anglicano allo stabile della chiesa ortodossa.
Parlando di San Porfirio nella nota si riferisce che «queste esplosioni hanno portato al crollo improvviso e catastrofico di due sale della chiesa attorno alle quali dormivano decine di rifugiati, tra cui donne e bambini. Decine di loro si sono ritrovati immediatamente schiacciati sotto le macerie. Molti sono rimasti feriti, alcuni gravemente. Secondo l’ultimo conteggio, i morti sono diciotto, di cui nove bambini».
«Nel condannare questo attacco contro un sacro luogo di rifugio, non possiamo ignorare che questo non è che l’ultimo caso di civili innocenti feriti o uccisi a seguito di attacchi missilistici contro altri rifugi di ultima istanza. Tra questi ci sono scuole e ospedali da cui i rifugiati erano fuggiti perché le loro case erano state demolite durante l’incessante campagna di bombardamenti condotta contro le aree residenziali di Gaza nelle ultime due settimane», sottolineano i leader cristiani della Terra Santa.
I capi delle Chiese ricordano che Dio chiama ad avere cura dei «più vulnerabili. E dobbiamo farlo non solo in tempo di pace. La Chiesa deve agire come Chiesa soprattutto in tempi di guerra, perché è allora che la sofferenza umana è massima».
Infine i leader religiosi lanciano un appello alla comunità internazionale: «Non possiamo portare a termine questa missione da soli. Chiediamo quindi alla comunità internazionale di applicare immediatamente la protezione a Gaza per i santuari di rifugio, come ospedali, scuole e luoghi di culto. E chiediamo un cessate il fuoco umanitario immediato in modo che cibo, acqua e forniture mediche vitali possano essere consegnati in sicurezza alle agenzie di soccorso che si occupano delle centinaia di migliaia di civili sfollati a Gaza, comprese quelle gestite dalle nostre stesse chiese».
«Infine, invitiamo tutte le parti in conflitto – conclude la nota – a ridurre l’escalation della violenza, a cessare di prendere di mira indiscriminatamente i civili su tutti i fronti e ad operare nel rispetto delle regole internazionali di guerra». Solo così si potrà avviare una azione diplomatica «in modo che una pace giusta e duratura possa finalmente essere raggiunta in tutta la nostra amata Terra Santa, sia nel nostro tempo, sia per le generazioni a venire».
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2023 Riccardo Fucile
I POLIZIOTTI, SOPRATTUTTO DALLA PARTE SLOVENA, SONO UN MIRAGGIO E FANNO CONTROLLI BLANDI… IL RACCONTO DI UN MIGRANTE CHE VIVE NELL’ACCAMPAMENTO NEI “SILOS” DI TRIESTE: “IN SLOVENIA CI HA FERMATI LA POLIZIA. CI HANNO CHIESTO DOVE VOLEVAMO ANDARE. GLI HO DETTO ‘ITALIA’ E MI HANNO MANDATO VIA”
E Dio soltanto sa quanti sono nei boschi tra Italia e Slovenia gli afghani, i pachistani e i bengalesi che provano ad attraversare il confine . Dalla parte slovena c’è soltanto un’auto della Polija, e non ferma nessuno. Di qua si fa quel che si può. Con i furgoni e i gazebo. Le torri faro per illuminare la strada di notte. E gli agenti che danno lo stop alle auto scegliendo a campione.
Schengen è stato sospeso, e questo sabato pomeriggio segna il ritorno al passato, anche se soltanto per dieci giorni. O, se si vuole guardarlo da un altro lato, la sicurezza ha un prezzo da pagare. Ma chi voleva passare è già passato. E altri stanno ancora camminando in quei boschi che il tabaccaio di Basovizza (dove c’è un altro valico) chiama “Gli outlet della disperazione”, per i vestiti abbandonati su chilometri e chilometri di sentieri. «Arrivano dalla Croazia, e poi vengono su, è da Rieka, Fiume. È lì che tutto comincia».
