Ottobre 9th, 2023 Riccardo Fucile
ATTOLINI (FDI) E’ NUMERO UNO DI AGESP ENERGIA
Ha suscitato indignazione bipartisan un post con la foto di un monte nel quale si riconosce il profilo del dittatore nazista Adolf Hitler col braccio teso pubblicato da Francesco Attolini, membro di Fratelli d’Italia di Busto Arsizio e attualmente amministratore unico di Agesp Energia, la società del gas e del teleriscaldamento la cui maggioranza delle quote sta per essere ceduta al gruppo Acinque.
Il Pd di Busto Arsizio ha immediatamente chiesto le dimissioni di Attolini e Fratelli d’Italia gli ha immediatamente revocato ogni incarico politico. “Non posso che dissociare Fratelli d’Italia dall’immagine oggi pubblicata da Francesco Attolini su Facebook – si legge nella nota diffusa da Pellicini – Per chi è impegnato in politica, non vi è spazio per atti di questo tipo, nemmeno se fatti per scherzo o superficialità. Per questo motivo, dopo averlo sentito, ho revocato Attolini dal suo incarico di Commissario di Fdi a Samarate. Mi spiace davvero perché Francesco stava lavorando bene e con grande impegno sul territorio. A breve avrebbe portato il partito locale a congresso. In questi casi, però, Fratelli d’Italia è inflessibile e chi sbaglia va immediatamente fermato. Sarà poi Attolini a spiegare le motivazioni di questa sua pubblicazione anche nelle competenti sedi del nostro partito”.
Sabato 7 ottobre, proprio nel giorno dell’attacco terroristico di Hamas a Israele, Attolini ha pubblicato sul proprio profilo Facebook l’immagine di una montagna nella quale è chiaramente intuibile, per un effetto ottico, la sagoma di Adolf Hitler: Francesco Attolini, storico esponente di Fratelli d’Italia a Busto Arsizio (nel Varesotto) e attualmente amministratore unico di Agesp Energia (la società partecipata che si occupa della fornitura di gas ed energia elettrica in città), è finito al centro delle polemiche.
“Cosa intendeva fare Attolini con questo post? Inneggiare allo sterminio degli ebrei, disabili, omosessuali e dissidenti politici voluto dal regime nazista di Hitler? O intendeva forse solidarizzare con i terroristi di Hamas che hanno messo a ferro e fuoco lo stato di Israele?” scrivono gli esponenti del Pd locale in una nota, accusando il numero uno di Agesp Energia di “strizzare l’occhio alla peggiore destra” e chiedendo un suo immediato passo indietro.
Ad aggravare ulteriormente la situazione, c’è poi il fatto che Francesco Attolini “non è nuovo a episodi di questo genere” rimarca Pedotti: nel 2017, quand’era coordinatore del circolo di Fratelli d’Italia di Busto Arsizio, Attolini aveva infatti pubblicato sempre su Facebook un post unanimemente etichettato come “vergognoso e inaccettabile” contro Varese nei giorni in cui il Campo dei Fiori era devastato dagli incendi.
Riprendendo un coro degli ultras della Pro Patria (la squadra di calcio di Busto Arsizio), aveva scritto che uno dei sogni dei bustocchi è “guardare verso il monte e non vedere più Varese”, con tanto di immagini delle fiamme e auto-assoluzione perché “un po’ di sano sfottò non guasta mai”.
All’epoca quell’uscita gli era costata il commissariamento del circolo: era stato rimosso dall’incarico dall’allora coordinatrice provinciale di Fratelli d’Italia Paola Frassinetti.
E la pubblicazione di un post come quello di due giorni fa (che non è ancora stato rimosso nonostante il polverone sollevato) “sarebbe già grave da parte di un privato cittadino. In questo caso, è del tutto inaccettabile – evidenziano dal Pd – Un amministratore di una società pubblica dovrebbe essere consapevole che con le sue azioni e con le sue dichiarazioni esprime la visione dell’azienda che rappresenta”. A questo punto “dare le dimissioni mi sembra il minimo – conclude Paolo Pedotti – Non basterebbero le scuse di Attolini, che peraltro non sono per ora arrivate”. Contattato da Repubblica, Francesco Attolini non ha risposto.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 9th, 2023 Riccardo Fucile
“NEL 1977 SI SVOLSE L’ASSEMBLEA DEL FRONTE DELLA GIOVENTÙ PER LA CARICA DI SEGRETARIO. PRESI PIÙ VOTI DI TUTTI. GIANFRANCO FINI ARRIVO’ SOLO QUINTO NELLE PREFERENZE. MA ALLA FINE VENNE PROCLAMATO SEGRETARIO PER SCELTA DI ALMIRANTE, CHE NON MI VOLEVA PERCHÉ LA MIA VISIONE POLITICA ANDAVA NELLA DIREZIONE OPPOSTA A UN PARTITO ASFITTICO”
Lo status di scienziato della politica scorre nelle vene di Marco Tarchi. Marco è soprattutto un anticonformista. Marco, che di destra è stato, ha guardato spesso con interesse a sinistra. Le sue origini sono nel neofascismo degli anni settanta: Giovane Italia, Fronte della Gioventù, Movimento sociale italiano. Oggi che ha 70 anni cerco di fare il punto di quella storia che lo ha visto protagonista.
«Nasco a Roma, casualmente. Ci vivevamo una delle mie nonne. Fin da adolescente un lettore onnivoro e curioso, orientato verso i problemi della storia e della politica. Le mie idee, ancora acerbe, si nutrivano di un vago socialismo».
I tuoi che dicevano?
