Ottobre 1st, 2023 Riccardo Fucile
VISTO CHE I SOLDI PROMESSI NON ARRIVANO, SAIED MOLLA GLI ORMEGGI
Tunisi si smarca. Essere il “gendarme” a protezione dei confini degli altri, non va bene. O comunque non al prezzo stabilito dall’Europa.
“La Tunisia non può in alcun modo agire come un gendarme la cui missione è proteggere i confini degli altri. Può solo difendere i suoi confini, le proprie frontiere”. Ad affermarlo è stato il ministro dell’Interno tunisino, Kamel Fekih.
In una dichiarazione postata sull’account Facebook del ministero, Fekih ha parlato delle migrazioni irregolari come di una questione che richiede sacrifici e concessioni reciproche da parte dei Paesi più ricchi del mondo. Il ministro ha ribadito la ferma posizione del suo paese che – ha detto – mira a difendere esclusivamente i propri confini e si preoccupa di applicare le sue leggi interne.
La Tunisia, ha aggiunto, è uno stato che non può accogliere flussi massicci di migranti irregolari aldilà delle sue capacità sociali e finanziarie, né può fare da paese ospitante. Il ministro ha concluso sottolineando come ogni politica efficace sul tema passi necessariamente per un ampio consenso a livello globale su soluzioni che offrano i requisiti di una vita dignitosa ai cittadini dei paesi sub-sahariani.
“Se si stringe un accordo sull’onda dell’emergenza, se si fa capire che noi abbiamo l’urgenza di bloccare il flusso migratorio, si lascia il pallino nel campo della Tunisia, che giocoforza può agire su alcune leve per tenere Bruxelles e Roma appese alla sua volontà.- annota Bernardo Venturi, associate fellow dell’Istituto Affari Internazionali e docente all’università di Bologna, esperto di cooperazione e di Africa, in una interessante intervista al Quotidiano Nazionale.
“A mio avviso un accordo in questa fase non andava fatto. O non andava fatto solo con la Tunisia. Serviva una visione strategica più ampia che desse vita a un pacchetto multipaese che unisse investimenti economici e partnership industriali a garanzie per i diritti umani e desse ai Paesi africani un vero coinvolgimento politico nello sviluppo di politiche di crescita. Gli effetti sulle migrazioni sarebbero venuti di conseguenza”.
(da Globalist)
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Ottobre 1st, 2023 Riccardo Fucile
MA RISCHIA DI TROVARE PIÙ GENTE FUORI A CONTESTARLO CHE DENTRO AD APPLAUDIRLO… UNA TRENTINA DI ASSOCIAZIONI STANNO METTENDO IN PIEDI UN CORPOSO SIT-IN DI PROTESTA
Il 13 ottobre prossimo, atteso a Pescara nell’aula del consiglio comunale su invito della Lega per la presentazione del suo libro, “Il mondo al contrario”, il generale Roberto Vannacci rischia di trovare più gente fuori che dentro. Non proprio un comitato di accoglienza festoso quello riservato all’ex generale della Folgore da una trentina di associazioni, partiti politici, sindacati, che stanno mettendo in piedi un corposo sit-in di protesta contro la presenza in Abruzzo dell’autore del libro più contestato d’Italia.
Tra l’altro in una sede istituzionale come quella del consiglio comunale. Per non parlare del contenuto dell’opera, che il Collettivo rosa fucsia e le altre sigle: dai Giovani democratici a Rifondazione comunista, Sinistra italiana, Anpi, Cgil, comitati studenteschi, Presenza Femminista, Abruzzo Pride e tante altre, respingono con parole durissime: “La libertà di espressione va tutelata ma non può essere veicolo di messaggi di odio, offensivi, discriminanti e antidemocratici”.
Il sindaco di Pescara, Carlo Masci (Forza Italia) prende le distanze: “Non so niente della presentazione di questo libro, l’aula è concessa dal presidente del consiglio comunale”.
Dichiarazione molto diversa da quella del sindaco di Canosa Sannita, piccolo centro arroccato sulle colline teatine, dove il generale è atteso per il giorno dopo a palazzo Marcucci accolto a braccia aperte dal primo cittadino, Lorenzo Di Serio e un po’ meno dal resto della comunità (anche qui proteste e polemiche a non finire).