Eppure le strade al di qua della frontiera italiana, quelle non presidiate dai gipponi dell’esercito e dai mezzi della polizia, quelle che corrono in mezzo ai boschi, raccontano storie di ben altro tenore.
La stessa che narra adesso Mian Lalon, un giovane uomo di originario del Bangladesh. Uno che ha camminato dalla Serbia alla Bosnia, che è risalito dalla Croazia alla Slovenia, e poi ha continuato ad andare avanti sulle montagne giuliane. Ha camminato per 10 giorni Poi è partito e dopo quattro mesi è arrivato a Trieste.
Come? «In Slovenia ci ha fermati la polizia. Ci hanno portati in una caserma. Ci hanno dato da mangiare e ci hanno chiesto dove volevamo andare. Italia, gli ho detto e quelli mi hanno mandato via». Ancora passi nei boschi. «Per sapere dove sei metti il navigatore. Ma se non c’è connessione ti sposti sperando di non sbagliare direzione». Otto giorni così. Ed arrivato a Gorizia. E adesso è qui, a Trieste. In quel luogo terrificante che chiamano il Silos, che tutti sanno cos’è, chi ci abita in quali assurde condizioni. Ma tutti- o quasi – fingono di non vedere.
Racconta la sua vita Mian e intanto Sultan, pure lui bengalese, annuisce. Ma ci sono altre persone ancora nei boschi? «Tanti. Arriveranno». E se li ferma la polizia?«Ma poi ti lasciano andare…». Lo dice lui, ma a Basovizza, come a Fernetti, come a Opicina non c’è essere umano che la pensi diversamente: «Servirebbero migliaia di uomini. Come una volta. Quando non potevi fare un passo senza i documenti in tasca». Intanto filtrano commenti sui ritracci di clandestini quest’anno: «Ci sono numeri alti come poche volte in passato». Per via della stretta e dei maggiori controlli. E perché la rotta balcanica ha ripreso vigore. Perché le fughe da Afghanistan e Pakistan si sono di nuovo impennate. Perché dalla fame si fugge sempre, e dalla povertà pure.
(da La Stampa)
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Ottobre 22nd, 2023 Riccardo Fucile
È UNA DELLE MISURE APPROVATE DALLA SEGRETERIA NAZIONALE DI FORZA ITALIA INSIEME A TRE REGOLAMENTI PER FISSARE LE REGOLE DEL PRIMO CONGRESSO CHE SI SVOLGERÀ A ROMA A FEBBRAIO… LO SCONTRO TRA TAJANI E LA MINORANZA DEL PARTITO, GUIDATA DA LICIA RONZULLI, SULLO STOP AL TESSERAMENTO A FINE OTTOBRE
Contributi da versare puntualmente ogni mese. E i morosi rischiano non solo la decadenza dagli incarichi di partito, ma anche la ricandidatura. È una delle misure approvate dalla segreteria nazionale di Forza Italia che ieri, presieduta dal leader in carica Antonio Tajani , ha licenziato tre regolamenti ai fini del primo congresso che si svolgerà a Roma a febbraio: il regolamento per lo svolgimento dei congressi delle grandi città, il regolamento per lo svolgimento dei congressi provinciali e, appunto, il regolamento per i contributi degli eletti.
Tra le novità, anche la partecipazione diretta degli iscritti all’elezione dei delegati. Prima di raggiungere l’unanimità dei consensi, però, la discussione con la minoranza del partito, guidata da Licia Ronzulli, si è accesa. La capogruppo in Senato, Giorgio Mulè e Alessandro Cattaneo hanno sollevato critiche alle regole proposte dalla maggioranza; nel mirino in particolare, oltre allo stop al tesseramento a fine ottobre (la minoranza avrebbe voluto prolungare i tempi), l’eleggibilità a coordinatori provinciali anche per i neoiscritti: un’apertura, il sospetto dei critici, che rischia di rendere il partito scalabile da esponenti e amministratori appena acquisiti da altre forze politiche, non pochi nell’ultimo periodo.
