Ottobre 24th, 2023 Riccardo Fucile
LA STROMBAZZATA RIFORMA DELLE INTERCETTAZIONI E LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE SONO FINITE IN FONDO ALL’AGENDA DELLA DUCETTA… MENTRE L’ISPEZIONE DISCILIPLINARE DECISA PER IL CASO ARTEM USS È RIUSCITA A FAR INCAZZARE ALLO STESSO TEMPO MAGISTRATI E AVVOCATI
La notizia non è tanto che anche il governo Meloni sia entrato in rotta di collisione con la magistratura, destino condiviso praticamente con tutti gli esecutivi della Repubblica, ma che sia riuscito a mettere d’accordo per una volta magistratura e avvocati su alcune pessime iniziative del Guardasigilli Nordio.
Ci si riferisce in particolare al caso Artem Uss, l’imprenditore russo sospettato di spionaggio dagli americani e fuggito dall’Italia nell’aprile scorso dopo la decisione del tribunale di Milano di metterlo ai domiciliari.
Decisione compiutamente motivata e dunque “intangibile”. Ma non per l’attuale esecutivo che invece, con un’iniziativa senza precedenti, ha spedito degli ispettori per un’inchiesta disciplinare conclusasi, come era ovvio, nel nulla. È stata però la prima volta che un ministro ha tentato un intervento a gamba tesa su una sentenza (garantista) facendo sollevare le camere penali di tutt’Italia prima ancora dell’Anm: uniti nella lotta per ribadire l’indipendenza della magistratura
Un “vizietto” che si è ripetuto con il pesante affondo della Premier sulla giudice di Catania, Apostolico, rea di aver applicato la giurisprudenza della Cassazione e della Corte Costituzionale in tema di libertà personali, anche di extracomunitari.
In compenso sono svanite nel nulla la riforma delle intercettazioni, la separazione delle carriere e la discrezionalità dell’azione penale, relegate in fondo all’agenda Meloni. Con il ministro Nordio partito garantista e finito giustizialista. È la giustizia sovranista, tutta chiacchiere e distintivo. Voto: 4.
(da La Stampa)
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Ottobre 24th, 2023 Riccardo Fucile
“NON SO COSA RESTERA'”
La guerra distrugge e rade al suolo: vite e palazzi, certo, ma anche, persino più in profondità, l’immagine dell’Altro, ridotto nella percezione di chi subisce razzi, bombe o attentati a nient’altro che «il massacratore». Un nemico monolite indistinguibile, da combattere con ogni mezzo. È la dinamica di molti conflitti, e quello riesploso da 17 giorni tra israeliani e palestinesi non fa eccezione. Anzi, lo eleva all’ennesima potenza.
Lo conferma la voce che risponde via Whatsapp di Iyad Alasttal, regista e documentarista palestinese nato e cresciuto a Khan Yunis, dove è tornato dopo gli studi in Francia per vivere e raccontare la sua terra.
Un racconto di drammatica sofferenza sotto i pesanti bombardamenti che Israele sgancia quotidianamente sulla Striscia dal giorno in cui terroristi di Hamas hanno invaso il suo territorio facendo strage di circa 1.400 persone. E di fili di speranza mescolati con un odio per la parte avversa che si fa sempre più profondo e inguaribile.
«Viviamo sotto l’embargo israeliano da quasi 17 anni, ma dal 9-10 ottobre siamo sotto assedio completo», racconta Iyad al telefono, confermando la disastrosa situazione umanitaria: «Non c’è acqua né gas, né benzina o medicine. Dopo due settimane di guerra la comunità internazionale ha sventolato come un successo l’accordo negoziato per far entrare 20 camion al giorno di aiuti. Ma qui le stime reali sono che ci sia bisogno di 3-400 camion al giorno di cibo, gas, benzina, farmaci».
Sfollati e aiuti: che succede nel sud della Striscia
Khan Yunis, dove Iyad vive oggi con moglie e tre figlie, si trova nella parte sud della Striscia, a una decina di chilometri da Rafah, il valico di confine con l’Egitto da cui entrano alla spicciolata gli aiuti ed escono nei fin qui rari casi d’intesa gli ostaggi fatti prigionieri dagli islamisti (4 su 222). Una zona meno colpita dai raid israeliani nelle precedenti guerre con Hamas (2009, 2014, 2021), ma che in questi giorni non è risparmiata dal duro contrattacco aereo dell’Idf.