Intanto le associazioni che hanno organizzato il sit-in di Pescara insistono: “Un luogo istituzionale non può ospitare la presentazione di un libro che la va contro la nostra democrazia e la nostra Costituzione, con contenuti inaccettabili e offensivi a discapito delle minoranze, discriminate e appartenenti alle categorie più vulnerabili”.
Il fatto è che quando Vannacci presenterà il suo libro a Pescara non incontrerà alcun contraddittorio. Tra gli invitati al “dibattito”, oltre all’autore, ci sarà solo un generale dell’esercito in congedo.
(da agenzie)
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Ottobre 1st, 2023 Riccardo Fucile
UN ALTRO AMICO DI ORBAN
Robert Fico, 59 anni e leader del partito di ispirazione socialista Smer, ha vinto le elezioni in Slovacchia. Per lui si tratta in realtà dell’ennesimo ritorno alla guida del Paese, di cui è già stato primo ministro tra il 2006 e il 2010 e tra il 2012 e il 2018.
Tra gli aggettivi più utilizzati per descriverlo nel corso dell’ultima campagna elettorale ce n’è soprattutto uno: filo-russo.
Fico, infatti, non ha mai nascosto la propria simpatia per Vladimir Putin e negli ultimi mesi ha insistito più volte sulla necessità di fermare l’invio di armi all’Ucraina.
Ora che il suo partito è risultato il più votato alle elezioni slovacche, il leader di Smer riceverà l’incarico di formare un governo, alleandosi con ogni probabilità con Hlas, una formazione politica più moderata fondata dall’ex premier Peter Pellegrini (che ha raccolto il 15% dei voti), ma avrà bisogno dell’appoggio di un’altra decina di parlamentari per raggiungere la maggioranza.
Le origini comuniste e le prime esperienze al governo
Entrato in parlamento per la prima volta nel 1992, Robert Fico è diventato con il passare degli anni uno dei politici più controversi della Slovacchia. In quella prima esperienza politica, milita tra le fila di Sdl, nato dalle ceneri del partito comunista slovacco.
Sette anni più tardi, i tempi sono maturi per dare vita al suo di partito: Smer (in italiano, “Direzione Socialdemocrazia”). Fico presenta la sua nuova creatura come una formazione politica di centro, ma si intuisce fin da subito che il suo collocamento naturale è a sinistra.
In quegli anni, diventa il politico di opposizione più popolare del Paese e nel 2006 arriva la svolta: Smer vince le elezioni con il 29,1% dei voti e Fico promuove una nuova coalizione di governo, che già in quell’occasione vede un’alleanza con l’estrema destra del Partito Nazionalista Slovacco.
L’esperienza alla guida del Paese dura fino al 2010, quando Fico perde le elezioni ed è costretto a tornare tra i banchi dell’opposizione. Il suo partito – Smer – uscirà poi nuovamente vittorioso sia nelle elezioni del 2012 sia in quelle del 2016.
L’omicidio del giornalista Ján Kuciak e le dimissioni
Ed è proprio durante il suo terzo mandato da premier che la luna di miele tra Fico e i cittadini polacchi comincia a sgretolarsi. Sui giornali fioccano le indagini sui casi di corruzione e truffe che coinvolgono esponenti del governo, in particolare sull’uso dei fondi strutturali dell’Unione Europea. Uno dei giornalisti più attivi su questo fronte è Ján Kuciak, che viene ucciso proprio mentre indaga su questi episodi.
La sua morte dà vita a un’enorme ondata di proteste di piazza, che alla fine mettono Fico nell’angolo e lo costringono a dare le dimissioni. In quel momento, sembra chiaro a tutti che la carriera politica dell’ex premier ha le ore contate. E invece, ecco che 5 anni più tardi è ancora lui il candidato più votato di tutta la Slovacchia.
Le simpatie per Putin
Nel corso dell’ultima campagna elettorale, Fico ha puntato tutto su un cambio netto di strategia in politica estera. Ha promesso di smettere di inviare armi a Kiev, bloccare l’adesione dell’Ucraina alla Nato e ha annunciato che voterà contro ogni sanzione alla Russia.