«La mia era una famiglia fascista. Orgogliosa di esserlo. Avevo 13 anni quando mio padre, avvocato, e mia madre dissero che non sarebbe stato semplice per me: siamo persone per bene ma il fatto di essere fascisti significa che ci giudicheranno come mostri».
Cosa voleva dire dichiararsi così apertamente fascisti?
«Era la loro storia, erano le loro radici. Angelo Tarchi, fratello di mio nonno, fu ministro dell’Economia corporativa durante la Repubblica sociale italiana».
Non hai mai avuto la sensazione che quella fosse la parte sbagliata?
«Per la mia famiglia non fu una scelta sbagliata. Fu una decisione coerente con i valori in cui credevano».
Quali valori ti hanno influenzato?
«Tra i motivi che mi spinsero all’attivismo politico ci fu la contrapposizione al professore di lettere. Era amico di Mario Capanna, leader del movimento studentesco».
Perché il bisogno di militanza?
«In quel momento quasi tutti i giovani della mia età avevano scelto la sinistra».
A Firenze che clima trovasti?
«Nel 1969 il clima politico era rovente. Un amico mi condusse alla sede missina di piazza Indipendenza. In quel palazzo antico avevano staccato la luce. Vidi gente del partito che parlottava a lume di candela, erano quattro gatti disperati. Ma trasformai quel deserto umano in sfida intellettuale. Nel giugno del 1969 venne Adriano Cerquetti della direzione del partito ad offrirmi la carica. Cominciò per me una vicenda che sarebbe finita nel febbraio del 1981, quando fui dichiarato decaduto dalla carica e dall’iscrizione al partito«
Chi ti ha fatto decadere?
«Giorgio Almirante in persona. Da due anni ero in completa rotta con il partito. Nel 1979 mi ero dimesso da vice segretario del Fronte della Gioventù. Nel 1977 si svolse l’assemblea del Fronte della Gioventù per la carica di segretario. Presi più voti di tutti. Anche Gianfranco Fini ha partecipato arrivando solo quinto nelle preferenze. Ma alla fine venne proclamato segretario e io solo vice».
Vieni, è possibile?
«Lo statuto prevedeva che il segretario del partito, cioè Almirante, poteva decidere chi avrebbe avuto l’incarico a prescindere dai voti. Alcuni di noi si erano opposti a quella norma e alla fine di una lunga ed estenuante trattativa ottenemmo che Almirante avrebbe potuto scegliere tra i primi tre più votati. Ricordo l’incontro notturno con Ignazio La Russa e il documento dove venne in parte ratificata la richiesta di modifica dello statuto».
A quel punto?
«Si andò alla votazione, vinsi e Fini giunse quinto. La sorpresa fu quando vidi sul documento che il numero tre, scritto a macchina, che limitava la decisione del segretario, era stato maldestramente corretto a penna con il numero 5. E questo arbitrio consentì ad Almirante di eleggere Fini a segretario del Fronte della Gioventù» .
Perché Almirante non ti vuole?
«La mia visione politica e culturale andava nella direzione opposta a un partito asfittico, immobile, incapace di recepire i fermenti giovanili della società civil, molti simpatizzanti di destra erano passati a sinistra. La parte più inquieta, di cui io fui una delle espressioni, si produsse in uno sforzo provocatorio. Fondai nel 1974 La voce della fogna, una rivista dai tratti underground che ebbe un certo successo».
La ricordo perfettamente, ma quel titolo come era nato?
«Uno degli slogan ricorrenti a sinistra era “fascisti, carogne, tornate nelle fogne”. E noi rispondiamo ironicamente con quella testata».
Vi sentivate così reietti?
«Eravamo ai margini di tutto. Ma piuttosto che piangerci addosso, o attaccarci a un passato nostalgico, riprendemmo i temi che avevano terremotato la cultura degli anni Settanta. La musica, il rock, in particolare, il cinema, la letteratura: esperienze in larga parte estranee al mondo della destra. Senza essere presente in libreria o nelle edicole, la rivista vendette quasi cinquemila copie. Poi da destra arrivarono gli attacchi».
Chi vi attacca?
«Il Centro studi evoliani cominciò a insultarci. Il loro Bollettino ci definiva disgustosi, dissacranti, culturalmente indecenti. Ricordo poi un attacco da Marcello Veneziani: eravamo colpevoli secondo lui di inseguire le mode giovanili invece che contrastarle».
Veneziani cosa faceva a quel tempo?
«Se non ricordo male era un giovane dirigente del Fronte della Gioventù. In seguito giunsero le reazioni del partito».
Intendi il Msi?
«Dall’alto è arrivato l’ordine di boicottarla. La Voce della Fogna chiuse nel 1983. Avrei fatto poi altre riviste importanti come Diorama ed Elementi, più pensate ma senza l’impatto rude e provocatorio che aveva contraddistinto quella prima esperienza».
Fu così importante e irregolare da interessare prima Giampiero Mughini e poi filosofi di sinistra come Giacomo Marramao e Massimo Cacciari.
«Sia Marramao che Cacciari avevano guardato con interesse ad alcuni pensatori di destra e a tutta la “rivoluzione conservatrice” e aprirono un dialogo con noi che sulla rivista Diorama intitolammo Sinistra e nuova destra, appunti per un dibattito. Quell’incontro fu giudicato scandaloso dalle forze più tradizionali tanto da uno schieramento che dall’altro».
I tuoi interessi culturali politici si rivolgevano al pensiero della destra francese. In particolare alla figura di Alain De Benoist.
