Dicembre 15th, 2024 Riccardo Fucile
IL SOLITO PATETICO CANOVACCIO: RETORICA, ARROGANZA, VITTIMISMO E DERESPONSABILIZZAZIONE FINO ALL’APPELLO FINALE ALLA MOBILITAZIONE DI FRONTE AL FALLIMENTO DI DUE ANNI DI GOVERNO… LE RIVOLUZIONI LE FA CHI HA FAME, NON I RICCHI BORGHESI CON LA PUZZA SOTTO IL NASO E IL CONGRUO CONTO IN BANCA CHE AL PRIMO MORTARETTO SI CHIUDONO IN CASA … QUANDO I GIOVANI MISSINI (QUELLI VERI, NON QUELLI TAROCCATI) RISCHIAVANO LA PELLE PER DIFENDERE UN COMIZIO O UNA SEDE, DOVE CAZZO ERANO I “BUONI BORGHESI” CARI ALLA MELONI? CHIUSI AL CESSO
La parte più interessante del lungo discorso di Giorgia Meloni ad Atreju, la kermesse dei giovani di Fratelli d’Italia, è certamente la chiusura. In un crescendo dai toni quasi epici, la presidente del Consiglio ha ricordato ai suoi che “l’occasione è ora e non permette passi incerti, perché ha bisogno di corse audaci, non permette tentennamenti, perché ha bisogno di certezze, non permette debolezze perché ha bisogno di cuori puri e gambe ferme”. E ha concluso, prima di indossare la felpa della manifestazione e cantare l’inno di Mameli, con una vera chiamata a raccolta: “Ma io so che noi, anche più di quanto noi stessi crediamo, siamo all’altezza del compito, io so che l’Italia è all’altezza del compito”.
È un passaggio importante, perché rappresenta il tentativo di rilanciare quella mobilitazione di militanti, elettori e cittadini che ha permesso a Fratelli d’Italia di arrivare al governo del Paese e di diventare egemone nel centrodestra.
Un concetto cruciale, in un momento piuttosto complesso per Meloni, alle prese con una manovra che si è complicata (di cui parla pochissimo nel suo discorso) e con la necessità di nascondere dietro slogan e vittimismo un bilancio piuttosto deludente in ambiti centrali per la vita quotidiana dei cittadini.
Il piatto piange, sono passati ormai due anni e della svolta epocale promessa agli elettori non c’è traccia: non è un caso se nel suo discorso Meloni spinga molto sui dati dell’occupazione (positivi, quelli sì), rifugiandosi nei tecnicismi su pensioni e sanità ed evitando persino di nominare la scuola (se non per rispondere a una donna tra il pubblico con un laconico “stiamo facendo un buon lavoro”…) o i trasporti.
Quando poi dice di aver “preso 3,6 miliardi” alle banche, persino la platea si mostra incredula: va bene tutto, ma fino a un certo punto…
Insomma, se sullo scacchiere internazionale le cose sembrano mettersi per il meglio (con l’onda dei conservatori alimentata dal terremoto Trump, dall’hype per Milei e dalla prospettiva di svolte imminenti in Francia e Germania), sul piano interno le cose si sono complicate non poco.
Per la prima volta, infatti, Meloni sta avendo a che fare con una vera “contromobilitazione”. Nelle piazze, principalmente, come dimostra l’inatteso successo della manifestazione contro l’ennesimo scempio in materia di sicurezza. Ma anche nei luoghi di lavoro, con i sindacati che stanno contribuendo a mettere in crisi la particolare idea di gestione delle crisi e delle priorità del governo. Anche perché, nelle crisi industriali (da Ilva a Stellantis) l’apporto dell’esecutivo oscilla tra il fumoso e l’irrilevante. Se a ciò aggiungiamo gli intoppi su provvedimenti sui quali aveva investito molto in termini di credibilità politica, autonomia e centri in Albania su tutti, abbiamo un quadro preciso della situazione non semplicissima in cui è venuta a trovarsi Meloni.
In tal senso, il discorso di Atreju è un’ottima bussola per provare a orientarsi nel percorso che la leader di Fdi farà per uscire dall’angolo. Sul piano comunicativo, il metodo è sempre lo stesso: retorica, vittimismo, autenticità come succedaneo della competenza, deresponsabilizzazione. Un osservatore esterno che, a digiuno di politica italiana, avesse ascoltato alcuni passaggi del suo intervento, avrebbe avuto l’impressione di essere in un Paese governato dalla sinistra da decenni. Non c’è un solo campo d’interesse umano o un solo fatto recente della storia politica italiana su cui Meloni non veda in azione la longa manus della “sinistra”. Non c’è una sola responsabilità dei suoi sodali Salvini e Tajani negli anni di Draghi o del Conte I, neanche per gli atti da loro firmati e votati. Non c’è alcuna possibilità che Meloni si accodi alla schiera dei politici di professione, come se non avesse preso parte ai governi dell’era Berlusconi e fosse capitata a Chigi per caso, alla vigilia delle Politiche del 2022. Il dualismo elite/popolo sarà sempre un formidabile strumento retorico nei suoi interventi. Finché funziona, Meloni continuerà così, a raccontare un Paese che non c’è, a ricostruire la storia in modo strumentale, a confondere piani, livelli e responsabilità.
Però non può bastare, lo sa bene. Perché lei ha promesso una rivoluzione, che non può esaurirsi in una astratta dichiarazione d’intenti, quella di fare dell’Italia il laboratorio politico-ideologico della destra conservatrice europea. La stagione della mobilitazione, nella sua idea, non può esaurirsi una volta occupati i palazzi del potere. Tanto più se si dubita che in quei palazzi risieda il vero potere. Né è semplice abituarsi al dibattito sugli indici macroeconomici, alle battaglie degli zero virgola, alla perfetta continuità con le esperienze precedenti in politica estera e in parte economica.