Sui due punti Tajani e i suoi non hanno ceduto. Sono state tuttavia concesse alcune modifiche: introdotto l’obbligo per ogni candidato di presentare una mozione, garantito l’accesso ai dati degli iscritti anche da parte degli sfidanti (non solo degli uscenti) e ridimensionata la soglia di iscritti per candidare un coordinatore provinciale, dal 30 al 20 per cento.
I congressi provinciali partiranno a novembre. Intanto un gruppo di lavoro si occuperà di stendere le regole per lo svolgimento del congresso nazionale. saranno esonerati dagli obblighi contributivi i parlamentari che raccoglieranno fondi pari a 15 mila euro e gli amministratori regionali che arriveranno a 8 mila euro.
(da Il Corriere della Sera)
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Ottobre 22nd, 2023 Riccardo Fucile
“IL GRUPPO ESIGE CHE NELLE RELAZIONI DI LAVORO NON SIA DATO LUOGO A MOLESTIE O AD ATTEGGIAMENTI RICONDUCIBILI A PRATICHE DI MOBBING O SIMILI”
È attesa quanto prima la decisione di Mediaset sul futuro di Andrea Giambruno, il giornalista e conduttore della rubrica Diario del giorno di Retequattro che il 20 ottobre si è autosospeso per una settimana, in accordo con la direzione di testata, dopo la diffusione di alcuni fuorionda sessisti da parte di Striscia la notizia e la rottura con Giorgia Meloni annunciata via social dalla premier. L’azienda – a quanto si apprende – sta procedendo in modo accurato con gli accertamenti sulla vicenda per valutare eventuali profili di responsabilità.
Sotto la lente in particolare, le possibili violazioni del Codice etico, che all’articolo 8 recita che “il Gruppo Mediaset rifiuta ed esclude ogni forma di sfruttamento dei lavoratori, salvaguarda gli stessi da atti di violenza psicologica e contrasta qualsiasi atteggiamento o comportamento lesivo della persona e/o discriminatorio posto in essere in base a sesso, età, razza, lingua, nazionalità, religione, condizioni personali e sociali, orientamento sessuale, opinioni politiche e sindacali”.
Lo stesso articolo precisa che i dipendenti di Cologno Monzese sono tenuti ad “impegnarsi per prevenire il verificarsi di discriminazioni, atti e/o comportamenti lesivi della dignità della persona, contribuendo al raggiungimento di tale obiettivo anche attraverso relazioni interpersonali e contegni individuali rispettosi della sensibilità altrui”.
Inoltre il Gruppo “esige che nelle relazioni di lavoro non sia dato luogo a molestie o ad atteggiamenti comunque riconducibili a pratiche di mobbing o simili, che sono tutti, senza eccezione, proibiti”. In caso di procedura disciplinare, non ancora decisa, il primo atto abitualmente è una lettera di contestazione, con il coinvolgimento degli organi sindacali; il destinatario può rispondere con le controdeduzioni e al termine dell’iter possono scattare le sanzioni, che arrivano fino al licenziamento.
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2023 Riccardo Fucile
I COLLEGHI, CHE GODONO PER LA CADUTA DEL CIUFFO TESTOSTERONICO DELL’EX COMPAGNO DELLA MELONI, PROFETIZZANO: “SENZA IL RUOLO DI FIRST GENTLEMAN, LE GAFFE DI GIAMBRUNO SARANNO RIDIMENSIONATE E ANCHE LUI SI RIDIMENSIONERÀ PARECCHIO”
Il cielo è ancora nero sopra il Palatino (il colle romano dove ci sono gli studi Mediaset), ma è possibile che la prossima settimana Andrea Giambruno torni in onda, in diretta, per condurre il suo “Diario del giorno”. Per il momento resta “autosospeso”, ma in azienda ieri in molti erano pronti a mettere la mano sul fuoco che finirà così. Le ragioni sono due: «Piersilvio Berlusconi — dicono — vuole restare lontanissimo da quello che accade in casa Meloni. Quello a cui invece tiene è tutelare il nome di Mediaset: La situazione si deve normalizzare».