«La situazione è pericolosissima in tutta la Striscia», racconta Iyad: «Sentiamo i colpi dell’esercito israeliano in continuazione, giorno e notte, anche qui al Sud». Il regista racconta di aver perso dall’inizio delle nuove ostilità 60 persone della sua famiglia allargata, e ogni giorno porta nuovi lutti. «Non ci sono luoghi sicuri», dice.
La parte meridionale della Striscia è quella verso cui da settimane Israele ha sollecitato i civili della zona nord a defluire, in vista della massiccia operazione contro i terroristi di Hamas – di cui pure la parte terrestre pare al momento rinviata.
L’Onu parla di circa 1,4 milioni di sfollati interni alla Striscia in cerca di riparo: «Sì, qui a Khan Yunis arrivano famiglie ogni giorno. Vengono ospitati soprattutto in scuole e ospedali, ma le condizioni di vita sono pessime: si ritrovano a dover dormire anche dieci famiglie in ogni classe di scuola, senza lenzuola, acqua, cibo. E sull’intero piano c’è una sola toilette».
Ad alleviare le difficoltà dei rifugiati interni, testimonia il documentarista, è la risposta spontanea dei locali. «C’è grande solidarietà. La gente di qui, di Rafah o di Khan Yunis, condivide tutto. Sa di vivere la stessa situazione e si fa la stessa domanda: se sfuggiremo alla morte dagli attacchi israeliani sopravviveremo senza cibo e medicine?».
Restare o partire
Da ragazzo Iyad ha lasciato Khan Yunis per approdare in Corsica, dove ha studiato cinema grazie a una borsa di studio. Ma ha scelto poi di tornare a casa per raccontare, ci dice, «la vita quotidiana a Gaza: gli artisti, le donne, gli sportivi, i disabili, tutto ciò che non si vede nel racconto dei media».
Il suo progetto si chiama, o si chiamava, Gaza Stories. «Ora però non so più cosa potrò mostrare della vita quotidiana di Gaza». In Francia Iyad ha tuttora amici e connessioni, anche professionali, e un visto Schengen tuttora valido. Inevitabile chiedergli se di fronte alla nuova guerra e allo sfacelo di cui si è fatto testimone nei giorni scorsi anche per il Nouvel Observateur non stia pensando di lasciare Gaza. La domanda è per lui lacerante. «Vivo nell’incertezza sin dalla prima guerra contro la Striscia. Vorrei far crescere le mie figlie nella nostra cultura, nel nostro posto. Ma allo stesso tempo vorrei farle crescere in un ambiente stabile e sicuro per il loro futuro».
Ma al momento, tutto sommato, prevale il primo intento: «Anche quand’ero da solo in Francia non ero mai contento, sapendo che i miei cari soffrivano quaggiù mentre passeggiavo per i bei quartieri di Parigi in tutta sicurezza. Preferisco morire a casa mia piuttosto che vivere in una falsa serenità in Europa».
Poi si adira: «È l’occupazione israeliana che stravolge le nostre vite, i responsabili dovrebbe finire di fonte alla giustizia internazionale». Conclusione, per sé e la sua famiglia: «Vorrei solo poter vivere in pace e sicurezza qui a Gaza».
Le responsabilità di Hamas e l’orizzonte con Israele
Già, la pace. Ma a cosa pensa esattamente oggi un cittadino palestinese come Iyad quando pronuncia quella parola? Alla possibilità di vivere un giorno in pace accanto a Israele? Ci pensa bene, il regista di Khan Yunis, poi risponde con una metafora: «Due montagne non s’incontrano mai. Loro vogliono prendersi tutta la Palestina, noi vogliamo la liberazione dei prigionieri e il diritto di ritorno», scandisce. «Dobbiamo resistere con tutti i mezzi», chiosa.
In quel tutti ci sono anche gli assassini indiscriminati, stupri, torture e rapimenti scatenati da Hamas 17 giorni fa? Iyad è a disagio, vorrebbe non rispondere. Ma lo fa: «Io resisto con la mia forma di resistenza personale – il cinema. Altri con altre forme. I francesi durante la Seconda guerra mondiale non accoglievano certo gli occupanti tedeschi con corone di fiori no?». Vale tutto, dunque, perfino nascondersi come fanno quotidianamente i tagliagole di Hamas dentro chiese, moschee e ospedali, trasformando i civili palestinesi in scudi umani? «Non difendo quel partito politico – concede Iyad – ma subiamo tutti la stessa cosa: è l’occupazione israeliana a non fare distinzione tra civili e “resistenti armati”. Vogliono ripulire tutto, e cacciarci da questa terra».
(da Open)
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Ottobre 24th, 2023 Riccardo Fucile
LA STRISCIA QUOTIDIANA DI RETE4 NON RISENTE DELL’AUTOSOSPENSIONE DEL SUO CONDUTTORE
Continua l’assenza di Andrea Giambruno dalla conduzione di Diario del giorno, anche oggi 24 ottobre portava avanti dalla giornalista Manuela Boselli.
Dopo la pubblicazione dei fuorionda da parte di Striscia la notizia, lo scorso venerdì il giornalista Mediaset si era autosospeso per una settimana. Su di lui pende la valutazione dell’azienda, che secondo indiscrezioni a breve potrebbe decidere sul suo futuro.
Secondo quanto emerso dai quotidiani in edicola oggi, il desiderio di Giambruno è di tornare in video il prima possibile. Un modo per ripartire provando a spegnere le polemiche e lasciandosi tutto alle spalle.
Ma le ipotesi sul suo destino professionale non escludono per lui anche un ruolo dietro le quinte. Altro scenario sarebbe quello del ritorno alla conduzione di un telegiornale, dopo che in passato era stato mezzobusto di Studio Aperto su Italia 1.
Nel frattempo gli ascolti non sembrano aver risentito dell’assenza del suo conduttore. Diario del giorno nelle mani dei colleghi di Giambruno ha mantenuto i livelli precedenti alla vicenda dei fuorionda, oltre alla rottura del rapporto con Giorgia Meloni.
La puntata del 23 ottobre condotta da Boselli ha ottenuto 446mila spettatori, con il 5,36% di share. Alla vigilia del fuorionda sfornati da Antonio Ricci, la trasmissione aveva 477mila spettatori, con il 5,2% di share.
(da agenzie)
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Ottobre 24th, 2023 Riccardo Fucile
MASSA E’ IL POPULISMO PROGRESSISTA, MILEI EP IL POLULISMO DI MERCATO
Ancora una volta i sondaggi non hanno fotografato una situazione che è cambiata radicalmente negli ultimi 10 giorni della campagna elettorale. Il risultato del primo turno in argentina ha dell’incredibile soltanto se analizzato con gli occhi di un anno fa.
Nel frattempo l’opposizione di centrodestra si è lacerata per scegliere il candidato, con le due anime, quella liberale e quella radicale in lotta, mentre emergeva la figura bizzarra di Javier Milei, l’anarco-liberista che prometteva guerra alla casta e dollarizzazione dell’economia.
Ma il dato meno analizzato è stato il passaggio a ministro dell’Economia di Sergio Massa nel luglio del 2022. Senza nessuna competenza in materia, l’avvocato Massa riuscì però nel suo piano di creare le condizioni per diventare candidato del peronismo contro il volere della stessa Cristina Kirchner. La sua arma è stata l’erogazione a pioggia di soldi, sovvenzioni, esenzioni fiscali e sanatorie. Tutto a debito, tutto a discapito della lotta all’inflazione che quest’anno ha toccato il 143%, senza nessuna incidenza sulla povertà, ormai attestata sulla soglia del 45% della popolazione. Soldi facili e subito. E nel paese dove quasi metà della popolazione dipende dallo Stato, sia come lavoratore, come pensionato o come percettore di aiuti, la campagna mediatica che puntava sulla paura che il candidato Milei togliesse questa pioggia di soldi è funzionata alla grande, anche perché Milei stesso confermava di volerlo fare.
Nel ballotaggio del 19 novembre si scontreranno quindi le due facce della stessa moneta, la sintesi dei populismi latinoamericani. Massa è il populismo progressista sulla carta, ma causa di povertà e inflazione e Milei il populismo di mercato, che ragiona su una società ideale molto lontana dalla realtà. Il populismo di chi dice con me sarai sempre povero ma ti darò una mano e quello di chi dice, ti devi arrangiare da solo perché soltanto nel libero mercato ti puoi realizzare.
Sono posizioni estreme su temi universali che non trovano ovviamente un sintesi in paesi come l’Argentina che avrebbe invece bisogno di normalità. Per i moderati, la scelta da fare a novembre è ardua perché l’offerta è appunto radicale, ma anche per i progressisti o per i liberali che devono turarsi il naso e votare uno dei due candidati che agitano bandiere della destra o della sinistra senza però farne parte a pieno titolo. Si è sempre pensato che l’America latina fosse un laboratorio politico per l’Occidente, e se questo è vero, l’Argentina è il laboratorio dello scienziato pazzo, dove vengono preparate strane pozioni colorate e spumeggianti belle da vedersi, ma che alla fine non cambiano la realtà né guariscono nessuno.
(da Huffingtonpost)
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Ottobre 24th, 2023 Riccardo Fucile
KEIR STARMER PROMETTE DI SOSTENERE INFRASTRUTTURE STRATEGICHE, RISANARE IL SISTEMA SANITARIO E COSTRUIRE 1,5 MILIONI DI CASE
La recente netta vittoria dei laburisti inglesi ai danni dei tories in due storici collegi elettorali, Mid Bedfordshire, nell’est dell’Inghilterra dove i residenti sono tra i più ricchi della media del Regno Unito – feudo dei conservatori ininterrottamente dal 1931 – e quello di Tamworth, poco fuori Birmingham, bacino elettorale degli eredi della Thatcher sin dal 1996 quando venne istituito, sono la dimostrazione che la scelta di puntare su sir Keir Starmer alla guida del partito è sicuramente quella vincente.
Qualcuno dirà che sono solo elezioni suppletive, ma ormai è evidente che i Tory stanno consegnando, dopo la storica vittoria del 2019 di Boris Johnson che conquistò 365 seggi (l’asticella della maggioranza assoluta era a 326, 80 in più dei laburisti), su un piatto d’argento il prossimo governo ai laburisti.
A confermarlo non sono solo i sondaggi. Il partito conservatore in questi anni ha sbagliato tutto, o quasi: dalla gestione della tanto voluta Brexit, travolto dagli scandali dello stesso Johnson, dall’instabilità finanziaria sui mercati provocata dalle continue incertezze della premier Liz Truss, dalle lotte intestine. E poi come si fa a cambiare tre governi in una sola estate e cinque in pochi anni senza pensare di incrinare il rapporto, la sintonia con i cittadini di re Carlo III.
Alle prossime elezioni previste per la fine del 2024 e le prime settimane del 2025 ed a qual punto dopo quasi 15 anni d’opposizione e quattro sconfitte elettorali consecutive (2010, 2015, 2017, 2019) possiamo tranquillamente supporre che, se non ci saranno imprevisti, i laburisti torneranno al potere.
Stabilmente avanti nelle intenzioni di voto di 18/20 punti sui Tory. Il sistema elettorale a turno unico non dovrebbe fare brutti scherzi, anche se le insidie non mancano. Nelle proiezioni per circoscrizione mancherebbero, secondo gli analisti, ancora 30 seggi per la maggioranza assoluta. Comunque, nel caso dovesse servire un governo di coalizione, che Starmer preferirebbe evitare, i liberaldemocratici sarebbero ben disponibili all’ingresso.
Come e con quali idee i laburisti si presenteranno in campagna elettorale?
Starmer guida il partito dal 2020 dopo la peggiore sconfitta del Labour da 84 anni, imputabile alla leadership di Jeremy Corbyn, ritenuto da gran parte degli inglesi troppo estremista e fautore di un programma di rinazionalizzazione inattuabile in un economia di mercato. Sir Starmer ha messo all’angolo l’ala più estremista della gestione Corbyn, estirpato l’antisemitismo, spostato al centro la barra del partito, riprendendo a parlare con le imprese. E allo stesso tempo si è presentato al pubblico come colui che è in grado di riprendere la crescita e gestire le finanze pubbliche, “totalmente nell’interesse dei lavoratori”. Un messaggio rivolto anche alla sinistra del partito preoccupata che le politiche del Labour non prendano la deriva solo degli interessi del business. Oggi i laburisti di Starmer, che “antepongono il Paese al partito”, sono nettamente al fianco della NATO, sostengono senza se e senza ma l’Ucraina, sono uniti nella condanna delle violenze di Hamas. Siamo in presenza di una politica che si ispira a quella di Blair e non è un caso se vicino a lui siedano alcuni dei consiglieri di allora, tra tutti Peter Mandelson, lo spin doctor del New Labour.
L’ultimo passaggio per chiudere il cerchio Starmer l’ha fatto qualche settimana fa nel consueto appuntamento annuale che i laburisti tengono a Liverpool, scaldando i motori prima del voto politico. Al Congresso ha di fatto confermato la linea “centrista” della sua azione politica. Anche con qualche contraddizione per chi si candida alla guida di una grande potenza del G7: come sulle politiche di contrasto ai cambiamenti climatici.
A Liverpool non ci sono state proposte dirompenti o toni accesi, nessuna riforma radicale sul tavolo. Con il titolo del manifesto “riprendiamoci il futuro” Starmer ha ribadito la visione seguita sino ad oggi, con l’ambizione di riconciliare il Labour con la classe lavoratrice come avvenne nel 1945 quando si trattò di costruire una nuova Gran Bretagna dopo le macerie della Seconda Guerra Mondiale, oppure nel ‘64, quando l’obiettivo fu quello di modernizzare un’economia lasciata indietro dal ritmo della tecnologia, ed infine nel ‘97, quando si rimise in piedi lo stato sociale. Oggi, ha detto Starmer, tra gli applausi dei delegati, dobbiamo essere in grado di fare tutte e tre le cose. “Più tempo, più energia, più possibilità di vita. Abbiamo bisogno della capacità di guardare avanti, di andare avanti, senza ansie. Ecco cosa significa riprenderci il nostro futuro”, queste le sue parole.
I punti chiave del suo programma sono: sostenere i progetti in infrastrutture strategiche attraverso un fondo nazionale e la partnership pubblico-privato; risanare, dopo i violenti tagli dei governi conservatori, il sistema sanitario nazionale (NHS); modificare il regime fiscale privilegiato per gli stranieri residenti ma “non domiciliati”; costruire 1,5 milioni di case; riformare le norme sul lavoro ritenute troppo flessibili, con l’abolizione dei contratti a zero ore e l’aumento del salario minimo; rilanciare l’economia verde e gli investimenti in energia rinnovabile. Qui Starmer, tuttavia, è meno incisivo e il suo programma ha qualche falla, anche se gioca facile dopo le ultime uscite del premier conservatore Rishi Sunak, che a chiare lettere ha adottato l’idea che bisogna frenare e non accelerare la riconversione verde.
Per il leader laburista invece l’energia pulita dovrà costare meno di importare i combustibili fossili. Come? Raddoppiando l’eolico terrestre, triplicando l’energia solare, quadruplicando l’eolico offshore. Investendo nel nucleare, idrogeno, nella cattura del carbonio e nell’energia delle maree. E nello stesso tempo rassicurando i lavoratori del settore petrolifero e del gas che i giacimenti saranno sfruttati per decenni a venire, sino ad esaurimento. La società pubblica Great British Energy avrà il compito di trovare le risorse e gestire gli investimenti. Nel complesso una spinta ambientalista minimale, in particolare se guardiamo e la paragoniamo al piano USA di Biden per la lotta ai cambiamenti climatici. Un pò poco, troppo poco difronte alle grandi sfide che attendono il Pianeta. Quindici anni fa il Regno approvò un’importante legge sul cambiamento climatico, un faro. Pionieristico se si pensa che allora l’opinione pubblica era meno attenta e interessata di oggi. A Liverpool è mancata questa lungimiranza, ma ha prevalso la realpolitik.
(da Huffingtonpost)
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Ottobre 24th, 2023 Riccardo Fucile
“PER I SOVRANISTI IL DIVORZIO NON E’ UN PROBLEMA, MA POI NON TOLLERANO GLI OMOSESSUALI”
L’anniversario del primo anno di governo non è caduto in un momento facile per Giorgia Meloni. Lo scenario internazionale con la guerra in Ucraina, il conflitto in Medio Oriente, una Manovra varata in ristrettezza, con poche risorse e pochissime idee. Ma soprattutto l’addio rumoroso al compagno Andrea Giambruno. Con la sfera privata diventata pubblica, data in pasto ai social. E persino i sospetti che dietro i fuori onda di Striscia la notizia, in cui il compagno si abbandona a commenti sessisti con alcune colleghe, potesse esserci la famiglia Berlusconi. Di tutto questo abbiamo parlato con Chiara Saraceno, sociologa tra le più accreditate in Italia.
Professoressa, questa è l’ora più buia per Meloni?
“Dal punto di vista della sfera privata dipende da come stava andando il suo rapporto ma da quello che si è capito non pare che stesse andando bene. Certamente l’essere stata costretta a consumare la separazione in pubblico non è stato semplice. Forse la cosa più buia per lei è che è coinvolta anche la figlia. Quello che è successo, le motivazioni per cui il papà e la mamma si separano è di dominio pubblico. Sono cose dure per una madre da spiegare alla figlia anche se questa bambina non legge ora i giornali. In questo, direi, che è la sua ora buia. Probabilmente è un momento di grande sofferenza ma ne esce con una notevole manifestazione di dignità e di forza. E lo dico pur non amandola”.
Meloni ha sostenuto che contro di lei ci sono state meschinità mai viste
“Non so con chi ce l’avesse perché non è stata certo la sinistra, non è stata l’opposizione a tirare fuori questa storia”.
Nel fuori onda reso pubblico dalla trasmissione Mediaset vi legge una sorta di ritorsione della famiglia Berlusconi e di Forza Italia nei confronti della premier?
“Questo non lo so, non mi permetto di dirlo. Quella è una trasmissione che si autoproclama libera anche se io la trovo semplicemente volgare. Braccare le persone non fa parte dei miei stili relazionali. Può darsi che non ci fosse un disegno contro Meloni. Mi viene un po’ difficile credere che la famiglia Berlusconi volesse metterla così in difficoltà. Se fosse vero sarebbe una cosa di altissimo cattivo gusto. Ci sono tanti modi di fare lotta politica. Questo è un modo – se fosse un atto politico – infimo”.
C’era un conflitto di interessi che ha finito per schiacciare la premier considerando che il suo compagno si occupava anche di politica?
“C’è stata sicuramente una mancanza di prudenza sia da parte del compagno sia da parte della Meloni che gli avrebbe potuto consigliare di continuare a fare il giornalista ma non a parlare di politica. Perché del resto non è che prima lo facesse molto. È stata una scelta azzardata e forse la famiglia Berlusconi pensava di fare un piacere promuovendolo ma anche lì è stata un’imprudenza, forse non era il caso. Potevano anche dargli una cosa di prestigio ma parlando di altro e non di politica. Comunque il problema non era che parlasse di politica il problema è che è una persona volgare. Peraltro non è stato beccato per le sue affermazioni politiche ma sul fatto che le ragazze che vengono violentate se la cercano o che i migranti fanno le transumanze come le pecore”.
Meloni dice di no ma, secondo lei, è ricattabile anche per via dei parenti che la circondano al governo e nel suo partito?
“Più che ricattabile è ‘colpibile’. È esposta, per meglio dire, perché se i suoi più stretti collaboratori che svolgono un ruolo politico sono anche suoi parenti questo la rende più vulnerabile a qualsiasi leggerezza questi facciano. Già normalmente si guarda a quello che fanno i parenti dei politici. Lei li ha messi in una posizione, dando loro un ruolo politico, per cui deve considerarsi anche lei responsabile”.
Quanto è successo svela una contraddizione in termini tra i proclami su Dio, patria e famiglia di Meloni e la sua vita privata?
“Non è la prima volta che succede questo. Anche Silvio Berlusconi quando andava in visita in Vaticano diceva che sulla famiglia avrebbe fatto quello che faceva piacere al Papa e, dopo, nella sua vita privata faceva quel che gli pareva. Non è una cosa nuova, ahimè soprattutto tra i cattolici che hanno le loro vite complicate come quelle di tutti noi. Quello che preme a Meloni, al suo partito e anche a Matteo Salvini non è che la gente sia sposata o che divorzi. Sono gli omosessuali che loro non sopportano. Non tollerano le famiglie composte da persone dello stesso sesso. Tutto il resto gli va anche bene. Quando loro parlano di famiglia intendono che questa dev’essere fondata su una coppia eterosessuale”.
C’è chi la accusa anche di aver strumentalizzato questa storia del compagno per rafforzare il consenso attorno alla sua immagine.