Quello che ci dice Meloni nel suo discorso e nella sua pratica di questi mesi è che il cambiamento, questo cambiamento, non si auto-impone, ma richiede un impegno costante e continuo. Soprattutto, non può venire solo dall’alto, dall’azione di governo. Che anzi, può essere un’ostacolo alla penetrazione di certi messaggi. In tal senso, non dovremmo farci ingannare dalle banalizzazioni e dalle iperboli nel discorso dal palco di Atreju. È vero, i partiti da sempre si nutrono di momenti comunitari e di autocelebrazione. Ma qui siamo in presenza di una dimensione in parte diversa. La retorica (che attinge a un immaginario collettivo comune) è funzionale a uno scopo ben preciso: motivare e tenere “dentro”, ricordare che il progetto non è sepolto in un cassetto della scrivania a Chigi, ma ha bisogno di tempi e luoghi diversi. Registri diversi, strumenti diversi, luoghi diversi per un obiettivo comune, che non può essere scisso dalla formazione di una nuova classe dirigente e dall’occupazione degli spazi del confronto politico e culturale.
La mobilitazione delle energie dal basso, con il coinvolgimento di militanti e simpatizzanti, insomma, resta cruciale nella visione del “potere” di Meloni e dei suoi fedelissimi. Ed è per questo che un’inchiesta come la nostra su Gioventù Nazionale ha fatto così male, tanto da meritarsi l’ennesimo attacco proprio in apertura di comizio. Perché è andata a evidenziare le contraddizioni e le storture (meglio, l’improponibilità sul piano politico) di chi in questa mobilitazione dovrà avere un ruolo importante, non fosse altro che per rendere moderne e attrattive idee stantie e oscurantiste. Perché ha mostrato con chiarezza cosa c’è dietro i “soldati politici” di Meloni.
(da Fanpage)
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Dicembre 15th, 2024 Riccardo Fucile
IMPRECISIONI, BALLE COLOSSALI E DATI FALSI: ECCO QUALI
L’intervento di chiusura alla kermesse di Atreju di Giorgia Meloni è durato poco più di
un’ora. Nel discorso la premier tocca diversi punti e rivendica i risultati del su governo in vari ambiti, dalla sanità all’immigrazione, passando dalle banche. Ma tra le sue dichiarazioni ci sono state anche diverse inesattezze.
Perché Meloni mente quando parla di incremento del Fondo sanitario nazionale
Cominciamo dal tema della sanità. In questo campo “numeri alla mano il nostro è lo stanziamento più alto di sempre”, dieci miliardi in due anni, ha detto Meloni. “Il calcolo non è difficile anche senza calcolatrice che l’ultima volta non andava bene” – ha detto riferendosi alla sua gaffe fatta durante la sua intervista da Bruno Vespa – “136 miliardi e mezzo di euro, è il fondo più alto mai fatto per la sanità, mi basta dire che prima di questo governo, il fondo era cresciuto in quattro anni di 8 miliardi, noi ne abbiamo messi 10 in due anni. Non sono neanche 10 miliardi ma 12, perché vanno aggiunti quelli degli accordi di coesione e 750 milioni di euro dalla revisione del Pnrr”, quindi “con quale faccia e quale dignità dite che non ha fatto bene chi ne ha messi 10 in due anni. Mi pare che la calcolatrice serva a voi”.
Al contrario sulla sanità sono stati fatti dei tagli: gli stanziamenti per il Fondo sanitario nazionale scenderanno infatti sotto il 6% del Pil entro tre anni: dal 6,12% del 2024, al 6,05% nel 2025 e 2026, fino al 5,9% del 2027, e poi al 5,8% nel 2028 e al 5,7% nel 2029.
“L’incremento di 2,5 miliardi per il 2025, che porta ‘in dote’ 1,2 miliardi dalla manovra 2024 – ha ricordato il presidente della Fondazione Gimbe Cartabellotta – aumenta il Fsn a 136,5 miliardi, di fatto solo dell’1% rispetto a quanto già fissato nel 2024”. E negli anni successivi, con l’unica eccezione del 2026 (+3%), gli incrementi percentuali del Fsn sono esigui: +0,4% nel 2027, +0,6% nel 2028, +0,7% nel 2029 e +0,8% nel 2030. “Ma soprattutto – secondo Gimbe – emerge chiaramente la riduzione degli investimenti per la sanità rispetto alla ricchezza prodotta dal Paese, segno che il rafforzamento del Ssn e la tutela della salute non sono una priorità nemmeno per l’attuale Governo”.
Inoltre con la revisione del Pnrr c’è stato un ulteriore taglio di 1,2 miliardi di euro alla sanità, fondi che riguardavano la messa in sicurezza degli ospedali, tramite la misura ‘ospedale sicuro’, “con conseguente taglio di oltre un terzo delle case della comunità e degli interventi negli ospedali”, ha ricordato il deputato del Pd Lai.
Cosa ha detto Meloni sui centri in Albania
Incalzata anche dalla segretaria del Pd Elly Schlein sul tema dei migranti e sullo spreco di risorse per la costruzione dei centri in Albania, che dopo la decisione del Tribunale di Roma di non convalidare per due volte il trattenimento dei migranti e rinviare la questione alla Corte di giustizia europea, rimangono vuoti, Meloni ha confermato il suo impegno nel progetto. Il costo stimato delle strutture per accogliere i migranti che arrivano in Italia – un hotspot per il trattenimento dei richiedenti asilo da 880 posti, un centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) da 144 posti e un carcere da venti posti – è di quasi 800 milioni in cinque anni, tra il 2024 e il 2028, una cifra che il governo avrebbe potuto impiegare proprio nella sanità pubblica per ridurre le liste di attesa.
Meloni ad Atreju ha rivendicato le scelte fatte e ha detto che intende andare avanti su questa strada: “I centri in Albania funzioneranno, abbiate fiducia dovessi passarci ogni notte da qui alla fine del governo italiano. Perché voglio combattere la mafia e chiedo a tutto lo Stato di aiutarmi a combattere la mafia, non sono io il nemico, io sono una persona perbene”.
Il ragionamento di Meloni è che la stessa esistenza dei centri serva da deterrente per le partenze: “Il punto centrale dei centri in Albania è la deterrenza, se chi sbarca in Italia ha l’unico obiettivo di restare in Europa, sbarcare fuori dai confini cambia tutto. Per questo il protocollo in Albania è in assoluto” lo strumento “più temuto dai trafficanti: fermare l’iniziativa sarebbe il più grande favore ai trafficanti”.