Che accadrà quindi? Giambruno nelle scorse settimane, quando aveva visto cambiare l’aria in azienda attorno a lui, aveva detto di essere pronto a un passo indietro ai colleghi. Che ieri dicevano: «Non resterà incollato alla trasmissione». L’idea di Mediaset è però quella di farlo tornar. E di trattare “Diario del giorno” come una normale trasmissione del palinsesto: «Senza il ruolo di first gentleman anche le gaffe di Andrea saranno molto ridimensionate… E vedrete: anche lui si ridimensionerà parecchio», diceva perfida una sua collega ieri sera.
Ci sono persone che custodiscono nei proprio cellulari audio, foto e video imbarazzanti per Giambruno e per l’azienda? Venerdì si era detto della possibilità di un procedimento disciplinare per le frasi sessiste andate in onda. Perché Mediaset di tutto ha voglia, tranne che passare per complice. Antonio Ricci ieri ha lanciato un messaggio più che rassicurante. «Nessun altro fuori onda da mandare in trasmissione» ha spiegato con una nota.
Dice Ricci, quindi, che i fuorionda sono soltanto due. Che la scelta, come sempre è accaduto nella storia di Striscia, è stata soltanto la sua. E che una telefonata è arrivata, ma soltanto dopo. «Mi ha chiamato Fedele Confalonieri. L’incipit è stato: “Sei il re dei rompicoglioni, anzi sei l’imperatore dei rompicoglioni”»
(da La Repubblica)
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Ottobre 22nd, 2023 Riccardo Fucile
IL 41% È FAVOREVOLE A VIETARE LE MANIFESTAZIONI PRO-PALESTINA E IL 43,7% CONTRARIO … IL 71% PENSA CHE L’EUROPA DEBBA AGIRE PER PROMUOVERE LA PACE MA IL 60% E’ CONVINTO CHE L’UE SIA GREGARIO DELLE SCELTE AMERICANE
Dopo gli sviluppi del conflitto in Ucraina e dopo le violenze in terra di Israele e Gaza, gli italiani si interrogano su quali potrebbero essere i possibili risvolti di questa nuova drammatica circostanza e come potrebbero esserne coinvolti. L’esperienza dell’invasione armata in terra ucraina ha portato la maggioranza dell’opinione pubblica a sentirsi più debole e senza potere per riuscire a governare le principali spinte inflattive che agiscono in questi casi.
Non a caso, nell’indicare l’aumento dei prezzi e il carovita come la principale priorità per il nostro Paese, gli italiani hanno attribuito in maggioranza proprio al conflitto le principali responsabilità. Di fronte agli avvenimenti del 7 ottobre in Israele i cittadini si sono guardati intorno e il sentimento è corso veloce alla possibilità che l’escalation delle ostilità possa aumentare coinvolgendo altri Paesi e altre “potenze” mondiali.
Il 61% degli italiani oggi teme un attentato anche nel nostro Paese. Se la battaglia in terra di Ucraina ha spaventato l’opinione pubblica per le ripercussioni economiche che ne sono conseguite, oggi questo nuovo scontro in terra di Israele e nella striscia di Gaza confonde gli animi delle persone. Un italiano su due è convinto che ci potranno essere importanti conseguenze solo per la povera gente innocente (51,3%); il 39,9% sostiene che ci saranno nuove ricadute negative per la nostra economia.
Un altro 39,8% sente viva la divisione in due grandi blocchi che separano le cosiddette «grandi alleanze»: da una parte Cina, Russia e Paesi islamici, dall’altra l’Occidente. Di sicuro per il 40,3% è andata in ombra la figura di Volodymyr Zelensky e il conflitto russo-ucraino. Queste nuove evoluzioni mettono il cittadino italiano di fronte alla necessità di riconoscere un punto di riferimento nell’Europa che dovrebbe avere un ruolo di primaria importanza per trovare un – buon – compromesso di pace (71%).