Posizioni che, ora che Fico è uscito vittorioso dalle urne, avvicinano la Slovacchia all’Ungheria, ad oggi l’unico Paese Ue esplicitamente ostile a sostenere l’Ucraina con le armi. E non è un caso infatti che sia stato proprio Viktor Orbán uno dei primi a congratularsi con Fico per la vittoria alle elezioni: «Indovina chi è tornato! È sempre bello lavorare insieme a un patriota. Non vedo l’ora!», ha scritto il premier ungherese su X. Il nuovo leader slovacco incassa i complimenti. E nella prima conferenza stampa post-elezioni conferma di non avere alcuna intenzione di ammorbidire le posizioni espresse in campagna elettorale: «La Slovacchia ha problemi più importanti delle relazioni con l’Ucraina».
(da agenzie)
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Ottobre 1st, 2023 Riccardo Fucile
ITALIA VIVA: “CALENDA FINGE DI FARE IL MANAGER MA SI RIDICOLIZZA”
Agli operai dello stabilimento di Crevalcore della Magneti Marelli, che si trovano in presidio per protestare contro la chiusura dell’impianto decisa dalla sede centrale, non è piaciuta la visita del leader di azione Carlo Calenda al picchetto.
Quando l’hanno visto arrivare, gli uomini e le donne su cui pende la decisione del Fondo americano KKR, proprietario dello storico marchio della Motor Valley, si sono allontanati, evitando il confronto e improvvisando un’assemblea. «Non mi volete parlare», ha gridato Calenda, che negli scorsi giorni aveva raccontato la storia della Marelli, accusando i sindacati e in particolare Maurizio Landini di non avere a cuore l’azienda a causa di altri interessi. Per questo la Fiom-Cgil gli aveva fatto sapere che alla manifestazione, a cui ha fatto visita anche la segretaria dem Elly Schlein, non sarebbe stato il benvenuto, e così è stato.
La risposta di Italia Viva
Il gesto degli operai nei confronti di Calenda ha suscitato la reazione dell’imprenditrice bolognese e deputata di Italia Viva Naike Gruppioni: «Non solo per il mio impegno in politica ma anche e soprattutto perché sono una imprenditrice. So che cosa è il lavoro. Portare solidarietà agli operai, proporre soluzioni è compito anche della politica. Ma partiamo dal merito: proporre una mobilitazione dell’automotive, fra l’altro, non è una soluzione ma solo populismo. Parlando del metodo, poi, andare in mezzo a uomini e donne che stanno perdendo il lavoro alla ricerca di facili consensi è quanto di più lontano ci sia dalla politica. Calenda finge di fare il manager ma si ridicolizza: gli operai lo capiscono bene e si rifiutano giustamente di ascoltarlo. Se Calenda avesse idea di cosa significa fare impresa conoscerebbe anche chi quelle imprese le tiene in piedi ogni giorno: i lavoratori. È chiaro che non ne ha la più pallida idea», ha concluso dura la deputata.
(da agenzie)
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Ottobre 1st, 2023 Riccardo Fucile
“NON MI ISCRIVO AL PARTITO DI CALENDA”… “STARE AL CENTRO NON SIGNIFICA BACCHETTARE TUTTI, MA TROVARE UNA MEDIAZIONE”
Alla fine la conferma è arrivata: Ettore Rosato lascia Italia Viva. Dopo mesi di indiscrezioni smentite, compresa l’anticipazione data da Open già lo scorso luglio, il deputato di Iv annuncia in un’intervista a la Repubblica l’addio al partito di Matteo Renzi.
«Vado via per motivi politici, non personali. Lo sa bene anche Matteo: ci siamo parlati, ci siamo abbracciati, ma la distanza in questi mesi si era sempre più ampliata. Quando non ci si capisce più è inutile proseguire», si sfoga oggi Rosato.
La scorsa settimana era stato proprio l’ex premier ad anticipare la notizia della fuoriuscita di Rosato dal partito, alimentando i sospetti che si sia trattato più che altro di un allontanamento forzato. Rosato però smentisce: «È stata una mia decisione. Renzi se lo aspettava e in una conferenza stampa mi ha dichiarato fuori. Non so perché lo abbia fatto».
La rottura del Terzo Polo
I primi malumori con Renzi, racconta il deputato di Iv e (ormai ex) vicepresidente di Italia Viva, risalgono alla decisione dell’ex premier di rompere l’alleanza strutturale del Terzo Polo.
«Quella era la via per cambiare la politica italiana ed evitare di rassegnarsi al bipolarismo – spiega Rosato -. Poi Renzi non ci ha creduto più».
