Dicembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
UN AUTOREVOLE DIRIGENTE DEM PARLA IN MODO FUMOSO DI “FATTORI IMPREVEDIBILI”. QUALI SAREBBERO? I TIMORI PER UNA CONGIUNTURA ORRIBILE E QUASI CERTA DELL’ECONOMIA INTERNAZIONALE, LO STALLO DELLE RIFORME E LA CONDANNA DI MATTEO SALVINI CHE AGIREBBE DA DETONATORE SULLA STABILITÀ
Sono passati due anni di legislatura e ne dovrebbero trascorrere altri tre prima di tornare alle urne. Eppure regna una strana frenesia nelle opposizioni, dove c’è addirittura chi inizia a sospettare che Giorgia Meloni possa puntare nel 2025 alle elezioni anticipate.
Non ci sono segnali in tal senso che giungano dalla premier o dal centrodestra.
Anzi, tutti gli indicatori descrivono una situazione di stabilità nonostante la maggioranza si mostri in affanno e sia quotidianamente attraversata da tensioni tra partiti alleati.
È vero, c’è stata una discussione a Palazzo Chigi sulla data delle prossime Politiche
Però risale a molto tempo addietro e si è limitata ad affrontare il problema del «timing» di fine mandato. Un’ipotesi di scuola: per non costringere di nuovo i cittadini a votare in settembre, la premier potrebbe anticipare le sue dimissioni di qualche mese e garantire così le elezioni in primavera. Ma del 2027.
Se così stanno le cose, cos’è che tiene desta l’attenzione delle opposizioni? Perché Meloni, in ogni suo gesto, appare intenzionata a durare e senza nemmeno passare per un rimpasto di governo. Come se le urne fossero una prospettiva di là da venire. «A meno di fattori imprevedibili…». La frase lasciata cadere da un autorevole dirigente del Pd fa capire che tra gli avversari del centrodestra c’e chi accredita uno scenario elettorale e immagina una mossa a sorpresa della premier per cogliere impreparate le opposizioni
È in questo clima da « estote parati » che la sortita pubblica del direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, ha riaperto il dibattito sull’aggregazione di un’area cattolica e sulla nascita di un altro centro, l’ennesimo tra i tanti che già circondano il Pd come cespugli attorno alla Quercia. A parte il fatto che non regge l’ipotesi di un «federatore» del centrosinistra, perché confliggerebbe con il progetto di Elly Schlein, che da leader del maggior partito di opposizione si candida a sfidare Meloni.
Ma il punto è un altro. Il tema è che le esternazioni di Ruffini sono l’epifenomeno delle preoccupazioni per le mosse della premier. Tra quei «fattori imprevedibili» che la porterebbero a scegliere il voto anticipato si celerebbero — secondo alcuni dei suoi avversari — i timori per un 2025 orribile dell’economia internazionale, lo stallo delle riforme e persino la condanna di Matteo Salvini. Che agirebbe da detonatore sulla stabilità.
E a fronte di questa situazione, viene spiegato, «ogni energia verrebbe utile», con evidente riferimento al responsabile dell’Agenzia delle entrate: perché «sarebbe organizzata un’alleanza di scopo» per opporsi agli avversari.
Cioè verrebbe costruito un rassemblement che — visti i tempi limitati — non perderebbe tempo a dividersi su ogni riga di un programma comune, ma avrebbe come (unico) elemento di coesione «la sfida alle destre».
(da Il Corriere della Sera)
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Dicembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
UN NUCLEO FAMILIARE SU DUE HA DOVUTO RIDURRE LE SPESE SANITARIE, IL 28% HA TAGLIATO SULLE SPESE PER L’ISTRUZIONE E IL 10% DICHIARA CHE NON POTREBBE FAR FRONTE ECONOMICAMENTE ALLA NASCITA DI UN FIGLIO
Quasi il 60% delle famiglie italiane ritiene il proprio reddito inadeguato rispetto alle necessità primarie. Il welfare in Italia è ‘fai da te’: nello specifico, il 58% trova sostegno nella rete familiare, solo il 29% nei servizi pubblici. Inoltre, una famiglia su sei ha responsabilità di cura verso familiari non autosufficienti. Sono alcuni dei dati che emergono dall’Osservatorio sguardi familiari di Nomisma.