Tuttavia, al momento questo è un percorso ancora in sospeso e da definire e la sensazione diffusa è che siamo ancora relegati in un compito gregario di secondo piano rispetto alle decisioni di Usa e di altri organi istituzionali mondiali (60%). Infatti nelle dichiarazioni degli intervistati si disegna un’immagine dell’Unione Europea fiacca e indolente nel precario equilibrio del non saper determinare una linea definita in tempi utili.
In un contesto così instabile l’opinione pubblica diventa più facilmente permeabile a uno stato latente di ansia generalizzata che non maschera assolutamente le simpatie pregresse. In tema di manifestazioni pro-Palestina, ad esempio, la popolazione si divide tra chi è favorevole a vietarle (41,5%) e chi invece è fortemente contrario (43,7%).
(da La Stampa)
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Ottobre 22nd, 2023 Riccardo Fucile
L’OBIETTIVO E’ SEMINARE INSTABILITÀ NEI PAESI DEMOCRATICI DIPINGENDO LE ELEZIONI COME DISFUNZIONALI E I GOVERNI RISULTANTI COME ILLEGITTIMI”
Ci risiamo, o forse non ne siamo mai usciti. La Russia ha rilanciato la campagna per interferire nelle elezioni dei Paesi democratici, in vista delle europee e presidenziali americane del 2024. La denuncia viene da un rapporto che l’intelligence Usa ha inviato anche all’Italia, perché il nostro Paese è considerato uno dei possibili obiettivi, proprio alla vigilia di una delicata missione che il Copasir condurrà a Washington questa settimana.
Nel documento, si legge che «la Russia sta portando avanti operazioni volte a indebolire la fiducia dell’opinione pubblica nell’integrità delle elezioni». […] Lo scopo è «seminare instabilità nei Paesi democratici dipingendo le elezioni come disfunzionali e i governi risultanti come illegittimi».
Mosca è stata incoraggiata dai risultati ottenuti nel 2016, quando aiutò Donald Trump a battere Hillary Clinton, e dal caos favorito in diversi Paesi occidentali. Quindi ha proseguito queste azioni, perché costano poco e sono efficaci. Tra il 2020 e il 2022 ha cercato di «minare la fiducia del pubblico in almeno 11 elezioni in 9 democrazie, compresi gli Stati Uniti. Altre 17 elezioni sono state prese di mira con sforzi meno pronunciati».
I Paesi colpiti non sono identificati, ma considerando che sono avvenuti almeno 28 attacchi, e l’Italia è andata alle urne l’anno scorso, è statisticamente assai probabile che abbia fatto parte degli obiettivi. Ora le operazioni si stanno ripetendo, e considerando la posizione ferma tenuta dalla premier Meloni sull’Ucraina, non può essere escluso l’interesse del Cremlino ad attaccarla.
Secondo il rapporto, la Russia «utilizza meccanismi tanto palesi, quanto nascosti, comprese reti di influenza e proxy gestiti dai servizi di spionaggio russi». Ad esempio il servizio di sicurezza Fsb ha segretamente intimidito gli operatori elettorali in un Paese europeo, e organizzato proteste nel giorno delle consultazioni per «sabotare il voto all’estero». I media statali russi hanno poi amplificato «false accuse di frode». A questo scopo Mosca usa i social media e «siti web proxy».
Il nostro Paese era già stato colpito da campagne di disinformazione negli ultimi anni, che avevano preso di mira diverse forze politiche e protagonisti delle attività del governo. Meloni ha mantenuto una linea atlantista molto ferma tanto sull’Ucraina, quanto sulla Cina, Questo però la espone ora alla possibile vendetta di Putin, in vista delle elezioni europee del prossimo anno.
(da agenzie)
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