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SANITA’, SPECIALIZZANDI IN FUGA: 40 MILIONI DI “BUCO” IL COSTO ANNUO DELL’ADDIO DEI NUOVI MEDICI

Dicembre 6th, 2024 Riccardo Fucile

IL COSTO ANNUO DELL’ADDIO DEI NUOVI MEDICI

La loro resa ci costa fino a 40 milioni l’anno e un danno sociale e sanitario incalcolabile. Vita da “specializzandi”, questi sconosciuti che tengono in piedi gli ospedali ma che il “sistema” non vuol vedere. Ogni anno il ministero dell’Università bandisce borse di studio di 4/5 anni per le specializzazioni mediche in 1.400 scuole. Nel 2024 sono stati finanziati dallo Stato 14.576 posti per 350 milioni. Il 10-13% però lascia il percorso formativo prima del tempo, per sempre o per intraprenderne altri, con una perdita di risorse calcolabile in 36-40 milioni l’anno. In quattro anni, dal 2020 al 2023, si sono perse per strada 6.009 borse e 100 milioni.
Addio 6.009 borse in 4 anni
L’emorragia non dipende solo da scelte individuali ma dall’incapacità di programmazione tra la conferenza Stato-Regioni, che stima il fabbisogno di borse per specialità, e il ministero dell’Università decide quali e quante finanziare. L’attribuzione reale dei posti però avviene sempre senza considerare i “tassi di abbandono” delle singole scuole, anche laddove sono macroscopici e le cause ben individuabili nei questionari che il ministero somministra ogni anno, e tuttavia ignora. Questi dati, elaborati per Il Fatto dall’Associazione Liberi Specializzandi, nessuno li guarda, e infatti non c’è ministero che sappia quantificare lo “spreco”.
1 su 3 -31% cardiochirurgia e -29% radioterapia
Ogni borsa costa in media 25 mila euro l’anno. Se viene abbandonata prima dei 4/5 anni previsti la parte non utilizzata, le cosiddette “evenienze”, torna al Mef e già qui c’è un problema di programmazione: nell’anno accademico 2023/2024 sono andati a vuoto 958 milioni di euro, un terzo dei fondi stanziati. Ma lo scandalo vero è quello dei percorsi di formazione interrotti, che non porteranno al titolo e alla competenza sanitaria. Nel 2021, ultimo anno di graduatoria ancora aperto, l’abbandono è costato 35,8 milioni. I tassi più forti si registrano in specialità essenziali: cardiochirurgia (31%), radioterapia (29%) e medicina nucleare (29%) dove uno su tre se ne va. Un po’ meno gli anatomopatologi (23%).
In alcune scuole l’abbandono arriva al 100%: a Parma, ad esempio, sono stati banditi 29 posti per l’emergenza-urgenza, si sono iscritti in due ed entrambi hanno lasciato prima del tempo, con una perdita di 112 mila euro. A Bari su 60 anestesisti e rianimatori se ne sono andati in 13 e sono costati 347 mila euro, a Verona 317 mila e così via, fino al totale di 36 milioni buttati al vento. “L’assegnazione di risorse dovrebbe essere vincolata alla capacità della struttura di formare gli specializzandi che le vengono affidati – dice Massimo Minerva di ALS – Ma non lo si fa”.
Indispensabili Mancano almeno 30 mila camici
Oltre alla cifra spaventosa, in gioco c’è la qualità stessa del servizio sanitario. L’effetto a cascata degli abbandoni è che in alcune zone/strutture sanitarie manchino cronicamente gli specialisti, che abbondano inutilmente altrove. Ma questo sembra non interessare gli ospedali universitari, che sono più preoccupati della possibilità di continuare a disporre di forza lavoro “a buon mercato” per colmare le carenze di medici strutturati, dato che non sono loro a pagarli, ma il ministero
