Ottobre 17th, 2023 Riccardo Fucile
“LAVORIAMO IN CONDIZIONI MOSTRUOSE, CON UN CARICO DI LAVORO DECUPLICATO A FRONTE DI UN ORGANICO DIMEZZATO, ESPOSTI ALLE PRESSIONI DEL GOVERNO”… IL BLUFF DELLE PROCEDURE ACCELERATE PREVISTE DAL DECRETO CUTRO: “APPLICARE LE NUOVE NORME È IMPOSSIBILE”
Duecento funzionari, e neanche tutti formati ( altro “regalo” del decreto Cutro) per 85.000 richieste d’asilo. Per convocare i migranti, ascoltare le loro storie, ricostruire le loro vite, verificare, istruire le pratiche. E soprattutto valutare, con coscienza e competenza, se concedere un qualche tipo di protezione o negarla.
Le commissioni d’asilo sono le sliding doors per chiunque arrivi in Italia illegalmente: una nuova vita o l’espulsione. Ma è sulle spalle di uno sparuto manipolo di funzionari del ministero dell’Interno che ricade non solo il delicato sistema dell’asilo ma adesso anche la scommessa delle procedure accelerate di frontiera per chi arriva dai Paesi sicuri, strumento — secondo il Viminale — che dovrebbe contribuire ad aumentare il numero effettivo dei rimpatri.
«Una illusione, altro che procedure accelerate. Lavoriamo in condizioni mostruose, con un carico di lavoro decuplicato a fronte di un organico dimezzato e fortemente esposti alle pressioni del governo di turno. Adesso, ad esempio, l’indicazione è quella di favorire l’alleggerimento dei centri di accoglienza», racconta la funzionaria di una delle commissioni territoriali di Roma.
Per la prima volta, i funzionari del ministero dell’Interno componenti delle commissioni per l’asilo hanno indetto uno sciopero nazionale per il 9 novembre con un presidio in piazza Santi Apostoli.
«La politica approva norme impossibili da applicare. Quello dei commissari per l’asilo è un lavoro molto complesso e il decreto Cutro ha aggravato la situazione prevedendo che possano esservi adibiti anche funzionari senza competenza specifiche, dopo un corso di formazione che spesso non viene fatto. C’è un enorme problema di diritti da garantire», dice Adelaide Benvenuto, coordinatrice nazionale della Fp Cgil.
Qualche numero aiuta a capire: nel 2022, su 85.000 richieste di asilo presentate, sono state adottate 58.000 decisioni, ma il più delle volte si tratta di istanze vecchie di 2-3 anni.
E infatti l’arretrato è di oltre 51.000 pratiche a cui devono aggiungersi le circa 17.000 dei cosiddetti dublinanti, cioè i migranti approdati in Italia ma andati altrove e che gli altri Paesi europei ci hanno rimandato indietro.
Quando furono isituite, nel 2017, dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, le commissioni per l’asilo potevano contare su un organico di 429 funzionari, tutti con competenze specifiche, assunti con un concorso dedicato. Adesso sono appena 200 e alla insostenibile carenza di organico, con il decreto Cutro, il governo ha pensato di porre rimedio prevedendo che qualsiasi funzionario delle prefetture possa essere assegnato alle commissioni. E pazienza se non ha le competenze necessarie, dalle nozioni di geopolitica a quelle di diritto internazionale, dalle convenzioni alla normativa sui rifugiati.
«La conseguenza è facilmente intuibile », spiega una delle commissarie, «sappiamo bene che non tutti i migranti hanno i requisiti per lo status di rifugiato. Noi dovremmo fare da filtro, valutare storie personali e situazione nei Paesi d’origine, adottare i decreti adeguatamente motivati in modo da evitare che i tribunali siano intasati da una valanga di ricorsi. Cosa che invece puntualmente accade anche perché non sempre le nostre decisioni sono argomentate come si deve».
E adesso le procedure accelerate di frontiera, sbandierate dal governo come lo strumento per rimandare a casa rapidamente chi arriva da Paesi sicuri e dunque presumibilmente non otterrà mai un permesso di soggiorno. Nell’unico centro per richiedenti asilo istituito ad hoc, a Modica-Pozzallo, finora sono passati solo una ventina di tunisini, poi liberati dai giudici di Catania.
«Anche le questure sono sotto organico e spesso ci stanno mesi a formalizzare le richieste di asilo e noi in nove giorni dovremmo valutare e decidere. Impossibile. Chi di noi può scappa e va altrove. E poi, diciamolo, a chi non lo sa. La stragrande maggioranza delle persone a cui neghiamo la protezione non viene rimpatriata».
(da la Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 17th, 2023 Riccardo Fucile
MA NON CHIARISCE COME VERRÀ “COPERTO” IL RESTANTE TERZO DELLE SPESE… SU PENSIONI, SPENDING REVIEW E PRIVATIZZAZIONI IL TESORO RESTA SUL VAGO. E IPOTIZZA UN FANTOMATICO “PIANO B”
La prossima legge di bilancio «continuerà ad essere orientata a principi di prudenza, cercando il giusto equilibrio tra l’obiettivo di fornire il sostegno necessario all’economia e quello di assicurare sia il rientro del deficit al di sotto della soglia del tre per cento del Pil, sia un percorso di riduzione credibile e duraturo del debito».
§A leggerlo così, il Documento programmatico di bilancio (Dpb) presentato dall’Italia alla Commissione europea – di fatto lo scheletro della manovra – fa tirare un sospiro di sollievo a chi, fra i più esperti, vede da lontano i rischi per i conti italiani. Scorrendo il documento – per ora l’unica versione ufficiale in vista della Finanziaria per il 2024 – il sollievo lascia spazio a molti dubbi.
La manovra – come è noto – verrà finanziata per i due terzi da nuove spese, aumentando il deficit fino al 4,3 per cento, una dozzina di miliardi in più di quel che era stato programmato fino a poche settimane fa. Ma il Dpb non chiarisce come verrà finanziato il restante terzo delle spese.
Sui risparmi, ad esempio: ieri in conferenza stampa il ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti ha annunciato quattro miliardi nel 2024, un miliardo in più di quel che aveva detto qualche giorno prima durante la presentazione di un altro documento, la Nota di aggiornamento dei conti (Nadef). Sul Dpb sono indicati invece solo due miliardi, e non c’è traccia dell’intenzione (sempre esplicitata da Giorgetti) di introdurre il principio di tagli lineari del 5 per cento a tutte le amministrazioni che non si adegueranno ad un piano di spending review.
Oppure le pensioni: ieri Giorgetti a sorpresa ha parlato di “accessi molto più restrittivi alle uscite anticipate” e la decisione di superare quota 103, aumentando di un anno l’età pensionabile per chi ha 41 anni di contributi. Non solo: ha ipotizzato regole diverse su tutti gli italiani interessati da regole flessibili (donne e lavoratori in settori usuranti). Ma anche in questo caso il documento spedito a Bruxelles non riporta traccia di questa intenzione.
In mancanza di certezze sulla tenuta della crescita (gli esperti sono unanimi nel dire che l’1,2 per cento fissato dal governo nel 2024 sia troppo ottimistico) per dare sostanza all’intenzione di tenere a bada il debito ci si potrebbe affidare alla carta delle privatizzazioni. Il governo ne ha annunciati per venti miliardi nel triennio, ma il Dpb non chiarisce quali e quando. Il testo parla genericamente dell’ “avvio” di un piano di dismissioni.
Il quadro economico internazionale è carico di incognite, la prima delle quali l’andamento dei prezzi energetici. Scrive il Dpb: “La politica economica impostata dal governo sin dal suo insediamento è coerente con gli orientamenti espressi dalla Commissione europea, rivolti in primo luogo alla necessità di continuare ad attenuare in modo temporaneo e mirato gli impatti su famiglie e attività economiche”. Ma che accadrebbe nell’ipotesi in cui i prezzi di petrolio e gas dovessero schizzare all’insù a causa delle tensioni in Medio Oriente e Ucraina? E dunque che ne sarebbe dei conti italiani nel caso in cui la Banca centrale europea dovesse essere costretta a mantenere a lungo i tassi di interesse per tenere a bada l’inflazione?
La stima di crescita dell’Italia – scrive il documento – “è basata su un criterio prudenziale: lo scenario prospettato tiene conto dei rischi connessi alle previsioni, in particolare quelli riguardanti le implicazioni che il complesso quadro geopolitico, l’orientamento delle banche centrali e il rallentamento del commercio mondiale possono esercitare sulle scelte di famiglie e imprese. Va tuttavia sottolineato che, essendo il quadro presentato a legislazione vigente, eventuali interventi di politica economica potranno rappresentare un fattore di supporto alla crescita e alla mitigazione dei rischi a cui l’economia è esposta”.
In sintesi: se necessario il governo è pronto a un piano B, quel che non è ancora del tutto chiaro è la tenuta del piano A, fatto per ora di sostegno ai redditi più bassi, famiglie e consumi interni, ma per la gran parte in deficit. L’articolato della Finanziaria, atteso entro fine mese in Parlamento, dovrà iniziare a dare qualche risposta oltre quelle note.
(da La Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 17th, 2023 Riccardo Fucile
COSA SUCCEDE ORA? IL PRESIDENTE, DUDA, ELETTO CON IL PIS, PROBABILMENTE DARÀ IL PRIMO INCARICO AL SUO PARTITO, CHE AVRÀ TEMPO FINO A DICEMBRE PER PROVARE A TROVARE UNA MAGGIORANZA. MA È UN’IMPRESA IMPOSSIBILE, POI TOCCHERA’ ALLA COALIZIONE EUROPEISTA
Anche al termine (100%) dello spoglio dei voti delle elezioni parlamentari in Polonia di domenica scorsa, si conferma che il partito nazionalista “Diritto e Giustizia” (Pis) guidato da Jaroslaw Kaczynski è arrivato primo, con il 35,38% dei voti, seguito dall’alleanza elettorale europeista “Coalizione Civica” (Ko) di Donald Tusk, che ha ottenuto il 30,70%. Ko è però la reale vincitrice dato che ha intenzione di coalizzarsi con due formazioni minori aggregando il 53,71% dei voti mentre il Pis è isolato. I dati sono riportati sul sito internet della Commissione elettorale nazionale polacca.
L’alleanza di centro-destra “Terza Via”, che ha dichiarato di volersi coalizzare con la Ko, ha ottenuto il 14,40% e quella social-democratica “La Sinistra”, altro partner di Tusk, l’8,61%.
Il partito di estrema destra “Confederazione”, che non intende allearsi con il Pis, con il 7,16% è l’ultima delle cinque formazioni che hanno superato le soglie di sbarramento ed entrano nel Sejm, la decisiva Camera bassa del parlamento polacco. I risultati finali hanno uno scostamento massimo di meno di due punti rispetto all’exit poll di domenica sera.
Spesso i grandi cambiamenti in Europa iniziano dalla Polonia. Lech Walesa, il leader di Solidarnosc e della rivoluzione che investì tutto il paese più di trent’anni fa, lo ripete ogni volta che può: la prima spallata al Muro di Berlino l’ha data Danzica, quindi lui, quindi i suoi concittadini.
Domenica è successo che i polacchi, quelli che trent’anni fa erano già adulti, ma soprattutto i figli e i nipoti, si sono messi pazientemente in fila davanti ai seggi, hanno atteso con le borse termiche e le tazze di té in mano in un giorno di freddo il loro turno per votare. Ed è successo che quel voto è una conferma di quanto la democrazia polacca sia matura e di quanto loro, i polacchi, cittadini e opinione pubblica, ci tengano a preservarla
E’ successo che Donald Tusk ha vinto pur arrivando secondo, posizione che per lui, da maratoneta esperto che corre a ogni latitudine e temperatura, non era mai stata così tanto gradita.
Lo spoglio più lento del previsto ha confermato gli exit poll che indicavano un vincitore troppo solitario per poter governare e sprovvisto di alleati: il PiS ha vinto ma non ha abbastanza numeri né alleati collaborativi a cui appoggiarsi perché Konfederacja, il partito di estrema destra che qualche mese fa sembrava pronto a diventare il terzo più votato del paese, si è fermato al 7 per cento e a una manciata di deputati da portare in Parlamento, insufficienti ad aiutare il PiS a formare il terzo governo consecutivo in otto anni.
Un’alleanza con Jaroslaw Kaczynski è difficile da accettare, è bravo a convincere e comprare, ma chiunque abbia accettato si è ritrovato politicamente distrutto. Dopo averne visti tanti masticati e neutralizzati, i partiti di oggi non accettano neppure di trattare con il PiS.
Donald Tusk invece ha lavorato sulle alleanze ed esiste già un blocco unico che è pronto a governare insieme ed è costituito dalla Coalizione civica guidata dall’ex premier ed ex presidente del Consiglio europeo, da Sinistra e da Terza via.
Adesso si tratta di attendere, perché sarà probabile che il presidente Andrzej Duda dia prima al PiS, il suo partito, il mandato di formare un governo, attenderà il suo fallimento fino a dicembre e poi chiamerà Donald Tusk, la sua Coalizione civica, i suoi alleati, il suo simbolo: il cuore rosso e bianco.
Adam Bodnar è un avvocato, un attivista per i diritti umani, fa parte del partito di Tusk ed è entrato in Senato. Dice al Foglio che “l’opposizione è riuscita a vincere le elezioni anche grazie ai cittadini che da otto anni hanno protestato e sono riusciti a preservare i valori democratici”.
“Abbiamo invertito la rotta che ci stava portando verso l’autoritarismo e abbiamo dimostrato al mondo e all’Europa che con grande energia, determinazione, costanza si possono battere anche i governi che cercano di erodere diritti e valori democratici. E’ sempre stata questa la forza travolgente della Polonia, la grande differenza con la vicina Ungheria: i polacchi hanno vigilato, protestato e nel momento in cui il rischio di perdere la democrazia si faceva concreto, per il governo sono stati un tormento.
C’è chi inizia a parlare di chi sarà il prossimo premier. I più cauti dicono di non sapere, i più emozionati fanno senza esitazione il nome di Tusk e dicono: “Tutto questo l’ha fatto lui”, indicando un qualcosa davanti a loro come se stessero contemplando il disegno di una nuova Polonia.
Chi è in vena di pettegolezzi racconta che Tusk sarà il premier sparigliatore, quello che troverà il compromesso con gli alleati, che affronterà tutti problemi a muso duro contro un’opposizione che non sarà semplice da gestire, in quanto numerosa, e poi, quando le cose saranno più tranquille lascerà il posto a qualcuno più giovane.
In pochi temono colpi di mano da parte di Kaczynski, rispondono che la forza della Polonia è democratica, e i polacchi hanno dimostrato cosa sono disposti a fare, cosa pensano del leader del PiS, al quale l’ex ministro degli Esteri Radoslaw Sikorski, frequente bersaglio della propaganda della televisione pubblica, augura una serena pensione politica.
Domenica Tusk, come sempre, era andato a correre, aveva percorso quasi nove chilometri lungo un tragitto fra i boschi che casualmente aveva proprio la forma di un cuore. Poi era tornato a casa e aveva messo di fronte al suo gatto Rudy due ciotole, una con la scritta Ko (Coalizione civica), l’altra con la scritta PiS. Rudy aveva scelto la prima.
Alla serata elettorale era arrivato con una consapevolezza: il cambiamento era già iniziato, i segnali c’erano tutti.