“Non esageriamo. Il suo compagno l’ha messa in piazza, in imbarazzo. E lei l’ha licenziato in pubblico a questo punto. Comunque, pur non provando simpatia per lei, c’è da dire che qualsiasi cosa avesse fatto l’avrebbero criticata. Invece ha fatto anche sobriamente quello che doveva fare”.
Che bilancio fa del primo anno di governo Meloni?
“Non ha fatto nulla di rilevante, aveva promesso cose grandiose ma ha scoperto che non le poteva fare. Ha dato un colpo al cerchio e uno alla botte. Rispetto alle promesse non ha fatto nulla. O meglio ha fatto alcune cose tremende come il decreto Cutro e l’aver tolto il Reddito di cittadinanza. Cose deprecabili e anche un po’ azzardate. Su questo, in realtà, è stata coerente rispetto alle promesse. Coerente nell’attacco agli ultimi, ai poveri, ai migranti e agli emarginati”.
(da La Notizia)
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Ottobre 24th, 2023 Riccardo Fucile
LA RICCHEZZA SPOSTATA AL DI FUORI DEI CONFINI ITALIANI È DI 186 MILIARDI DI EURO, QUASI IL 10% DEL PRODOTTO INTERNO LORDO NAZIONALE
Il rapporto diffuso ieri dalla onlus Oxfam sull’evasione e l’elusione fiscale comincia con una citazione di Benjamin Franklin: «A questo mondo niente è certo, tranne la morte e le tasse». Segue un’amara considerazione del premio Nobel dell’Economia Joseph Stiglitz: «I miliardari possono non aver ancora raggiunto l’immortalità, ma di certo sono diventati sempre più abili nello sfuggire al fisco. Negli ultimi decenni la globalizzazione ha creato nuove possibilità di evasione e di elusione, che vengono sfruttate dalle aziende multinazionali e dai ricchi di tutto il mondo».
Purtroppo i governi di sinistra, convertiti alla “terza via” negli anni ’90, hanno contribuito potentemente a questa deriva, e la stessa Unione europea ha proposto come virtuosa una concorrenza tributaria fra Stati che di fatto ha favorito i paradisi fiscali.
Quanto ai numeri, il rapporto Oxfam dice che la ricchezza spostata al di là delle frontiere dei Paesi dove è stata prodotta ha raggiunto nel 2022 i 12.000 miliardi di dollari su scala globale, pari al 12% del Pil planetario. Per l’Italia il valore è di 186 miliardi di euro, quasi il 10% del Pil nazionale. Questi dati riguardano sia l’evasione fiscale transfrontaliera (illecita) sia l’elusione, che è formalmente lecita, ma di fatto si basa sullo sfruttamento delle debolezze dei sistemi legali e tributari […]
Tutto questo si legge nella prima edizione del Global Tax Evasion Report, pubblicato dall’Osservatorio Fiscale Europeo e diffuso da Oxfam. Il rapporto mette nel mirino la «contribuzione fiscale irrisoria dei miliardari», che raramente supera lo 0,5% del reddito.
In apparenza, ma solo in apparenza, le cose sono migliorate nell’ultimo decennio, visto che «grazie all’introduzione dello scambio automatico di informazioni sui conti finanziari» la vera e propria evasione fiscale si è molto ridotta in dieci anni: nel 2013 il 90% dei capitali offshore evadeva le tasse, adesso questo è vero “solo” per il 27%. Ma non c’è stato vero progresso, perché il terreno perso dall’evasione è stato guadagnato dall’elusione.
Gli utili delle multinazionali trasferiti dalle giurisdizioni a tassazione d’impresa medio-alta verso paradisi fiscali societari, è un altro dato del rapporto, hanno raggiunto nell’ultimo anno preso in esame la cifra astronomica di 1.000 miliardi di dollari, equivalenti a circa il 35% di tutti i profitti realizzati fuori dalle giurisdizioni delle relative imprese capogruppo.
E il fenomeno è particolarmente grave nel continente europeo. Per l’Italia l’ammanco erariale è stimato in quasi 5,3 miliardi di euro.
Oxfam deplora anche l’indebolimento della “global minimum tax” sulle multinazionali, rispetto al modello inizialmente negoziato: secondo la Ong la nuova versione della norma dimezza, da 270 a 136 miliardi di dollari l’anno, gli introiti attesi, su scala globale, nel primo anno di applicazione dell’imposta. Per l’Italia il gettito atteso (che si manifesterà a partire dal 2025) dalla misura sarà di meno di 500 milioni di euro all’anno a regime.
(da La Stampa)
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Ottobre 24th, 2023 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA NEL RAPPORTO DELLA COMMISSIONE EUROPEA
Unione europea e riscossione dell’Iva, i conti non tornano. E nelle casse erariali mancano almeno 60,8 miliardi di euro di imposte non riscosse.
E’ quanto ha perso l’Unione, nel 2021, secondo i calcoli della Commissione europea, e contenuti nell’ultimo rapporto che misura il divario dell’Iva, vale a dire la differenza tra le entrate teoricamente previste e l’importo effettivamente riscosso. Il problema riguarda tutti, e qualcuno pià di altri.
L’Italia è il primo Paese dell’Ue per differenziale tra riscossione attesa e riscossione effettuata. Sono 14,6 miliardi di euro di Iva mancante, secondo le stime della Commissione, che, al netto di problematiche tutte tricolori, riconosce comunque dei miglioramenti.
«Alcuni Stati membri come l’Italia (-10,7 punti percentuali) e la Polonia (-7,8 punti percentuali) hanno registrato riduzioni particolarmente notevoli dei rispettivi divari nazionali dell’Iva». Ciò non toglie che l’Italia, da sola, rappresenta un quarto di tutti gli introiti mancanti da Iva non riscossa nel territorio dell’Unione europea.
Paolo Gentiloni, commissario per l’Economia e la fiscalità, non ci sta. «Dobbiamo dare un forte impulso anche a livello dell’Ue», dice. Un richiamo generale, per non ammonire direttamente ed esclusivamente il suo Paese. A tutti chiede «accelerazione e facilitazione dell’accesso delle autorità fiscali alle informazioni sulle transazioni tra imprese», oltre ad «attuare le nostre proposte per l’Iva nell’era digitale». Vuol dire Pos, il sistema di pagamento elettronico su cui tanto l’attuale governo si opposto.
(da agenzie)
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Ottobre 24th, 2023 Riccardo Fucile
“IL POPOLO PALESTINESE È STATO SOTTOPOSTO A 56 ANNI DI SOFFOCANTE OCCUPAZIONE. I TERRIBILI ATTACCHI DI HAMAS NON POSSONO GIUSTIFICARE LA PUNIZIONE COLLETTIVA DEL POPOLO PALESTINESE. CI SONO CHIARE VIOLAZIONI DEL DIRITTO UMANITARIO”
Mentre resta altissima la pressione di Israele sulla Striscia di Gaza, anche se l’offensiva di terra pare al momento congelata in attesa di novità sul fronte degli ostaggi, s’infiamma lo scontro politico internazionale attorno alla guerra in Medio Oriente. Con uno scambio al veleno senza precedenti tra il governo di Gerusalemme e i vertici dell’Onu.
A dar fuoco alle polveri diplomatiche, la dichiarazione odierna del segretario generale Antonio Guterres sulla genesi della nuova ondata di violenza: «È importante riconoscere che gli attacchi di Hamas non sono arrivati dal nulla», ha detto Guterres parlando al Palazzo di Vetro di New York, ricordando come «il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione».
Per spezzare il circuito della guerra, secondo Guterres, è necessario riconoscere che «le sofferenze del popolo palestinese non possono giustificare gli spaventosi attacchi di Hamas», ma anche che «quegli attacchi spaventosi non possono giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese».
Guterres ha rinnovato quindi l’appello ad un cessate il fuoco umanitario. Ma è bastata la sua prima frase a scatenare l’ira di Israele. «In che mondo vive, signor segretario generale?», gli ha chiesto dalla stessa tribuna il ministro degli Esteri Eli Cohen, che all’Onu ha rievocato i dettagli più truci degli assassini e dei rapimenti perpetrati da Hamas: «Certamente non nel nostro mondo».
Quindi Cohen ha fatto sapere di non avere alcuna intenzione di incontrare Guterres: «Dopo il 7 ottobre non c’è spazio per un approccio equidistante. Hamas deve essere cancellato dal mondo».
Ancor più esplicita la reazione dell’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Gilad Erdan: «Guterres mostra comprensione per la campagna di omicidi di massa di bambini, donne e anziani: non è adatto a guidare l’Onu. Si dimetta immediatamente»
(da agenzie)
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