“La congiuntura economica è favorevole e il tasso di occupazione è positivo, ma questo non sembra più sufficiente per garantire il benessere di tutti. Facciamo attenzione alle nuove solitudini perché c’è molta fragilità. Pertanto, le imprese sono chiamate a fare di più per i bisogni di chi lavora”, commenta il direttore sviluppo di Nomisma e responsabile dell’Osservatorio Marco Marcatili.
Oltre la metà delle famiglie italiane (59%) considera inadeguato il proprio reddito. Il 15% giudica il proprio reddito insufficiente per far fronte alle necessità primarie, il 44% valuta le proprie entrate appena sufficienti per arrivare a fine mese.
L’85% delle famiglie ha tagliato le spese per il tempo libero, il 72% ha ridotto i consumi culturali, il 67% le attività sportive e ben una famiglia su due ha dovuto ridurre le spese sanitarie, il 28% ha tagliato sulle spese per l’istruzione. Una famiglia su dieci dichiara che non potrebbe far fronte economicamente alla nascita di un figlio.
(da agenzie)
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Dicembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
SI FA IL NOME DI ROLAND LESCURE, FEDELISSIMO DEL PRESIDENTE ED EX MINISTRO DELL’INDUSTRIA, INSIEME AI SOLITI BAYROU E CAZENEUVE…L’INDICE DI FIDUCIA DI “MONSIEUR ARROGANCE” INTANTO CROLLA AL 21%
In attesa dell’arrivo anticipato di Emmanuel Macron dalla Polonia, dove ha abbreviato la visita ufficiale per avere il tempo di nominare questa sera il primo ministro, a Parigi infuria il toto-premier. L’ultima voce che si rincorre nei corridoi del Palazzo à quella di Roland Lescure, fedelissimo di Macron ed ex ministro dell’Industria
Netta l’ostilità del Rassemblement National (Rn) con due dirigenti del partito di Marine Le Pen come Sébastien Chenu e Jean-Philippe Tanguy che hanno espresso la loro ostilità su X. Messaggio critico postato e subito cancellato anche da parte della portavoce del gruppo di Le Pen, Laure Lavalette: “Roland Lescure? Mozione di sfiducia”.
Il nome di Lescure, socialista liberale, sarebbe però sul tavolo insieme con quelli di François Bayrou e Bernard Cazeneuve, era emerso negli ultimi giorni per le sue critiche al peso del partito di Marine Le Pen nella nascita del governo Barnier. Ieri, era all’Eliseo per la consegna della Legion d’onore ad un imprenditore.
Il presidente francese, Emmanuel Macron, raccoglie la fiducia di appena il 21% dei francesi, il livello più basso dal suo arrivo all’Eliseo nel 2017: è quanto emerge da un sondaggio realizzato dall’istituto Elabe per Les Echos, mentre la Francia si appresta a nominare un nuovo primo ministro a Matignon dopo la caduta del governo di Michel Barnier.
Tra le altre personalità politiche, cresce la fiducia nell’ex premier di centrodestra e capo del partito Horizons, Edouard Philippe (41%, +4 punti in un mese), ma anche nell’ex premier macroniano Gabriel Attal (37%, +4 punti) e nel presidente del Rassemblement National, Jordan Bardella (35%, +1 punto).
Il sondaggio evidenzia, tra l’altro, la forte progressione di François Bayrou, il leader del partito centrista MoDem, indicato nel totoministri come futuro possibile premier della Francia al posto del dimissionario, Michel Barnier.
Bayrou ha conquistato in un mese ben 8 punti di popolarità, per raggiungere il 29%, al settimo posto. Un altro pretendente a Matignon, Bernard Cazeneuve, si piazza al nono posto, ottenendo il 28%, 5 punti in più rispetto al precedente sondaggio.
(da agenzie)
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Dicembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
DAL PALAZZACCIO OK ANCHE AL QUESITO SULLA SICUREZZA SUL LAVORO
Via libera della Cassazione ai referendum su Jobs Act, cittadinanza e sicurezza sul lavoro. Lo ha deciso l’ufficio centrale per il referendum del Palazzaccio. Decisione che ha dichiarato conforme a legge la richiesta di consultazione popolare sul “dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana”.
Inoltre, con separate ordinanze tutte depositate oggi, l’ufficio centrale ha altresì dichiarato conformi a legge la richiesta di referendum abrogativo o parzialmente abrogativo su alcuni punti del Jobs act (“Contratto di lavoro a tutele crescenti – disciplina dei licenziamenti illegittimi”; “Piccole imprese- Licenziamenti e relativa indennità”; norme in materia di “apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi”) e sugli appalti (“esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici).
(da agenzie)
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Dicembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
IL RISCHIO PER SALVINI È FINIRE SCONFESSATO: IL SUO CANDIDATO, TOCCALINI, NON HA IL GRADIMENTO DELLA BASE (IL CAPOGRUPPO AL SENATO, MASSIMILIANO ROMEO, È DATO AL 60%) MA FARLO RITIRARE SAREBBE UNA RESA
«Un candidato unico sarebbe sicuramente meglio, si evita anche di dover fare la votazione, perché sarebbe per acclamazione». Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana guarda al congresso ormai imminente della Lega lombarda, in programma domenica in un hotel nelle vicinanze di San Siro, con un auspicio che all’apparenza sembra candido ma che in realtà lascia intravedere quel che succederà molto probabilmente nelle prossime ore
E cioè che se anche questa mattina alle 9,30 sia Massimiliano Romeo, capogruppo al Senato, che Luca Toccalini, deputato e segretario della Lega giovani, depositeranno le firme dei delegati necessarie a sostenere la loro candidatura alla guida del ramo lombardo del Carroccio, non è detto che domenica entrambi salgano sul palco per il discorso programmatico.
Di sicuro lo farà il senatore. Sceso in campo da «indipendente»,] non è comunque nemmeno il candidato che avrebbe voluto il leader, ha il consenso, si dice oltre il 60 per cento, per vincere il congresso piuttosto agevolmente.
Toccalini, espressione diretta della segreteria, da quanto rimbalza dai territori, non avrebbe sfondato nella base piuttosto scontenta della gestione lombarda del partito
E certo la scelta di tenere un congresso a porte chiuse, come se si volesse mettere la sordina al dissenso, non contribuisce a distendere gli animi. Ecco perché le indiscrezioni parlano di una trattativa in corso per arrivare al più classico dei do ut des (campo libero a Romeo in cambio di un incarico a Toccalini) per arrivare ad un’assise formalmente unitaria (e magari all’acclamazione desiderata da Fontana) che oscuri le possibili turbolenze dialettiche.
(da Il Corriere della Sera)
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Dicembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
LE UNICHE SPINE NEL FIANCO DELLA DUCETTA SBUCANO DAL SUO PARTITO: DOPO LA CORRENTE STORICA DEL “GABBIANO” RAMPELLI, AVANZA QUELLA DI LOLLOBRIGIDA-DONZELLI… ALTRI GUAI POTREBBERO ARRIVARE DA VANNACCI, CHE A BRUXELLES INCIUCIA CON I NEO-NAZI TEDESCHI DI AFD
Dopo più di due anni, è chiaro a tutti che il Governo non è frutto di un’alleanza di destra-centro, ma è sostanzialmente un monocolore di Fratelli d’Italia: Giorgia Meloni è sola al comando.
Matteo Salvini è politicamente in coma: in difficoltà nella gestione del dopo-Zaia in Veneto, che i meloniani reclamano per loro, e alle prese con un mezzo psicodramma interno in Lombardia, dove domenica si celebra il congresso del partito.
In crisi di consenso, per recuperare la china, il “Capitone” è ridotto a sperare di essere condannato al processo di Palermo in cui rischia sei anni di carcere per sequestro di persona, per il trattenimento dei migranti della Sea Watch nel 2019.
Senza contare il clamoroso standby in cui è finita l’autonomia differenziata, riforma bandiera della Lega, di fatto smantellata dalla Corte Costituzionale, per la gioia di FdI e Forza Italia.
Forza Italia galleggia: da un lato Marina e Pier Silvio Berlusconi, veri “proprietari” del partito, hanno questioni di business a cui badare (Mediaset sta per lanciare una delicata operazione in Germania, con l’opa su Prosiebensat).
Dall’altro, l’amministratore condominiale Antonio Tajani, scelto per guidare il partito nell’ordinaria amministrazione di Governo, si è dimostrato un leaderino incapace di dare al partito una vera dimensione nazionale.
Gli azzurri, infatti, dopo aver perso radici ed elettori al Nord, si sono trasformati in una ridotta a trazione meridionale nelle mani del trio Martusciello (Campania), Schifani (Sicilia), Occhiuto (Calabria).
Il ciociaro Tajani non è riuscito neppure a incidere né a Roma né nel Centro Italia, dove alle elezioni europee non è andato oltre il 6,99% (99mila preferenze personali contro le quasi 120mila di Vannacci e le 616mila di Giorgia Meloni).
Inoltre, l’ex monarchico non riesce a farsi rispettare dalla premier, che è riuscita ad anestetizzarlo con la vaga promessa di fare di lui il prossimo candidato del centrodestra alla Presidenza della Repubblica.
Qualche anima pia dica a Tajani che Giorgia Meloni è una tattica, un camaleonte, una opportunista che cambia pelle davanti alle situazioni, e la promessa di oggi è la fregatura di domani.
Poiché la Sora Giorgia non ha mai una strategia di lungo periodo, ma vive di opportunismo politico, cioè cavalca ciò che conviene al momento, lo stesso Tajani rischia di ritrovarsi panato e fritto sull’agognata via del Quirinale.
Che sia questo il suo marchio di fabbrica, Giorgia Meloni lo ha ampiamente dimostrato con le azioni di Governo: non rischia a lungo termine, tiene aperte più porte, coltivando sempre una possibilità di cambiare cavallo.
Lo ha fatto persino sulla “madre di tutte le riforme”, il premierato, ormai finito in soffitta dopo le resistenze a vari livelli – dalla politica alla magistratura – e le minacce di referendum. In politica estera lo ha praticato con disinvoltura, passando dai bacetti di Joe Biden alle spolliciate di Donald Trump, ha prima detto no a Ursula per poi votarla per ottenere la nomina di Raffaele Fitto a vicepresidente della Commissione.
Si è fatta concava e convessa, evitando di toccare quei tasti scomodi, soprattutto in Europa, come il passato neofascista, e ostentando come medaglietta una presunta “coerenza” sull’Ucraina, tralasciando il dettaglio che l’innegabile posizione atlantista assunta dal governo Meloni era, sostanzialmente, una scelta obbligata. Una diversa postura l’avrebbe sbattuta fuori dal fronte occidentale.
La premier, che “Politico.eu” ha incoronato “persona più potente d’Europa”, farebbe bene a guardarsi le spalle soprattutto lì dove confidava di essere più forte: nel suo partito.
Con l’arrivo al potere, Fratelli d’Italia non è più una congrega di nostalgici usi a obbedir tacendo, ma un ampio contenitore in cui l’ambizione di potere sta creando divisioni. Cioè, correnti.
Dopo quella del “gabbiano” Rampelli, si sta organizzando la frondina di Lollobrigida e Donzelli, entrambi silurati da Arianna Meloni.
Spia di questa nuova temperie correntizia è stata anche la presentazione, ad Atreju, del libro di Italo Bocchino.
Un personaggetto che Giorgia Meloni e il sottosegretario Fazzolari non vogliono vedere a Palazzo Chigi neanche in fotografia. Eppure il direttore editoriale del “Secolo d’Italia” è riuscito, grazie alle anime dissidenti di Fdi, ad ottenere uno strapuntino alla kermesse.
Un’altra spina nel fianco, per la Thatcher della Garbatella, è rappresentata dal generale Vannacci. Divenuto eurodeputato, il militare trascorre le sue serate a Bruxelles a confrontarsi con vari colleghi, tra cui quei sinceri democratici con la passione per la svastica di Alternative für Deutschland.
Nelle sue conversazioni, il generale al contrario si è convinto di avere un futuro politico autonomo, pur avendo dato la sua parola d’onore a Salvini di non uscire dalla Lega fino alle Regionali del 2025.
Presentandosi con un cartello di estrema destra, Vannacci, rivendicando l’identità della vera destra dalle origini del Msi alla X Mas, potrebbe passare dal 2,5% che oggi gli viene accreditato, dopo l’exploit alle elezioni europee, a percentuali molto più alte (8%, dicono), rosicchiandole allo zoccolo duro post-fascio di elettori di Fratelli d’Italia, deluso del centrismo paraculo della premier.
E poi c’è l’economia. Il pil italiano galleggia allo 0,5% secondo le ultime stime dell’Istat (al ribasso rispetto allo 0,7% previsto un anno fa), la produzione industriale è in affanno, complice la frenata clamorosa dell’automotive (-40%) e i promessi dazi di Trump rischiano di dare un colpo di grazia all’economia europea e italiana
Dove saremmo oggi senza i tanti miliardi del Pnrr da spendere? E cosa accadrà quando questa ricca dotazione finirà? Il consenso, si sa, è ballerino, e quando i cittadini, già stremati da un’inflazione galoppante, si ritroveranno poco o nulla in tasca, sapranno con chi prendersela.
Il peccato originale del Governo Ducioni è legato all’ideologia samurai del sottosegretario Fazzolari, che in questi anni ha accumulato un potere enorme.
Persino il suo omologo, Alfredo Mantovano, ha capito di essere “delimitato” dall’influenza del braccio destro (e teso) di Giorgia Meloni.
“Spugna”, come viene chiamato dagli amici, propugna un governo di “vera destra”, che deve realmente stravolgere il Paese, modificando le regole del gioco, a partire dalla Costituzione, fino al delicato campo della finanza milanese
La convinzione del “Fazzo” è che i governi Berlusconi non fossero “di centrodestra”, ma un derivato bonario dell’eredità Dc-Psi, in cui Gianni Letta impastava e Franco Frattini aggiustava.
Anche perché Berlusconi era talmente preoccupato per le sue aziende da non avere nessun interesse a ribaltare il tavolo e a stravolgere il sistema.
Dunque, per gli ex missini, un vero governo “de’ destra” deve cambiare i connotati all’Italia, con una postura volitiva che non ha niente dell’eredità berlusconiana.
(da Dagoreport)
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Dicembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
LA PROTESTA DURERÀ 24 ORE, COME PREVISTO – L’USB ESULTA: “VINCONO I LAVORATORI E VINCE LA DEMOCRAZIA. SMENTITA L’ARROGANZA DEL MINISTRO SALVINI
Vittoria dell’Unione sindacale di base (Usb) nel braccio di ferro con il ministro dei Trasporti e vicepremier, Matteo Salvini, per lo sciopero di 24 ore di domani, venerdì 13 dicembre. Il Tar del Lazio, con decreto monocratico, ha accolto la richiesta dell’Usb di sospendere l’ordinanza del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, firmata dallo stesso Salvini martedì scorso, con la quale l’agitazione generale nel settore dei trasporti era stata ridotta a quattro ore.
Il caso era esploso, appunto, martedì quando Salvini ha adottato la precettazione con il sindacato Usb, dopo che già aveva adottato simile iniziative con Cgil e Uil. Una mossa che aveva generato la dura reazione del sindacato di base, che aveva fatto sapere di non avere intenzione di adeguarsi, dal momento che, a differenza dello sciopero del 29 novembre, non c’era stata alcuna delibera da parte della Commissione di Garanzia sugli scioperi, che non aveva obiettato nulla rispetto alla regolarità della protesta indetta da Usb.
Il sindacato ora, dopo la decisione del Tribunale amministrativo, esulta: “Il Tar del Lazio accoglie la richiesta di Usb di sospendere l’ordinanza di precettazione di Salvini – si legge in una nota – Domani lo sciopero è generale, regolare e legittimo e durerà 24 ore anche nei trasporti. Per una volta vincono i lavoratori e vince la democrazia”. Rispetto alla precettazione del 29 novembre per Cgil e Uil, nel caso dello sciopero del 13 dicembre non c’era stato alcun rilievo del Garante né sul cumulo di scioperi nello stesso giorno né sulla violazione di regole sulla “rarefazione” (la distanza prescritta dalla legge tra gli scioperi nei pubblici servizi). Oltre allo stop di 24 ore, sono previste due manifestazioni di protesta, una a Roma e una a Milano.
Le motivazioni del Tar
“Considerato che l’invito formulato dalla Commissione di Garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali – quale Autorità Indipendente di settore – è stato accolto dalle sigle sindacali, con conseguente conformazione alle relative indicazioni e prescrizioni”, scrive il Tar, e che “tale Commissione non ha formulato al Ministero alcuna segnalazione o proposta con riferimento allo sciopero in questione”, e che non c’è “un imminente e fondato pericolo di pregiudizio ai diritti della persona costituzionalmente tutelati”, o altri rischi per i cittadini, a parte i normali disagi che lo sciopero produce, si conclude che “tenuto conto dell’imminenza della data dello sciopero, come proclamato, e l’irreversibilità del pregiudizio che deriverebbe dall’esecuzione della gravata ordinanza di precettazione, non altrimenti riparabile, con conseguente vanificazione della stessa tutela giurisdizionale”. si sospende l’efficacia della precettazione di Salvini, e si dà appuntamento a tutti per l’udienza al 13 gennaio.
Il commento della Usb
“Questa ordinanza del Tar interviene riproponendo le stesse motivazioni della sentenza di marzo, che aveva dato torto a Salvini per la precettazione dell’anno scorso, e ciononostante è arriva dal ministero dei Trasporti una nuova precettazione che il Tar inquadra come ‘una interferenza del potere politico nel diritto di sciopero’”, dice l’avvocato Arturo Salerni, del Centro di Iniziativa Giuridica Usb. “Il decreto conferma questo orientamento. Ci sembrano principi molto importanti che delineano e arginano una delimitazione del diritto di sciopero che abbiamo sempre registrato negli ultimi anni. E’ una pronuncia importante perché difendere il diritto di sciopero significa difendere la Costituzione”, conclude Salerni. La Usb ricorda che lo sciopero di domani è uno sciopero generale, che riguarda tutte le categorie pubbliche e private. Lo sciopero dei trasporti durerà 24 ore, e rispetterà le fasce di garanzia. Escluso solo il settore aereo, perché lì invece c’era stato un altro sciopero recente, e il Garante aveva rilevato una violazione del principio di rarefazione.
(da agenzie)
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Dicembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
BORODIN HA COMPILATO UN DOSSIER: “IL SANTA CLAUS AMERICANO STA SOSTITUENDO IL NOSTRO TRADIZIONALE ‘DED MOROZ’, NONNO GELO. È TEMPO DI RIPORTARLO NELLE NOSTRE CASE.”… ECCO BRAVO, RIPORTALO E POI FATTI RICOVERARE A PSICHIATRIA
Non fatevi ingannare da barba bianca, renne volanti e letterine dei bambini. Babbo Natale è un “agente straniero” inviato dalle potenze “ostili” a corrompere la Russia e a distruggerne i “valori tradizionali”.
Parola dell’attivista Vitalij Borodin, uno che di professione fa “l’informatore”: raccoglie le prove della slealtà di vari personaggi famosi e poi le spiffera alle autorità.
Autoproclamato leader del fantomatico “Progetto federale per la sicurezza e la lotta alla corruzione”, rivendica che è merito suo se traditrici del calibro delle cantanti Alla Pugaciova e Diana Arbenina sono finite nel registro del ministero della Giustizia degli “agenti stranieri”, quelli che sotto Stalin venivano chiamati “nemici della patria”. Ora tocca a Babbo Natale.
Sulle malefatte del nonnino panciuto dalla giacca rossa e dal cinturone nero Borodin ha compilato un ampio dossier ora nelle mani della procura generale. Contiene l’elenco di tutte le aziende straniere che sfruttano il marchio del sovversivo Babbo Natale a partire dalla “Father Christmas Ltd” che possiede i brand “Santa Claus”, “Father Christmas” e “Cyber Santa”. Tutte insieme, ha calcolato, valgono 1,6 trilioni di dollari.
“C’è un’alta probabilità – assicura Borodin – che queste società straniere possano finanziare l’immagine di Babbo Natale in Russia con l’obiettivo di distruggere i valori tradizionali russi”. La prova? “Il Santa Claus americano sta oramai sostituendo nell’immaginario del nostro tradizionale Ded Moroz, Nonno Gelo. Il suo riconoscimento è vicino al 100 percento”. Perciò va messo all’indice.
L’informatore Borodin non è solo nella sua crociata. Soltanto pochi giorni fa, il presidente del movimento panrusso “Russia ortodossa” e deputato della Duma regionale di Brjansk, Mikhail Ivanov, aveva protestato perché Babbo Natale appare sempre più spesso sugli scaffali dei negozi russi al posto di Ded Moroz, e aveva esortato a “purificare lo spazio dai simboli alieni”.
“Babbo Natale è diventato non tanto un simbolo del Natale quanto un simbolo del commercio e della produzione di massa. La sua onnipresenza nelle vetrine dei negozi non è un incidente, ma il risultato di una strategia di marketing mirata, da cui il vero spirito della festa sta scomparendo e i nostri valori vengono distrutti. È tempo di riportare Ded Moroz nelle nostre case e nei nostri cuori!”, ha detto Ivanov
A differenza del grassoccio Santa Claus occidentale, Ded Moroz, Nonno Gelo, è snello e indossa un lungo cappotto foderato di pelliccia e i tradizionali stivali di veltro valenki. E porta un bastone magico. Niente elfi. Lo accompagna la sua bellissima nipote Snegurochka, la Fanciulla di Neve. E niente renne. A guidare la sua slitta sono tre cavalli d’acciaio.
E dire che c’era un tempo in cui neppure Ded Moroz era benvisto in Russia. Nel 1928, nel pieno dell’ateismo di Stato comunista, il Natale fu abolito e Nonno Gelo fu esiliato dopo essere stato “smascherato come alleato dei preti e dei kulaki”, i possidenti terrieri, salvo essere scongelato qualche anno dopo da Iosif Stalin per “aumentare la sua popolarità e affermare la stabilità”.
(da agenzie)
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Dicembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
SARANNO MODIFICATE LE NORME CHE RIGUARDANO LE MADRI IN CARCERE, IL DIVIETO DI SIM PER I MIGRANTI E LE AGGRAVANTI PER CHI PROTESTA… SALVINI SI SMARCA DAGLI ALLEATI E SI OPPONE A UN RINVIO: “IL DDL VA APPROVATO IMMEDIATAMENTE SENZA PERDITE DI TEMPO”
Se così, all’improvviso, il ministro dei Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani fa sapere che ci sarà una terza lettura sul disegno di legge Sicurezza, un provvedimento che sta facendo discutere da mesi, su cui la destra ha investito tanto e che ormai sembrava chiuso e intoccabile, diventa immediatamente intuibile un intervento del Quirinale.
E infatti: c’è stata una riunione, ieri, tra il governo e i rappresentanti parlamentari di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, che ha analizzato i rilievi, ammesso le criticità, aperto a un confronto e impostato il lavoro di modifica. Tutto questo senza che, durante il vertice, ci fossero spaccature o liti. Fino a quando poi Matteo Salvini, come spesso gli accade, ha deciso di tenere comunque il punto e smarcarsi da quanto deciso con l’emissario di Giorgia Meloni.
Sono fonti di maggioranza a chiamare direttamente in causa la presidenza della Repubblica che avrebbe suggerito correzioni, in assenza delle quali la costituzionalità del ddl sarebbe stata incerta e così pure la firma del presidente Sergio Mattarella. Trovare conferme sul Colle è doppiamente difficile: un po’ perché il Capo dello Stato è totalmente assorbito dalla visita di Felipe VI re di Spagna e della consorte Letizia, coi quali sarà oggi a Napoli; ma soprattutto in quanto Mattarella non ritiene utile, per la salute delle istituzioni, rendere pubblici quei suoi interventi che rientrano nell’ambito della moral suasion, tanto più efficace quanto meno lo si viene a sapere in giro.
Ultimamente, oltretutto, le osservazioni del Quirinale sono state così frequenti che ai piani alti della Repubblica circola la battuta, paradossale, per cui Mattarella «qualcuna ogni tanto deve pur dargliela vinta». Si preferisce insomma mantenere il riserbo
Nel caso del ddl Sicurezza, tuttavia, qualche osservazione presidenziale c’è stata. Quelle che saltano agli occhi, confermate da fonti governative, sono in particolare un paio. La prima sulle donne incinte oppure con figli che non raggiungono l’anno di età: mandarle ugualmente in carcere nel caso di reati, come prevede il testo attuale del ddl, farebbe a pugni col divieto di trattamenti contrari ai principi di umanità.
L’altra osservazione, secondo ambienti parlamentari di centrodestra, riguarda il divieto per i migranti irregolari di acquistare una Sim del cellulare, impedendo perfino ai minori di comunicare con le famiglie d’origine. Anche in questo caso la Costituzione sarebbe messa in gioco, secondo il Colle.
Sullo sfondo (sebbene inespressi) i dubbi di qualche consigliere presidenziale sulla proliferazione dei reati che mal si concilia con il sovraffollamento delle carceri, da cui l’ondata di suicidi tra i detenuti denunciata a più riprese proprio da Mattarella.
Il ddl Sicurezza è una norma simbolo della destra italiana
Quella che ne svela il volto: repressivo, secondo gli avversari; securitario e adeguato ai pericoli della società contemporanea, secondo chi ne difende la legittimità e i tre partiti di maggioranza. Introduce nuovi reati e pene più severe.
Questi i fatti: Ciriani esce abbastanza soddisfatto dalla riunione di maggioranza. Con lui ci sono i capigruppo e due leghisti di governo: il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari e quello all’Interno Nicola Molteni. Due vedette di Salvini. A quanto risulta, nessuno dei due si oppone al nuovo tagliando del testo, voluto dal Colle, e al cronoprogramma che decidono assieme
Curiosamente, è Maurizio Gasparri, capogruppo del partito più moderato dei tre, Forza Italia, a porre la questione di non indietreggiare troppo. «Non lo snatureremo, state tranquilli. Saranno solo dei ritocchi», assicura Ciriani. Rassicurazioni che sembrano bastare.
Ma come hanno ormai imparato la premier Meloni e il vicepremier e leader di FI Antonio Tajani, bisogna sempre aspettare che prima o poi Salvini dica la sua. E puntualmente avviene. Con una nota, la Lega sconfessa la disponibilità di Palazzo Chigi a rivedere il testo e il confronto con Ciriani: «Va approvato immediatamente senza perdite di tempo».
Il ddl Sicurezza, sostiene Salvini, «è uno strumento di primaria importanza» voluto «fortemente dal governo per tutelare le nostre forze di polizia sottoposte a violenze durante le manifestazioni di piazza e per risolvere i principali fenomeni di allarme sociale, come le occupazioni abusive di case, che minano la sicurezza dei cittadini».
(da agenzie)
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