(da Il Foglio)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 17th, 2023 Riccardo Fucile
INVECE SI INDEBOLIRÀ ANCHE IL POTERE NEGOZIALE NEL CONSIGLIO EUROPEO E IN COMMISSIONE E NON CONTERÀ UN CIUFOLO
Senza l’alleato polacco al potere Giorgia Meloni è sicuramente più sola, ma forse più libera. Lo spoglio delle schede è stato vissuto con una certa apprensione anche a Roma. Le elezioni in Polonia, infatti, rappresentavano uno dei passaggi chiave per i progetti europei di Meloni.
Anche i più ottimisti tra gli italiani di Ecr (il gruppo dei conservatori europei, presieduto da Meloni) ieri erano ormai convinti che il PiS di Mateusz Morawiecki e Jaroslaw Kaczynski difficilmente resterà al governo. Così, ora a Palazzo Chigi si deve correggere la strategia.
Se l’isolamento politico di Meloni è innegabile, c’è chi, tra i fedelissimi della premier, vede il lato positivo. Senza più la presenza ingombrante dei polacchi, Meloni infatti è più libera di poter compiere quell’avvicinamento ai popolari europei in vista della scelta del presidente della Commissione Ue.
La maggioranza Ursula, allargata a Meloni,è uno degli obiettivi dichiarati di Manfred Weber, capogruppo del Ppe, che ieri, infatti, celebrava la vittoria di Donald Tusk. La presenza del PiS, infatti, ha rappresentato un ostacolo per ogni movimento della premier.
Il bicchiere, però, è soprattutto vuoto. L’uscita di scena del PiS dal governo polacco, infatti, ridurrà significativamente il peso dei Conservatori all’interno del Consiglio europeo (l’organo in cui siedono i leader dei 27 Paesi Ue) e del Consiglio dell’Unione europea (la camera legislativa che rappresenta i 27 governi).
Con ripercussioni sulla distribuzione delle cariche ai vertici delle istituzioni Ue che andrà in scena dopo le elezioni. Reclamare posizioni-chiave nella prossima stanza dei bottoni, dopo il voto polacco, sarà più difficile. E questo a prescindere dall’esito delle Europee.
Attualmente, Italia, Polonia e Repubblica Ceca – tutte e tre guidate da un premier conservatore – contano su un pacchetto di voti che vale circa il 25%, perché il “peso” di ciascuno Stato all’interno del Consiglio è dato dalla popolazione rappresentata. Senza Varsavia, però, il gruppo dei Conservatori vedrà ridurre la sua influenza al tavolo dei governi.
Dopo le prossime Europee, con ogni probabilità, al Parlamento europeo continuerà la coalizione formata da popolari, socialisti e liberali. Sarà questo, come quattro anni fa, il punto di partenza per dare il via alla legislatura. Rispetto alle precedenti elezioni, la novità sarà legata a un possibile coinvolgimento dei conservatori. Non nell’ottica di una “maggioranza alternativa” con il Ppe, un’ipotesi che concretamente non è mai esistita, ma piuttosto di un allargamento verso destra dell’attuale coalizione, sorretta non più da tre, ma da quattro pilastri.
Il punto è che il quarto pilastro, senza la Polonia, sarà indubbiamente più debole e questo è certamente un problema per Meloni perché sarà più difficile ottenere una carica di vertice. Anche gli equilibri all’interno della Commissione risentiranno di un cambio di governo a Varsavia. I commissari sono nominati dai governi e la rappresentanza politica all’interno dell’esecutivo Ue (fatta eccezione per il presidente) è slegata dall’esito delle Europee.
(da la Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 17th, 2023 Riccardo Fucile
“FAZIO E’ EREDE DI ARBORE. NONOSTANTE I TANTI DISPETTUCCI CHE GLI SONO STATI FATTI IN PASSATO HA SEMPRE MANTENUTO IL SELF CONTROL E NE È USCITO VINCITORE”
Successo strepitoso che per Nino Frassica dovrebbe essere quasi un’abitudine, da Quelli della Notte a Don Matteo. Ma un pizzico di scaramantico stupore misto a pudore, continua a conservarlo.
La prima telefonata è con Fabio Fazio al mattino, rilevamenti alla mano, gioia, un peso levato dal cuore. Dunque l’amico con la maiuscola, Renzo Arbore che si complimenta.
Frassica, ve lo aspettavate?
«Non così strepitoso. Solo i grandi ottimisti, quelli che non tengono i piedi per terra potevano immaginarlo. Meglio del previsto, questo sì».
E come è stato possibile ?
«Siamo riusciti a dirottare gli abitudinari convincendoli che da noi avrebbero trovato quello che avevano lasciato con qualcosa in più. Altri si sono avvicinati per curiosità di capire se avremmo snaturato il programma e la rete ci avrebbe condizionato. Non sottovaluterei anche la buona campagna pubblicitaria pensata da Fazio che ha creato aspettativa alta».
Dica la verità, un pensiero alla Rai l’avete mandato?
«Certo: Peggio per chi non ci ha voluto!!! Avevamo contro Report che è un bellissimo programma ma non posso dire che mi dispiaccia com’è andata».
Si è ritrovato pure con Maurizio Ferrini, suo compagno di divano in Quelli della notte, contento?
«Certo, Ferrini, Paolantoni, Arboreggiamo un po’. Fabio Fazio è l’erede di Arbore, gli manca solo il clarinetto. Renzo è un nostro fan è noi ci ispiriamo a lui, alla bella tv che lui sapeva fare che unisce quantità e qualità. Ci piacerebbe venisse a trovarci, noi lo aspettiamo a braccia aperte, so che si sente spesso con Fabio».
Il “Premio Cuore t’Oro” a chi lo darebbe?
«A Fabio, non c’è dubbio. Stanotte gli ho scritto “Sei un mago”. Ha pagato la buona educazione. Nonostante i tanti dispettucci che gli sono stati fatti in passato lui ha sempre mantenuto il self control e ne è uscito vincitore».
(da La Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 17th, 2023 Riccardo Fucile
TRADOTTO: RESTERÀ UN SOLO MILIARDO, DEDICATO A UN PIANO PER ABBATTERE LE LISTE D’ATTESA GRAZIE AL MAGGIORE RICORSO AI PRIVATI E AD AUMENTARE GLI STRAORDINARI A MEDICI… INVECE CHE ASSUMERNE ALTRI, LI FANNO LAVORARE DI PIÙ (BEL LAVORO)
Un Piano per abbattere le liste d’attesa, pagando di più gli straordinari a medici e infermieri ma anche il privato convenzionato. Una manciata di soldi, 250 milioni nel 2025 e poi 350 negli anni a venire per assumere il personale sanitario che servirà a far funzionare Case e Ospedali di comunità, i pilastri della nuova sanità territoriale, che avranno bisogno però di ben altre risorse per non trasformarsi in scatole vuote.
C’è questo e qualche norma di contorno nel capitolo sanità della manovra, che sul piatto mette 3,3 miliardi in più rispetto a quelli programmati. Anche se di soldi da spendere per far funzionare meglio le cose ci sarà appena un miliardo, visto che 2,3 sono vincolati al rinnovo del contratto di medici e infermieri.
Che intanto vedono raddoppiare o quasi il compenso per le ore di straordinario finalizzare alla riduzione delle liste di attesa, portando da 60 a 100 euro quello dei medici e da 30 a 60 la retribuzione degli infermieri. Non c’è però la detassazione al 15% dell’indennità di specificità medica, che da sola sarebbe valsa 200 euro netti in più nelle buste paga di tutti i dottori.
La critica già mossa dai sindacati di categoria in merito è nota: non è facendo lavorare di più i medici già asfissiati da turni infernali che si risolverà il problema delle liste d’attesa, che richiedono invece nuove assunzioni. Farle non sarà però semplice, visto che resta l’anacronistico tetto di spesa per il personale ancorato a quello del 2004, diminuito pure dell’1,4%.
Ma la vera mina vacante restano i 6 miliardi di sfondamento del tetto di spesa per i dispositivi medici, cose come tac e risonanze, ma anche siringhe e tamponi.
Nella manovra non ci sono ne ripiani e nemmeno innalzamenti di quel tetto sottostimato. Che rischia così di cadere e rompere la testa delle aziende di settore e delle regioni, a cui spetta ripianare al 50% gli sforamenti di spesa.
(da La Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 17th, 2023 Riccardo Fucile
GLI INTERESSI DI SAIPEM E FINCANTIERI PER ESTRARRE MINERALI DAL PROFONDO DEGLI OCEANI E IL FRONTE EUROPEO CHE CHIEDE UNA MORATORIA
La transizione ecologica ha bisogno innanzitutto di nuove materie prime. E la corsa per accaparrarsele rischia di spostarsi nelle profondità più oscure e inesplorate del nostro pianeta: i fondali oceanici. È lì che diversi Paesi e aziende di tutto il mondo vorrebbero dare vita a una nuova enorme industria: il Deep sea mining, ovvero l’estrazione di metalli e altri materiali dal fondale degli oceani. Una pratica che ha scatenato un’ondata di sdegno e critiche non solo da parte delle principali associazioni ambientaliste, ma anche della comunità scientifica. Se non altro, per una questione di principio: perché andare a cercare i cosiddetti critical raw materials – tutti quei materiali ritenuti indispensabili per la transizione energetica – in uno dei pochissimi habitat incontaminati rimasti sulla Terra? Di recente, questa domanda è finita anche sul tavolo dell’Autorità Internazionale dei Fondali Marini (AIFM), l’agenzia dell’Onu incaricata proprio di regolamentare le attività sui fondali marini e oceanici. All’ultima assemblea che si è svolta a luglio a Kingston, in Giamaica, è andato in scena uno scontro tra chi vorrebbe dare finalmente il via libera alle esplorazioni commerciali – aprendo di fatto allo sfruttamento delle risorse depositate sui fondali – e chi si sbraccia per impedire la nascita di una nuova (ennesima) industria inquinante.
La valutazione di Pichetto Fratin
Finora l’Italia non ha espresso una posizione ufficiale su questo tema, anche se i segnali sembrano puntare decisamente in una direzione. «Una delle tante sfide che ci attendono è la corsa al mondo subacqueo e alle risorse geologiche dei fondali – ha detto la premier Giorgia Meloni qualche settimana fa intervenendo al Forum “Risorsa Mare” di Trieste –. Un dominio nuovo nel quale l’Italia intende giocare un ruolo di primo piano». Ora è il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin a delineare meglio la posizione del governo italiano. «L’Italia – fa sapere il ministero a Open – è convinta della necessità di applicare puntualmente il “principio di precauzione” relativamente allo sfruttamento commerciale delle risorse minerarie presenti nei fondali marini (cd. deep sea mining) per prevenire ed evitare possibili gravi ed irreparabili danni ambientali alla biodiversità, agli ecosistemi e possibili inquinamenti marini». Insomma, di estrazioni minerarie in acque profonde se ne può parlare. A patto però, precisa il Mase, di raggiungere «un’adeguata conoscenza dell’impatto ambientale di tali attività» e adottare «un solido regime regolatorio».
La corsa agli abissi
L’interesse dell’industria mineraria verso i fondali marini risale agli anni Sessanta. È in quel periodo che alcuni articoli scientifici parlano per la prima volta della possibilità di avviare estrazioni minerarie in acque profonde, dove secondo gli esperti si trovano scorte quasi illimitate di «noduli polimetallici» che contengono grosse quantità di cobalto, nichel e altri materiali. Nel 1994 entra in funzione l’ISA, l’organo delle Nazioni Unite fondato proprio per vigilare su tutte le attività connesse ai minerali presenti nei fondali marini internazionali. Da allora, sono state rilasciate una trentina di licenze esplorative, ma l’ISA non ha mai acconsentito allo sfruttamento commerciale. Almeno per ora. Negli ultimi anni, infatti, alcuni Paesi e aziende minerarie – prima su tutte, la canadese The Metals Company – hanno intensificato il pressing per ottenere il via libera alle attività di estrazione. Un’ipotesi che le associazioni ambientaliste vogliono evitare ad ogni costo. «Ci troviamo in un momento storico cruciale: possiamo fermare un’industria estrattiva prima che questa inizi. Sarebbe come andare indietro nel tempo per impedire la nascita dell’industria petrolifera», commenta Francesca Vespasiani di Greenpeace International.
I rischi ambientali
A riaccendere l’interesse verso il potenziale dei fondali marini è il processo innescato dalla transizione ecologica, che porterà la domanda di alcuni materiali – i cosiddetti critical raw materials – a crescere esponenzialmente. C’è solo un problema: i fondali oceanici sono tra i pochissimi habitat incontaminati presenti sulla Terra e non abbiamo idea di quali conseguenze avrebbe il deep sea mining sull’ecosistema marino. «I rischi ambientali sono enormi – spiega Vespasiani –. Ma anche di fronte alla non conoscenza delle possibili conseguenze, ci sono alcuni governi pronti a dare il via libera. Moltissime specie marine di cui non sappiamo nulla ma che siamo già pronti a sacrificare». La perdita di biodiversità è sicuramente la principale conseguenza negativa delle estrazioni minerarie in acque profonde. Ma non è l’unica. Tra gli altri rischi citati da associazioni ambientaliste ed esperti figurano anche l’inquinamento acustico, l’inquinamento luminoso e il danno sociale per le popolazioni dell’Oceano Pacifico – è lì che l’industria ha diretto la propria attenzione – la cui sussistenza dipende dalla pesca. «Nelle aree dove sono stati fatti i primi test si sono registrate altissime penurie di pesci – aggiunge l’attivista di Greenpeace –. Per non parlare del fatto che i fondali oceanici sono ambienti fragili: i loro ritmi di riproduzione sono molto lenti».
Gli schieramenti internazionali
L’ultima assemblea dell’Aifm, che si è svolta a luglio in Giamaica, è stata preceduta da numerose proteste dei movimenti ambientalisti. Ciò che in molti si aspettavano era l’adozione di un mining code, una regolamentazione che rappresenterebbe di fatto il primo passo verso la successiva concessione delle prime licenze commerciali. Alla fine, però, le cose sono andate diversamente. «La mancata approvazione del mining code è stata un’importante vittoria – commenta Vespasiani –. Il numero di Stati che sta prendendo posizione cresce giorno dopo giorno». Ciò che chiedono le associazioni ambientaliste è una moratoria del deep sea mining, che sul lungo periodo potrebbe trasformarsi in un divieto vero e proprio delle attività minerarie in acque profonde. Una richiesta su cui si sono espressi in modo favorevole diversi Paesi, fra cui: Francia, Spagna, Germania, Canada, Cile, Nuova Zelanda, Svezia, Finlandia, Portogallo. Anche la Commissione europea e il Parlamento europeo hanno votato a favore di una moratoria. A sedere sul lato opposto del tavolo, e a spingere invece per il via libera alle estrazioni minerarie, è soprattutto la Norvegia. Con Russia, Cina e Stati Uniti che non hanno preso una posizione ufficiale ma – precisa Vespasiani – «si sono espressi più volte a favore del deep sea mining».
La posizione dell’Italia
E l’Italia? All’interno dell’Aifm il nostro Paese gioca un ruolo di primo piano e fa parte – insieme a Cina, Russia e Giappone – del gruppo dei «grandi consumatori». Finora il governo italiano non aveva mai preso una posizione ufficiale, ma le parole della premier Meloni al Forum di Trieste sembravano lasciar trasparire che anche l’Italia avesse tutta l’intenzione di prenotare un biglietto nella corsa verso gli abissi. Ora, rispondendo a una richiesta di commento di Open, è il ministero dell’Ambiente a chiarire la posizione dell’esecutivo. «Nelle sedi internazionali – fa sapere il Mase – l’Italia sostiene la necessità di condizionare l’avvio delle attività di sfruttamento minerario al raggiungimento di un’adeguata conoscenza dell’impatto ambientale di tali attività e all’adozione di un solido regime regolatorio che la disciplini».
Il ruolo di Saipem e Fincantieri
Nessun sostegno alla moratoria, dunque, che secondo il ministero «non aiuterebbe l’obiettivo di tutelare e proteggere l’ambiente marino, rischiando invece di minare l’efficacia stessa dello strumento internazionale competente a disciplinare queste attività». Piuttosto, l’Italia insiste affinché nel mining code vengano inserite «elevate garanzie di tutela dell’ambiente marino» e di trasparenza per le aziende che operano. E a proposito di aziende, ci sono già due nomi italiani che hanno messo gli occhi sulla nuova industria dei fondali oceanici. Si tratta di Saipem e Fincantieri, che hanno firmato un memorandum of understanding per analizzare i potenziali sviluppi del mercato. Eppure, incalza Vespasiani, la posizione del governo italiano rischia di essere estremamente contraddittoria. «L’Italia è tra i Paesi che hanno firmato il trattato dell’Onu per la protezione degli oceani – ricorda l’attivista –. Non si può pretendere di proteggere gli oceani e allo stesso tempo considerare il deep sea mining. Sono due cose che non possono stare insieme».
(da Open)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 17th, 2023 Riccardo Fucile
“PRESENTANDO UN BILANCIO DI QUESTO TIPO, IL GOVERNO ITALIANO RINUNCIA A QUALSIASI RIDUZIONE DEL DEBITO”… “GLI INVESTITORI ODIANO LE SORPRESE, IMPROVVISAMENTE IL GOVERNO MELONI SI STA DISCOSTANDO DALLA PRUDENZA DI BILANCIO DIMOSTRATA NEL PRIMO ANNO”
Non è ancora una crisi, ma la luna di miele è ormai finita. Negli ultimi due mesi, la sfiducia dei mercati finanziari nei confronti del governo di Giorgia Meloni è tornata in silenzio. Una tassa eccezionale sulle banche, che ha colto di sorpresa gli investitori, una modifica delle regole di corporate governance e, soprattutto, un deficit di bilancio superiore al previsto hanno riacceso i dubbi.
A dimostrazione di queste tensioni, i rendimenti dei titoli italiani hanno raggiunto il 5% all’inizio di ottobre, quasi due punti in più rispetto ai titoli tedeschi, che si attestano al 3%. Due anni fa la differenza era di un solo punto. “Il governo italiano sta mostrando il suo vero volto”, si preoccupa Nicola Nobile di Oxford Economics in una nota. Gli investitori odiano le sorprese, e ora improvvisamente il governo Meloni si sta discostando dalla prudenza di bilancio dimostrata nel primo anno”, aggiunge un investitore con sede nella City di Londra, che conosce a fondo la politica italiana.
Il problema dell’Italia, tuttavia, è che si tratta di un Paese finanziariamente molto vulnerabile, dove i dubbi vengono regolarmente sollevati. Questo costringe ogni governo a essere molto chiaro nel suo messaggio ai mercati”. Con un debito del 140% del prodotto interno lordo (PIL), l’Italia è il Paese più indebitato dell’eurozona, dopo la Grecia. “Non pensiamo che si trasformerà in una crisi a breve termine, ma i rischi a lungo termine sono chiaramente aumentati”, aggiunge Andrew Kenningham di Capital Economics.
Tutto è iniziato così bene. Il governo guidato da Giorgia Meloni, del partito post-fascista Fratelli d’Italia, è stato molto attento a mostrare le proprie credenziali quando è salito al potere nell’ottobre 2022. La sua manovra ha seguito essenzialmente quello del suo predecessore, Mario Draghi, ex presidente della Banca Centrale Europea ed economista molto rispettato nel mondo della finanza.
“Il primo intoppo si è verificato in agosto, quando il governo italiano ha improvvisamente annunciato una tassa eccezionale del 40% sui “profitti in eccesso” delle banche, cogliendo di sorpresa gli osservatori. Le banche italiane sono immediatamente crollate in borsa e il governo ha dovuto rapidamente fare marcia indietro, riducendo alla fine la tassa aggiuntiva della metà rispetto all’annuncio iniziale.
All’epoca, gli osservatori le concedevano ancora il beneficio del dubbio: “Il primo ministro Meloni sembra intenzionata a mantenere la reputazione sorprendentemente buona che si è guadagnata da quando è entrata in carica”, scriveva Kenningham in una nota dell’epoca.
Ma questo senza considerare il bilancio per il 2024, presentato il 1° ottobre. Per il 2023 e il 2024, il governo italiano ha aumentato le previsioni di deficit. L’anno prossimo, il deficit dovrebbe essere pari al 4,3% del PIL, ben lontano dal limite del 3% fissato dal Trattato di Maastricht.