Intanto come abbiamo visto i trattenimenti dei migranti nei centri di detenzione albanesi non sono stati convalidati dai giudici del tribunale di Roma, così come era avvenuto per i migranti sottoposti alla procedura di frontiera accelerata sul territorio italiano nei centri di detenzione di Pozzallo e Porto Empedocle.
E poi gli sbarchi non si sono affatto fermati. Solo nei primi 13 giorni di dicembre ci sono stati 751 arrivi di migranti via mare, con un picco di 414 persone nella giornata dell’11 dicembre.
I centri sono stati aperti, dopo vari ritardi e rinvii, a metà ottobre. Come si vede infatti dai dati del Cruscotto statistico del Viminale sugli sbarchi, quest’anno (fino al 13 dicembre) sono sbarcati in tutto 64.288, molti di meno di quelli sbarcati nel 2023 (153.359). Su questo però pesano diversi fattori, come l’aumento di migranti che scelgono diverse rotte migratorie (diretti in Spagna e in Grecia), ma anche i respingimenti illegali della cosiddetta Guardia costiera libica.
A novembre però, quando seguendo il ragionamento di Meloni gli sbarchi avrebbero dovuto subire un arresto, visto che i centri in Albania erano in funzione, il numero degli sbarchi è stato di poco inferiore a quello del novembre 2023: 8124 arrivi nel 2024 contro gli 8317 del 2023. Non proprio un successo.
Perché Meloni non dice la verità sulle banche
Capitolo banche e pensioni. Meloni in un passaggio del suo discorso ha ammesso che sulle pensioni minime il governo avrebbe voluto fare di più, visto che l’assegno mensile cresce solo di 1,90 euro ogni mese, ma ha sottolineato: “Avremmo voluto fare di più, se avessimo avuto più risorse, ma le risorse sono state gettate per anni dalla finestra”. Meloni però dimentica di dire che proprio la sua maggioranza ha bocciato un emendamento alla legge di Bilancio per alzare le pensioni minime di 100 euro.
“Si lamentano perché dicono che i 3,6 miliardi di euro per coprire il cuneo fiscale che abbiamo preso dalle banche non sono abbastanza. È possibile, però ci ricordiamo che loro i soldi li toglievano ai lavoratori per salvarci le banche”, ha detto la presidente del Consiglio. Proprio quello delle banche è però per il governo un tasto dolente.
Di quei “sacrifici da parte di tutti”, annunciati dal ministro dell’Economia Giorgetti, alla fine si è visto poco o nulla. Alle banche infatti il governo chiederà solo un prestito. Secondo il testo della manovra infatti, banche e assicurazioni, invece della tassa sugli extraprofitti di cui si era parlato, dovranno solo anticipare allo Stato contributi che poi verranno restituiti. Un intervento da cui il governo prevede di ricavare risorse per circa 3,6 miliardi, soldi che di fatto sono un anticipo di liquidità, spalmati su un biennio: in pratica si tratta di un rinvio dell’utilizzo di alcuni sconti fiscali, le DTA, le imposte differite attive, pagate dagli istituti per le perdite su crediti e avviamenti, a dopo il 2027, a fine legislatura.
Con gli emendamenti dei relatori e del governo arrivati nelle ultime ore, la manovra potrebbe cambiate ancora. Il testo di un emendamento dell’esecutivo presentato al ddl bilancio all’esame del Parlamento abbassa dal 65% al 54% la quota di deducibilità, oggi fissata all’80%, delle svalutazioni e perdite su crediti delle banche. Si tratta di un aumento di gettito per lo Stato: in sostanza si allarga la base imponibile degli istituti di credito, che dovrebbe portare ad entrate aggiuntive tra i 400 e i 500 milioni di euro. Ma si parla comunque di soldi che lo Stato dovrà poi restituire.
(da Fanpage)
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Dicembre 15th, 2024 Riccardo Fucile
C’E’ UN DOCUMENTO CHE RIPORTA LA TELEFONATA FRA IL CAPO DELL’AGENZIA DI INTELLIGENCE PER L’ESTERO (AISE) GIOVANNI CARAVELLI CON L’OMOLOGO SIRIANO, IN CUI VENIVA OFFERTO SOSTEGNO AL REGIME DI DAMASCO MINACCIATO DALL’AVANZATA DELLE FORZE JIHADISTE FILO-TURCHE… IL CONTATTO PUÒ CREARE IMBARAZZO ALLA DUCETTA PER LA PROSSIMITÀ MOSTRATA AL REGIME SANGUINARIO E AGLI INTERESSI RUSSI IN SIRIA
Il governo Meloni ha espresso il suo sostegno e la sua solidarietà al governo di Bashar al Assad in Siria, insidiato dai ribelli dell’Hts, pochi giorni che il regime cadesse.
A scrivere l’indiscrezione è The Independent Arabia, rilanciato dall’israeliano N12.
La rivista araba mostra un documento che riporta l’avvenuta telefonata fra il capo dell’agenzia di intelligence per l’estero (Aise) Giovanni Caravelli con l’omologo siriano, in cui veniva offerto sostegno al regime di Damasco che era minacciato dall’avanzata delle forze jihadiste filo-turche e ai bombardamenti dell’aeronautica russa contro obiettivi delle milizie ribelli.
Un contatto che può creare imbarazzo al governo di Roma, per la prossimità mostrata al regime sanguinario di Assad e agli interessi russi in Siria.
Arab Independent mostra lo screenshot del documento dell’ufficio di Hossam Luka, capo del dipartimento di sicurezza generale del regime siriano: il resoconto della conversazione è del 5 dicembre, quattro giorni dopo il raid russo su una scuola cristiana ad Aleppo e tre giorni prima della caduta definitiva di Assad.
“Ho ricevuto una telefonata dal generale Giovanni Caravelli, capo dei servizi segreti italiani, che è stata effettuata su sua richiesta, e lui ha sottolineato il sostegno del suo paese alla Siria in questo difficile momento” si legge nel diario di Hossam Luka. L’Italia ha annunciato lo scorso 26 luglio la riapertura dell’ambasciata a Damasco, primo paese del G7. Una mossa decisa nell’ambito dell’iniziativa condotta in Europa per i rimpatri volontari di rifugiati siriani, in quella terra che, almeno in parte, veniva considerata sicura.
(da Huffingtonpost)
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Dicembre 15th, 2024 Riccardo Fucile
SUI SOCIAL INSULTI DA UTENTI DI OGNI COLORE POLITICO, ANCHE DA CHI L’HA VOTATA
Dall’evergreen «vergogna» a chi richiama Silvio Berlusconi: «Si sta rivoltando nella sua
bara».
Da quando Giorgia Meloni ha vinto le elezioni nel 2022, non si era mai visto un diluvio di critiche – spesso anche insulti – come quello che si sta riversando sui profili social della presidente del Consiglio.
Lei e la maggioranza sono bersaglio di un malcontento bipartisan, provocato dall’emendamento alla legge di Bilancio che propone di aumentare di 7 mila euro lo stipendio a ministri e sottosegretari che non sono stati eletti in Parlamento.
La maggior parte degli utenti che stanno prendendo di mira Meloni sono riconoscibili in un elettorato di centrosinistra, anche per l’associazione che in molti casi fanno con il salario minimo.
Stupisce, però, che anche profili con una evidente connotazione di destra, che dichiarano persino di aver votato per Fratelli d’Italia, stanno prendendo le distanze dalla propria leader nel giorno in cui si celebra la chiusura di Atreju.
(da agenzie)
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Dicembre 15th, 2024 Riccardo Fucile
L’IMPRENDITORE EDILE DI CUNEO CHE RISTRUTTURA UNA PALAZZINA PER I SUOI LAVORATORI “COSI’ LA FINIAMO CON I PREGIUDIZI”… LA GIUGGIA COSTRUZIONI IMPIEGA 500 OPERAI, IL 50% SONO STRANIERI… MANODOPERA ITALIANA SEMPRE PIU’ SCARSA
Nessuno vuole affittare casa ai suoi operai migranti, così l’imprenditore Paolo Giuggia ha deciso di costruire una palazzina per i suoi lavoratori. La storia ha luogo a Villanova di Mondovì (Cuneo), sede della Giuggia Costruzioni, impresa da 70 milioni di euro di ricavi fondata nel 1881, che oggi fa affidamento per chiudere i cantieri su operai stranieri arrivati in Italia in cerca di fortuna per il 50% della propria forza lavoro: 250 persone. Non essendo originari della zona, molti di loro devono trovare un alloggio in affitto. Ma anche a causa dei pregiudizi dei locatori, spesso la ricerca è si rivela vana.
«E se i migranti rompono qualcosa?»
Resosi conto del problema, Giuggia ha provato diverse soluzioni. La prima è stata quella di offrire la sua impresa come garante dei contratti di locazione. «Intestate pure l’affitto alla mia azienda. È tutto solido e regolare», ha detto ai suoi operai, come riporta l’edizione torinese del Corriere della Sera. Ma non ha funzionato. La risposta era quasi sempre la stessa. «Qui non si affitta a operai migranti. Soprattutto se sono uomini soli e se per brevi periodi. Poi l’appartamento è ammobiliato. E se rompono qualcosa?».
Gli hotel per gli operai migranti e i «costi folli»
Per un po’ il tema non si è posto. La spinta del Superbonus e alcuni cantieri legati al Pnrr hanno portato l’impresa a lavorare in molti cantieri anche lontani dal Cuneese. La distanza e il periodo florido degli affari hanno consentito a Giuggia di tentare un’altra soluzione che per un po’ ha funzionato. Ha affittato alberghi per gli operati. Qualche mese, nella speranza che nel frattempo i lavoratori riuscissero a trovare casa. Solo che in pochi si sono aggiudicati un alloggio, e quello degli hotel non è un sistema sostenibile nel lungo periodo. «Comporta costi folli che rischiavano di far esplodere il nostro bilancio», ha commentato Giuggia.
Costruisco una palazzina per i migranti
A mali estremi, estremi rimedi. «Mi rimbocco le maniche. Compro una palazzina intera, la ristrutturo e ci faccio una quindicina di appartamenti, un porto sicuro per i nuovi lavoratori», ha pensato l’imprenditore, che ieri ha raccontato la sua storia agli imprenditori cuneesi firmatari dell’accordo tra Fondazioni Industriali e la prefettura di Cuneo per attrarre nelle aziende della provincia persone che provenienti dai centri di accoglienza per i migranti sparsi sul territorio. Si tratta di 1.400 potenziali lavoratori che potrebbero risolvere il problema della manodopera sempre più scarsa nella provincia piemontese, che già conta uno dei tassi di disoccupazione più bassi del Paese: il 3,7%.
(da agenzie)
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Dicembre 15th, 2024 Riccardo Fucile
“IL MINISTERO DELLA CULTURA HA LICENZIATO GLI ESPERTI CHE STAVANO PREPARANDO L’ESPOSIZIONE E HA INSERITO I PROPRI INCARICATI, CHE HANNO CREATO UNA MOSTRA CHE SEMBRA GLORIFICARE GLI ANNI DI MUSSOLINI”… I CAMERATI D’ITALIA HANNO TRASFORMATO LA GNAM IN UNA DEPANDANCE DI COLLE OPPIO PRIMA CON LA MOSTRA SU TOLKIEN, POI CON LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI ITALO BOCCHINO E INFINE CON LA RASSEGNA SUL FUTURISMO
All’inizio di questo mese, centinaia di persone hanno affollato la Galleria Nazionale
d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma per l’attesissima inaugurazione di una grande mostra sul Futurismo, probabilmente il più importante contributo italiano all’arte del XX secolo. Arrivata sulla scia del cubismo, l’arte futurista ha rotto con il passato per catturare il movimento e il dinamismo dell’età moderna. Tuttavia, con la sua retorica nazionalista e guerrafondaia, il Futurismo è anche intrecciato, in parte, con il regime fascista di Mussolini
All’inaugurazione erano assenti alcuni degli studiosi e dei critici del Futurismo che hanno trascorso gran parte dell’ultimo anno a preparare la mostra. Quest’estate sono stati licenziati dai funzionari del Ministero della Cultura e sostituiti da un comitato organizzativo che comprende un architetto, un archeologo e un esperto di arte medievale.
“Mi è stato detto: ‘arrivederci’ – non sei mai esistito”, ha detto Massimo Duranti, uno degli esperti estromessi. “La mostra è diventata un’esaltazione del Futurismo durante il periodo del regime”.
Massimo Osanna, direttore dei musei statali italiani, ha negato che le modifiche alla commissione avessero motivazioni ideologiche. Duranti e gli altri non sono mai stati nominati formalmente, ha detto, e la nuova commissione ha lavorato per presentare “un’epoca straordinaria da molti punti di vista”.
Una mostra sul Futurismo era in cima alla lista dei desideri di Gennaro Sangiuliano, il cui turno come ministro della Cultura italiano è stato interrotto lo scorso agosto dopo che è emerso che aveva avuto una relazione con una consulente del suo ministero. Sangiuliano, giornalista e politico di destra, era stato scelto per il posto di ministro da Giorgia Meloni, leader della destra dura di un partito che discende da radici post-fasciste.
Da quando la Meloni è salita al potere più di due anni fa, in Italia si discute se il suo governo si stia intromettendo nella sfera culturale. Secondo alcuni osservatori, il partito Fratelli d’Italia della Meloni sta cercando di conquistare uno spazio culturale per compensare i decenni passati ai margini del potere politico.
La mostra sul Futurismo “non è stata allestita, pianificata ed eseguita da esperti”, ha detto Günter Berghaus, uno degli studiosi licenziati, “ma da un governo che cerca di promuovere, prima di tutto, la propria agenda culturale”.
Berghaus si è soprattutto opposto all’imposizione da parte del governo di una “grande narrazione di una cultura di destra” in cui il Futurismo ha svolto un ruolo importante. La realtà è che i futuristi non erano politicamente omogenei, ha detto. “C’era un’ampia gamma di atteggiamenti nei confronti del fascismo”, ha aggiunto.
Nella mostra, una celebre scultura di Renato Bertelli raffigurante il volto di Mussolini è l’unico riferimento diretto al dittatore che controllò l’Italia per due decenni. La mostra celebra invece il dinamismo e l’energia dell’epoca – quando, come recitava la vecchia propaganda fascista, i treni arrivavano in orario – attraverso oggetti di uso quotidiano come automobili, motociclette, aerei e macchine da scrivere Olivetti, esposti accanto a dipinti.
Giancarlo Carpi, un altro degli esperti estromessi, l’ha descritta come una sorta di biglietto da visita del “Made in Italy” precedente alla Seconda Guerra Mondiale. Ha detto che dopo la sostituzione della commissione, il numero di opere d’arte è stato drasticamente ridotto e sono stati introdotti gli oggetti di design.
“C’è la glorificazione della tecnologia al posto dell’arte”, ha detto, fatta per rivolgersi a un pubblico generico ed evitando gli aspetti più problematici di quei decenni. Carpi ha fatto causa al Ministero della Cultura per violazione del contratto per il suo licenziamento. Da oltre un anno la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea è stata additata dai critici come sede di propaganda governativa.
Un anno fa ha ospitato una grande retrospettiva dedicata alla vita e alle opere di J.R.R. Tolkien, l’autore britannico de “Il Signore degli Anelli”. Presentata come una controffensiva di destra nelle guerre culturali del Paese, la mostra ha sollevato delle perplessità, anche perché i libri di Tolkien sono una pietra di paragone per la Meloni, che in gioventù si vestiva da Hobbit e ha attribuito al mondo fantastico di Tolkien il merito di aver plasmato la sua visione politica.
All’inizio di quest’anno, 40 membri dello staff del museo hanno firmato una lettera di protesta contro la presentazione al museo del libro “Perché l’Italia è di destra. Contro le bugie della sinistra”, scritto da Italo Bocchino, direttore del Secolo d’Italia, quotidiano vicino al partito della Meloni. Renata Cristina Mazzantini, direttrice dell’istituzione, ha risposto con una lettera in cui informava i 40 firmatari che, avendo percepito “malcontento e volontà di contestare” la presentazione del libro, le loro identità sarebbero state segnalate al Ministero della Cultura e alle “autorità competenti”, passi che i funzionari sindacali hanno percepito come minacciosi.
Tre membri del comitato scientifico del museo, un organo consultivo, si sono immediatamente dimessi, lamentando di essere stati esclusi dal processo decisionale. Augusto Roca De Amicis, uno dei membri del comitato dimissionario, ha affermato che il museo è stato usato come “una succursale del partito” e che l’ingerenza dei politici di destra è andata “oltre i limiti normali”.
Come ministro della Cultura, Sangiuliano ha previsto la creazione di un museo per commemorare le vittime di un massacro avvenuto nel nord-est dell’Italia alla fine della Seconda guerra mondiale, quando furono uccise migliaia di persone ritenute sostenitori di Mussolini. Ha anche sostenuto un’iniziativa privata nella regione centrale dell’Emilia Romagna, per un museo che celebri la cultura italiana e il contributo del Paese alla civiltà. I critici hanno messo in dubbio la necessità di una simile sede, avvertendo che apriva la porta alla retorica identitaria.
Ma anche i detrattori della destra riconoscono che l’interferenza politica nella cultura è andata in entrambe le direzioni. “La pistola con cui la destra spara è stata messa lì dalla sinistra”, ha detto Tomaso Montanari, rettore dell’Università per Stranieri di Siena e uno degli intellettuali di sinistra più polemici d’Italia.
Una riforma del ministero della Cultura del 2014 sotto la guida di Dario Franceschini, un ministro di sinistra, aveva aperto le porte a candidati non italiani per posti chiave nei musei più importanti, ma aveva anche permesso al ministro di sceglierli, trasformando un processo per lo più burocratico in uno che poteva essere politicamente carico. “Non era mai successo prima”, ha detto Montanari.
Una successiva selezione di direttori di musei scelti dal governo Meloni ha favorito candidati italiani. Una riforma degli enti lirici italiani, accusata dai critici di voler eliminare i talenti stranieri, ha portato a una causa legale. Quando Fortunato Ortombina, stimato amministratore della lirica, è stato nominato alla Scala l’anno scorso, il ministro della Cultura si è entusiasmato per il fatto che, dopo tre direttori generali stranieri, “alla Scala torna un italiano”.
Quando il governo ha nominato Pietrangelo Buttafuoco, un giornalista anticonformista, come presidente dell’organizzazione che organizza la Biennale di Venezia, alcuni osservatori hanno previsto che avrebbe spostato l’evento in una direzione più nazionalista. Ma ha confuso queste aspettative. La scorsa settimana, Buttafuoco ha nominato Koyo Kouoh, una delle più importanti curatrici africane, per supervisionare la 61a edizione della Biennale d’Arte. Sarà la prima donna africana a curare la mostra
Lorenzo Castellani, professore di storia alla Luiss Guido Carli di Roma, ha affermato che la destra non ha abbastanza simpatizzanti qualificati per occupare posizioni di potere nelle istituzioni culturali italiane. Né alla maggior parte dei legislatori di destra interessa, ha aggiunto, visto che l’alta cultura non è una priorità per il suo elettorato.
“C’è solo un piccolo gruppo di intellettuali accademici di destra che aspira a rovesciare la predominanza della sinistra nel mondo dell’alta cultura”, ha detto, aggiungendo che le loro possibilità di successo sono minime. “In poche parole”, ha detto, ‘c’è una sproporzione di mezzi, di risorse, di persone’.
Parlando con i giornalisti al Foreign Press Club di Roma lunedì, Federico Mollicone, un legislatore del partito della Meloni che presiede la commissione cultura del Parlamento italiano, ha detto che la destra non ha interesse a costruire una “nuova egemonia culturale”, ma sta cercando di garantire “una visione nazionale” che guardi al presente. La mostra sul Futurismo ha segnato il ritorno di una tradizione di grandi mostre nazionali che parlavano alla gente, piuttosto che agli intellettuali o agli esperti.
Ma gli esperti sono i garanti dell’autonomia intellettuale, ha detto Montanari, rettore dell’università, e il governo ha oltrepassato la linea rossa quando li ha licenziati. “Il ministro della Sanità non può entrare in sala operatoria con un bisturi e iniziare a operare”, ha detto. Le mostre devono essere supervisionate da studiosi, ha aggiunto, “altrimenti non è cultura, è propaganda”.
(da New York Times)
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Dicembre 15th, 2024 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DEL SINDACATO DI POLIZIA PENITENZIARIA SPP… MA NORDIO NON HA TEMPO PER PENSARE AI PROBLEMI REALI, DEVE DEDICARSI ALLA GUERRA CONTRO LA MAGISTRATURA
“Nelle carceri si verificano veri e propri incontri di pugilato sui quali si realizzano scommesse di denaro”. È quanto denuncia il segretario generale del Spp, Aldo Di Giacomo, parlando di match “negli istituti penitenziari di Roma e Agrigento. Un fenomeno in crescita, alimentato da scommesse controllate dai clan della criminalità organizzata”.
“Gli incontri pugilistici, preceduti da vere e proprie lezioni di box e allenamenti agonistici contrabbandati per attività sociale, sono la riprova che nel carcere l’illegalità non ha più limiti. Ci mancano solo i night club e la prostituzione”, aggiunge Di Giacomo.
“In questo grande ring che è diventato oggi il carcere – aggiunge il sindacalista – agli agenti penitenziari non può essere scaricato il compito scomodo, che lo Stato non vuole assumere, di fare da arbitri perché, come è già accaduto in molti casi, i poliziotti che cercano di dividere detenuti e clan in rissa finiscono in ospedale a causa di violenti pugni in faccia”.
“Da una parte, si continua a sottovalutare che le carceri sono state trasformate in ‘piazze’ di spaccio e di affari, al pari (se non peggio) delle più note piazze di Napoli, Milano, Roma, Palermo e, quindi, occasioni di risse e violenze tra clan. Dall’altra, il mancato controllo dello Stato ha prodotto un punto di non ritorno”, continua il segretario generale del Spp, parlando di “una doppia ‘beffa’ per la giustizia e la sicurezza dei cittadini, in quanto mesi se non anni di indagini di magistrati e forze dell’ordine conclusi con l’arresto di criminali, sono completamente vanificati da comportamenti degli stessi che continuano a comandare dalla cella”.
“Temiamo fortemente che in questa situazione senza controllo tra rivolte, aggressioni e tentativi di fuga tra il personale penitenziario ci possa scappare il morto”, avverte Di Giacomo.
La valutazione finale è senza sconti: “Il sistema penitenziario italiano è diventato peggiore di quelli di Paesi sudamericani e africani”.
(da Globalist)
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Dicembre 15th, 2024 Riccardo Fucile
LE PROTESTE CONTRO LA DERIVA AUTORITARIA FILO-PUTINIANA CONTINUANO… VIOLENZE, ARRESTI ARBITRARI E TORTURE
Quando pensava che finalmente fosse finita, è arrivato il peggio: “Appena ho rialzato la
testa, sono stato colpito ancora più forte. Ho perso conoscenza per qualche secondo. Poi ho riaperto gli occhi ma ho fatto in tempo solo a vedere uno che mi dava un calcio in faccia”. Aleksandre Keshelashvili ha 32 anni e fa il giornalista per il popolare sito di news Publika. È tra le vittime della crescente violenza delle autorità georgiane contro le decine di migliaia di persone che da oltre due settimane ogni sera, e ormai non solo di sera, manifestano nella capitale Tbilisi e in altre città della Georgia contro il governo.
Repressione violenta
Le persone detenute per aver partecipato alle manifestazioni sono ormai oltre 450. Più di 300 quelle che hanno denunciato di esser state picchiate. Tra queste, molte dicono di aver subito vere e proprie torture o di esser state trattate in modo disumano. I dati sono della piattaforma civica Georgia’s European Orbit (Geu), che ha utilizzato fonti disponibili al pubblico, testimonianze dirette e rapporti dell’Ufficio nazionale del Difensore civico. Anche Amnesty International denuncia “brutali tattiche anti-assembramento, detenzioni arbitrarie e tortura”.
Secondo Geu, la magistratura georgiana non dà corso alle denunce dei cittadini né interviene d’ufficio per perseguire i responsabili delle violenze contro i dimostranti. Al contrario, sono stati istruiti decine di procedimenti penali e amministrativi a carico di chi protesta. Il governo ha introdotto in tutta fretta leggi anti-sommossa. Le multe per chi opera blocchi stradali son più che raddoppiate. Arrivano a molte migliaia di euro. Il salario netto medio e inferiore a 600 euro, in Georgia.
La repressione prende di mira in particolare gli attivisti diventati più popolari, i politici dell’opposizione e i giornalisti.
Sono almeno novanta i professionisti dell’informazione aggrediti mentre facevano il loro lavoro raccontando le proteste di Tbilisi. Ad agire, bande di picchiatori non identificabili, spesso sotto gli occhi della polizia, che si guarda bene dall’intervenire.
Il racconto di “Lekso”
“Ero con alcuni colleghi all’angolo di una strada, per fare foto e immagini della dimostrazione. Indossavamo tutti i badge ufficiali della stampa, grandi e ben visibili”, continua nel suo racconto a Fanpage.it Aleksandre Keshelashvili — Lekso per gli amici. “Improvvisamente un gruppo di persone col viso coperto e senza distintivo ha iniziato a correre verso di noi. Mi hanno preso, sfasciato le mie due fotocamere, strappato il badge. Hanno formato un corridoio, picchiandomi sul volto da destra e da sinistra. Fino a quel calcio in faccia. Poi mi hanno letteralmente trascinato fino a una stazione della polizia, dove sono stato ammanettato. Sanguinavo, stavo male. Ma ho dovuto attendere a lungo prima che mi dessero un po’ d’acqua e mi lasciassero ai medici. Hanno anche tentato di farmi firmare un’ammissione di colpa per aver gridato oscenità contro la polizia, cosa assolutamente falsa. Non ho firmato. Non so bene che procedimento sia stato aperto nei miei confronti”.
Le lesioni subìte lo hanno costretto a un’operazione chirurgica e a giorni di riposo forzato. Ma Lekso ha già ripreso a lavorare. Parla con noi al telefono quasi urlando. Sotto, i rumori della protesta. Lekso sta seguendo per Publika la manifestazione organizzata dai lavoratori del settore musica e spettacolo, una delle tante che si susseguono ogni giorno.
“Non riesco a credere che il mio Paese sia diventato così”, commenta. “Ho seguito decine di manifestazioni contro il governo, negli ultimi anni. Ma queste cose non succedevano. Siamo diventando un Paese senza libertà, come la Bielorussia. O la stessa Russia di Putin”.
La protesta si organizza
“La situazione sta peggiorando di ora in ora, ormai i reparti speciali della polizia e bande di picchiatori rapiscono la gente per strada, anche in pieno giorno”, spiega a Fanpage.it il diplomatico georgiano Gigi Gigiadze, un tempo ambasciatore a Copenaghen e oggi analista dell’Economic Policy Research Center di Tbilisi. “Il governo ha scelto la strada della repressione senza freni e della provocazione. Vuole un confronto violento”.
La protesta non si ferma, cresce: sindacati e organizzazioni della società civile moltiplicano le iniziative. Solo venerdì a Tbilisi ci sono stati 15 diversi eventi. Sono scesi in piazza i professionisti del settore tecnologico come i produttori di vino, gli avvocati e gli psicologi. E in serata, sotto la neve, tutti davanti al Parlamento sul viale Rustaveli, epicentro e simbolo della rivolta.
Le manifestazioni sono continuate sabato, mentre il partito di governo, Sogno Georgiano, nominava il nuovo Presidente della Repubblica, che ha compiti largamente cerimoniali ma è pur sempre il capo dello Stato. Candidato unico, l’ex calciatore Mikheil Kavelashvili, noto per le posizioni di estrema destra, filo-Putin, anti-occidentali e omofobe più che per i suoi goal (solo tre) come attaccante centrale del Manchester City.
L’ex calciatore Mikheil Kavelashvili.
“La Georgia non perde il suo senso dell’umorismo, nemmeno quando un calciatore diventa capo dello Stato”, ha scritto sui social la presidente uscente, Salome Zurabishvili: nella giornata gelida, tra una tazza di tè e l’altra, i dimostranti giocavano a pallone sul viale Rustaveli, per prendere in giro il successore. Zurabishvili, divenuta un faro dell’opposizione, chiede nuove elezioni e si rifiuta di lasciare l’incarico. “La designazione di un nuovo presidente in queste condizioni è illegittima e anti-costituzionale”, ha detto in una conferenza stampa.
La nuova presidenza è minata in partenza. Non solo dalle proteste di piazza e dal boicottaggio delle opposizioni, che non prendono più parte alle sedute parlamentari. Ma anche dal parere dei maggiori giuristi del Paese: “La Georgia sta affrontando una crisi costituzionale senza precedenti”, ha detto all’agenzia Afp Vakhtang Khmaladze, uno degli autori della legge fondamentale dello Stato. Ricordando che il Parlamento ha espresso un nuovo presidente quando la Corte suprema deve ancora decidere sul ricorso per illegittimità delle elezioni presentato dalla Zurabishvili.
Una minaccia incombente
“Il Paese è sull’orlo del baratro”, sostiene l’ex ambasciatore Gigiadze. “Per puro caso ancora non ci sono stati morti, ma la volontà del governo è di provocare una situazione simile a quella che si sviluppò dieci anni fa a Kiev. Per poter dare la colpa dei disordini a fantomatici agenti occidentali e gettarsi nelle braccia della Russia”.
I paralleli con Euromaidan sono molti. I picchiatori senza distintivo a Tbilisi e Batumi vengono chiamati “titushky”, proprio come i mercenari arruolati da Viktor Yanukovich per menare i manifestanti nel 2014 in Ucraina. Allora il presidente ucraino filo-Putin fu travolto dalla Rivoluzione della dignità e scappò in modo molto poco dignitoso a Mosca, aiutato dai servizi di sicurezza del suo burattinaio. Un po’ come successo recentemente a Bashar al Assad.
La rivolta georgiana potrebbe però avere l’esito di quella del 2020-2021 in Bielorussia contro Alexander Lukashenko: tanti prigionieri politici, autoritarismo sempre più rigido e abbraccio sempre più stretto con Mosca. Per questo piccolo — 3,76 milioni di abitanti — e recondito paese pieno di Storia, impegnato da trent’anni in un faticoso cammino verso una vera democrazia liberale che si lasci definitivamente alle spalle il passato sovietico, sarebbe davvero la fine del sogno.
Appello da Tbilisi
“La minaccia è grave”, afferma Gigiadze. “I Paesi europei devono aiutarci, e un aiuto immediato sarebbe quello di sanzionare personalmente i responsabili delle violazioni dei diritti umani in Georgia”.
Un documento della piattaforma Geu, condiviso da molte Ong georgiane, individua tra questi Bidzina Ivanishvili, il premier Kobakhidze, il ministro dell’interno Vakhtang Gomelauri e il capo dei reparti speciali dei servizi di sicurezza Zviad Kharazishvili, in arte “Khareba” (l’Annunciazione).
Davanti a lui sono stati portati alcuni dei giornalisti picchiati, per subire umiliazioni e ulteriori torture fisiche e psicologiche, ha dichiarato ai media Juba Khatamadze, avvocato di una delle vittime, il cronista Shota Dimitrishvili.
Nei giorni scorsi, gli Stati Uniti hanno adottato sanzioni personali contro una ventina di rappresentanti delle autorità di Tbilisi. “Noi — sostiene Gigiadze — dovremmo fare lo stesso, per impedire che la Georgia diventi una piccola e lontana Bielorussia”.
Intanto, i propagandisti del governo georgiano e quelli di Vladimir Putin tempestano il web e l’etere con la versione secondo cui una cospirazione guerrafondaia occidentale e agenti di Paesi Nato fomentano la protesta. “Forse le decine di migliaia di dimostranti di ogni età scesi in strada sono funzionari della Cia”, scherza con amarezza il diplomatico. È la stessa narrativa da sempre utilizzata per Euromaidan. Perché il Cremlino e i detentori del potere in Georgia di questo hanno terrore: dell’eventuale successo di una “rivoluzione colorata” e di uno scenario “ucraino”.
La nuova ondata di dimostrazioni è stata innescata dalla decisione del premier Irakli Kobakhidze di sospendere per quattro anni le trattative per l’ingresso nell’Ue, previsto nella Costituzione, accelerando la deriva autoritaria. Il partito Sogno Georgiano, fondato dall’oligarca Bidzina Ivanishvili, ha vinto elezioni ritenute irregolari non solo dall’opposizione e dalla presidente uscente ma anche da osservatori indipendenti e da buona parte della comunità internazionale.
Ivanishvili ha vissuto decenni in Russia, vi ha fatto un sacco di soldi e stretto contatti con esponenti del regime di Vladimir Putin. Secondo investigazioni giudiziarie e giornalistiche, Mosca avrebbe interferito nel processo elettorale. Il presidente francese Emmanuel Macron ha telefonato a lui, e non al premier, per lamentarsi della situazione. Tanto per chiarire chi comanda davvero, in Georgia.
“La gente che protesta aumenta sempre di più, non so come andrà a finire”, dice Lekso Keshelashvili. “Ma da cronista posso dirvi che non ho mai visto una repressione tanto violenta, né i georgiani così decisi a non mollare. Il popolo è pronto a combattere contro questo governo che diventa regime”.
(da Fanpage)
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Dicembre 15th, 2024 Riccardo Fucile
“UNA PREMIER INFLUENCER, AVRA’ IL SUO PANDORO-GATE”
Il leader di Italia Viva, al Corriere, commenta la misura che costringe i membri del governo con incarichi da enti extra-Ue a versare il 100% della retribuzione allo Stato
«La cosa più incredibile è che per la prima volta si sancisce il diritto dello Stato di tassare al 100% il lavoro di un cittadino. Loro dicono: i soldi fatturati dalla persona fisica Renzi, entro un mese li prende lo Stato. Un esproprio».
Al Corriere della Sera, in una intervista, Matteo Renzi definisce ad personam la norma contenuta nell’emendamento alla legge di bilancio del governo Meloni. Si tratta di quella che obbliga i membri del governo che abbiano incarichi presso enti o soggetti extra Ue a versare il 100% degli introiti derivanti allo Stato. Una misura cucita su di lui, anzi contro di lui, spiega l’ex sindaco ed ex premier italiano. Leggasi: le consulenze in Arabia Saudita. «Le attività come le conferenze all’estero le faccio solo io. Tutti sanno che questa è una norma ad personam», dice Renzi, «perché sono rientrato nel centrosinistra. E Meloni ha paura che il nostro 2-3% sia decisivo per la sconfitta della destra. E allora colpisce un avversario con una legge ad personam, una cosa mai vista in 70 anni di storia repubblicana. Mi colpisce il silenzio dei liberali del centrodestra. Fosse stato ancora vivo Silvio Berlusconi si sarebbe alzato in Senato dicendo che questa è una norma comunista. Ma Berlusconi non c’è più e i suoi eredi politici tacciono».
«Meloni? Premier influencer, avrà il suo pandoro gate»
«La norma è una norma sovietica, la deriva antiopposizione è una deriva sudamericana, ma la reazione sarà… Fiorentina», ossia, spiega ancora citando Dante e le parole di Virgilio sugli ignavi, «Non ragioniam di loro ma guarda e passa». Poi il senatore toscano, leader di Italia Viva, liquida la possibilità di elezioni anticipate: «Giorgia Meloni è così preoccupata di perdere le elezioni che ha paura persino di me. Lei rimane lì, inchiodata alla sua comunicazione da influencer. A un certo punto accadrà quello che accade a molti influencer: qualcosa svelerà la verità sulla sua narrazione costruita a tavolino». E aggiunge: «Per lei sarà come per il pandoro di Chiara Ferragni. Ma sono cose che non mi interessano: io voglio occuparmi degli universitari che non hanno i soldi per l’affitto a Milano, delle coppie che non fanno figli perché non hanno soldi, del prezzo del gas mai così alto. Io, insomma, voglio fare politica».
(da agenzie)
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