Quanto siano essenziali alla “tenuta” del SSN lo rivela un dato: attualmente sono in formazione qualcosa come 50 mila specializzandi, quando il numero di medici del SSN è di 110 mila. Se ne mancano 30 mila, quei 6 mila che “mollano” per sempre o per ricominciare sono un numero considerevole.
Orari e retribuzione 14 ore al giorno per 1.600 lordi
Sulla scelta soggettiva poco si può fare, ma su altri fronti sì. Ogni anno il ministero somministra agli specializzandi un questionario e quasi la metà dichiara di essere obbligata a lavorare più delle 38 ore previste dal contratto firmato dalle università, con punte del 57% a Padova, del 48% a Verona. In 18 scuole il 100% dichiara l’obbligo di orari eccessivi. “Nessuno guarda le risposte benché siano direttamente collegate alle cause di abbandono”, insiste Minerva. “Delle ginecologie, Ferrara è la più abbandonata. Dalle risposte si capisce perché scappano: il 58,3% dichiara che il tutor c’è raramente o mai. E infatti dal 2020 al 2023 su 37 iscritti 11 hanno lasciato la specializzazione, quasi il 30% a fronte di abbandoni medi di ginecologia del 10,7%”.
Gli ospedali italiani sono pieni di storie così. Silvia, 29 anni, per due è stata iscritta a una scuola di Neurochirurgia. “Il tutor non c’era mai, i turni erano da 14-15 ore al giorno e se volevi rimanere dovevi stare 36 ore di fila, col rischio di sbagliare e danneggiare i pazienti. Nei primi cinque mesi mai vista una sala operatoria, in compenso facevo le fatture per il primario”. Dopo due anni ha interrotto il percorso iniziato per ricominciare la stessa specializzazione altrove. Il danno per lo Stato è di 50 mila euro. E Silvia sarà formata con due anni di ritardo.
Altra causa di abbandono sono le retribuzioni: 1.652 euro lordi al mese, meno 200 di tasse universitarie. Spesso sono fuorisede, per cui bastano per l’affitto e poco più. Chi fa 300 ore al mese guadagna 4-5 euro l’ora. La legge di Bilancio ha messo 120 milioni per aumentare del 5% la parte fissa e del 50% il variabile nelle specializzazioni meno “attrattive”. Ma gli aumenti sono modesti (da 75 a 190 euro) e scatteranno tra due anni, a fronte di stipendi fermi da 15, nei quali han perso il 40% del valore reale.
Problema cronico Stessa musica almeno dal 2008
Dalle serie storiche sull’abbandono il sistema di assegnazione pare fuori controllo da sempre, che al governo fossero Prodi, Berlusconi o Meloni. Dal 2008 i posti sono stati sempre sottofinanziati rispetto al fabbisogno dichiarato dalle Regioni: se nel 2008 c’era bisogno di 8.848 medici venivano finanziati 5 mila posti (-43%), nel 2013 su 8.189 solo 4.500 (-45%) e così via. Nella medicina d’urgenza nel decennio 2009-2018, su 3 mila posti ne sono stati banditi 800 (-73%). In compenso quelli per oculisti, che non mancano, sono stati abbattuti solo del 22%. È così che si è arrivati alla cronica carenza di 30 mila medici e al cosiddetto “imbuto formativo”, per cui i posti erano meno di quanto servisse e pochi passavano. Solo con il Covid si scopre il prezzo di questa politica, a cosa servano un anestesista, un rianimatore, uno pneumologo. La sirena dell’urgenza fa però piombare la programmazione nell’errore opposto dell’eccesso. In Italia ci sono circa 16 mila anestesisti. Negli ultimi 5 anni sono stati banditi 7.800 posti e gli attuali iscritti sono 5.200. Ma circa 2.500 andranno in pensione, cosicché i 2.700 in più saranno utili per coprire i fabbisogni attuali, ma nel 2030 la specialità sarà in sovrannumero e non potrà essere assorbita, alzando ancora il livello e il costo sociale degli abbandoni. La domanda finale: qualcuno ha mai comunicato al Mef il danno da 40 milioni, visto che nulla si fa per evitarlo?
(da agenzie)

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L’AUTO? UN LUSSO CHE I GIOVANI NON POSSONO PERMETTERSI

Dicembre 6th, 2024 Riccardo Fucile

NEGLI ULTIMI DIECI ANNI CALO DEL 43% TRA GLI UNDER 25 INTESTATARI DI UN’AUTO

Ha scritto Daniele Manca, nel suo editoriale sulla crisi di Stellantis e del mercato dell’auto, che da parte dei grandi gruppi sono state «ignorate le nuove generazioni che sembrano non considerare più l’acquisto di un’auto come il passaggio all’età adulta. E così quando il mercato inizia a cambiare, il settore sembra impreparato». È un tema sul quale torna Claudio Cerasa, direttore del Foglio.
«La crisi del settore dell’automotive — scrive Cerasa, il cui quotidiano è da sempre piuttosto “tiepido” sulla lotta ai cambiamenti climatici — nasce anche per ragioni ideologiche, per conseguenze cioè legate agli effetti di lungo termine generati dalla lenta e inesorabile demonizzazione dell’auto.
Non è solo, come si dice, un tema legato alla fine dell’automobile come status symbol, della fine di quella stagione magica durante la quale ottenere una patente di guida era un rito di passaggio verso l’età adulta.
Il tema è più sottile e riguarda gli effetti di lungo termine della trasformazione dell’auto nel simbolo nocivo di tutto ciò che rappresenta la modernità e dunque il capitalismo.
L’auto inquina, l’auto uccide, l’auto ingombra, l’auto disturba, l’auto è pericolosa, l’auto è un peso, l’auto è contro l’ambiente, l’auto è un pericolo per la nostra vita, l’auto è un pericolo per le nostre città, l’auto non deve andare in centro, l’auto deve essere tassata di più, l’auto è un intralcio al tentativo dei politici più genuini di restituire la città ai propri abitanti, come ha avuto modo di dire la sindaca verde di Parigi Anne Hidalgo».
L’annuncio di una morte dell’automobile resta, ancora oggi, largamente esagerato, come direbbe Mark Twain. Però, anche se una cantante molto amata dai ventenni, Olivia Rodrigo, qualche anno fa ha intitolato Drivers license il suo singolo di debutto, a quel che scrive Cerasa, citando in parte dati che aveva già riportato qualche tempo fa l’Economist, i post-Millennials della Gen Z (convenzionalmente, i nati fra la fine degli anni Novanta e il primo decennio del Duemila) quei «milioni di libere scelte» contro l’automobile le starebbero facendo.
«Nel 1997, il 43 per cento dei sedicenni statunitensi possedeva una patente di guida, nel 2020, questa percentuale è scesa al 25 per cento. Nel 1983, solo un americano su dodici, tra i 20 e i 24 anni non aveva la patente, mentre nel 2020 questa proporzione è arrivata a uno su cinque. Negli ultimi vent’anni, la percentuale di adolescenti britannici con patente è scesa dal 41 per cento al 21 per cento.
Dal 2011 al 2021, il numero di auto intestate a giovani sotto i 25 anni in Italia è diminuito del 43 per cento, passando da oltre un milione a 590 mila unità. E infine: tra il 1990 e il 2017 la distanza percorsa dai conducenti adolescenti negli Stati Uniti è diminuita del 35 per cento e quella dei conducenti di età compresa tra i venti e i 34 anni è scesa del 18 per cento».
Quanto ai possibili motivi del «totale, progressivo e clamoroso disinteresse per le auto delle nuove generazioni», Cerasa scrive: «C’entra probabilmente il fatto che la tecnologia, rendendo facile fare acquisti online o guardare film in streaming a casa, ha reso meno impellenti di un tempo, nei grandi centri abitati, le ragioni per prendere l’auto per spostarsi.
C’entra probabilmente anche un pizzico di ideologia, e le generazioni più sensibili alla sostenibilità non potendosi permettere un’auto elettrica potrebbero avere un senso di colpa in più a possedere una macchina più inquinante, ma queste sono solo supposizioni.
Probabilmente, piuttosto, in questo caso c’entra molto anche la possibilità di avere alternative in città, all’utilizzo delle macchine, car sharing, bike sharing, mezzi pubblici, e alternative maggiori anche per spostarsi da una città all’altra, treno, pullman, aerei, pazienza se inquinanti».
Michael Ryan, esperto di finanza e fondatore di michaelryanmoney.com, ha detto a Newsweek che «dopo anni passati a fare affidamento su Uber e Lyft, molti stanno ora scoprendo che possedere un’auto è più conveniente per i loro stili di vita in evoluzione. Molti preferiscono la flessibilità e la sicurezza percepita dei veicoli personali». Ryan si diceva anche fiducioso sul fatto che, a mano a mano che i giovani americani usciranno dalla trappola del debito scolastico (il macigno dei costi esorbitanti dell’istruzione universitaria), torneranno a comprare auto.
(da il Corriere della Sera)

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L’INDIMENTICABILE LITIGIO DEL 1992 IN CUI PAOLO PILLITTERI INSULTAVA I LEGHISTI CHIAMANDOLI “RAZZISTI”

Dicembre 6th, 2024 Riccardo Fucile

I LAVORATORI DURANTE UNO SCIOPERO ORGANIZZATO DAL CARROCCIO PROTESTAVANO CONTRO L’INSICUREZZA, A LORO DIRE, CAUSATA DALLA PRESENZA DI IMMIGRATI STRANIERI E ROM E L’ALLORA SINDACO DI MILANO DIVENTO’ UNA FURIA: “SIETE LA VERGOGNA DI MILANO”

Paolo Pillitteri è morto giovedì 5 dicembre 2024: è stato sindaco di Milano per sei anni, dal 1986 al 1992, alcuni dei mesi più caotici per la città dal Dopoguerra. Se si esclude il mandato-lampo del successore Giampiero Borghini, è stato l’ultimo sindaco socialista meneghino, succeduto dal leghista Marco Formentini.
Anche per questo l’amministrazione Pillitteri è stata una delle più importanti per Milano: nei suoi complessi anni da sindaco si è trovato ad amministrare, da un lato, la “Milano da bere” ricordata con forse troppa ingenua nostalgia, dall’altro i forti contrasti sociali provocati dall’aumento della cittadinanza sia italiana che straniera e dalle conseguenti reazioni avverse, spesso apertamente razziste.
Proprio nell’ambito di questi mutamenti si colloca un video – reperto storico – che ancora si trova su YouTube e venne registrato nel 1992, ultimo anno di mandato di Pillitteri. Ci troviamo in un deposito Atm, la società di trasporto pubblico cittadina, durante uno sciopero organizzato dalla Lega Nord, sempre più forte sul territorio. I lavoratori protestavano contro l’insicurezza, a loro dire, causata dalla presenza di immigrati stranieri e rom fuori dal deposito. A sorpresa, Pillitteri irruppe al deposito, furibondo. «Siete razzisti», urla. Dall’altra parte, un grande classico: «Se li porti sotto casa sua».
Pillitteri continua a dare dei razzisti agli scioperanti, cedendo purtroppo in dei riflessi classisti quando li apostrofa come «straccioni». «Se questo vuol dire essere fascisti, noi siamo fascisti», risponde uno dei sindacalisti della giovane Lega, forse inconsapevolmente citando il discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925, dopo l’omicidio Matteotti. «Siete la vergogna di Milano», continua Pillitteri. E quando qualcuno gli suggerisce di calmarsi, continua: «Cosa basta? Cosa credete, che queste cose finiscano qui? Che finisca qui il razzismo? Pensate che le cose vadano a posto in questa città se non si riesce a sopportare un minimo di disagio? Si blocca un’intera città perché si ha paura di che cosa? Di chi? Di quattro poveracci? Così è diventata Milano? Si blocca la città perché fuori ci sono due “vu cumprà”?» (il gergo era pur sempre quello degli anni Ottanta-Novanta). «Avete detto delle cose indegne. Siete intolleranti. Vi dovete vergognare», conclude, mentre se ne va
(da agenzie)

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TIRA UNA BRUTTA CORRENTE IN FRATELLI D’ITALIA: SE IERI L’UNICA VOCE CRITICA ERA QUELLA DI FABIO RAMPELLI, ORA I MALUMORI SI MOLTIPLICANO.

Dicembre 6th, 2024 Riccardo Fucile

CON LA SOSTITUZIONE DEL SALENTINO FITTO CON IL PIACENTINO FOTI AL MINISTERO DEGLI AFFARI EUROPEI, LE TENSIONI SONO ESPLOSE, SOPRATTUTTO TRA I DIRIGENTI DI PUGLIA E CAMPANIA. ECCO PERCHÉ LA PREMIER E’ STATA COSTRETTA A RINCULARE E TENERE PER SÉ LA DELEGA AL SUD … L’ATTIVISMO SOTTOTRACCIA DI FRANCESCO LOLLOBRIGIDA, PER FORMARE UNA CORRENTE CON DONZELLI PER (ENTRAMBI “TROMBATI” DA ARIANNA MELONI)

Subito dopo la nomina di Tommaso Foti, detto “Masino”, a ministro degli Affari Europei, Giorgia Meloni ha capito che Fratelli d’Italia non sarà più il partito monolitico costruito intorno ai suoi boccoli, che è stato finora.
Negli ultimi due anni, l’unica voce lievemente critica è stata quella del suo ex mentore, il capogabbiano Fabio Rampelli, che però non ha mai osato sfidarla apertamente
Ora che la Ducetta ha deciso di sostituire il salentino Fitto con il piacentino Foti, tra gli ex missini del Sud si sta diffondendo più di un malcontento. I più irritati sono stati i Fratelli d’Italia di Puglia e Campania, che hanno fatto presente alla premier di non volere un “nordista” al posto di Fitto.
La Meloni ha strabuzzato gli occhi davanti a queste rimostranze, soprattutto perché sia la Puglia che la Campania andranno al voto, per il rinnovo del consiglio regionale, nel 2025. I ras locali del partito ci hanno tenuto a far presente che non si può avere uno sfegatato fan del Nord come Foti, che stando a quel che dice starebbe meglio con la Lega che con Fratelli d’Italia, nel ruolo chiave di gestore dei fondi Pnrr e dei fondi di coesione territoriale e le deleghe per il Sud.
L’attacco frontale a Foti ha spiazzato la premier, e l’ha costretta a una repentina retromarcia, per non inimicarsi coloro i quali dovranno portare i voti al suo partito, alle delicatissime elezioni regionali del prossimo anno.
E infatti la premier ha comunicato al neoministro Foti che la delega al Sud (senza portafoglio), che era nelle sue mani, al momento del giuramento al Quirinale, sarebbe rimasta a Palazzo Chigi, in capo alla stessa Ducetta, per evitare l’alzata di scudi dei coordinatori del sud.
Come scrive Tommaso Ciriaco su “Repubblica”: “la brusca inversione di rotta è stata decisa nelle ore convulse successive alla nomina di Foti. E determinata da una pressione politica dei parlamentari e dei dirigenti meloniani meridionali. In particolare, si apprende, a muoversi sono stati i coordinatori regionali, capitanati in particolare da quelli della Campania e della Puglia, due dei territori chiamati alle urne nel 2025 per la scelta del nuovo governatore.
Il timore manifestato a Meloni è stato quello di subire una campagna ostile delle opposizioni per aver ceduto un tema sensibile come il Sud a un ministro settentrionale. E che dunque il centrosinistra avesse gioco facile a sostenere che l’attuale esecutivo, dopo aver colpito il Mezzogiorno con la contestata riforma dell’autonomia, volesse penalizzare ancora l’area più svantaggiata del Paese”.
Il buon “Masino”, che dovrà già occuparsi della pesantissima rogna del Pnrr (lo stesso Mattarella, al momento del giuramento, gli ha fatto capire l’importanza del ruolo: “Lei ha un bel compito”), è apparso sollevato dal non doversi occupare anche del Meridione, a cui non è mai stato così sensibile.
Che Fratelli d’Italia non sarà più così granitico nella sua devozione e obbedienza a Giorgia Meloni è dimostrato anche dall’attivismo sottotraccia del ministro Lollobrigida, impegnatissimo a creare una sua corrente.
Al suo fianco, l’ex cognato d’Italia si è ritrovato “Minnie” Donzelli, caduto in disgrazia dopo le regionali in Umbria ed Emilia Romagna, a causa dei pessimi risultati raggranellati dai candidati da lui proposti.
Scavalcato nelle gerarchie da Arianna Meloni, che ha preso il timone del partito, accentrando a sé tutte le decisioni più importanti, l’ex coinquilino di Delmastro ha deciso di fare asse con “Lollo” per piantare qualche grana alle figlie di Anna Paratore.
(da Dagoreport)

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