Destra di Popolo.net

NON SORPRENDIAMOCI SE I SOCIAL SONO UN LETAMAIO: IN ITALIA CI SONO SOLAMENTE 724 MODERATORI PER 110 MILIONI DI UTENTI

Novembre 22nd, 2023 Riccardo Fucile

IL SOCIAL CON PIU’ CONTROLLI È TIKTOK, CON 430 MODERATORI, MENTRE QUELLA CON MENO E’ X (TOH, CHE SORPRESA!), CON SOLAMENTE 2 … DIFFICILE CHE CON COSI’ POCHI MODERATORI SI RIESCANO A FILTRARE TUTTI I CONTENUTI CHE VENGONO PUBBLICATI

Alla domanda “quanti moderatori impiegate?” e alla ancora più precisa “quanti sono i moderatori che parlano italiano?”, per anni i responsabili di più o meno tutti social network hanno risposto più o meno tutti allo stesso modo, fra “preferiamo non divulgare questo dato” o “non divulghiamo queste informazioni” o anche “non abbiamo questo tipo di dati per i singoli Paesi”.
Quello del moderatore delle piattaforme social è un lavoro che si preferisce tenere un po’ nell’ombra. Perché è un lavoro difficile, faticoso e stressante ma allo stesso tempo importante, delicato e fondamentale.
Questa riservatezza è in gran parte finita grazie all’arrivo del Digital Services Act, la legge che regolamenta le operazioni dei social network nel territorio dell’Unione europea e anche li obbliga alla diffusione di report periodici sulla moderazione dei contenuti e sul personale umano impiegato a questo scopo.
In tutta l’Unione europea, i moderatori dei principali social network che capiscono l’italiano (attenzione: non necessariamente italiani) sono appena 724. Per tutti, in totale. Poco più di 700 persone a moderare i contenuti su 6 fra i siti più frequentati nel nostro Paese. Detto in altro modo: 724 persone a moderare i contenuti postati su 6 siti che mensilmente hanno in totale circa 110 milioni di account attivi.
Nel dettaglio: sono 430 i moderatori per l’italiano su TikTok, 179 per le due piattaforme di Meta, 91 per YouTube, 13 per LinkedIn e appena 2 (sì, solo due) per Twitter, che ora si chiama X. Il quadro è sconfortante in termini assoluti ma lo è ancora di più se si fanno le proporzioni: Meta ha un moderatore in grado di capire l’italiano ogni 200mila utenti italiani, LinkedIn ne ha uno ogni 400mila utenti, YouTube sta a 1 ogni 440mila utenti. Ai due estremi ci sono TikTok e Twitter: la piattaforma di ByteDance, con 1 moderatore ogni 46mila utenti italiani; quella dei cinguettii,sta addirittura a 1 moderatore ogni 2,6 milioni di utenti.
Insomma, come si capisce: la strada per una corretta ed efficace moderazione è ancora lunga, in salita e decisamente non facile. Perché se è vero che le IA possono aiutare molto in questo campo, è altrettanto vero che non possono fare tutto da sole, che spesso sbagliano e che l’intervento umano è ancora risolutivo e determinante. O almeno lo sarebbe, se ci fossero più umani a fare questo delicato lavoro.
(da La Stampa)

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ISTAT, I PREGIUDIZI SUGLI STUPRI RIMANGONO: DALLA COLPA AL VESTIARIO ALLA UBRIACHEZZA DELLA VITTIMA: C’E’ ANCORA UNA MASSA DI COGLIONI IGNORANTI

Novembre 22nd, 2023 Riccardo Fucile

IL 39% DEGLI UOMINI PENSA CHE UNA DONNA POSSA SOTTRARSI A UN RAPPORTO SESSUALE SE DAVVERO NON LO VUOLE E IL 20% PENSA CHE LA VIOLENZA SIA PROVOCATA DAL VESTIARIO

Se ne parla di più e forse perché ci si vergogna di meno di aver subito violenza e si ha più coraggio nel denunciare. Questo il quadro dell’ISTAT nell’indagine “Stereotipi di genere e immagine sociale della violenza: primi risultati“, contenente i dati provvisori riferiti al periodo maggio-luglio 2023. La metà della popolazione (51,1% per entrambi i sessi e le varie età, dai 18 ai 74 anni nel 2022) pensa che la violenza (fisica e/o sessuale) subita dalle donne da parte dei propri mariti/compagni sia un fenomeno abbastanza diffuso, mentre il 28,8% pensa che sia molto diffuso. Solo il 17,9% ritiene che si parla sempre più spesso della violenza sulle donne perché è aumentata, mentre emergono, come possibili motivi, il fatto che le donne se ne vergognano di meno (31,4%), ci siano più media nel diffondere le notizie (23,2%) e sono aumentate le campagne e i servizi a favore delle vittime (15,8%).
La violenza fisica nella coppia è meno tollerata, ma il 10,2% degli intervistati, soprattutto tra i giovani, dichiara di «accettare ancora il controllo dell’uomo sulla comunicazione (cellulare e social) della propria moglie/compagna».
Tra le possibili cause della violenza sono riportate più frequentemente la considerazione della donna come oggetto di proprietà (83,3%), il bisogno dell’uomo di sentirsi superiore alla moglie/compagna (75,9%), la difficoltà dell’uomo a gestire la rabbia (75,1%).
Il 48,7 per cento ha almeno uno stereotipo sulla violenza sessuale.
Il 48,7% degli intervistati, in base alla rilevazione Istat, ha ancora almeno uno stereotipo sulla violenza sessuale. Il 39,3% degli uomini pensa che una donna possa sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole e quasi il 20% pensa che la violenza sia provocata dal vestiario. Tra tra il 2018 e il 2023 si riducono però «gli stereotipi sui ruoli di genere, ma si allarga la distanza tra le opinioni degli uomini e delle donne. Sono soprattutto le donne ad avere meno stereotipi». Corrispondono infine «le opinioni di uomini e donne sulla responsabilità attribuita alla donna in alcune circostanze». Circa l’11% degli intervistati «ritiene che una donna vittima di violenza sessuale quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe sia almeno in parte responsabile». E circa «il 10% ritiene che se una donna dopo una festa accetta un invito da un uomo e viene stuprata sia anche colpa sua».
Secondo l’indagine gli stereotipi sui ruoli di genere più comuni sono: «gli uomini sono meno adatti delle donne a occuparsi delle faccende domestiche» (21,4%), «una donna per essere completa deve avere dei figli» (20,9%), «per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro» (20,4%), «è compito delle madri seguire i figli e occuparsi delle loro esigenze quotidiane» (20,2%), «è soprattutto l’uomo che deve provvedere alle necessità economiche della famiglia» (17,2%). Meno diffusa l’opinione per cui «è l’uomo a prendere le decisioni più importanti riguardanti la famiglia» (6,3%) e «una buona moglie/compagna deve assecondare le idee del proprio marito/compagno anche se non è d’accordo» (6,5%).
(da agenzie)

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“I SOLDI SONO SUOI, DECIDE LUI”: CHE COS’E’ LA VIOLENZA ECONOMICA E COME SI PUO’ COMBATTERE

Novembre 22nd, 2023 Riccardo Fucile

IL REPORT DI WE WORLD: IL 37% DELLE DONNE IN ITALIA NON HA UN CONTO CORRENTE

«Ha sempre deciso tutto lui, perché i soldi erano i suoi. Nella relazione è sempre stato così: lui aveva il potere. Anche se quello che voleva alla fine non era controllare i conti, ma controllare me» racconta una delle donne accolte nello Spazio Donna We World di Giambellino, Milano. Una testimonianza semplice e potente per capire come la violenza economica può travestirsi da sostegno e accudimento, farsi invisibile e poi diventare carburante per tutte le altre. A tracciarne i confini è l’indagine realizzata dall’organizzazione We World con Ipsos “Ciò che è tuo è mio. Fare i conti con la violenza economica”. Metà delle intervistate racconta di averla affrontata almeno una volta nella vita, con la percentuale che cresce a 7 su 10 tra le separate e divorziate.
Una su dieci dichiara che il partner le ha negato di lavorare: la quota sale al 17% tra le donne della Gen Z e al 19% tra le over 50. Quasi quattro donne su dieci non dispongono di un conto corrente. Quando il partner sfrutta una condizione di dipendenza che già esiste oppure cerca di crearla si parla di sessismo benevolo, che poi è il più classico dei “non ti preoccupare, che a te ci penso io”. Se a guadagnare meglio e a fare i conti è lui, allora è normale che a rinunciare a stipendio prima e pensione poi, sia lei. Che tanto il posto all’asilo pubblico non c’è, la baby sitter costa troppo e si sa, i bambini stanno meglio a casa con la mamma.
Una donna su tre tra quelle che su rivolgono ai centri antiviolenza è a reddito zero, ma il reddito di libertà non è per tutte
Dall’ultimo rapporto della rete dei centri anti-violenza D.i.Re viene fuori che tra le denuncianti una su tre è a reddito zero: la totale mancanza di indipendenza economica può diventare il principale e insormontabile ostacolo nel lasciare un partner violento. Il reddito di libertà è stato il primo sostegno economico destinato alle donne che cercano di allontanarsi da una situazione di violenza: il contributo è di 400 euro al mese, per un anno. Nel 2020 sono state presentate 3.283 richieste, ma i contributi erogati sono stati appena 600. Le virtuose sono Lombardia, Campania e Sicilia, quelle con più richieste inevase Umbria e Puglia (88%), Emilia-Romagna (87%) e Piemonte (86%).
«Le storie dei nostri Spazi Donna raccontano come la violenza economica sia diffusa e difficile da riconoscere. Alcuni comportamenti legati alla gestione e al controllo del denaro per la società sono ancora giustificati e accettati – spiega Sabrina Vincenti, coordinatrice del programma Spazio Donna -. Ricevere i soldi contati, dover giustificare ogni spesa, non avere la possibilità per piccole spese personali o cure mediche, non aver diritto di esprimere opinione sugli acquisti fatti per la famiglia: si inizia con gesti apparentemente trascurabili, che si trasformano in una dipendenza sempre più stretta».
Allora, che si fa? «Si fa. Nel nostro centro si da il servizio di orientamento al lavoro, la stesura del curriculum vitae, che spesso è il primo, il bilancio delle competenze e corsi di digitalizzazione, anche di base» spiega Serena Marelli, operatrice di accoglienza nello Spazio Donna di Corvetto, Milano. «Spesso accogliamo donne che devono riuscire a rientrare dei debiti, magari perché l’ex partner ha lasciato casa con un mutuo aperto o non paga gli assegni familiari né le altre spese per i figli – continua Marelli -. L’educazione finanziare è troppo poca. L’idea che non avere un bancomat o non poter lavorare sia una forma di violenza sta iniziando a diffondersi, ma una vera consapevolezza ancora non c’è».
(da Fanpage)

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“DICEVA DI AMARMI, MA IO SOGNAVO DI FINIRE IN UN SACCO NERO: SONO FORTUNATA A NON AVER FATTO LA FINE DI GIULIA”

Novembre 22nd, 2023 Riccardo Fucile

IL RACCONTO DI UNA GIOVANE DONNA

Ho 21 anni e sono una vittima di violenza psicologica e quasi fisica da parte di un uomo che diceva di amarmi. Siamo stati insieme dai miei 17 ai 20 anni, io credevo fosse l’uomo della mia vita, che ci saremmo sposati. La mia più grande salvezza è stata quella di aprirmi e parlare con un’amica, che ha riconosciuto la violenza che subivo.
I primi tempi erano normali, era tutto meraviglioso, poi iniziò una gelosia eccessiva che mi portava a mentire per evitare discussioni. Mentivo costantemente perché per lui la colpa se un uomo ci provava era solo mia, perché io mi atteggiavo per avere attenzioni, perché io me la cercavo. Poi il mio capo iniziò a mostrare atteggiamenti un po’ strani nei miei confronti, lui era un uomo di 50 anni, glielo raccontai e la sua risposta fu che io che io ero una t***, e che non sapevo respingerlo perché avevo paura mi avrebbe tolto dal piedistallo.
Voglio precisare che io e lui lavoravamo insieme e quindi poteva vedere tutto quello che succedeva, io non facevo nulla, e nemmeno il mio capo, ma siccome io ero arrivata dopo di lui, ed ero più brava secondo il nostro capo, lui iniziò ad accusarmi di farmela di nascosto con lui. Ovviamente non era vero, io amavo lui solo lui. L’anno successivo lui non venne richiamato, io sì, e questo per lui fu un grande colpo.
Una sera avevamo litigato, io tornavo da lavoro, avevo parcheggiato in un posto buio dove per tutta l’estate avevo parcheggiato e per tutta l’estate non avevo mai avuto paura di andare a prendere la macchina. Quella sera però me lo sentivo che c’era qualcosa di strano. Entrai in macchina pensando “ok, entro e mi chiudo dentro con la sicura” e invece nell’entrare in macchina non ho fatto in tempo a chiudere che lui mi aprì lo sportello del passeggero si mise lì e chiuse lui con la sicura.
Io iniziai a tremare, non ho mai avuto così tanta paura in vita mia, aveva gli occhi di fuoco, perché io non gli avevo risposto, ma non l’avevo fatto perché stavo lavorando e lì non potevo usare il telefono. Iniziò a urlare sempre più forte, fino a sbattere tutto quello che aveva tra le mani (ho avuto paura scoppiasse l’airbag per quanto era forte).
Gli chiesi di scendere e di andare via, e lui non voleva ovviamente, poi iniziò a cercare di baciarmi perché forse si era reso conto, ma io non volevo e questa cosa lo fece incavolare ancora di più. Lì ho avuto più paura che mai, la voce era cambiata, io iniziai ad avere un attacco di panico e piansi, a quel punto mi lasciò stare ma solo con la promessa che avevamo fatto pace e che io l’amavo.
Nel viaggio dal parcheggio a casa piansi tutte le mie lacrime e prima di salire mi tolsi il mascara colato, e sfoggiai un sorriso per i miei che erano svegli. Sono rimasta in silenzio su questo episodio e su molti altri che ho subito, come quella volta che era arrabbiato e siccome c’erano i miei a casa fece finta di non esserlo, ma non appena loro uscirono, lui iniziò una scenata che spaventò una mia amica che viveva accanto a me (e a cui non raccontai la verità).
Fece per darmi anche un pugno in faccia, mentre io restavo in silenzio. Una volta minacciò di svegliare tutti i miei familiari con il clacson alle 3 di notte se io non fossi scesa a chiarire con lui, sbagliando andai e lui non mi disse nulla, iniziò a correre con la macchina a velocità assurde (150km/h) in centro abitato, e quando gli chiesi di scendere, mi disse che me lo meritavo, mi meritavo di avere paura, e che era contento che il mio percorso universitario fosse in un punto critico perché anche il suo lo era.
Io non parlavo di queste cose con nessuno perché pensavo che nessuno mi avrebbe creduto, pensavo che tutti mi avrebbero detto che chi subisce violenza la subisce con la morte, o con i lividi, e che quello prima può succedere, che alla fine non è successo niente, io però me le ricordo le emozioni che provavo. Ricordo tutto.
Ora non riesco più ad andare con un uomo in macchina senza avere paura, se siamo in due io non riesco a stare tranquilla, ho attacchi di panico per questo, sto cercando di sopravvivere con uno psicologo. Solo sua zia era al corrente di tutto, con lei io avevo un rapporto ma non fece nulla. Non mi ha mai detto “questa è violenza, scappa” ma anzi, cercava di dirmi che ci avrebbe parlato, ma che non sapeva come fare perché lui non era al corrente di questo mio rapporto con lei.
Quando io ho avuto la forza di lasciarlo, lei mi ha scritto un messaggio in cui diceva che ora capiva perché lui aveva fatto quello che aveva fatto, fondamentalmente perché io ero una st***.
Sono riuscita a lasciarlo perché sono andata a vivere fuori, e la distanza mi ha permesso di vedere quello che succedeva, io avevo paura di rovinare l’immagine di lui ai miei genitori, che poi mi avrebbero obbligato a lasciarlo e io forse non ero pronta, perché alla fine ero innamorata del mio carnefice, anche se a volte mi svegliavo di soprassalto pensando di essere finita in un sacco nero, con lui che mi chiudeva con una nastro adesivo.
Io avevo paura che qualsiasi cosa potesse farlo arrabbiare. Se sono libera è anche grazie a una mia cara amica che ha riconosciuto la violenza: senza di lei forse non avrei mai saputo riconoscere quanto mi succedeva. Il mio più grande incubo è trovarlo in giro, guardarlo, riconoscerlo tra la gente della città in cui vivo. Questa storia mi ha lasciato segni indelebili.
La cosa più brutta è che le persone a lui care, ma anche le mie, hanno una immagine di lui di ragazzo perfetto, che ho lasciato per la distanza e perché pensavo al mio futuro e non a lui. Avrei voluto un confronto con lui, ma non è minimamente consapevole, non sa il male che mi ha fatto, dice che mi sono inventata tutto e che cerco di far ricadere la fine della relazione su di lui.
Quando ho sentito l’intervista di Elena, la sorella di Giulia Cecchettin, che diceva che lei aveva paura di lui e che poi però minimizzava tutto, mi ha fatto pensare che sono fortunata a essere viva, perché il mio ragazzo non era meno violento del suo.
Molte mie amiche col tempo mi hanno chiesto perché non ho denunciato, la risposta è che io non mi voglio sentire più una vittima, cosa che sono già stata, e che sapere che ci sono persone che saranno pronte a minimizzare tutto, a farmi passare per pazza, non lo reggerei.
Questa è la mia storia: se servirà per salvare la vita di qualcuno, sarò contenta.
(da Fanpage)

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COSA FARE SE SI VIVE UNA RELAZIONE TOSSICA, I CONSIGLI DELLA PSICOLOGA

Novembre 22nd, 2023 Riccardo Fucile

PER CAPIRE PERCHE’ SI ENTRA IN UNA DI QUESTE RELAZIONI E COME USCIRNE

I particolari continuano ad affiorare. Nell’ordinanza di custodia cautelare per Filippo Turetta firmata dal giudice per le indagini preliminari si può leggere una delle prime ricostruzioni della morte di Giulia Cecchettin. Il delitto sarebbe avvenuto in più fasi. Prima un’aggressione a 150 metri da casa, poi un’altra in una zona industriale. E poi ancora il corpo nascosto, e la fuga. Il resto lo dirà il processo. A seconda dei capi di accusa che gli verranno contestati, Filippo potrebbe rischiare l’ergastolo. Intanto il caso ha sollevato un’attenzione ancora inedita in Italia. E grazie alle parole della sorella Elena e del padre Gino il caso singolo di Giulia è diventato un punto di partenza per portare il dibattito su un tema più ampio: quello delle relazioni. Basta aprire i social per leggere qualsiasi tipo di commento su questa storia e sul contesto in cui è nata.
Noi di Fanpage.it ne abbiamo parlato con Antonella Contarino, psicoterapeuta e membro della società italiana di Sessuologia clinica e Psicopatologia sessuale. Se volete approfondire, su questo tema abbiamo intervistato anche Carlo Rosso, medico psichiatra e professore di Psicologia e Psicopatologie sessuali all’Università di Torino. Precisiamo una cosa. Nell’intervista qua sotto non si parla della relazione tra Giulia e Filippo, ma in generale di relazioni oppressive.
Dopo la morte di Giulia siamo tornati a parlare di relazioni oppressive, o tossiche. Come appaiono all’inizio questi legami?
Una relazione di questo tipo spesso si svela nel tempo. Non ha caratteristiche che si notano subito. È una sorta di dinamica a imbuto. In qualche modo si va a stringere sempre di più la libertà dell’altro, fino a quando l’altro si accorge di essere in trappola.
Come si fa a stare in una relazione così chiusa?
Spesso queste relazioni si basano sull’ambivalenza: c’è un’alternanza tra i momenti in cui la persona mi fa sentire molto amata e quelli in cui cerca di chiudermi. L’amore che mi viene offerto ha sempre un prezzo ed è quello della libertà. Si comincia da piccole cose, da frasi come “questo potremmo farlo insieme” e poi si arriva all’imposizione di un controllo costante.
Le persone intorno non si accorgono di cosa sta succedendo?
Chi subisce questo trattamento non sempre capisce cosa gli accade. E spesso tende a non condividerlo. Anzi. Se quando parla della sua relazione riceve giudizi dagli altri, alla fine tenderà a isolarsi e rimanere da solo per non dovresti confrontare.
Perché si rimane in queste relazioni?
Ogni caso ha delle variabili. A volte ci si ritrova in dinamiche che si sono già viste in famiglia, nel rapporto tra i genitori o con i genitori, dove il tema del controllo fa parte della relazione intrafamiliare. Non si parla necessariamente di genitori violenti o oppressivi ma di relazioni che non creano sicurezza, creano ambivalenza. Se non sono certo della mia amabilità, del fatto di poter essere amato, allora l’esperienza di essere amato diventa più importante di qualsiasi cosa. Ma la risposta cambia da caso a caso.
Cosa fare quando ci si accorgere di essere dentro una relazione del genere?
È importante rivolgersi a un professionista. Sarà lui ad aiutarmi a capire meglio cosa mi lega a quella persona e perché non riesco ad andarmene. Devo capire la mia relazione, avere uno spazio in cui non essere giudicato e capire se ci sono dei traumi irrisolti alle spalle che mi fanno stare in una relazione in cui la mia libertà è limitata.
E invece da dove nasce il desiderio di circoscrivere la libertà degli altri?
Per assurdo la matrice è la stessa. Tutto parte dai modelli di riferimento. Chi sente il bisogno di circoscrivere la libertà di una persona e esercitare il possesso ha dietro un’enorme fragilità emotiva, un’insicurezza relazionale e una scarsa fiducia nell’altro che diventa qualcuno da controllare. L’altro diventa qualcuno su cui avere potere per non rischiare di perderlo e rimanere solo. L’altro diventa la mia sicurezza.
Stiamo parlando molto anche di cultura patriarcale. Ha un ruolo in questo tipo di storie?
§La cultura patriarcale può avere un ruolo in alcuni casi, ma non credo che sia un fattore determinante. Siamo in una fase storica in cui tutto il concetto di famiglia sta venendo meno. I confini sono meno definiti, come i ruoli. I ragazzi si trovano davanti a genitori focalizzati sull’evitamento della sofferenza, cosa che li rende incapaci di avere gli strumenti per affrontarla quando la si incontra.
Chi si deve occupare dell’educazione sentimentali dei ragazzi?
I genitori, la famiglia è il modello da cui partire. È lì che si deve imparare l’intelligenza emotiva. La scuola può fare da spalla ma non può sostituirsi, lo dico per esperienza. Si può fare tutta la formazione che si vuole a scuola ma è un lavoro che poi non è sufficiente se a casa non si confermano dei modelli relazioni funzionali.
(da Fanpage)

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DAL PATRIARCATO AL SESSISMO: PERCHE’ QUESTI SOVRANISTI NON SONO CREDIBILI

Novembre 22nd, 2023 Riccardo Fucile

NON BASTA PUBBLICARE UNA FOTO DI FAMIGLIA PER ESSERLO

Ieri la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si è irritata perché Lilli Gruber l’ha indicata come espressione di una cultura patriarcale. Lei, donna, madre, cristiana e al comando del paese. Ha reagito sui social con una punta d’ironia pubblicando uno scatto con madre, figlia e nonna e un’eloquente frase: «Come chiaramente si evince da questa foto che ritrae ben quattro generazioni di “cultura patriarcale” della mia famiglia. Davvero senza parole».
La presidente potrebbe partire dal lessico, dal frasario per capire che già quello tradisce un architrave ideologico risalente al secolo scorso. Ha iniziato la sua avventura chiedendo di farsi chiamare “il presidente” e non “la presidente”. Al maschile. Si dirà è solo forma, quello che conta sono le risposte da dare al paese.
È una menzogna, la lingua non è neutra, tradisce un ordine valoriale per cui il maschile è la massima autorevolezza possibile che le donne possono darsi. «Lo scopo di queste raccomandazioni è di suggerire alternative compatibili con il sistema della lingua per evitare alcune forme sessiste della lingua italiana, almeno quelle più suscettibili di cambiamento», si leggeva in una ricerca sul tema curata da Alma Sabatini e pubblicata dalla presidenza del consiglio dei ministri nel 1987.
La presidente Meloni potrebbe tranquillamente consultarla sul sito della funzione pubblica, troverà all’interno un esempio che fa al suo caso. Si scrive “la presidente” e non “il presidente” per dare impulso a «un’ottica che partendo dalla donna metta in luce i lati lasciati finora in ombra dalla tradizionale ottica patriarcale».
La parola è un’azione vera e propria, «l’uso di un termine anziché di un altro comporta una modificazione del pensiero e nell’atteggiamento di chi lo pronuncia e di chi lo ascolta», si leggeva. L’altro problema che Meloni non affronta è quello di una classe dirigente che di tanto in tanto offre scivoloni che, non di rado, denotano una certa arretratezza in tema di pari dignità tra i generi.
PATRIARCATO E DINTORNI
Iniziamo dal professore Alessandro Amadori, consulente del ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, che in un libro pubblicato, nel 2020, come svelato ieri da Domani, dedicava un capitolo al tema: «Il diavolo è anche donna». Così scriveva: «Dietro la punta dell’iceberg dei femminicidi, sembra però esserci il grande corpo dell’iceberg costituito dal bisogno di sottomissione maschile (…) C’è una piccola, ma appariscente popolazione di donne, che approfitta di questa tendenza maschile alla sottomissione, e ne fa una vera e propria fonte di business».
Un altro pensatore della destra, di recente preso come modello, è il generale Roberto Vannacci che definisce come «moderne fattucchiere» le donne secondo cui «solo il lavoro e il guadagno possono liberare le fanciulle».
Ma poi ci sono i politici e i rappresentanti delle istituzioni. Iniziamo dalla Lega. «Quando vedo le sue immagini non posso non pensare alle sembianze di un orango», diceva durante un comizio Roberto Calderoli dell’allora ministra dell’Integrazione, Cecyle Kyenge.
Sono passati dieci anni da allora e oggi Calderoli è ancora ministro per gli Affari regionali. È ministro anche Matteo Salvini che ha collezionato voti e consensi soffiando sull’odio e la violenza verbale, nel 2019 di una donna, Carola Rackete, diceva: «Pure Carola mi ha denunciato, fra le tante denunce pure quella della zecca tedesca. Uno basta che la guarda in faccia, proprio qua doveva arrivare», diceva lo statista.
Un altro esponente di quella galassia politica è Vittorio Sgarbi, sottosegretario di stato alla Cultura. «Salame, zitta cretina, capra, studia», diceva a un’esponente del M5s, Alice Salvatore, che gli ricordava la sua condanna e i suoi trascorsi. Era il 2015. «Ora cara Boldrina, sia precisa, ci dica chi è lei… lei è la grammatica?
Lei stabilisce che non è giusto chiamare sindaco una sindaca e ministro una ministra? Ai ruoli non si applicano i sessi, rimangono tali e quali. Come la persona rimane persona anche quando si riferisce ad un uomo, non diventa persono. E tu sei una zucca vuota, una capra», diceva a Laura Boldrini, ex presidente della Camera.
A destra sono cresciuti culturalmente con Silvio Berlusconi, le sue battute, il suo credo, il sessismo elevato a sistema. Mai una presa di distanza, mai una critica, mai un distinguo da parte di Meloni e sodali. Nel febbraio 2013 l’ex cavaliere chiedeva a un’addetta alle vendite: «Lei viene?».
Lei rispose imbarazzata: «Sì, a costo zero». «E quante volte viene?», continuava Berlusconi con l’evidente doppio senso. Santanchè, oggi ministra intoccabile nonostante bugie e scandali, un giorno gli aveva ricordato che lui le donne le vedeva solo in orizzontale prima di tornare a difenderlo quando i destini politici si erano incrociati di nuovo.
Anche tra i parlamentari delle destre c’è chi spicca con dichiarazioni memorabili. «Se proprio ci tengono a fare educazione sessuale a bambini di 6 anni se la facciano nelle loro sedi di partito, non approfittino della scuola senza il consenso dei genitori obbligando dei bambini alle loro porcherie», ha detto di recente Rossano Sasso che è stato sottosegretario e oggi è deputato della Lega.
Qualche giorno fa, invece, la magistrata e deputata in quota Carroccio, Simonetta Matone, ci ha deliziato con una imperdibile massima: «I maschi disturbati non hanno mai madri normali». E i meloniani? Per capire la profondità di pensiero è sufficiente leggere le parole recenti del presidente del Senato, Ignazio La Russa: «Quando si realizzerà veramente la parità di genere? Quando una donna grassa brutta e scema rivestirà un ruolo importante. Perché ci sono uomini brutti grassi e scemi che ricoprono ruoli importanti. Credo sia un grosso complimento per le donne».
Sono solo alcune frasi e dichiarazioni di alleati, amici e sodali della presidente Meloni, non ne servono altre per fare i conti con un architrave ideologico intriso di sessismo e patriarcato. Per smontarlo una foto non basta.
(da La Repubblica)

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FRECCIAROSSA IN RITARDO: FERMATA AD PERSONAM PER LOLLOBRIGIDA

Novembre 22nd, 2023 Riccardo Fucile

CASTA SUI BINARI: CAOS SULLA RETE FERROVIARIA, IL TRENO VIENE FATTO DEVIARE E LOLLO OTTIENE DI SCENDERE A CIAMPINO

“Scusa capo, posso scendere qui? Dài, che faccio tardi…”. Quanti di noi, da ragazzini, andando a scuola, non hanno mai pronunciato questa frase all’indirizzo dell’autista dell’autobus, a volte ottenendo un (corretto) rifiuto, a volte un’eccezione che ci ha risparmiato qualche metro zaino in spalla? Immaginiamo se questo accadesse su un treno, per giunta ad alta velocità: un convoglio in ritardo, una fermata non prevista, un passeggero speciale che scende. È quanto successo ieri al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che ha usufruito di una “fermata straordinaria” del Frecciarossa Torino-Salerno alla stazione di Ciampino, pochi chilometri a sud della Capitale. “Una fermata ad hoc”, spiegano fonti informali al Fatto, perché a scendere dal convoglio sarebbero stati solo il ministro e una o due persone del suo entourage. Ma ricapitoliamo la vicenda.
Quella di ieri è stata l’ennesima giornata campale per le ferrovie italiane, a causa di un guasto sulla tratta da Roma e Napoli che ha causato ritardi a cascata su tutta la rete. Così il Frecciarossa 9519 partito da Torino alle ore 7.00 e diretto a Salerno ha accumulato un ritardo di ben 111 minuti (quasi 2 ore). Proprio su quel convoglio, a Roma Termini, intorno alle 12, è salito Lollobrigida. Il ministro era diretto a Napoli Afragola, da dove poi si sarebbe dovuto recare a Caivano per l’inaugurazione del nuovo parco urbano. Il guasto sulla linea Alta velocità tra la stazione Roma Salone e quella di Labico ha però portato Trenitalia ha dirottare tutte le Frecce e gli Intercity sulla “vecchia” Roma-Napoli, quella che passa da sud, per poi farli ricongiungere con la linea “nuova”. Solo che un ulteriore problema a uno scambio tra le stazioni di Zagarolo e Valmontone ha creato ulteriori perdite di tempo. “Ci abbiamo messo più di un’ora a percorrere il tragitto tra Termini e Ciampino”, dice un passeggero che era a bordo dello stesso convoglio.
Ritardi su ritardi, insomma. E un disastro inaccettabile per la fittissima agenda del ministro, che già veniva da un impegno alla Camera e che, dopo l’evento a Caivano, sarebbe dovuto rientrare il prima possibile a Roma per registrare il suo intervento alla trasmissione Avanti Popolo di Nunzia De Girolamo. Insomma, posporre anche di qualche ora Caivano avrebbe significato far saltare tutto. Anche perché l’evento in provincia di Napoli “non era rinviabile”. Fonti vicine al ministro spiegano che “l’assenza del governo sarebbe stata una delusione sia per le tante persone presenti che attendevano l’inizio dell’evento, soprattutto per bambini e studenti accorsi sotto la pioggia nella scuola e al parco, sia per le istituzioni. Il treno purtroppo aveva circa 100 minuti di ritardo. Per non deludere i cittadini e per rispettare l’impegno preso con la comunità di Caivano, il ministro sarebbe andato perfino a piedi”. È a quel punto che l’agenda di Lollobrigida viene salvata in corner. Il personale di Rfi alla stazione di Ciampino, allertato dalla centrale operativa, autorizza il capotreno ad una “fermata straordinaria” nella cittadina aeroportuale. E lì il ministro e un paio di persone del suo staff scendono e, scortate dalle forze dell’ordine nel piazzale all’esterno della stazione, salgono sull’auto blu che parte in tutta fretta verso Caivano. Fonti del Fatto vicine al personale della stazione alle porte di Roma confermano che quella era, appunto, una “fermata straordinaria”, realizzata ad hoc per le esigenze del ministro.
E infatti sul sito ViaggiaTreno di Trenitalia la sosta non compare. Né si ha notizia di altri stop straordinari durante tutta la giornata. A confermare il tutto al Fatto è la stessa Trenitalia, secondo cui dopo la ripartenza da Termini è stata disposta la fermata alla stazione di Ciampino, dove sono scese le istituzioni presenti a bordo, per poter far fronte, appunto, a impegni istituzionali. Una possibilità prevista dal regolamento delle Ferrovie – i cui vertici attendono il rinnovo in primavera – e che, a loro dire, non avrebbe prodotto alcun ritardo ulteriore per i passeggeri. Insomma, se pure i treni non passano in orario, una soluzione si trova sempre.
(da Il Fatto Quotidiano)

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DALLA SANITA’ PRIVATA AI BALNEARI: TUTTE LE LOBBY DELLA PRESIDENTE MELONI. E I LORO AFFARI

Novembre 22nd, 2023 Riccardo Fucile

IN PALIO BANDI E ASSEGNAZIONI CHE VALGONO MILIARDI

L’unico obiettivo del governo a più di un anno dal suo insediamento è stato quello di dare contentini, a volte non proprio piccoli, ad alcune associazioni di categoria che ormai sono diventate delle sorte di interlocutori privilegiati di Palazzo Chigi. Sigle influenti nelle stanze di Fratelli d’Italia e della Lega, ma soprattutto in quella dove siede la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Associazioni agricole, sindacati di polizia, sigle che raggruppano ambulanti, tassisti, balneari: lobby, spesso, che bloccano qualsiasi tipo di concorrenza e liberalizzazione di alcuni mercati. E, ancora, il governo sembra avere una attenzione particolare al mondo dei privati della sanità, delle associazioni pro-life e anche nei confronti di una manciata di conduttori tv che da anni montano puntate delle loro trasmissioni sulle “mamme rom che rubano in metro e tram” o “sugli immigrati che occupano le case degli italiani”.
Il tesoretto dei contratti di filiera
Ma quali sono oggi le sigle e le associazioni più influenti nel governo? Che cosa hanno già ottenuto e che cosa chiedono ancora, sapendo che potrebbero ottenerlo? In questi giorni sono emerse plasticamente il ruolo e la forza di Coldiretti, con il presidente Ettore Prandini che ha sfiorato la rissa con i deputati di Più Europa che manifestavano davanti Palazzo Chigi a favore della carne coltivata. Prandini, e la sua rete, sono i veri gran suggeritori del ministro Francesco Lollobrigida: non solo sullo stop alla carne sintetica, ma anche sul decreto flussi ampliato secondo le richieste dell’associazione ormai unica referente del comparto per il governo Meloni. La prossima partita riguarderà i contratti di filiera, tema caro a Coldiretti: dopo il primo bando già con graduatoria e che vale 700 milioni di euro, a breve Lollobrigida destinerà altre risorse alle filiere (si parla nei corridoi del ministero di una cifra intorno ai 2 miliardi). Mentre Prandini si lancia a chiedere una revisione della Costituzione per affidare più poteri in materia agricola allo Stato togliendole alle Regioni: tanto oggi si sa chi sussurra cosa fare al ministero, cioè allo Stato.
L’asse coi sindacati di polizia
Nell’ultimo Consiglio dei ministri, Meloni ha annunciato l’approvazione dell’ennesimo pacchetto sicurezza. Ha dato un contentino alle forze dell’ordine, che potranno portare armi non di ordinanza fuori servizio, e in un bilancio a dir poco ristretto ha recuperato risorse per avviare la contrattazione per gli aumenti stipendiali. Ma a far capire la “sintonia” con alcune sigle bastano le parole dei segretari di Siap e Siulp dopo un incontro a Palazzo Chigi nei giorni scorsi: “Riteniamo dover dare atto del positivo confronto per l’oggettivo riconoscimento politico del nostro impegno nel paese – hanno detto i segretari generali Felice Romano (Siulp) e Giuseppe Tiani (Siap) – un primo costruttivo passo per affrontare datate problematiche, percorso avviato grazie soprattutto all’impegno e l’opera del ministro Piantedosi, di parlamentari come il vicepresidente del Senato Gasparri, dei sottosegretari all’Interno Molteni, Ferro e Prisco”. Cosa hanno ottenuto di concreto sul fronte dell’aumento dell’organico e di veri investimenti necessari, non si sa: ma il rapporto è solidissimo, pare.
La ricca torta della sanità privata
Sempre nell’ultima manovra che dà soldi a pochi, tra i beneficiari di un aumento ci sono le aziende sanitarie private, raggruppate in gran parte all’interno dell’Aiop, la potente associazione di categoria legata a Confindustria, ma anche nelle sigle che raccolgono iscritti tra specialistica e laboratori. Qui il referente diretto nel governo è il sottosegretario Marcello Gemmato, farmacista e responsabile sanità per FdI: già a marzo diceva che i “privati sono importanti per ridurre le liste d’attesa”. Ed ecco nella manovra recuperati circa 600 milioni.
Tra concessioni e licenze
Altro comparto al quale il governo Meloni ha dato un contentino è quello degli ambulanti, con la proroga delle concessioni (e addio gare): qui una sigla ascoltatissima è l’associazione ambulanti della Ugl. Mentre sul fronte balneari un filo diretto è stato costruito soprattutto con Confcommercio (la seconda uscita pubblica della Meloni appena insediatasi è stata proprio a Confcommercio, per annunciare la fine del reddito di cittadinanza chiesto dall’associazione, la prima uscita era stata da Coldiretti a Milano). Qualche giorno fa il presidente Sib, Antonio Capacchione, e Maurizio Rustignoli, presidente Fiba, hanno scritto alla Meloni chiedendo di bloccare le gare che alcune amministrazioni locali stavano avviando per la concessione delle spiagge. Ed ecco la soluzione trovata nell’ultimo Cdm: mettere a gara le spiagge libere. Insomma, privatizziamo tutto e non tocchiamo le concessioni esistenti compresa quella cara alla ministra Daniela Santanchè: il Twiga del suo socio Flavio Briatore.
Sui taxi poi il governo ha concesso di aumentare le licenze del 20 per cento, ma dandole di fatto a chi già ne ha una. Insomma, un regalo alla categoria più chiusa del Paese e protetta dalla destra: qui un interlocutore privilegiato al governo è l’Ugl Taxi, ma tutte le sigle dei vari sindacati locali son ben ascoltate e tanti sono stati i tassisti candidati nelle file di FdI o della destra.
La sponda con le campagne t
Ci sono poi lobby più impalpabili e meno formali, ma per questo non meno influenti. Nell’ultimo decreto sicurezza Meloni ha previsto il carcere anche per mamme e donne incinte: una risposta, sembra, alle decine di trasmissioni montate dai conduttori cari alla destra che ogni settimana e ormai da tempo fanno servizi su furti nelle metropolitane. Programmi che da anni rilanciano l’emergenza criminalità ma solo verso alcune categorie e stranieri soprattutto. Alimentando uno scontento che ha sollevato molto la destra alle urne, su questo non c’è dubbio. E di questo si è occupato il governo Meloni.
(da La Repubblica)

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QUELLA LISTA VANNACCI CHE PREOCCUPA MELONI E I GIORNALI SOVRANISTI

Novembre 22nd, 2023 Riccardo Fucile

IL GENERALE POTREBBE VALERE IL 4%, SOTTRAENDO VOTI A FDI E LEGA… COSI’ SI SPIEGA L’ATTACCO DI MARIO GIORDANO

Più si avvicinano le Europee, più il panorama politico inizia a ribollire. Sono in corso movimenti a destra della destra di Giorgia Meloni, dove in molti sono decisi a contendersi lo spazio politico dei nostalgici della vecchia Fratelli d’Italia dura e pura, che non ne hanno apprezzato la nuova veste istituzionale.
Il più attivo è l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che ha scelto come cifra l’opposizione al governo: dal no alla guerra in Ucraina a quello alla riforma del premierato. Non solo, però: anche la Lega si sta attivamente muovendo per lanciare un’opa ostile su questa fetta di elettorato, puntando a togliere consenso alla presidente del Consiglio. Il punto di incontro di questi due mondi ostili a Meloni ha un nome e anche un grado: il generale Roberto Vannacci.
Chi lo considerava una meteora, come alcuni esponenti del governo, sembra aver sbagliato i suoi conti. Pur sparito dai palinsesti televisivi da qualche mese, il numero di copie del suo libro Il mondo al contrario ha continuato a salire fino oltre quota 200mila e lui stesso spiega con una punta d’orgoglio che «se dovessi accettare tutti gli inviti a presentarlo, avrei il calendario pieno fino alla prossima estate».
Proprio questi numeri spaventerebbero il mondo vicino a Meloni: con il suo ultimo libro la premier ha venduto “appena” 26mila copie e su questo divario viene pesato l’effetto di una possibile candidatura di Vannacci. Anche per questo il generale fa gola a molti in vista di una scadenza elettorale come quella di Bruxelles, che ha connotati particolari: collegi smisurati su cui confrontarsi e la necessità di essere molto noti per competere a livello di preferenze, spiccando tra i molti candidati.
Non a caso Vannacci è stato corteggiatissimo dalla Lega, con il vicepremier Salvini che lo ha anche pubblicamente difeso, ma anche da Alemanno, che questo fine settimana dovrebbe fondare il suo nuovo movimento, il Forum per l’Indipendenza Italiana. Entrambi hanno tentato di cooptare il generale, lusingandolo con offerte politiche.
Lui, però, si è sempre tenuto ben distante: «Per ora faccio il mio mestiere, che è quello di soldato», ribadisce al telefono sorridendo, ma aggiungendo sibillino: «Non mi ipoteco il futuro, però. Nulla esclude che potrei fare altro: l’imprenditore, occuparmi di relazioni internazionali ma anche la politica, perché no». Perché no, infatti? «Sono un uomo che ha impostato la sua vita scegliendo sulla base delle passioni, non della convenienza. Se deciderò di intraprendere una nuova strada, sarà la passione a guidarmi».
VALE IL 4 PER CENTO
Se davvero fosse la politica la nuova passione del generale, un sondaggio nelle mani dell’area politica a lui più affine sarebbe già pronto e lo porterebbe in una direzione ben precisa: un suo movimento personale, senza Salvini o Alemanno a fargli ombra, potrebbe valere il 4 per cento o anche qualcosa di più alle Europee. Tradotto: avrebbe buone chances di superare la soglia di sbarramento. Soprattutto, potrebbe togliere voti a FdI e alla Lega. Tuttavia, per ottenere un seggio in Europa, non basta avere un profilo molto noto e agevole accesso ai salotti televisivi dove trovare tribuna.
L’altra caratteristica essenziale, infatti, è quella di una ragionevole disponibilità economica anche solo per riuscire a organizzare una campagna elettorale in un collegio molto grande (una cifra da mettere in conto per i candidati dei partiti maggiori è di circa 250 mila euro), ma anche per raccogliere le firme necessarie in caso di corsa solitaria. Se davvero Vannacci scegliesse la strada autonoma, come qualcuno a Palazzo Chigi teme, dovrebbe trovare anche appoggi economici per sostenerne l’ambizione.
Tutta fantapolitica, almeno per ora, ma ambienti vicini al governo confermano che un eventuale esperimento Vannacci impensierisce Fratelli d’Italia ben più dei progetti di Alemanno. Non sarebbe un caso che un giornale d’area come la Verità – che aveva eletto Vannacci a suo beniamino della libertà contro il politicamente corretto – ora abbia fatto dietrofront e, con un editoriale di Mario Giordano, abbia espresso «delusione», accusandolo di essersi imborghesito.
Tranquillo e sicuro di sé, Vannacci non si scompone, ma ricambia la delusione e rinnega qualsiasi imborghesimento. Anzi, scherza, «so che qualcuno mi ha visto girare per Firenze in uniforme». Cosciente delle aspettative che sono fiorite intorno alla sua persona, preferisce lasciare che i suoi detrattori vecchi e nuovi si arrovellino nel dubbio di quale sarà la sua prossima mossa. Nel frattempo, dice, «sono serenissimo e per ora procedo con la mia attività professionale a Firenze, in attesa del nuovo incarico adeguato al mio grado, che mi è stato prefigurato. Non dovrebbe mancare molto, ormai». Nessuna preoccupazione di sorta nemmeno di conseguenze disciplinari dopo la pubblicazione del libro: «Non sono mai stato né sospeso né rimosso, a differenza di quanto ha scritto qualcuno».
Eppure, un progetto in cantiere ci sarebbe. La sua vena autoriale non si è ancora esaurita e anzi, «ho parecchi pezzi scritti tempo addietro che non sono stati inclusi nel libro». E uno di questi, guarda caso, è sulla scuola: uno dei temi che oggi è al centro del dibattito politico. «Lo avevo abbozzato per Il mondo al contrario ma poi lo avevo lasciato fuori», spiega. E quale momento migliore del presente per farlo, magari con una campagna elettorale da costruire e una lista personale da lanciare.
(da editorialedomani.it)

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