Il governo Meloni si è certamente preoccupato di fare teoricamente meglio della Francia, il cui deficit è previsto al 4,4% del PIL nel 2024: “È un modo per proteggersi, per dire che non sono i peggiori allievi”, sorride un investitore londinese. Ma i mercati sono diventati tesi. Presentando un bilancio di questo tipo, il governo italiano rinuncia a qualsiasi riduzione del debito, accontentandosi di stabilizzarlo nel medio termine. E questo sulla base di previsioni di crescita molto ottimistiche: il governo italiano prevede un aumento del PIL dell’1,2% nel 2024, rispetto alle previsioni del FMI dello 0,7%. “È evidente che l’amministrazione Meloni sta compiendo una svolta [sul bilancio]”, continua Nobile.
Nelle ultime settimane, queste incertezze economiche che circondano la Penisola hanno portato a tensioni all’interno della stessa maggioranza di governo, segno di un crescente nervosismo. In prima linea ci sono Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia e delle Finanze ed esponente della Lega, e il leader del suo partito, Matteo Salvini.
In qualità di ministro dei Trasporti, Salvini ha fatto della costruzione di un ponte sullo Stretto di Messina per collegare la Sicilia alla terraferma una delle sue priorità e spera che il costo stimato di 12 miliardi di euro sia incluso nella legge finanziaria che sarà adottata entro la fine dell’anno. Ma per il Ministro dell’Economia, il finanziamento del progetto prima del 2024 è fuori discussione.
“Il controllo rigoroso della spesa pubblica è un elemento essenziale”, insiste Giorgetti. La prospettiva delle elezioni europee ha anche acuito la competizione tra i due capi dell’esecutivo, Giorgia Meloni e Matteo Salvini, le cui formazioni politiche non sono in lizza per gli stessi gruppi al Parlamento europeo. Il capo del governo deve barcamenarsi tra il rigore di bilancio e le promesse di migliorare il tenore di vita degli italiani.
Le risorse sono poche, ma devono essere utilizzate per aumentare i salari e aumentare il potere d’acquisto”, ha spiegato ai leader dei partiti del suo governo, mettendo in guardia da qualsiasi “promessa elettorale” demagogica. È stata una risposta diretta alle ambizioni elettorali di Matteo Salvini.
Le tensioni politiche si aggiungono alle preoccupazioni economiche. “Il vero tallone d’Achille di questo governo è l’assenza di un accordo di fondo tra le sue principali componenti”, riassumeva il 5 ottobre il Corriere della Sera in un articolo intitolato “Le nostre pericolose fragilità”.
A queste difficoltà si aggiunge una nuova legge sulla corporate governance, che mette a nudo le meschinità che talvolta esistono nel capitalismo italiano. Questa legge molto tecnica, che dovrebbe contrastare la concorrenza delle borse estere, è stata deviata dal suo obiettivo iniziale quest’estate quando è passata al Senato. Sono stati presentati alcuni curiosi emendamenti che rafforzano il potere degli azionisti di minoranza.
La stampa italiana ha visto questi emendamenti come un’eco dell’epica battaglia tra la banca Mediobanca e l’assicuratore Generali, da un lato, e due dei suoi principali azionisti, il miliardario Francesco Caltagirone e i successori del miliardario Leonardo Del Vecchio, morto nel 2022, dall’altro.
Con questi emendamenti, questi ultimi avrebbero rafforzato il loro controllo su queste due pepite della finanza italiana. “I gruppi di pressione sono chiaramente intervenuti, e questo non è un buon segnale sul modo in cui vengono fatte le leggi italiane”, afferma Luca Enriques, specialista in questioni di governance all’Università di Oxford. Dopo un lungo braccio di ferro, martedì 10 ottobre la maggior parte degli emendamenti è stata ritirata.
Éric Albert et Olivier Bonnel
(da “Le Monde”)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 17th, 2023 Riccardo Fucile
I ROGHI DEL TESTO SACRO DELL’ISLAM… LE CONSEGUENZE DI QUANDO SI PERMETTE A CRIMINALI RAZZISTI DI AGIRE INDISTURBATI
L’attentato di Bruxelles, nel quale sono rimasti uccisi due svedesi, potrebbe essere legato ai roghi del Corano rogo avvenuti nei mesi scorsi. In uno dei video di rivendicazione emersi dopo i fatti di ieri, l’autore dell’attacco faceva riferimento proprio a questi fatti.
Un altro nodo è poi rappresentato dal verdetto della Corte Suprema di Stoccolma, che, nella scorsa primavera aveva annullato la decisione della polizia di vietare di bruciare il Corano in pubblico.
Ad aprile servizi segreti svedesi avevano annunciato l’arresto di cinque persone sospettate di preparare un «atto terroristico» in Svezia come rappresaglia per la copia del Corano data alle fiamme.
A gennaio un attivista della destra estremista, Rasmus Paludan, aveva bruciato una copia del Corano ad una manifestazione vicino all’ambasciata turca a Stoccolma, un gesto che aveva suscitato dure reazioni in tutto il mondo musulmano.
A giugno la polizia aveva autorizzato la richiesta di una manifestazione «sul Corano» davanti alla principale moschea di Stoccolma, strapiena di fedeli in occasione dell’inizio della festività musulmana di Eid al-Adha.
Fatti simili si sono verificati anche a Malmö, città della Svezia meridionale, dove da anni si presenta il problema convivenza tra etnie diverse che, in più occasioni, sono sfociate in disordini e violenze.
Le ultime a settembre, dopo l’ennesimo rogo del testo sacro dell’Islam.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »