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LA NORVEGIA ALLETTA GLI INFERMIERI ITALIANI: 3.500 EURO AL MESE, VOLI E ALLOGGIO

Novembre 20th, 2023 Riccardo Fucile

IN TRE ANNI ABBIAMO PERSO GIA’ 7.000 PROFESSIONISTI

La Norvegia recluta infermieri italiani e addirittura “opziona sin da subito” i migliori studenti. Decine di allettanti offerte – segnala Nursing Up, Sindacato Nazionale Infermieri – arrivano in questi giorni dalla terra dei fiordi, attraverso una nota agenzia di recruitment spagnola.
A tempo indeterminato
Stipendi fino a 3500 euro netti, escluse premialità, in molti casi anche affitto e bollette pagate, volo pagato dall’Italia e contratti a tempo indeterminato per opportunità che rappresentano vere e proprie scelte per la vita. Ma non è finita qui. Pur di avere i nostri professionisti, la Norvegia accetta anche studenti del terzo anno in infermieristica.
La Norvegia non è la sola, molte offerte arrivano anche da Arabia Saudita ed Emirati Arabi. “Il servizio sanitario pubblico norvegese, in particolare attraverso un’agenzia internazionale spagnola con sede ad Alicante, con cui in queste ore abbiamo avviato serrati contatti, mette sul piatto della bilancia opportunità che sembrerebbe davvero difficile rifiutare”, scrive il sindacato
Il sindacato: offerte più aggressive
“Ciò che possiamo constatare, senza esagerazione alcuna, esordisce Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up Sindacato Nazionale Infermieri, è soprattutto il fatto che negli ultimi tempi le proposte di lavoro dall’estero si stanno addirittura evolvendo, e per gli ambitissimi professionisti italiani si sono fatte decisamente “più aggressive” e soprattutto davvero difficili da rifiutare per un nostro giovane laureato in infermieristica.
Siamo di fronte, continua De Palma, ad una vera e propria caccia aperta agli infermieri di casa nostra che va avanti da alcuni anni, con una pericolosa emorragia di professionisti che le nostre istituzioni non riescono in alcun modo ad arginare attraverso piani alternativi di valorizzazione.
Professionisti da molti paesi
Dopo la Svizzera, dopo il Medioriente, le agenzie di recruitment internazionali si stanno ora concentrando in accurate selezioni per alzare ulteriormente il livello della già fiorente sanità del Nord Europa, scegliendo tra i migliori professionisti provenienti da altri Paesi. Tra questi, l’Italia ha un ruolo importante anche per la solidità del percorso di studio che – sottolineano – ha pochi eguali nel contesto della sanità del Vecchio Continente. A maggior ragione poi se l’infermiere ha un percorso di specializzazione come un master e magari già da qualche anno ha vissuto “sul campo” la complessa e impegnativa realtà dei professionisti dell’assistenza di casa nostra nella sanità pubblica italiana.
Non è richiesta la conoscenza della lingua
Il servizio sanitario pubblico norvegese offre in questo momento dai 2800 ai 3500 euro netti al mese: certo, il costo della vita è elevato in città come Oslo e Bergen, ma in alcuni casi, ci specificano dai vertici delle agenzie, ci sono addirittura affitto e bollette pagate, quasi sempre almeno nei primi mesi.
I contratti sono tutti a tempo indeterminato, dice ancora De Palma, e addirittura non c’è più l’obbligo di conoscere le complesse basi del norvegese, non subito almeno.
Immaginiamo quindi, che il professionista italiano debba ovviamente immediatamente immergersi in corsi di lingua locale, ma lo farà solo una volta che è arrivato sul posto. Nel percorso di selezione per trovare lavoro nella sanità pubblica norvegese, infatti, “non viene richiesta alcuna specifica conoscenza linguistica”,
37,5 ore a settimana
Non è finita qui, insiste De Palma. Lo stipendio base non include premialità e bonus, si lavora mediamente 37,5 ore settimanali, ti viene pagato il volo dall’Italia per raggiungere città come Oslo, Bergen e Trondheim, ma c’è una novità incredibile che apprendiamo nei contenuti di tutti gli annunci, e ce ne sono a decine, negli ultimi giorni, dalla Norvegia. Nelle selezioni sono addirittura inclusi giovani al terzo anno di infermieristica.
In 3 anni 7000 infermieri sono andati via
Naturalmente stiamo cercando di approfondire la questione, ma non escludiamo il fatto che Paesi come la Norvegia potrebbero presto arrivare “a opzionare” i nostri migliori studenti, seguirli fino al completamento degli studi, pur di averli in servizio da loro. Ma se i nostri studenti giovani laureati andranno a lavorare in Norvegia, chi resterà a prestare servizio per I cittadini italiani? Negli ultimi tre anni, conclude De Palma, ben 7mila infermieri italiani hanno lasciato il nostro Paese. E ricorda come tra pochi giorni, il 5 dicembre prossimo, “stanchi e logorati come non mai, incroceranno le braccia in uno sciopero che unisce la nostra protesta a quella di alcuni sindacati dei medici. Tutto questo mentre l’Europa “pesca a piene mani” addirittura aprendo le selezioni ai nostri migliori studenti non ancora laureati”.
(da La Repubblica)

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COMMISSARIAMENTI, RESE DEI CONTI E RINVII: E’ GUERRA TRA BANDE NEI CONGRESSI DI FDI

Novembre 20th, 2023 Riccardo Fucile

A ROMA IL CONGRESSO SLITTA A GENNAIO, MANCA LINTESA CON I GABBIANI DI RAMPELLI… LITI SULLE TESSERE A LIVORNO… UNA TASK FORCE PER NAPOLI

Livorno: guerra tra bande sulle tessere e federazione commissariata. Roma: conta rimandata a gennaio. Come probabilmente capiterà a Napoli, dove la segreteria di FdI pensa di spedire una «task force» per sedare gli animi un po’ troppo belligeranti delle fazioni locali. Giorgia Meloni sperava che filasse tutto liscio. Che i congressi provinciali di FdI, annunciati a settembre, si chiudessero a stretto giro e senza troppo clamore. Entro fine anno, per godersi il panettone e soprattutto la festa Atreju, che parte il 14. Invece non sono i Goblin di Tolkien a tormentarla, ma i suoi colonnelli, chiamati a gestire un frullatore di 280mila iscritti, lievitati rispetto all’anno passato, quando erano quasi la metà. Lungo lo Stivale il percorso si sta rivelando più accidentato del previsto. E non si tratta nemmeno di un congresso nazionale, che i Fratelli non celebrano da sei anni, era il 2 dicembre del 2017.
Il grattacapo più serio, per la premier, è al solito Roma. Il “padre di tutti i congressi”. Anche perché dentro e intorno al Gra ruota l’unica vera corrente di FdI capace di mettere in discussione alcune mosse della leader, i Gabbiani di Fabio Rampelli. Nella Capitale erano abituati a comandare, fino a quando Meloni, a febbraio, ha spezzato la tradizione: via il deputato rampelliano Massimo Miliani, il leader romano accusato di gestire un po’ troppo parzialmente il database degli iscritti, e commissariamento della federazione in mano al fidato Giovanni Donzelli. Il clima frizzantino di avvicinamento al congresso della Capitale ha prodotto una corsa forsennata a macinare iscritti. Risultato: tessere esplose, 43mila contro le 15mila del 2022. L’area lolliana, nel senso del ministro Francesco Lollobrigida, ne ha portate a via della Scrofa almeno 27mila, mentre i Gabbiani ne rivendicano 16mila. Ma i giochi, a Roma, sono tutt’altro che fatti. Rampelli continua a rivendicare la leadership. Per Milani, che vorrebbe tornare al suo posto. O addirittura per sé stesso, mormora qualcuno dei suoi, se venisse presentata come «candidatura unitaria». Perché sì, i rampelliani a conti fatti hanno solo il 35% dei tesserati romani, ma è anche vero che hanno giocato soli contro tutti, mentre l’area Lollo ha assemblato gruppi diversi. Nel giro Meloni non la vedono così. In rampa di lancio c’è il giovane deputato Marco Perissa. Un caminetto per appianare i dissidi ancora non c’è stato. E così la conta è rimandata: se ne parla a gennaio. Formalmente «per questioni logistiche, vanno inseriti i nomi degli iscritti nel server», è la spiegazione ufficiale, di chi non vuole mettere troppa zizzania. Ma è anche vero che in altre città, come Milano dove rivaleggia l’area La Russa–Santanchè con quella di Carlo Fidanza, c’è già una data, sia per il congresso cittadino che per quello provinciale: il 2 dicembre. Mentre per Roma l’unico congresso fissato è quello dell’hinterland, sabato prossimo a Tivoli. Ma l’extra moenia capitolino è da anni considerato a via della Scrofa «roba di Lollo».
Roma non è l’unica spina, per la premier e la sorella Arianna, da settembre capo del tesseramento e responsabile della segreteria politica di FdI. A metà ottobre è stata commissariata la federazione di Livorno, Toscana donzelliana. Bizze sulla registrazione delle tessere tra due cordate, quella dell’ex presidente Giacomo Lensi e dell’ex rautiana Marcella Amadio. Per calmare le acque, Arianna ha spedito come reggente il senatore bolognese Marco Lisei.
Tira aria di rinvio a gennaio anche a Napoli, dove si fronteggiano l’area del deputato Michele Schiano e quella del senatore Sergio Rastrelli. E si è appena candidato in autonomia un ras delle preferenze come Marco Nonno, consigliere regionale sospeso per la legge Severino. Il caso Napoli è stato affrontato nelle ultime riunioni della segreteria congressuale. Con la decisione di spedire lì una «squadra speciale», di big nazionali, per evitare che la corsa assomigli a una giostra impazzita.
(da La Repubblica)

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IL CENTRODESTRA E’ UNA POLVERIERA, DAL TRENTINO ALLA SARDEGNA, E’ SCONTRO APERTO SULLA SCELTA DEI CANDIDATI: SALVINI STA FACENDO SALTARE TUTTI GLI ACCORDI E FRATELLI D’ITALIA S’INCAZZA

Novembre 20th, 2023 Riccardo Fucile

IL MINISTRO LOLLOBRIGIDA AVEVA MESSO SUL TAVOLO LA NECESSITÀ DI “RIVEDERE IL METODO” DI SCELTA DEI CANDIDATI, PERCHÉ ERA BASATO SUI CONSENSI PRE-ELETTORALI, QUANDO LA LEGA ERA AL 30 PER CENTO E FRATELLI D’ITALIA NON ANDAVA OLTRE L’8 PER CENTO

A guardarli in questi giorni, si fa fatica a definirli «alleati». Lo scontro tra Lega e Fratelli d’Italia ormai viene portato avanti alla luce del sole, senza particolari remore. D’altronde la tensione politica nel governo continua a salire da mesi e così, a cascata, i dissidi ora esplodono anche nei territori, dove è più difficile nascondere la polvere sotto il tappeto.
Il primo strappo avviene in Trentino. Il presidente leghista Maurizio Fugatti rompe i patti sulle nomine in giunta e FdI replica uscendo dalla maggioranza, pur garantendo il sostegno esterno.
Nemmeno 24 ore dopo, in Sardegna, i leghisti appoggiano a sorpresa la ricandidatura del governatore uscente Christian Solinas, sul quale c’erano le note resistenze degli uomini di Giorgia Meloni […] Salvini non si ferma e mette nel mirino anche la Basilicata, Regione guidata da Forza Italia. Il partito azzurro, guidato da Antonio Tajani, per non restare schiacciato punta allora i piedi sulla ricandidatura di Alberto Cirio in Piemonte
Un domino incontrollato, in cui la Lega […] sembra voler giocare una sua partita. Anche al costo di uscire dai binari delle trattative […] La miccia è stata accesa in una delle ultime riunioni di maggioranza, quando il ministro e fedelissimo di Meloni, Francesco Lollobrigida, aveva messo sul tavolo la necessità di «rivedere il metodo» di scelta dei candidati, perché in molti territori quel «metodo» era basato sui consensi pre-elettorali, quando la Lega era al 30 per cento e Fratelli d’Italia non andava oltre l’8 per cento.
Ora che i pesi si sono ribaltati, per Meloni, va tutto rimesso in discussione. Matteo Salvini, in tutta risposta, alza la testa facendo saltare un accordo dopo l’altro. Tanto che si fa fatica a far rientrare il problema, anche a livello nazionale. I colonnelli vicini a Meloni cercano di minimizzare, «il problema non è Salvini, ma i leghisti che nei territori cercano di mantenere il potere», dice uno dei big del partito.
(da agenzie)

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SONDAGGI, UNO STUDENTE SU DUE PENSA CHE IL GOVERNO DI ISRAELE SI COMPORTI CON I PALESTINESI COME I NAZISTI CON GLI EBREI

Novembre 20th, 2023 Riccardo Fucile

LA RICERCA DELL’ISTITUTO CATTANEO IN TRE UNIVERSITA’

Quasi uno studente universitario su due pensa che «il governo israeliano si comporta con i palestinesi come i nazisti con gli ebrei». Il dato emerge da una ricerca dell’Istituto Cattaneo raccontata oggi dal Corriere della Sera.
La ricerca è stata realizzata in collaborazione con il dipartimento di statistica dell’università di Padova e ha raccolto i numeri di tre grandi atenei: Milano Bicocca, Bologna e Padova. L’indagine è stata condotta tra settembre e ottobre. 2.579 studenti sono stati sentiti.
Nel questionario si distinguono tre temi che riguardano l’antisemitismo. Il primo è il modello classico, quello che vede gli ebrei a capo di una cospirazione mondiale attuata con l’aiuto della grande finanza. Un secondo modello è quello che li accusa di doppia lealtà e che li rappresenta come un corpo estraneo nella società. Il terzo è quello che ridimensiona la portata della Shoah.
L’indagine
Per il 14% degli intervistati gli ebrei controllano il mondo della comunicazione. Una percentuale che aumenta al 18% per chi è di centrodestra. Mentre per il 30% del campione gli ebrei «sono più leali con Israele che con il paese di appartenenza». Il 33% dice che gli ebrei preferiscono frequentare i membri del loro gruppo piuttosto che gli altri. Infine, c’è quel 46% secondo il quale «il governo israeliano si comporta con i palestinesi come si comportarono i nazisti con gli ebrei». Il parallelo raccoglie ampi consensi a sinistra: il 59,7% sottoscriverebbe l’affermazione. E si avvicina al 70% nei primi giorni della crisi dopo l’attacco di Hamas ad Israele.
L’evoluzione
«Ciò che ci ha colpito è che il dato sul paragone con la Germania nazista cresce in modo sensibile soprattutto a sinistra dopo il 7 ottobre, giorno dell’attacco di Hamas, e non dopo il 17, come ci aspettavamo, dopo l’esplosione dell’ospedale di Gaza», dice Asher Colombo, presidente dell’Istituto Cattaneo. «Si tratta di una indagine irripetibile, perché abbiamo potuto fotografare l’evoluzione prima e dopo il 7 ottobre. Avevamo già intervistato oltre mille persone nei primi giorni», aggiunge. E conclude: «È significativo che le percentuali più alte di adesioni a modelli antisemiti si registrano nelle fasce di studenti con votazioni più basse alla maturità o che leggono meno libri”
(da agenzie)

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L’ARGENTINA HA SCELTO IL “LOCO”: ALLE ELEZIONI PRESIDENZIALI VINCE JAVIER MILEI, L’ANARCO-CAPITALISTA CHE VUOLE TAGLIARE “CON LA MOTOSEGA” LA SPESA PUBBLICA E DOLLARIZZARE L’ECONOMIA

Novembre 20th, 2023 Riccardo Fucile

CONTRARIO ALL’ABORTO, PRATICA IL SESSO TANTRICO E HA FREQUENTATO STORICI E INTELLETTUALI DI APERTE SIMPATIE NAZISTE

«È una notte storica per il paese. Oggi inizia la ricostruzione dell’Argentina». Javier Milei ha cominciato così suo primo discorso dopo la vittoria al ballottaggio presidenziale in Argentina. Milei si è presentato in giacca e cravatta al fianco della sorella Karina, senza il chiodo di pelle che aveva indossato durante la campagna elettorale.
L’anarcocapitalista ha vinto il ballottaggio con il peronista Sergio Massa con il 56% dei voti mentre era stato aperto l’86% delle urne. Il suo avversario aveva ammesso la sconfitta qualche ora prima: «L’Argentina ha un sistema democratico solido e forte che rispetta sempre i risultati. Ovviamente l’esito non è quello che ci aspettavamo e ho contattato Javier Milei per congratularmi con lui e augurargli buona fortuna perché sarà il prossimo presidente. È il presidente eletto dalla maggioranza per i prossimi quattro anni», ha detto Massa, accreditato finora del 44,04% delle preferenze.
Oltre a quelle della Casa Bianca, a Milei sono arrivate anche le congratulazioni di Donald Trump: «Trasformerai il tuo paese e renderai l’Argentina di nuovo grande», ha detto l’ex presidente Usa. Milei, economista di 53 anni, ha promesso tra l’altro di abbandonare il peso per il dollaro statunitense. E di combattere l’inflazione attraverso nuove strategie in capo alla Banca Centrale argentina. Contrario all’aborto e favorevole al porto d’armi per i cittadini, Milei ha promesso di tagliare i legami commerciali dell’Argentina con Cina e Brasile.
All’inizio della campagna elettorale era salito sui palchi con una motosega per simboleggiare i tagli al bilancio dello Stato che vuole effettuare.
avier Milei, 53 anni e occhi di ghiaccio, è il nuovo presidente dell’Argentina. Ha l’acconciatura di Mick Jagger i modi di Beppe Grillo e le idee di Donald Trump. È l’alt-right incarnata in America Latina […]. Vuole dollarizzare l’economia, effettuare un piano radicale di privatizzazioni, tagliare all’osso la spesa pubblica e ridurre a dodici dicasteri il corpo ministeriale. È contrario all’aborto, in un Paese che ha vissuto una storica battaglia per legalizzarlo, è invece favorevole alla liberalizzazione del mercato degli organi: se c’è domanda, c’è mercato.
Milei è nato nel 1970 nel quartiere borghese di Palermo a Buenos Aires. Suo padre, Norberto Milei è un imprenditore nel settore dei trasporti. Sua madre, Alicia Lichic è casalinga. Con entrambi, da anni, ha tagliato tutti i rapporti: “No existen”, dice. Ha compensato il vuoto stringendo una forte relazione con Karina, la sorella diventata una dei suoi consiglieri nell’avventura elettorale. Se viene eletto, assicura, “sarà lei la first lady”. Ha studiato Economia, la materia che lo ha reso poi famoso come autore di testi e in seguito come opinionista televisivo che aggredisce e insulta gli interlocutori.
C’è un mito da sfatare riguardo a Milei ed è il fatto che sia “un outsider”. Pur non essendo mai stato candidato prima del 2020, è stato sempre molto vicino alla politica: nel 2015 fu consigliere economico dello stesso Massa poi diventato Ministro dell’Economia. Nel 2012 di Daniel Scioli, governatore di Buenos Aires.
Prima ancora, “negli anni 90 ha lavorato con il genocida Antonio Domingo Bussi, ex generale della dittatura, condannato per crimini contro l’umanità”. Tra le sue frequentazioni inoltre figurano storici e intellettuali di aperte simpatie naziste.
“Devo ammettere che la relazione con i cani è veramente un po’ strana. E si è vero, comunica con loro attraverso una medium”, racconta a Repubblica Romina Seferian, una designer di moda, imprenditrice e personalità della televisione che ha avuto una relazione con il candidato. Seferian si premura di sottolinearne le qualità: “È un uomo che ha una tavola da scacchi in testa. La sua intelligenza è superiore. E nell’intimità è un uomo di altri tempi, premuroso, gentile, fa regali”.
Regala a Romina biancheria intima e un manuale di sesso tantrico, “una pratica che lui stesso segue”. Però è anche un uomo che “perde il controllo” e la fine della loro storia – breve come la maggior parte delle relazioni del candidato che si conoscono – è repentina e burrascosa. “Non vuole figli. So che la sua compagna attuale, Fatima Florez, li vuole. Temo che avrà una delusione. So anche che Fatima non va d’accordo con la sorella. E certo è strano che lui voglia Karina come first lady”, conclude.
(da La Repubblica=

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LA MIGLIORE AMICA DELL’ASSASSINO DI GIULIA: “NON CONOSCEVO IL VERO FILIPPO, E’ UN MOSTRO. QUANDO SI SONO LASCIATI NON RAGIONAVA”

Novembre 20th, 2023 Riccardo Fucile

“ERA DISTRUTTO, POI SEMBRAVA PIU’ TRANQUILLO, ORA SIA FATTA GIUSTIZIA”

Insieme hanno condiviso chissà quanti ricordi: le grigliate a casa di lei, le feste di compleanno, le gite in montagna. Francesca Quintabà, 22enne di Abano Terme, e Filippo Turetta si erano conosciuti a 17 anni e, da allora, non avevano mai smesso di frequentarsi. Lei lo considerava uno dei suoi amici più cari. Ma adesso, per Francesca, Filippo è «soltanto un piccolo uomo. Un mostro».
Qual è la prima cosa che le passa per la testa, ora?
«La solita frase che avevo sentito dagli altri, in queste circostanze. La violenza esiste, i femminicidi esistono: ma si pensa sempre che siano storie lontane da noi. E invece, questa volta, il mostro era uno dei miei più cari amici. Io non riesco a darmi pace. E mi vergogno profondamente di avere conosciuto Filippo, di avere parlato bene di lui in passato. Vorrei eliminare dalla mia mente qualsiasi ricordo che ci leghi. Se sto rispondendo a queste domande è perché farei qualsiasi cosa per Giulia».
Conosceva bene Filippo?
«Era compagno di classe del mio ex fidanzato, con cui sono stata insieme quattro anni e mezzo. È stato lui a presentarmi Filippo, abbiamo legato subito. Giravamo sempre in quattro, io ero l’unica ragazza del gruppo. Filippo è stato a casa mia, ha dormito da me un mucchio di volte, era sempre qui quando organizzavo le grigliate con gli amici. Ora provo una rabbia che non so spiegare. Avevamo trascorso insieme anche l’ultimo Capodanno, nella casa di montagna del mio ex, a Tonezza del Cimone. C’era anche Giulia».
Che ricordo ha di quella serata?
«Un ricordo speciale. Io e Giulia ci siamo messe in disparte rispetto agli altri, e lei si è aperta. Mi ha parlato della mamma. È un momento che ricorderò sempre. Quella sera ho conosciuto una ragazza buona, educata, a modo. Veramente una persona splendida. Mi dispiace solo non averla frequentata abbastanza. Ora tengo sempre con me il quadernetto che ci aveva regalato per ringraziarci dell’ospitalità».
Le aveva mai confidato di avere paura di Filippo?
«Purtroppo, no, non mi aveva mai detto niente. Probabilmente perché non ci conoscevamo molto bene e io, comunque, appartenevo alla cerchia di amici di Filippo. Ho scoperto soltanto in questi giorni che lui le controllava il cellulare, e poi tutto il resto. Sono rimasta basita. Se l’avessi saputo, le avrei detto immediatamente di distanziarsi da lui. Filippo è un folle. Mi chiedo con quali modelli sia cresciuto. Io ho un fratello maschio, ma nella sua testa ci sono sempre stati il rispetto e l’amore».
E Filippo come le aveva raccontato la fine della storia con Giulia?
«Era disperato, distrutto. Mi aveva detto che l’aveva lasciato perché lei voleva riprendersi i suoi spazi. Una cosa normale. Ma lui non riusciva a rassegnarsi all’idea di non stare più con Giulia, non accettava che fosse finita. Io gli dicevo che non poteva continuare a logorarsi. Ho provato a spiegargli che amare è vivere insieme, e non in funzione di un’altra persona. Gli ho detto di dare gli esami che gli mancavano all’università, di raggiungere i suoi traguardi con le sue gambe. Ma lui non riusciva nemmeno più a studiare. Ero preoccupata, lo trovavo illogico».
Quando l’ha visto l’ultima volta?
«A fine ottobre, alla mia laurea. Ultimamente mi sembrava stesse meglio. Non mi parlava più di Giulia, io evitavo di tirare fuori l’argomento. Pensavo ne fosse uscito, e invece…».
Com’era Filippo, quando vi frequentavate?
«Se pensavo che si sarebbe potuto trasformare in un assassino? No. All’apparenza era un ragazzo tranquillo. Un po’ riservato, ma comunque di compagnia. Le volte in cui l’ho visto insieme a Giulia, non mi ha mai dato modo di pensare a nulla di strano. Ora se rivivo i momenti passati insieme mi vengono i brividi. Sembrava un ragazzo normale, si è rivelato un mostro».
Come ha vissuto questa settimana?
«È stata devastante, un incubo. All’inizio ho tempestato Filippo di messaggi. Gli chiedevo di tornare, con Giulia. Ero sicura che fossero vivi. Non potevo immaginare che il mio amico avesse fatto una cosa così. Poi è cambiato tutto. Quando hanno scoperto il cadavere di Giulia, mi è crollato il mondo addosso. Ho provato, e continuo a provare, una rabbia che non riesco a spiegare. Su Facebook ho letto il saluto del suo papà, mi si è spezzato il cuore in mille pezzi. Giulia aveva tutta la vita davanti: la laurea, tanti traguardi da raggiungere. E invece è finito tutto, per colpa di un piccolo uomo, subdolo e meschino».
Vorrebbe rivederlo?
«Cinque minuti, per dirgli quanto mi ha deluso. Per chiedergli perché ha fatto tutto questo, che cosa gli ha portato di buono. Gli direi che lui diceva di amare Giulia. Ma che oggi, a causa sua, l’amore ha perso».
Ora cosa chiede?
«Giustizia per Giulia. Niente potrà restituirla al suo papà e ai suoi fratelli. Ma voglio venga fatta giustizia, almeno questo glielo dobbiamo».
(da agenzie)

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LO PSICHIATRA CREPET: “I GIOVANI UCCIDONO LE FIDANZATE PERCHE’ NELLA VITA NON HANNO MAI RICEVUTO UN SOLO NO”

Novembre 20th, 2023 Riccardo Fucile

“LA RESPONSABILITA’ STA NELL’INCAPACITA DELLA FAMIGLIA DI PUNIRLI E LA TOTALE ASSENZA DI EMPATIA TRA GENITORI E FIGLI DISTRUTTA DAI TELEFONINI”

Professor Crepet, che cosa scatta nella mente di un 22enne come Filippo Turetta che passava per un bravo ragazzo e all’improvviso uccide la fidanzata?
«È sicuramente uno dei tanti giovani incapaci di elaborare un semplice no. Questa è la generazione di chi non ha mai ricevuto una semplice punizione, del tipo “tu sabato non esci”, una frase semplice, che in realtà è oro colato. Incapaci di elaborare un rifiuto non appena lo incontrano sono incapaci di accettarlo».
Quindi un femminicidio compiuto da un cinquantenne è profondamente diverso da quello di cui si macchia un giovane
«Certamente. Il primo è figlio di una cultura medioevale, del cieco patriarcato. Il secondo riguarda molto spesso un figlio “mammone” che nella vita è stato troppo protetto, e ricerca nella fidanzata la stessa impossibile simbiosi che ha avuto con la madre».
Ma perché oggi pare che il femminicidio sia una pratica più diffusa rispetto anche solo a 30 anni fa?
«Perché nella storia le donne hanno sopportato anche l’insopportabile, e, soprattutto, non si ribellavano, quindi non c’era bisogno di ucciderle. Oggi le donne se ne vanno, si laureano prima, pensano giustamente in sacrosanta autonomia, smontando le certezze ataviche del maschio. Si ribellano a meccanismi visti in famiglia a cui la madre non si è mai opposta continuando a dormire accanto a un uomo che ha trasformato la sua vita in un inferno».
Si parla di specifici campanelli d’allarme. Quali sono?
«Non mi piace l’espressione. La premessa è un rapporto basato su rituali ossessioni di controllo e ricatti affettivi. Poi ci sono alcune frasi, pronunciate dalla “vittima” di questo stalking affettivo che possono sul serio scatenare il peggio».
Quali?
«Per esempio “se continui così lo dico a qualcuno” e, se sono molto giovani, “lo dico ai tuoi”. Questi sono aut aut in grado di destabilizzare».
Lei ha detto che la violenza giovanile ora coinvolge anche le donne. È vero?
«Sì, basti pensare alle baby-bulle che picchiano le compagne di classe o all’ultimo caso della ventunenne che ha sfregiato la nuova fidanzata del suo ex a colpi di taglierino. Maschi e femmine sono figli di un unico disastro educativo. Da un lato la totale assenza di no, dall’altro una madre che non è in grado di dire alla propria figlia “non commettere mai gli errori che ho fatto io con tuo padre”. Poi come acceleratore di tutte queste dinamiche possiamo metterci anche il telefonino».
I social?
«No, proprio la distrazione che il telefono comporta. Scena numero uno: a tavola mia madre chiede una cosa a mio padre che non le risponde perché sta commentando con l’amico l’ultima performance di Sinner. Scena numero 2: la fidanzata esce con le amiche per una pizza, lui nn si accontenta di chiedere dov’è, ma esige una foto, poi un’altra ancora… Da un lato l’assoluta indifferenza, dall’altro la mania ossessiva del controllo».
Riassumendo. Di chi è figlia tanta violenza in età giovanile, tanto disagio e tanta incapacità di elaborare le sconfitte a partire da quelle sentimentali?
«Dalla totale mancanza di empatia in famiglia. Quell’ascolto, quella vicinanza, si è persa chissà dove. E da lì parte il disastro».
(da agenzie)

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LA PSICANALISTA VERA SLEPOJ: “FILIPPO TURETTA HA ACCUMULATO ASTIO E HA INCOLPATO GIULIA DELLA PROPRIA INFELICITÀ: GLI È SFUGGITA DI MANO LA PROSPETTIVA DI VITA. E NON È RIUSCITO A GESTIRE IL SIGNIFICATO DELLA VITA DELL’ALTRO”

Novembre 20th, 2023 Riccardo Fucile

“HA PENSATO CHE GIULIA CECCHETTIN DOVESSE ENTRARE NELLA SUA. MA LEI SE N’È ANDATA. UN ATTO PER LUI INCONCEPIBILE”… “OGGI I FIGLI SONO ABBANDONATI A SE STESSI. NON C’È PERCORSO EDUCATIVO SOPRATTUTTO PER I MASCHI AI QUALI SI CHIEDE SEMPRE DI STARE DENTRO L’AZIONE E NON DENTRO LA RELAZIONE”

«Non è un caso di femminicidio classico, dove l’assassino agisce in un percorso di violenza, di stalking, di minacce, che sfocia nell’uccisione. Qui l’assassinio rientra nell’ambito della questione familiare. Di uno sfascio di relazioni».
Vera Slepoj descrive Filippo Turetta come l’omicida che concepisce l’episodio violento attraverso l’eliminazione dell’intera storia sentimentale. Bisogno di tabula rasa.
Perché?
«Ha trasferito nella storia sentimentale tutta la sua visione ideale. Quando si legge che voleva fare tutto assieme a Giulia, anche il percorso universitario, emerge l’idealizzazione sproporzionata. E qui entrano i contenuti educativi, le utopie sui sentimenti, come la pretesa “fusionalità”. Lo vedo nei pazienti adolescenti, credono che bisogna condividere tutto. Pesa in loro la cultura dell’amore inteso come possesso, fino a diventare parte totale della vita».
Lei ha detto che l’omicidio di Giulia rientra nella questione familiare.
«I figli sono abbandonati a se stessi. Non c’è percorso educativo. Alla fine si organizzano costruendo finte famiglie. Formandosi con le canzoni e i modelli proposti dai trapper. Non riescono ad essere intercettati dagli adulti».
Che cosa dovrebbero fare i genitori?
«Esserci. Devono entrarci nel rapporto».
I genitori dovrebbero leggere manuali di psicologia?
«Non serve. Farebbero meglio ad evitare di riempire i figli di attività. Li accompagnano ovunque ma non stanno con loro. Meglio andare a mangiare una pizza insieme. Magari per scoprire la musica che ascoltano e capire dove si stanno andando ad infilare. E preoccupante il deserto in cui vengono su i figli di oggi. Soprattutto i maschi. Ai quali si chiede sempre di stare dentro l’azione, lo sport e non dentro la relazione».
Cosa si può fare
«Ripartire dall’educazione civica, dal rispetto. Per esempio proporre i grandi romanzi d’amore, dove l’amore anche tragico è vissuto. Per apprendere che se ami non devi accoppiarti nella “fusionabilità”».
Filippo Turetta andava al liceo. Cosa gli è successo?
«Gli è sfuggita di mano la prospettiva di vita. E non è riuscito a gestire il significato della vita dell’altro: ha pensato che l’altro dovesse entrare nella sua. Ma Giulia se n’è andata. Un atto per lui inconcepibile. Ha accumulato astio e l’ha incolpata della propria infelicità»
(da agenzie)

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ELENA CECCHETIN, LA LETTERA DELLA SORELLA DI GIULIA: “FILIPPO TURETTA NON E’ UN MOSTRO. E’ FIGLIO DELLA CULTURA DELLO STUPRO”

Novembre 20th, 2023 Riccardo Fucile

LA RAGAZZA: “IL SUO E’ UN OMICIDIO DI STATO”

Elena Cecchettin, sorella di Giulia, ha scritto una lettera al Corriere della Sera in cui parla di Filippo Turetta. Che, secondo lei, viene definito come un mostro «ma non lo è». Perché «un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece la responsabilità c’è». Per Elena i «mostri» non sono «malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro. La cultura dello stupro è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene nemmeno data importanza ma che di importanza ne hanno eccome, come il controllo, la possessività, il catcalling. Ogni uomo viene privilegiato da questa cultura». E nessun uomo è buono «se non fa nulla per smantellare la società che li privilegia tanto».
Omicidio di Stato
Perché in questa società patriarcale è responsabilità degli uomini anche richiamare gli amici e i colleghi non appena sentono un accenno di violenza sessista. «Ditelo a quell’amico che controlla la propria ragazza, ditelo a quel collega che fa catcalling alle passanti, rendetevi ostili a comportamenti del genere accettati dalla società, che non sono altro che il preludio del femminicidio».
Secondo Elena Cecchettin «il femminicidio è un omicidio di Stato, perché lo Stato non ci tutela, perché non ci protegge. Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere. Serve un’educazione sessuale e affettiva capillare, serve insegnare che l’ amore non è possesso. Bisogna finanziare i centri antiviolenza e bisogna dare la possibilità di chiedere aiuto a chi ne ha bisogno. Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto».
I precedenti
La sorella di Giulia aveva parlato a più riprese durante la ricerca della ragazza. «Se non vi sentite sicure, chiedete aiuto», aveva consigliato alle ragazze. Poi l’aveva salutata con un «rest in power, per te bruceremo tutto». Aveva anche polemizzato con il ministro Salvini per una frase sulla colpevolezza di Turetta. E ha rilanciato su Instagram il post della scrittrice femminista Valeria Fonte.
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