«Lo conobbi nel luglio del 1972. Andai a trovarlo a Parigi. Trovavo stimolante l’idea che le categorie della politica andassero rifondate fuori dalla netta opposizione tra destra e sinistra. Del resto come facevi ad appropriarti da sinistra o da destra del fenomeno delle radio libere o degli indiani metropolitani, o delle prime importanti esperienze ecologiste?».
Un libro che rompe le rigide distinzioni destra e sinistra fu anche Il Signore degli Anelli. Che pensi di quel romanzo?
«Sotto le bandiere di quel fantasy si riunirono i lettori più irregolari, coloro che vedevano nel romanzo la critica alla società mercantile e al tempo stesso il richiamo al mito. La storia del modo in cui Il Signore degli Anelli penetrò nella cultura italiana deve tenere conto del ruolo che svolsero due personaggi molto lontani dal pensiero della sinistra: Elémire Zolla e Quirino Principe. Furono loro a riprendere in mano il lavoro della prima traduttrice, Vittoria Alliata, ea farne una sorta di manifesto culturale, non so quanto intenzionale».
Da quell’esperienza letteraria nacquero i “Campi Hobbit”. Chi furono i promotori?
«Diversi, tra cui io. Si riassumono in tre appuntamenti che organizzammo tra il 1977 e il 1980. I Campi Hobbit erano laboratori di pensiero alternativo».
Dicevi di essere uscito dal partito nel 1981. Come hai vissuto il distacco?
«Con dolore da un lato, perché la “decadenza da iscritto” decretata contro di me era ingiusta. Con sollievo dall’altro, perché la vita in un partito di cui non condividevo più gran parte della linea politica mi era diventata insopportabile».
Eri ha avviato una brillante carriera politica. Sei pentito di non averla fatta?
«Ho sempre reputato più importante difendere la mia libertà di pensiero, senza tuttavia abiurare alle mie scelte».
(da Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 9th, 2023 Riccardo Fucile
POI LA FRASE ESILARANTE: “UN DANNO PER ME E PER LA COLLETTIVITA'”: E CHE AVEVI NEL PC? UNA NUOVA SCOPERTA SCIENTIFICA PER VINCERE IL PREMIO NOBEL?
Angelo Ciocca è europarlamentare della Lega a Bruxelles.
Il suo nome era uscito nell’inchiesta sulla Lobby Nera nel frattempo archiviata.
Ieri ha denunciato il furto del suo personal computer in pieno centro a Milano in piazza Duomo.
«Mi hanno rubato il pc che conteneva faldoni e documenti della mia attività di eurodeputato. Un danno a me e a tutta la collettività. Beppe Sala che aspetta a dimettersi?», ha scritto su X.
Successivamente ha precisato che i suoi dispositivi sono protetti da password.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 9th, 2023 Riccardo Fucile
IL DATO SI RIBALTA PIU’ SI SALE DI ETA’, DOVE IL BORGHESUCCIO RAZZISTA “HA PAURA DELL’IMMIGRATO PER LA PROPRIA SICUREZZA” (NON DEI POLITICI CHE TI PIGLIANO PER IL CULO)
È l’era della protezione dei confini, almeno a livello simbolico. Non c’è più posto per l’apertura, in Italia, bisogna difendere l’identità nazionale.
Il dato politico, d’altronde, è abbastanza evidente. Fratelli d’Italia è stabilmente il primo partito con il 30% dei consensi nelle intenzioni di voto, un’indicazione chiara di come la pensi l’elettorato su molte questioni. Tra queste c’è anche la questione migranti, rilevata da un sondaggio di Demos sotto il punto di vista dell’apertura.
Le alternative date dai sondaggisti agli intervistati sono due: i confini dell’Italia andrebbero maggiormente controllati o l’Italia dovrebbe aprirsi maggiormente al mondo. In generale, il 64% degli italiani è per la chiusura, il 34% per l’apertura.
Nell’analisi per partito, non ci sono molte sorprese: l’88% di chi vota Fratelli d’Italia opta per la protezione dei confini, così come l’80% di chi sostiene Forza Italia e il 77% di chi vota Lega; il dato scende al 54% – ma comunque in maggioranza – nell’elettorato del Movimento 5 Stelle, mentre il 68% di chi vota il Partito Democratico vorrebbe un’Italia maggiormente aperta al mondo.
Guardando i dati per fasce d’età, invece, emerge un altro punto fondamentale: il 58% dei ragazzi e delle ragazze tra i 18 e i 29 anni vorrebbe un Paese più aperto al mondo. Dato opposto per tutte le altre età, con un valore particolarmente negativo nelle fasce di mezzo: vuole un Paese più controllato e chiuso il 65% di chi è tra i 30 e i 44 anni, il 70% di chi è tra i 45 e i 54 anni, il 71% di chi è tra i 55 e i 64 anni e il 66% di chi ha più di 65 anni.
La “paura dello straniero”, sondata ciclicamente dall’istituto demoscopico, è tornata a crescere sensibilmente negli ultimi anni, anche per via della propaganda politica: oggi il 45% degli italiani considera che gli immigrati siano un pericolo per la propria sicurezza. Negli ultimi vent’anni, solo nel 2007 – con il 51% – il valore era stato più alto.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 9th, 2023 Riccardo Fucile
LA COPPIA BOLOGNESE STAVA PESCANDO A BORDO DELO PROPRIO MOTOSCAFO
Stavano pescando a bordo della propria barca quando Laura e Tommaso, una coppia bolognese in vacanza qualche settimana fa sull’isola di Lampedusa, ha avvistato in mare un uomo che nuotava verso di loro. “La pesca non stava dando grandi risultati, ad un certo punto un amico ci ha detto che aveva visto dei delfini ma ci è sembrato strano perché in quel tratto non ce ne sono” ha raccontato Laura al Resto del Carlino.