E quando la giornalista di Repubblica Serenella Mattera gli chiede se la rottura del Terzo Polo sia dovuta a un’incompatibilità caratteriale tra Renzi e il leader di Azione Carlo Calenda, Rosato risponde così: «Può darsi. La sera prima dell’ultimo incontro gli ho chiesto di non mandare una delegazione di otto di noi a discutere con Azione, ma di assumersi lui la responsabilità di trovare un’intesa con Calenda. Non ha voluto e per me è un grave errore».
Le critiche a «Il Centro»
Ora che le loro strade si sono separate, Rosato lancia anche una frecciatina al nuovo progetto di Renzi: Il Centro. Secondo il deputato, la nuova formazione politica è «il contrario di ciò che si dovrebbe fare se si vuole costruire uno spazio ampio e partecipato». Stare al centro, incalza Rosato, «non è bacchettare tutti a destra e a sinistra continuamente, ma provare a cucire e trovare soluzioni di mediazione».
L’ex presidente di Italia Viva smentisce un eventuale approdo a Forza Italia e annuncia di voler restare all’opposizione e continuare a far parte del gruppo parlamentare del Terzo Polo.
«Ora va da Calenda?», gli chiede la giornalista di Repubblica. «Non mi iscrivo ad Azione – risponde Rosato -. Naturalmente mi confronterò con Calenda e con Bonetti. In Azione ci sono tante persone con cui ho ottimi rapporti».
(da Open)
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Ottobre 1st, 2023 Riccardo Fucile
“I MINORI DEVONO SEMPRE ESSERE TUTELATI E NON POSSONO STARE NEGLI STESSI LUOGHI DEGLI ADULTI”
«Il pacchetto di misure approvato da Palazzo Chigi dimostra solo la difficoltà che ha il governo a dominare questa difficile materia. Si tratta di norme di difficilissima applicazione, per dirla in modo garbato, e poco rispettose dei diritti. Se un ragazzo non è in grado di dimostrare la minore età, che fai, lo ributti in mare?».
A valutare così la linea del governo sul dossier migranti è Giuliano Amato che, intervistato da Repubblica, aggiunge: «I minori, poi, devono essere sempre tutelati e non possono stare negli stessi luoghi degli adulti. Nel complesso si tratta di misure che servono solo a dimostrare l’esistenza di un problema, non a risolverlo».
«È una situazione difficile per tutti. Per la premier, perché pressata a destra dalla Lega. E per lo stesso Salvini che sta conducendo all’alleanza con Marine Le Pen un partito radicato nella democrazia italiana. Questo non riesco a capirlo, ma non sono il solo», osserva ancora l’ex presidente del Consiglio, quanto al confronto sul tema nel centrodestra.
(da agenzie)
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Ottobre 1st, 2023 Riccardo Fucile
IL DEBITO PUBBLICO STA ARRIVANDO A 3MILA MILIARDI DI EURO: IL COSTO DEGLI INTERESSI NEL 2026 SARÀ DI OLTRE 100 MILIARDI. L’UNICO PIANO DI RIENTRO POSSIBILE, COME SI LEGGE NELLA NADEF, È TAGLIARE LA SPESA PUBBLICA DEL 10%, FALCIDIANDO SANITÀ E SERVIZI
Il debito pubblico sta arrivando a quota 3.000 miliardi di euro e il suo costo in interessi per lo Stato raddoppierà, a oltre cento miliardi l’anno. Ora che c’è la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef), diventa […] possibile alzare il coperchio e guardare dentro i suoi obiettivi. Sulla base dei dati e delle proiezioni del ministero dell’Economia, si può misurare cosa deve succedere e cosa implicherebbe nella realtà raggiungere i risultati che il governo si prefigge.
Fra questi il più importante è proprio una sostanziale stabilizzazione del debito.
La Nadef stessa mostra almeno un paio di ottime ragioni che renderebbero essenziale fermare l’ascesa del debito e poi farlo scendere. La prima è proprio nel fatto che l’anno prossimo – o al più tardi a inizio 2025 – il totale del debito delle amministrazioni pubbliche in Italia raggiungerà quota tremila miliardi.
È una soglia simbolica, ma di rilevanza assoluta. C’è poi una seconda ragione per cui questa dovrebbe diventare la priorità di tutto il Paese: il costo degli interessi sul debito pubblico italiano (quasi) raddoppia da 57 miliardi di euro pagati nel 2020 a 103 miliardi del 2026.
Tale aumento implica che nel 2026, quando dovrebbe concludersi il ciclo del Piano nazionale di riforma (Pnrr), lo Stato spenderà più in interessi sul debito accumulato in un passato remoto e recente, che in investimenti per il futuro; e spenderà in oneri sul debito non molto meno di quanto spende per la sanità, mentre ancora nel 2020 il bilancio sanitario era pari a più del doppio della spesa per interessi.
La Nadef presenta una strategia non per invertire, ma per fermare la direzione del debito: migliorare il saldo di bilancio dello Stato di oltre tre punti di prodotto interno lordo, al netto degli interessi. In sostanza oggi lo Stato è in deficit dell’1,5% del Pil prima ancora di pagare le cedole sui suoi titoli; nel 2026 dovrà essere in surplus dell’1,6% del Pil. E perché ciò accada si può lavorare solo sulle entrate fiscali e su tutte le spese, meno che su quelle (vincolate) per interessi. È su questi fattori che si misura la credibilità del governo
Da quest’anno al 2026 le entrate fiscali calcolate in euro al valore corrente aumentano di circa 72 miliardi […]. Perché i conti tornino è dunque necessario che la spesa da adesso al 2026 cresca molto meno delle entrate. E almeno nelle tabelle della Nadef, lo fa: sempre senza contare gli interessi sul debito – che galoppano – la spesa per il funzionamento dello Stato, quella per far fronte alla Sanità e a tutte le altre prestazioni sociali cresce di appena 11 miliardi fino al 2026. Poiché in totale essa è di mille miliardi, in apparenza cresce appena dell’uno per cento.
Nella realtà invece quello presentato dalla Nadef «a legislazione vigente» è un taglio di oltre il 10% in termini reali di tutta la spesa pubblica, perché il «deflatore dei consumi» – cioè il costo della vita – si prevede che aumenti del 12% durante lo stesso periodo. In sostanza la precondizione per stabilizzare il debito – neanche per ridurlo – è un drastico taglio in termini effettivi nel bilancio dello Stato.
Per capire se può funzionare, bisogna guardarci dentro un po’ meglio. In questo periodo fra il 2023 e il 2026 la spesa per pensioni cresce di quasi 44 miliardi (più 13,7%), più in fretta dell’economia e più dell’inflazione, perché gli italiani invecchiano e gli adeguamenti al carovita sono automatici per legge.
Tutto il resto della spesa pubblica va dunque compresso o tagliato ancora di più. Infatti nelle proiezioni della Nadef i redditi degli statali decrescono del 12% in termini reali, la spesa sanitaria decresce del 9%, e così via. Al 2026 il totale della spesa pubblica, in proporzione alle dimensioni dell’economia, dovrebbe essere […] più basso di oggi di 88 miliardi di euro. Una falcidie di proporzioni storiche. È uno scenario credibile? Forse no, lo stress nella società e nella macchina amministrativa sarebbe troppo forte. Ma queste sono le sole proiezioni che permettono di far credere, almeno sulla carta, a una stabilizzazione del debito.
(da Corriere della Sera)
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Ottobre 1st, 2023 Riccardo Fucile
QUANDO UN GOVERNO PROMETTE UN MEGA-PIANO DI PRIVATIZZAZIONI, DI SOLITO FINISCE CON UN NULLA DI FATTO. CONTE, MONTI, RENZI: TUTTI HANNO FALLITO GLI OBIETTIVI, E SI SONO RIDOTTO A SVENDERE LE QUOTE NELLE PARTECIPATE
Sono l’araba fenice della finanza pubblica degli ultimi 20 anni e ovviamente il governo Meloni non poteva esimersi con obiettivi ancora più ambiziosi: “il nuovo scenario programmatico prevede proventi da dismissioni pari ad almeno l’1% del Pil nell’arco del triennio 2024-2026”, scrive Giancarlo Giorgetti nella nuova nota di aggiornamento al Def.
A conti fatti sono 21-22 miliardi di privatizzazioni in un triennio, cifra che in percentuale non si vedeva dal 2018, quando il governo giallorosa mise a bilancio dismissioni per 0,3 punti di Pil l’anno, circa 18 miliardi. Non si è arrivati nemmeno lontanamente a quelle cifre anzi, nell’autunno 2019 ( Conte II) la nota di aggiornamento al Def cifrò a zero l’obiettivo dell’anno e ridusse allo 0,2 quello del 2020 (obiettivo fallito).
Negli anni, se si eccettuano le “dismissioni immobiliari”, sempre di molto inferiori al miliardo (e nel 2022 nemmeno un euro) le privatizzazioni sono sparite dai documenti di finanza pubblica. Non è difficile capire il perché: mai si è raggiunto l’obiettivo prefissato.
L’ultimo record risale al 2003, governo Berlusconi, quando la fantasia finanziaria di Giulio Tremonti permise, si fa per dire, di portare a casa quasi 17 miliardi vendendo il 10% di Eni ed Enel, il 35% di Poste e il 30% di Cdp.
Dieci anni dopo, il governo Monti riuscì a sbandierare quasi 9 miliardi incassati, ma solo grazie alla partita di giro della vendita a Cdp delle partecipazioni in Sace, Fintecna e Simest. Ambiziosi erano anche i programmi del governo Renzi nel 2014, quando lo statista di Rignano esagerò e mise a bilancio 0,7 punti di Pil in un anno, ma a settembre già dovette rivederlo allo 0,3: si fermò allo 0,2% svendendo il 5% di Enel e quotando Poste.
L’anno dopo sparò sempre alto: 0,7 punti di Pil, arrivando a stento allo 0,3 […]. In sostanza, dal 2013 al 2017, lo Stato ha incassato meno di 16 miliardi dalle privatizzazioni a fronte di obiettivi 5 volte più alti.
Cosa dà dunque tanta sicurezza a Giorgetti di riuscire dove tutti hanno fallito? Nessuno lo sa, in programma non c’è niente: sul Montepaschi il Tesoro smentisce le voci di una cessione a pacchetti ma punta a una fusione. Restano le solite voci su una quotazione delle Ferrovie, una leggenda che va avanti da 10 anni e tecnicamente quasi impossibile. E tutto questo mentre Giorgetti si prepara a spendere 2,5 miliardi per la rete Tim.
(da il Fatto quotidiano)
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Ottobre 1st, 2023 Riccardo Fucile
DONALD TUSK: “IL GIGANTE SI E’ SVEGLIATO, VINCEREMO NOI”… UN MILIONE DI PERSONE IN PIAZZA
Sono oltre un milione, secondo le stime degli organizzatori, le persone che hanno partecipato alla manifestazione antigovernativa a Varsavia, in Polonia.
A radunare i cittadini nel centro della capitale è stato il leader dell’opposizione polacca – ed ex presidente del Consiglio europeo – Donald Tusk: «Quando vedo queste centinaia di migliaia di volti sorridenti, ho la sensazione che stia arrivando un momento di svolta nella storia della nostra patria», ha detto Tusk ai partecipanti della “Marcia di un milione di cuori”.
Il riferimento è alle elezioni generali del 15 ottobre, quando i cittadini polacchi saranno chiamati a eleggere il nuovo premier. A scontrarsi sono essenzialmente due candidati. Da un lato Donald Tusk, alla guida della coalizione liberale di centrodestra – denominata Coalizione Civica – che raduna i partiti di opposizione. Dall’altro c’è il primo ministro uscente Mateusz Morawiecki, leader del partito conservatore Diritto e Giustizia, che punta al suo terzo mandato consecutivo.
Al momento, i sondaggi danno i conservatori di Morawiecki in vantaggio di 7 punti percentuali sulla Coalizione Civica. Con la manifestazione indetta oggi a Varsavia, però, Donald Tusk ha voluto fare una dimostrazione di forza e ribadire che ha tutta l’intenzione di ribaltare l’inerzia della sfida. «Il gigante si è svegliato, vinceremo noi», ha detto l’ex presidente del Consiglio europeo alla folla.
Lo scontro elettorale tra lui e Morawiecki – alleato di ferro di Giorgia Meloni a Bruxelles – è visto in realtà anche come un referendum sul ruolo che la Polonia vuole svolgere all’interno dell’Unione Europea. Da quando i conservatori hanno assunto la guida del Paese nel 2015, il governo di Varsavia si è scontrato più volte con le istituzioni comunitarie, tra accuse di violazione dello stato di diritto e fondi europei congelati.
(da agenzie)
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