La coppia, che è solita trascorrere le proprie vacanze sull’isola siciliana, si è resa protagonista di un inaspettato salvataggio in mare.
“Era circa mezzogiorno e ci trovavamo a 42 miglia al largo di Lampedusa quando è successo tutto. Guardando meglio poi ci siamo accorti che non si trattava di delfini bensì di una persona in acqua che si avvicinava verso il nostro motoscafo”.
Tommaso che era al timone ha quindi deciso di invertire la rotta per avvicinarsi al giovane e capire da dove stesse arrivando: “Siamo riusciti a far salire a bordo prima un ragazzo di 29 anni proveniente dal Burkina Faso e poi anche un altro di 24, – ha spiegato Laura – non stavano benissimo, erano affamati e disidratati. Ci trovavamo in una zona quasi al limite dell’area dove vi è divieto di pesca, quindi se non li avessimo soccorsi non so come sarebbe finita”.
Poi la coppia ha continuato a raccontare: “Quando i due ragazzi sono saliti a bordo ci hanno ringraziato in ogni modo, ci baciavano le mani e ci chiamavano “mami” e “papi”. Uno di loro non riusciva a smettere di piangere”. Dopo avergli offerto dell’acqua e del cibo, Laura e Tommaso hanno raggiunto l’imbarcazione dalla quale provenivano: “Non era molto lontana, siamo andati a cercarla e l’abbiamo trovata”.
“È stata un’emozione fortissima, a bordo c’erano altri 25 migranti tutti provenienti dal Burkina Faso. Quando ci hanno visti hanno iniziato a cantare, – ha ricordato con emozione Laura – a quel punto abbiamo offerto loro tutta l’acqua e il cibo che possedevamo e infine li abbiamo trainati verso la costa dell’isola”.
Poi Tommaso ha aggiunto: “Erano partiti da Sfax cinque giorni prima con poche provviste, un po’ d’acqua, poco cibo e solo una tanica di benzina che però è finita quasi subito”.
Sull’imbarcazione viaggiavano anche tante donne e bambini: “Una di queste giovani madri sedeva a prua e ha raccontato di aver visto morire i suoi due figli di appena due mesi e un anno e mezzo, il giorno prima. Non ha potuto fare altro che lasciarli scivolare in acqua” ha detto Laura cercando di trattenere le lacrime.
Infine, “per arrivare in vista dell’isola abbiamo impiegato ben 7 ore: quando siamo arrivati a 4 miglia dalla costa abbiamo telefonato il comandante di una motovedetta che conosciamo ed è venuto in nostro aiuto. I ragazzi sono saliti tutti a bordo della sua imbarcazione che poi li ha condotti in porto”.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 9th, 2023 Riccardo Fucile
LE PROMESSE MANCATE DELLA MELONI
Sono passati 143 giorni dai 5 miliardi di metri cubi d’acqua venuti giù in Romagna fra l’1 e il 17 di maggio. Una lunga apnea per l’area alluvionata che nel 2022 valeva da sola 38 miliardi di ricchezza (il 2,2% del Pil nazionale).
«Risarciremo il 100% a chi è stato danneggiato», è la promessa della premier Giorgia Meloni infilata negli stivaloni in mezzo al fango nelle zone allagate, e poi di nuovo a giugno, nell’incontro con i sindaci a Palazzo Chigi.
Ma quanto è arrivato sul territorio dopo 5 mesi passati a contare perdite, ripristinare strade, riparare canali, case, aziende, mettere mano ai terreni agricoli allagati?
Quelli calcolati e certificati fin qui (ossia trasmessi a Bruxelles dal Dipartimento nazionale di Protezione civile per chiedere l’accesso ai fondi di solidarietà dell’Unione Europea) ammontano a 8,5 miliardi così divisi: 3,8 miliardi per il patrimonio pubblico come strade, scuole, canali; 2,2 miliardi per i danni alle abitazioni; 1,8 miliardi per i danni alle attività produttive, comprese le aziende agricole. A questa cifra vanno aggiunti 682 milioni già spesi per fronteggiare l’emergenza e per la messa in sicurezza del territorio, di cui 412 anticipati da Comuni, Province, Regioni e consorzi di bonifica.
In Romagna c’è fretta, a Roma no
Dopo i giorni drammatici di maggio, dopo i morti, dopo aver ripulito le strade e le case dal fango, la parola d’ordine più sognata da amministratori, famiglie e imprese è quella di fare in fretta, cioè velocizzare il più possibile interventi di ripristino e indennizzi. La scelta più logica sarebbe stata quella di utilizzare la macchina oliata della Protezione civile, che può ricevere somme in contabilità speciale e usare le deroghe per spendere i soldi, e incaricare subito il Presidente della Regione Stefano Bonaccini Commissario straordinario. Ma c’era il veto di Salvini. Ci sono voluti 2 mesi e mezzo per trovare un nome alternativo, e ai primi di agosto viene nominato il generale di Corpo d’Armata Francesco Figliuolo. Una struttura commissariale va poi organizzata, non è immediatamente operativa. Tanto più se deve agire in una situazione inedita dal punto di vista della vastità e della complessità dell’intervento. Tutto questo comporta lo slittamento dei tempi, in un territorio che le alluvioni hanno reso estremamente vulnerabile e con l’autunno alle porte. Ciò detto, quanti sono i soldi promessi e quanti quelli di cui dispone oggi, fisicamente, il generale Figliuolo?
Il primo decreto da 1,6 miliardi
Partiamo dai soldi promessi. A fine maggio, con il primo decreto per l’Emilia-Romagna il governo aveva annunciato un primo pacchetto di aiuti per 2 miliardi e 200 milioni. «Salvo intese», che in sostanza significa che le cose possono cambiare in corso d’opera. E infatti. Quando il decreto viene pubblicato il 1° giugno i soldi diventano circa 1,6 miliardi, così divisi: 900 milioni sono per gli ammortizzatori sociali, cioè la cassa integrazione; 300 milioni per aiutare le aziende che esportano. Con una clausola: il non speso ritorna nelle casse dello Stato. Per quel che riguarda la cassa integrazione sono stati chiesti solo 30 milioni, perché i romagnoli non sono rimasti a guardare, ma insieme ai dipendenti si sono subito rimboccati le maniche e rimesso in piedi gran parte delle aziende. Invece dei 300 milioni stanziati a sostegno dell’export ne sono stati chiesto soltanto 12-13. In questo caso i requisiti necessari sbarravano già in partenza l’accesso ai fondi per moltissime imprese. Alla fine 1 miliardo e 150 milioni sono tornati nelle casse dello Stato. E questo non-speso è l’ultimo fronte aperto fra il governo e Regione-sindaci-parti sociali. Loro chiedono che i fondi non utilizzati vengano usati subito per indennizzare cittadini e imprese e chiedono l’introduzione del credito di imposta.
I soldi per le famiglie
Nello stesso decreto 150 milioni sono stati ripartiti fra vari ministeri (Ricerca, Istruzione, Cultura, Turismo ecc), e 230 dati alla Protezione civile e alla Regione per le somme urgenze, fra cui un aiuto di 3.000 euro a famiglia per far fronte alle spese inderogabili. Sono questi gli unici soldi arrivati finora alle quasi 36 mila le famiglie che nelle prime ore avevano dovuto lasciare tutto e scappare, con l’acqua letteralmente alla gola. In 65 Comuni si contano 9.371 nuclei familiari che hanno poi chiesto il contributo per l’autonoma sistemazione: gente che si è accampata per lunghi periodi da amici, parenti o in roulotte. Più un centinaio di famiglie che ancora oggi sono sistemate in alberghi (con spesa a carico della Regione). Per ciascuna famiglia a breve saranno distribuiti altri 2000 euro.
Arriva Figliuolo
Con la nomina ad agosto del Commissario Figliuolo, arriva un secondo decreto con nuovi stanziamenti per le opere pubbliche e per il risarcimento danni ai privati. Cominciamo dalle opere pubbliche: previsti 2,6 miliardi da spendere in tre anni per sistemare scuole, ponti, strade. Ma quanti soldi sono disponibili fisicamente per il 2023? Finora ne sono stati autorizzati 908,5 milioni, di cui 876 versati sulla contabilità del generale Figliuolo, quindi già disponibili. Ma 412 anticipati a maggio per i lavori urgenti sono da restituire a Regione, Comuni, Province e consorzi. Quindi, tirando la somma, pronti all’uso quest’anno restano meno di 500 milioni. Bastano i numeri di frane e strade per capire che di soldi ne servirebbero ben più. Al 30 settembre sono state censite 38.760 frane in 48 Comuni: in quel numero ce ne sono 350 di grandi dimensioni (più di un ettaro). Si prevede di concludere i rilievi entro fine ottobre e si stima che il numero totale delle frane sia oltre 50 mila. La maggior parte hanno danneggiato case, terreni o aziende, e qui i diretti interessati sono intervenuti pagando di tasca loro, oppure è ancora tutto sospeso. Un numero consistente di frane è finito però sulle strade, dove sono stati eseguiti in urgenza i lavori di ripristino delle viabilità, ma quasi ovunque sono necessari interventi strutturali di rinforzo a monte e a valle. Su un totale di 1481 strade provinciali o comunali da monitorare, al 30 settembre ne erano chiuse ancora 322, mentre 405 erano percorribili con limitazioni alla circolazione.
I rimborsi ai privati
Con il secondo decreto ci sono anche i soldi per i privati: 120 milioni già utilizzabili, più 149 autorizzati ma non ancora sul piatto. Per avere un ordine di grandezza: le aziende agricole a cui l’acqua ha causato danni sono circa 21 mila con 41 mila addetti; quelle agroalimentari sono 2.800 per 23 mila operatori. E l’impatto è stato importante anche sul settore zootecnico. Ma di fatto le aziende non hanno ancora avuto un centesimo. Di più: fino al 16 novembre non sarà disponibile nemmeno il modulo da compilare per chiedere il rimborso perché la piattaforma informatica è in corso di aggiornamento. Dopo quella data il cittadino che ha avuto la casa allagata, o l’impresa danneggiata, può presentare la domanda di risarcimento con allegata perizia. A quel punto il Comune verifica lo status di alluvionato; se tutto va bene consente alla piattaforma della Regione di «lavorare» la pratica; Invitalia fa l’istruttoria (studia la perizia, identifica il danno) e se tutto è in regola rimanda la pratica al sindaco; il sindaco la dichiara chiusa e la invia a Figliuolo per la firma e l’erogazione. Ma erogare significa avere una tesoreria, che al momento non c’è. La sola boccata di ossigeno in termini economici è arrivata dalla sospensione degli adempimenti tributari in scadenza fra il 1° maggio e il 31 agosto, ma fino al 20 novembre. Poi si dovrà pagare. Nel mentre tutti sognano che venga mantenuta quella promessa: «Risarciremo il 100% a chi è stato danneggiato!».
A margine dell’illusione però qualche domanda sarebbe utile porsela. Ha senso ricostruire capannoni o riattivare le coltivazioni, diventate greto del fiume, esattamente lì dov’erano? Probabilmente no. Ma per spostare attività occorre fare una più lungimirante programmazione del territorio. Certo, è più facile stanziare qualche soldo da mettere in tasca, anche se pochi
Giusi Fasano e Milena Gabanelli
(da corriere.it)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 9th, 2023 Riccardo Fucile
LA RITORSIONE PER L’ATTACCO SFERRATO DA HAMAS VERRÀ PAGATA COL SANGUE DEI CIVILI DI GAZA, MA LE CONSEGUENZE POLITICHE PROBABILMENTE SARANNO DUE: LA CRISI DEFINITIVA DELL’ERA NETANYAHU E RAFFORZAMENTO DI HAMAS IN CISGIORDANIA
Oggi è anche il giorno per guardare al passato e analizzare le condizioni che hanno determinato una giornata destinata a cambiare per sempre le sorti di un conflitto mai risolto e alterare, di conseguenza, gli equilibri regionali.
La risposta di Israele su Gaza è in corso, le forze armate stanno riprendendo il possesso dei centri abitati dove sono ancora presenti miliziani di Hamas e pianificando una apparentemente inevitabile invasione di terra nella striscia di Gaza. Sabato notte un’ondata di massicci bombardamenti ha ucciso almeno 370 palestinesi (tra cui 20 bambini), altri 2000 sono stati feriti, e nell’operazione che Israele ha battezzato “Spada di Ferro” sono stati colpiti decine di edifici militari e residenziali, è stato abbattuto e ridotto in macerie il grattacielo di 14 piani che ospita gli uffici di giornali e televisioni nel centro di Gaza e che comprendeva almeno 100 appartamenti.
Tra gli edifici presi di mira la casa del leader di Hamas Yahya al-Sinwar, la sede delle istituzioni di beneficenza nel Sud di Gaza, l’edificio al-Hashem nel Nord della Striscia, che ospitava una Ong locale e 15 appartamenti civili. Tutto questo in un’area ancora segnata dalle guerre precedenti. E dove, secondo il Consiglio norvegese per i rifugiati, a febbraio quasi 2.000 case erano ancora in rovina a causa degli attacchi israeliani avvenuti negli ultimi dieci anni.
Riferisce Medici Senza Frontiere che le forze israeliane sabato abbiano colpito una clinica e un’ambulanza davanti all’ospedale Nasser, nel Sud di Gaza uccidendo un’infermiera, un autista di ambulanza e danneggiando una stazione di ossigeno.
Gli altri ospedali, sovraffollati e dipendenti dagli aiuti internazionali, stanno usando gli ultimi generatori elettrici ancora funzionanti per fare fronte al gran numero di feriti in arrivo e, secondo i dati diffusi dall’Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso dei rifugiati palestinesi, già in 20.000 hanno lasciato le regioni di confine di Gaza per dirigersi nelle zone più interne cercando rifugio nelle scuole delle Nazioni Unite.
Gaza è una prigione a cielo aperto, un gigantesco campo profughi che vive una crisi umanitaria cronica e in costante deterioramento dal 2007, anno della vittoria elettorale di Hamas. Da allora Israele impone sulla Striscia un blocco aereo, terrestre e marittimo. Ecco perché dopo le parole nette di sabato del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che ha dichiarato: «Israele è in guerra. Lasciate Gaza, ridurremo i covi di Hamas in rovine», le organizzazioni locali fanno appello alla comunità internazionale per aprire corridoi umanitari e provare a evacuare la popolazione.
Sanno che di fronte alle parole «Lasciate Gaza», la reazione di ogni palestinese nella Striscia è «Nowhere to go». Non sappiamo dove andare.
Era così anche prima, quando sopravvivevano con tre, quattro ore di elettricità al giorno, è così a maggior ragione oggi, sotto i bombardamenti israeliani e dopo che il ministro dell’Energia di Tel Aviv Israel Katz ha annunciato l’interruzione totale della fornitura energetica al territorio assediato.
Decisione che si configura come un crimine di guerra.
Gaza è stata il grande rimosso degli ultimi anni e il suo destino oggi è il maggiore punto interrogativo della guerra: due milioni di persone che non hanno modo di uscire e che sono destinate a pagare il prezzo degli eventi.
Ecco perché l’immagine del bulldozer che sabato ha sfondato le barriere di sicurezza israeliane ha una enorme potenza simbolica e avrà una lunga eco per la causa palestinese, nel mondo arabo e non solo, perché come dicono gli abitanti di Gaza contattati da La Stampa nella giornata di ieri, rappresenta «la prima vittoria e la resistenza all’occupazione».
Per Samy A. (che non vuole dichiarare il suo cognome e parlava ieri mattina al telefono dalla Striscia) «la violenza dell’azione di Hamas era il solo modo per porre fine alla situazione a Gaza. Lo hanno fatto nel peggior modo possibile – dice – ma hanno ricordato al mondo che esistiamo e che non era più accettabile considerare l’assedio come una situazione che non sarebbe mai cambiata».
Muhammad, trent’anni, anche lui raggiunto telefonicamente, racconta di essere scappato da casa sua nel Sud della Striscia senza prendere niente, se non qualche vestito e delle coperte per far trascorrere la notte ai suoi due bambini piccoli.
Per la sua famiglia, come per centinaia di altre, questa guerra è un copione che si ripete. I suoi figli non erano nati durante la guerra del 2014, ma a 5 e 7 anni stavano già subendo le conseguenze dell’assedio: «Lo sapevano tutti che sarebbe successo prima o poi. Non si possono ignorare due milioni di vite in una prigione e pensare che saremmo rimasti passivi per sempre, che avrebbero potuto continuare ad umiliarci così. Ma sappiamo che la ritorsione stavolta sarà diversa. Guardo al futuro e vedo altri morti e altri martiri».
Per quasi vent’anni i leader mondiali – Stati Uniti in testa – si sono accontentati di contribuire alla sola risposta alla crisi umanitaria, anche se in maniera incostante ed insufficiente. Solo osservando eventi e numeri dei mesi appena trascorsi, era chiaro che la situazione era destinata a deflagrare. Era dalla Seconda Intifada dei primi anni 2000 che non si registravano così tanti morti palestinesi e israeliani.
A questo si aggiunge la mano libera lasciata dal governo ai coloni nell’ampliamento degli insediamenti illegali in Cisgiordania e un aumento delle irruzioni e delle violenze nella simbolica moschea di Al-Aqsa. Sullo sfondo, lo stallo di Gaza che nessuno ha saputo o voluto affrontare. Perciò, per tutti, oggi è anche il giorno della ricerca delle responsabilità nelle falle della sicurezza dei servizi israeliani ma anche delle responsabilità politiche. Dopo 15 anni quasi ininterrotti di leadership di Benjamin Netanyahu, molti hanno assorbito la sua visione del conflitto, quella cioè di una cristallizzazione dell’isolamento di Gaza.
Il quotidiano israeliano Haaretz, ieri mattina, titolava un durissimo editoriale con queste parole: «Netanyahu è responsabile di questa guerra tra Israele e Gaza». Si legge: «Il primo ministro, che si vantava della sua vasta esperienza politica e della sua insostituibile saggezza in materia di sicurezza, non è riuscito a identificare i pericoli verso i quali stava consapevolmente conducendo Israele quando ha istituito un governo di annessione ed esproprio, quando ha nominato Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir a posizioni chiave, abbracciando al tempo stesso una politica estera che ignorava apertamente l’esistenza e i diritti dei palestinesi».
Tesi rafforzata anche da Anshel Pfeffer, corrispondente da Israele per The Economist, che ieri scriveva: «Netanyahu ha cercato di ignorare Gaza durante i suoi molti anni in carica. Non ha mai fatto progetti per il suo futuro e dopo ogni round di combattimento si è affrettato ad occuparsi di altro. Ora sarà ricordato per sempre dagli israeliani per questo disastro. Questa è la sua eredità». La ritorsione per l’attacco sferrato da Hamas verrà pagata col sangue dei civili di Gaza, ma le conseguenze politiche dell’accaduto probabilmente saranno due. La prima, la crisi definitiva dell’era Netanyahu.
La seconda, il rafforzamento di Hamas in Cisgiordania, dove la popolazione è sempre più lontana dalla politica dell’Autorità Palestinese, considerata troppo debole e compromessa dalla collaborazione con Israele e dal suo leader, Mahmoud Abbas, che non gode più da tempo di legittimità tra i palestinesi. Quello che l’attacco di Hamas, quindi, rischia di generare negli animi dei palestinesi frustrati e soprattutto delle generazioni più giovani, è che il gruppo armato appaia come il solo in grado di riportare al centro una questione troppo a lungo ignorata. C’è tutto questo nell’immagine dello squarcio aperto dal bulldozer che ha demolito la rete che confinava Gaza nell’assedio. Il sangue dei civili e il rischio di nuovi estremismi.
(da La Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 9th, 2023 Riccardo Fucile
IL PROBLEMA DELL’AUMENTO DELLA SPESA PER LE FAMIGLIE: NEI PRIMI SEI MESI DELL’ANNO IL COSTO MEDIO PER I COLLABORATORI DOMESTICI È SCHIZZATO IN ALTO DEL 58%
Colf e badanti evadono quasi un miliardo di Irpef all’anno e almeno 1,5 miliardi di contributi Inps. E proprio su questo fronte, quello del lavoro nero e in particolare su tasse e contributi non versati nell’ambito del lavoro domestico, che l’Agenzia delle Entrate ha acceso un faro.
Incrociando i dati evidenziati dalla Nadef, la nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, con quanto rilevato dalle associazioni di settore, come Assindatcolf, secondo cui gli oneri contributivi non versati ammontano in media a 1,6 miliardi, emerge che in questo comparto il “sommerso” si mangia circa 2,5 miliardi di euro di tasse. IL
Più nel dettaglio: il cosiddetto tax gap Irpef collegato al lavoro domestico, stando alla “relazione sull’economia sommersa” integrata nella Nadef, è risultato pari nel 2020 a 904 milioni di euro. Il documento bollinato dal ministero dell’Economia indica che l’Irpef non versata dai dipendenti irregolari ammontava nel complesso a 3,8 miliardi nel 2020.
Insomma, un quarto delle entrate erariali non pervenute è imputabile a colf e badanti. Se si guarda invece al totale della base imponibile evasa nel 2020 dai dipendenti irregolari l’asticella si posiziona sopra i 33 miliardi di euro, di cui 7,8 miliardi sono associabili al lavoro domestico.
Intanto, evidenzia l’ultimo bollettino di Assindatcolf, tra le associazioni più rappresentative del settore, nel 2022 è aumentata considerevolmente a causa dell’inflazione la spesa delle famiglie italiane per colf, badanti e babysitter. Secondo i dati del rapporto diffuso da Assindatcolf il mese scorso, le famiglie italiane hanno registrato nei primi sei mesi del 2023 un aumento medio del costo dei servizi di assistenza forniti dai collaboratori domestici pari a 58 euro (che salgono fino a sfiorare gli 80 euro netti nel caso delle badanti), il che ha inevitabilmente avuto pesanti ricadute sui budget familiari.
«Restiamo convinti afferma Assindatcolf in vista della prossima legge di Bilancio che per sostenere economicamente le famiglie, ma anche per porre un argine al dilagare del lavoro sommerso, occorra modificare la fiscalità introducendo la totale deduzione del costo che i datori sostengono per colf, badanti e baby sitter.
Una spesa irrinunciabile come quella per la non autosufficienza e per i bambini non tutti possono permettersela. È quindi fondamentale che a fianco della deducibilità fiscale si dia spazio a un assegno unico più sostanzioso e che arrivi presto la prestazione universale per la non autosufficienza».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 9th, 2023 Riccardo Fucile
AL CENTRO DELLA ROTATORIA SCOPPIA UNA RISSA. SCOMPARE E POI RICOMPARE UN BORSELLO CON MILLE EURO DENTRO: “BEVONO, PIPPANO E POI VENGONO A FARE CASINO”
Vista dall’alto sembra una corsa a tappe. Un chilometro o poco più che prende vita solo di notte. Studenti universitari e giovanissimi, attratti dai prezzi vantaggiosi e dall’assenza di regole. Cicchetti di vodka e amaro che partono da due euro, cocktail a 5. «Sono annacquati da fare schifo, ma alla fine dopo il terzo ci fumi sopra e la botta parte», afferma Diego che ha 17 anni, ma senza problemi prende da bere: «Ho la barba quindi sembro più grande. Nessuno mi ha mai chiesto i documenti».
Quella di piazza Bologna non è ancora una malamovida. Non ci sono gli eccessi di Trastevere o San Lorenzo, dove lo spaccio ha preso il sopravvento su tutto il resto. Ma l’impatto a colpo d’occhio è notevole e ormai da qualche anno ha messo in difficoltà i residenti storici. Per loro le notti tranquille del passato solo un ricordo. Le strade diventano vive all’improvviso, dopo le dieci e mezzo di sera e in alcuni punti è difficile chiudere occhio.
Ci sono i fighetti con i mocassini e il pullover legato sulle spalle. I pischelli in tuta e le ragazze che vestono kombat e crop, le magliette aderenti che lasciano l’ombelico scoperto. Lo struscio parte da viale Ippocrate, dove con due euro si prende da bere e si finisce a chiacchierare appoggiati alle macchine in sosta.
«È molto più tranquillo di quello che si pensi – racconta un giovane romano, Alessandro Non ci sono gli spacciatori. Se uno vuole comprarsi qualcosa va a San Lorenzo» . Nelle serate più calde, la folla invade entrambe le carreggiate della strada. Accanto a un gruppo di studenti campani, ci sono anche 5 pariolini che si sono dati appuntamento dopo una cena stellata. «Diciamo che qui puoi trovare di tutto, ma non ci si mischia – spiega Sara, studentessa catanese – ma fuori dall’università è difficile entrare in confidenza coi romani».
L’odore di olio bruciato che proviene da una friggitoria è nauseabondo. Ma la fila per le patatine fritte è continua. «Dopo che uno ha bevuto o fumato scatta la fame chimica e viene qui», aggiunge Sara. L’alternativa, si trova a poca distanza, in viale delle Province, dove si aspetta anche mezzora per addentare un pangocciole al cioccolato. Si compra e si rimane a mangiare in strada, in attesa del prossimo drink.
I bicchieri di plastica sono dappertutto e c’è già chi è in hangover. «Amò, devo vomità» , si sfoga Ginevra parlando a un’amica. Sono sedute sulle scale dell’ufficio postale. «Dai annamoce a beve un’altra cosa. Ma non lì che sono tutti calabresi». Con calabresi si intendono tutti gli universitari fuorisede, a prescindere dalla loro provenienza.
All’interno del parco, sotto i murales dedicati a Falcone e Borsellino, un gruppo di sudamericani spara musica a tutto volume da una cassa Bluetooth. A ballare sono tutti quelli che passano. Come Daniele, del Tuscolano, che cambia faccia quando capisce di aver perso il borsello Vuitton. «Lo avevo appoggiato sulla panchina, ce stanno mille euro dentro. Se non esce fuori faccio un casino». Nel giro di pochi istanti l’atmosfera diventa tesa. Il portafoglio è ricomparso, lo aveva preso un amico per scherzo. Se la cava con una spinta, ma la rabbia è pronta a esplodere di nuovo quando un passante lo ferma per la maglietta:
«Bella, l’hai presa da Alessietto da Ostia?». Diego lo guardia in cagnesco, poi diventa una furia. Gli amici lo trattengono ,ma nella concitazione volano due sedie. A riportare la calma è un giovane misterioso. Prende di petto Diego e lo rimette in riga. Per tutta la sera è rimasto a osservare. Quando qualcuno sta per litigare, si alza e mette pace. Sembra un poliziotto di quartiere, ma al collo ha una catenina d’oro che potrebbe pesare un quintale. «Questa è una generazione perduta – afferma – bevono, pippano e poi vengono a fare casino. Ma io se vedo queste cose intervengo».
Quando verso le due e mezzo la piazza inizia a svuotarsi ci sono le ragazze che aspettano il taxi: « È da venti minuti che chiamiamo» . A poca distanza, sulla via Tiburtina, un 19enne a bordo di una Smart, invece, ha appena abbattuto un semaforo
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »