Dicembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
L’ARRESTO A MILANO DELLA ”SPIA” IRANIANA ABEDINI, SU “ORDINE” USA, E’ DEL 17 DICEMBRE. DUE GIORNI DOPO LA SALA VIENE IMPRIGIONATA … CONOSCENDO LA “DIPLOMAZIA DEGLI OSTAGGI” PERCHE’ LA FARNESINA E PALAZZO CHIGI, SOTTOVALUTANDO I “SEGNALI” DELL’INTELLIGENCE-AISE, NON SI SONO SUBITO ATTIVATI PER METTERE IN SICUREZZA GLI ITALIANI IN IRAN? … CIRIELLI ESILARANTE: “NORDIO STA STUDIANDO LE CARTE” (ALLORA SIAMO FOTTUTI)
Nel caso dell’arresto della giornalista Cecilia Sala in Iran è necessario prestare
attenzione alle date.
La 29enne è partita il 12 dicembre per Teheran, dove avrebbe dovuto soggiornare per otto giorni, come permessole dal visto giornalistico, ottenuto senza troppi problemi, per conto della piattaforma di podcast “Chora”, diretta da Mario Calabresi.
Non appena atterrata, Sala ha postato una foto di Teheran, scrivendo: “Mi è mancato persino il tuo smog”.
Nei giorni seguenti ha fatto interviste e registrato regolarmente tre puntate del suo podcast, Stories, intervistando anche Hossein Kanaani, uno dei fondatori dei pasdaran iraniani (non proprio un dissidente del regime).
Poi, il 19, improvvisamente, è stata arrestata, riuscendo a comunicare con l’Italia il giorno dopo, il 20, con due telefonate: una alla madre, e l’altra al compagno, Daniele Raineri (giornalista del Post, già inviato di guerra in aree sensibili, prima per “il Foglio”, poi per “Repubblica”, epoca Molinari).
Qualche giorno prima, il 17 dicembre, i giornali italiani danno la notizia dell’arresto, su mandato internazionale (ordine degli americani) dell’ingegnere elvetico-iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, accusato di trafficare armi, nello specifico droni, per conto del regime degli ayatollah.
Come accade per casi come questo, in cui in ballo ci sono i rapporti internazionali e delicati equilibri geopolitici, l’arresto viene di solito comunicato ai media con qualche giorno di ritardo, una procedura utile a gestire il caso a livello di deep state: si muovono i servizi segreti, i ministeri competenti, le ambasciate, i Paesi alleati, e solo alla fine si coinvolge la stampa.
La domanda sorge spontanea: dopo l’arresto di Abedini, cosa hanno fatto l’Aise di Caravelli e il ministero degli Esteri di Tajani?
Alla luce della nota “diplomazia degli ostaggi” praticata dall’Iran, Farnesina e Intelligence si sono attivati per allertare i nostri concittadini A Teheran?
Stando a quanto scriveva ieri “il Fatto quotidiano”, sembrerebbe di no: “Per quanto ne sanno a Chora Media, Sala non ha ricevuto messaggi di allarme, ‘era tranquillissima’, eppure una giornalista molto nota come lei era un eccellente bersaglio. Il governo italiano ha capito subito che l’arresto di Abedini era un serio problema politico?
O ha atteso che Teheran protestasse ufficialmente, convocando il numero due della nostra ambasciata?
Della protesta ha dato notizia l’agenzia di stampa iraniana il 22 dicembre, quando Sala era già stata arrestata, ma risaliva a qualche giorno prima”, conclude il giornale di Travaglio.
Che qualcosa nella macchina burocratica della Farnesina si fosse inceppato è stato chiaro a tutti quelli che hanno letto, il 17 dicembre, l’articolo, a firma di Gabriele Carrer, su “Formiche”: “L’arresto in Italia e la richiesta di estradizione delle autorità americane hanno fatto alzare la guardia sulla situazione degli italiani e degli italo-iraniani in Iran e di quelli intenzionati a viaggiare nel Paese. Si teme che Teheran possa reagire prendendoli in ostaggio per mettere pressione all’Italia chiamata a decidere sull’estradizione negli Stati Uniti”.
E continua: “La cosiddetta diplomazia degli ostaggi non è una novità per l’Iran. Un recentissimo rapporto dell’Institut français des relations internationales evidenzia come Teheran utilizzi la detenzione di cittadini occidentali, doppi cittadini o cittadini iraniani residenti in Europa, Australia o Stati Uniti come leva nei negoziati diplomatici. Il tutto, proprio per esercitare pressioni per ottenere concessioni politiche, economiche o diplomatiche all’interno della strategia di risposta asimmetrica di Teheran”.
Un passaggio, quello segnalato da Carrer, sempre bene informato su questioni di intelligence, che lascia immaginare una palpabile apprensione da parte dei nostri 007 per possibili ritorsioni del regime iraniano.
Qualcuno, all’Aise, temeva probabilmente ciò che poi è accaduto. E magari il nostro apparato di intelligence contava di far sapere che la cosidetta “diplomazia degli ostaggi”, cara non solo all’Iran (vedi gli scambi di spie Usa-Russia), era stata portata subito all’attenzione della Farnesina e di Palazzo Chigi.
Il “messaggio” è stato recepito dal governo Meloni? L’hanno per caos sottovalutato? Il ministero degli Esteri ha diramato un alert per mettere in sicurezza gli italiani in Iran? L’ambasciata a Teheran ha contattato i nostri connazionali, a partire da Cecilia Sala, informandoli del rischio di finire in galera
La domanda sorge spontanea: ai i piani alti della Farnesina, tra la Direzione Medioriente, l’Unità di Crisi, ambasciatori, c’è stato qualcuno che abbia unito i puntini tra l’arresto dell’iraniano Abedini e il pericolo di una possibile ritorsione verso gli italiani?
A maggior ragione che i pasdaran di Teheran stavano cercando una “preda” utile a far scoppiare un caso diplomatico su cui fare leva per riportare in patria il loro ingegnere-spione.
E chi meglio di Cecilia Sala poteva servire allo scopo: una giornalista-influencer (400mila follower prima dell’arresto, ora veleggia verso il mezzo milione), giovane e bella, volto televisivo, apparendo in diverse trasmissioni su La7, legata sentimentalmente a Daniele Raineri, giornalista noto nell’ambiente diplomatico e dell’intelligence per i suoi lavori e viaggi in Paesi ad alto rischio in quell’area: nel 2015 il suo nome salì alla ribalta quando vennero rapite in Siria le volontarie Greta Ramelli e Vanessa Marzullo).
Gli iraniani devono aver pensato che il boccone era mediaticamente troppo ghiotto per lasciarselo scappare.
Erano certi che il rapimento della Sala avrebbe mobilitato un’attenzione mediatica che ad altre persone, meno “profilate”, non sarebbe stata riconosciuta
La tesi che circola tra gli analisti è che Teheran dall’inizio volesse un certo clamore internazionale, per la complessità del caso Abedini: pur essendo detenuto in Italia, infatti, ci sono le manone americane sul “mago dei droni”.
Riportarlo a casa non è affatto facile. L’unico spiraglio era creare il “caso”, incalzare così le autorità statunitensi e italiane con la crescente pressione dell’opinione pubblica.
Un brutto cetriolo ora per il governo Ducioni, che dovrà sbrogliare la matassa prima dell’insediamento di Donald Trump, il 20 gennaio: finché c’è l’anatra zoppa Biden, ormai a fine mandato e con un piede e mezzo nella pensione, si può ancora trovare una furbesca exit strategy. Una volta arrivato il tycoon alla Casa Bianca, saranno cazzi amari per Palazzo Chigi rigettare l’estradizione richiesta dalle autorità americane.
D’altronde, non sarebbe la prima volta che il Governo Meloni si trova a gestire nel peggiore dei modi un detenuto nel mirino di Washington. Nel 2023 a creare tensione tra Italia e Usa ci pensò il baldo Artem Uss.
Nel caso del figlio dell’oligarca russo, che Washington chiedeva di estradare negli Stati uniti, sappiamo come è finita: una volta che i giudici hanno deciso di farlo uscire dalla galera e confinarlo ai domiciliari, zac!, Uss è stato misteriosamente “liberato” sotto il naso delle autorità italiane da un commando di 6 uomini (un italiano di origine bosniaca, tre serbi e due sloveni) ed è tornato a Mosca sano e salvo. Un lavoro ”pulito” che fece imbufalire Washington.
Ed facile immaginare l’incazzatura dell’intelligence Usa leggendo ieri su “Repubblica” l’intervista al viceministro agli Esteri, Edmondo Cirielli (FdI), quando afferma che il trentottenne iraniano arrestato a Malpensa su mandato Usa ”potrebbe non essere estradato, ha commesso un reato soggettivo, Nordio sta studiando le carte…
È chiaro che viene valutato giuridicamente. Viene accusato di spionaggio, se pretendiamo dagli altri diplomazia, dobbiamo essere cauti anche noi….il ministro farà le sue valutazioni”.
Dopo il “Nordio che sta studiando le carte”, l’incauto (e inadeguato) Cirielli apre un altro fronte quando aggiunge una frase sibillina sulla povera Cecilia Sala: “In linea di massima, immaginiamo che ci sia qualche violazione protocollare legata al suo lavoro di giornalista, comportamenti che da noi non sono reato. Quindi giocheremo sulla difformità degli ordinamenti giuridici”.
Il mattacchione della Farnesina non spiega quale potrebbe essere una “violazione protocollare legata al suo lavoro di giornalista” e assicura baldanzoso: “Utilizzeremo il fatto che in Occidente siamo quelli che hanno rapporti migliori con l’Iran”.
E conclude sempre più sibillino: “Poi la giornalista è molto capace, non abbiamo motivo di ritenere che abbia fatto qualcosa di grave o di oggettivamente sbagliato, anche alla luce del nostro ordinamento”. (Ma che stai a di’?)
(da Dagoreport)
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Dicembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
MALE IL M5S CON – 5%… NEL CENTRODESTRA GUADAGNA SOLO FORZA ITALIA + 1,5%
Il 2024 si chiude in bellezza per il Partito democratico che è cresciuto del 4% negli ultimi dodici mesi. Il bilancio dell’anno che sta per concludersi è negativo invece, per il Movimento 5 Stelle che è crollato di 5 punti percentuali.
Queste sono alcune delle tendenze che emergono, dal confronto di Repubblica tra la prima e l’ultima supermedia Youtrend del 2024. Vediamo come sono andati gli altri partiti, quali sono andati meglio e quali sono calati nei consensi.
Il bilancio del 2024 è senz’altro positivo per il Pd, che ha guadagnato 4 punti rispetto a inizio anno. I dem infatti, sono passati dal 19,3% di gennaio al 23,5% di dicembre. Già negli scorsi mesi diversi sondaggi avevano certificato la crescita del Pd, che ha gradualmente accorciato la distanza con il rivale, Fratelli d’Italia.
Oggi il partito di Elly Schlein guida la testa dell’opposizione, di cui è la prima forza politica, e si pone come il principale competitor di Meloni e dei suoi. Tra Pd e Fdi lo stacco si è ridotto parecchio, passando dai nove punti di gennaio a meno di cinque attuali.
Per quanto riguarda Fratelli d’Italia, l’andamento è rimasto sostanzialmente invariato. Nella prima supermedia era dato al 28,7%, pressoché uguale all’ultima (28,8%).
A salutare il 2024 sulle medesime posizioni è anche l’alleato leghista. Il Carroccio chiude un anno complicato ma senza gravi perdite, confermando l’8,8% di gennaio.
È negativo invece, il bilancio del Movimento 5 Stelle, che registra un significativo calo di voti. A inizio anno, i pentastellati si attestavano attorno al 16,4%, mentre oggi sono dati all’11,4%, con 5 punti in meno.
Il crollo è evidente per il partito di Giuseppe Conte, attraversato nell’ultimo anno da crisi e tensioni interne, culminate con la fuoriuscita del suo fondatore Beppe Grillo.
Secondo gli analisti quel 5% perso dal M5s potrebbe essere confluito una parte nel Pd, una parte dentro Alleanza Verdi-Sinistra, che nell’ultimo anno ha quasi raddoppiato le sue percentuali. Se a gennaio Avs era dato al 3,4%, ora il partito di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni è al 6,4%.
Tornando nelle file della maggioranza, si segnala la variazione positiva degli azzurri. Forza Italia aveva iniziato l’anno al 7,5%, sotto il partner leghista, e ora lo conclude al 9,1%. L’ultima supermedia dunque, certifica un guadagno di due punti e il sorpasso sull’alleato.
Tra le forze centriste invece, la situazione pare peggiorata. Azione passa dal 3,9% di gennaio agli attuali 2,7% e anche Italia viva scende di un punto (dal 3,3% al 2,3%). Non va bene nemmeno per Più Europa, che chiude all’1,9%, contro il 2,4% di inizio anno. Infine, resta stabile Noi Moderati, fermo all’1%.
(da Fanpage)
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Dicembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL DIRETTORE DI YOUTREND
Lorenzo Pregliasco, direttore di Youtrend, che anno è stato il 2024 in termini di
consenso elettorale?
«Se uno guarda la storia recente, si può parlare di una relativa stabilità di tutti. Non siamo di fronte agli exploit dei 5stelle nel 2018 o della Lega del 2019, per non parlare del boom del 2022 di Fratelli d’Italia […]»
Come la crescita del Pd e il calo del Movimento.
«Sì, abbiamo registrato cambiamenti soprattutto nel campo giallorosso, chiamiamolo così, dopo una lunga fase in cui i due partiti erano vicini. Le Europee hanno avuto un effetto di trascinamento dei principali partiti dei due poli. In seguito i 5s un po’ hanno recuperato, ma comunque non abbastanza e ora sono nettamente dietro al Pd»
C’è stato un flusso di voti 5s verso i dem?
«Verso l’astensione, verso il Pd, e anche verso Avs, l’altro fattore dell’equazione. È l’offerta tradizionale di centrosinistra ad aver drenato voti. Come si può evincere anche dalle regionali chi è rimasto elettore 5s è di centrosinistra e quindi più attratto dal Pd».
L’altro dato che colpisce è la tenuta della maggioranza.
«Sì, nel centrodestra poteva andare peggio. Siamo invece di fronte a un caso quasi unico a livello europeo, di una coalizione che sta al governo da più di due anni, che è stabile o incrementa. Si scambiano i voti, ma non passano dall’altra parte».
Forza Italia è cresciuta.
«Il sorpasso di FI sulla Lega segnala un cambio di stagione. L’impressione è che Tajani sia riuscito a riprendere il voto dal centro che è inutilmente parcellizzato»
Nessuna sorpresa a livello di coalizione.
«Il consolidamento del Pd non fa ancora crescere la coalizione. Così i due campi sono bloccati. Poi l’intero sistema è molto frammentato. Se metti insieme Pd e FdI stai solo al 52%. Anche nella Seconda repubblica raramente si arrivava a metà dell’elettorato con i due principali partiti, che si sono stabilizzati sui due tetti. Il Pd ha avuto picchi più alti, credo possa salire, ma deve prendere voti fuori o dagli astenuti. O dovrebbe crescere l’astensione nel polo opposto. Finché non si apre uno dei due scenari il centrodestra rimane favorito a una prossima elezione».
(da La Repubblica)
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Dicembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
“LA PROCURA RICORRA IN APPELLO, LA SENTENZA CONTRASTA CON ALTRI PRONUNCIAMENTI E CON IL DIRITTO INTERNAZIONALE”
Dopo la sentenza in primo grado del Tribunale di Palermo sul caso Salvini/Open Arms non sembra eludibile il ricorso in Appello, e poi se necessario alla Corte di Cassazione, sotto un duplice punto di vista: innanzitutto perchè alla luce delle motivazioni che saranno pubblicate dal Tribunale di Palermo si dovrà verificare la compatibilità delle tesi dei giudici palermitani, che hanno evidentemente recepito almeno in parte le tesi della difesa di Salvini, con i precedenti pronunciamenti della Corte di Cassazione e di diversi Tribunali, nei quali, a partire dal caso Rackete (sentenza n.6626/2020) si riconosceva che le operazioni di soccorso in mare non possono che concludersi con lo sbarco nel porto sicuro del paese che aveva assunto, seppure non dall’inizio delle attività di ricerca e salvataggio (SAR), il coordinamento previsto dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare.
Come si era indubbiamente verificato nel caso Open Arms, dopo il decreto del TAR Lazio che il 14 agosto del 2019 sospendeva il divieto di ingresso nelle acque territoriali adottato dal ministro dell’interno agli inizi di agosto di quell’anno, subito dopo il primo soccorso.
Non si vede come dietro la formula “il fatto non sussiste”, al di là degli elementi soggettivi e dei nessi di causalità, si siano ritenute irrilevanti risultanze di fatto che erano state analiticamente esposte dalla Procura ed ampiamente documentate con il concorso delle parti civili nel corso del procedimento.
Sarà importante capire se la sentenza del Tribunale di Palermo sul caso Salvini/Open Arms passerà in giudicato o se sarà riformata in ulteriori gradi di giudizio. Perchè comunque contiene un principio in contrasto con una consolidata giurisprudenza dei Tribunali che hanno finora archiviato tutti i procedimenti penali avviati contro le Organizzazioni non governative. In sostanza, se la sentenza del Tribunale di Palermo passasse in giudicato, anche alla luce delle più recenti leggi, come il Decreto Piantedosi (legge n.15/2023) il ministro dell’interno potrebbe vietare se non l’ingresso nelle acque territoriali, adesso espressamente consentito dalla legge, dopo la modifica introdotta dal Dereto Lamorgese (Legge n.130/2020), lo sbarco a terra, in attesa della conclusione delle trattative con lo Stato di bandiera della nave, o con altri paesi dell’Unione europea, al fine di una redistribuzione dei naufraghi già decisa con atti formali prima del loro sbarco a terra. Ed ancora una volta persone particolarmente vulnerabili come i naufraghi si verrebbero a trovare al centro di una negoziazione tra Stati portatori di interessi diversi, in assenza di una chiara normativa europea che renda obbligatoria la redistribuzione.
Problema sul quale si è incagliato anche il recente Patto europeo sulla migrazione e l’ìasilo. Sono queste le ragioni che rendono necessario il ricorso in appello contro una decisione che, al di là delle sue specifiche motivazioni, da valutare in sede di giudizio di secondo grado, potrebbe riaprire un fronte fortemente conflittuale con i paesi membri dell’Unione europea, a scapito dei diritti fondamentali delle persone soccorse in mare. Nel caso specifico dell’Italia, il riconoscimento di un siffatto potere del ministro di vietare lo sbarco di naufraghi soccorsi in acque internazionali si scontrerebbe non solo con il diritto internazionale del mare (in particolare con le Convenzioni SAR e SOLAS recepite dal Regolamento europeo Frontex n.656 del 2014), ma con il dettato costituzionale dell’art.10 della Costituzione che impone l’ingresso nel territorio nazionale in favore delle persone che intendono fare richiesta di asilo, vietando di conseguenza i respingimenti collettivi e la cancellazione delle garanzie procedurali in frontiera che mirano a consentire l’accesso al territorio in vista dell’eventuale riconoscimento di uno status di protezione.
Fulvio Vassallo Paleologo
Avvocato, componente del Collegio del Dottorato in “Diritti umani: evoluzione, tutela, limiti”, presso il Dipartimento di Giurisprudenza di Palermo
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Dicembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
L’EX PRESIDENTE DI SEZIONE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE: “GRAVE AVER NEGATO ANCHE IL REATO DI RIFUTO DOLOSO DI ATTI D’UFFICIO RITENENDOLO UN “ATTO POLITICO”
Ostacolare il salvataggio dei naufraghi vietando lo sbarco produce effetti lesivi nella
sfera giuridica delle persone recuperate in alto mare. Per questo riteniamo sbagliata la sentenza di Palermo che ha assolto Matteo Salvini
Alla scontata esultanza dei leghisti per l’assoluzione di Salvini si è unita quella di esponenti di spicco del governo, a partire dalla premier Giorgia Meloni, che ha espresso la sua “grande soddisfazione” per il verdetto. Questo giudizio, secondo Meloni, dimostra l’infondatezza delle accuse rivolte al vicepremier, sottolineando come la sentenza rappresenti una vittoria non solo per Salvini, ma per l’intero esecutivo.
Comprendiamo l’esultanza della Meloni per questa “vittoria” dopo le tante batoste giudiziarie ricevute dal suo esecutivo, l’ultima il 19 dicembre dalla Corte di Cassazione che ha confermato il potere/dovere dei giudici di sindacare i decreti sui Paesi sicuri.
Non comprendiamo, invece, le reazioni di chi, dal lato opposto, parte dall’assoluzione per censurare come controproducente l’intervento giudiziario in quanto rivolto a risolvere attraverso la via giudiziaria questioni politiche.
E’ ben vero che non è concepibile una via giudiziaria per modificare un orientamento politico, ma la Costituzione, le leggi, il diritto internazionale dei diritti umani, tracciano delle regole che rappresentano dei limiti all’esercizio dei pubblici poteri.
E’ compito di un altro potere (il giudiziario) assicurarsi che questi limiti non vengano violati. L’indipendenza della magistratura è garantita dalla Costituzione proprio per consentire ai giudici di sindacare gli abusi dei poteri pubblici e privati, a tutela dei diritti inviolabili dell’uomo.
Quando un pubblico potere si avvia lungo una strada che produce discriminazioni, disprezzo dei diritti inviolabili di singoli o di categorie di persone, l’intervento giudiziario assume necessariamente – a prescindere dall’orientamento dei singoli giudici – una funzione contromaggioritaria.
Di questa funzione non dobbiamo scandalizzarci, come fa la destra al governo, perché è un segnale di vitalità della nostra democrazia. Questo segnale non è venuto da Palermo. Anche se non conosciamo le motivazioni della sentenza, il dibattito processuale e la formula adottata ci danno sufficienti informazioni per capire il principio di diritto a cui si è ispirata la decisione.
Alla luce delle intimidazioni rivolte ai giudici, il primo pensiero va al principio di diritto che Alessandro Manzoni esprime per bocca di don Abbondio: il coraggio se uno non ce l’ha non se lo può dare.
Ma non è questo il punto dirimente. L’assoluzione “perché il fatto non sussiste”, non esclude la sussistenza del fatto materiale contestato (cioè di aver impedito di portare a termine il salvataggio dei profughi recuperati in alto mare dalla nave Open Arms, vietando lo sbarco), ma esclude che il fatto contestato sia qualificabile come reato.
Se in ordine all’imputazione di sequestro di persona poteva sorgere qualche dubbio sulla corrispondenza con la fattispecie tipica di cui all’art. 605 del codice penale, l’assoluzione anche per il reato di rifiuto doloso di atti d’ufficio, dimostra che il Tribunale di Palermo non ha effettuato una valutazione di merito della condotta ascritta al Ministro, ritenendola insindacabile in quanto “atto politico”, come rivendicato dalla difesa di Salvini.
Il nodo giuridico in questo processo verte proprio in ordine alla natura e alla delimitazione dei confini dell’atto politico, cioè di quegli atti delle autorità di governo che non sono sindacabili dal potere giudiziario. In un ordinamento democratico l’ambito di operatività dell’atto politico è minimo, mentre è massimo nelle dittature. La Cassazione ha chiarito quali siano i limiti dell’atto politico nel nostro ordinamento, da ultimo con la sentenza n.33398/2024 depositata il 19 dicembre, dove osserva che: “La nozione di atto politico è di stretta interpretazione ed ha carattere eccezionale, atteso che il principio di giustiziabilità degli atti del pubblico potere costituisce un profilo fondante della Costituzione italiana (Cass., Sez. Un., 1° giugno 2023, n. 15601) (..) Nella stessa direzione cospira l’art. 113 Cost., letto in connessione con l’art. 24 Cost. Essi esprimono il principio di legalità-giustiziabilità: le posizioni giuridiche soggettive esigono una tutela e, quindi, nessun atto riconducibile alla funzione amministrativa che produca effetti lesivi rispetto a tali situazioni può essere considerato non sindacabile.”
A nostro parere, ostacolare il salvataggio dei naufraghi vietando lo sbarco produce effetti lesivi nella sfera giuridica delle persone recuperate in alto mare. Per questo riteniamo sbagliata la sentenza di Palermo.
Se l’Autorità giudiziaria allarga i confini dell’atto politico, viene favorita quella torsione autoritaria che caratterizza la politica attuale, non solo in Italia. Non è solo un problema di migranti, se cadono le barriere erette dalla Costituzione all’insindacabilità degli atti di governo, si possono verificare effetti paradossali. Basti pensare a quella – per fortuna isolata -ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione, depositata nel giugno del 2002, che ha dichiarato “atto politico” una strage compiuta dalla NATO a Belgrado in cui furono uccise 16 persone.
Domenico Gallo
già Presidente di sezione presso la Corte di Cassazione
(da Adif)
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Dicembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
IL MILIARDARIO AMICO DI TRUMP ATTACCA IL PRESIDENTE STEINMEIER (“PERDERÀ LE PROSSIME ELEZIONI”), NON SAPENDO CHE NON È CANDIDATO PERCHÉ È IL CAPO DELLO STATO
Elon Musk continua con la sua campagna di riciclaggio di un partito sporco. E su un giornale reazionario, certo, ma dal quale forse non ci sarebbe aspettata un’operazione del genere. Si narra che sul letto di morte Axel Springer, fondatore della Bild, abbia chiesto alla sua famiglia di non vendere mai la Welt.
Che all’epoca era il fratello minore, il quotidiano meno letto e meno gridato del tabloid più letto d’Europa, ma perennemente in crisi di vendite. Ieri il giornale berlinese, che nel frattempo vanta una delle pagine web più lette in Germania, ha scatenato una bufera per una decisione che forse avrebbe fatto storcere il naso al controverso fondatore, odiato dalla sinistra ma filoatlantista e filoeuropeista fino al midollo.
Nella sua versione domenicale, la Welt ha pubblicato un commento di Musk a sostegno dell’Afd, un partito filorusso che nel programma elettorale propone l’uscita di Berlino dalla Ue e dall’euro. E per il proprietario di X solo l’Afd può salvare la Germania dal declino economico. Apriti cielo.
A Natale Musk aveva già twittato che «solo l’Afd può salvare la Germania ». E secondo alcuni media sarebbe stato l’attuale editore del gruppo Springer (che possiede anche Politico), Mathias Doepfner, a cercarlo per chiedergli di articolare meglio quel tweet. Il risultato è un commento che mostra solo come Musk non abbia mai letto il programma dell’Afd e punti a normalizzare una forza politica ritenuta pericolosa per la democrazia persino dai servizi segreti tedeschi.
Nella riunione di redazione sembra che alcuni giornalisti di punta come il vicedirettore Robin Alexander si siano espressi contro la pubblicazione. E la discussione accesa tra colleghi ha mietuto una vittima eccellente: la capa delle pagine dei commenti, Eva Marie Kogel, si è dimessa. Ma nel frattempo la polemica si è allargata.
Dimostrando ancora una volta di non capire nulla della Germania, Musk ha pubblicizzato il suo commento segnalando che era uscito su una fantomatica “Weld”, con la “d” finale. E già che c’era ha attaccato il presidente della Repubblica Steinmeier che venerdì aveva stigmatizzato il suo sostegno all’Afd: «Perderà le prossime elezioni», ha twittato.
Ignorando che Steinmeier non è candidato perché è il capo dello Stato. Ma contro il patron di Starlink e Tesla, dopo giorni di assordante silenzio, è sceso in campo il capo dei cristianodemocratici e probabile prossimo cancelliere, Friedrich Merz, che ha criticato «l’invadente e presuntuoso spot elettorale» di Musk.
In più, Merz gli ha ricordato che l’uscita della Germania dalla Ue «danneggerebbe l’economia tedesca », e «non solo quella automobilistica ». Vale la pena di ricordare che l’Afd, coerentemente con il suo odio per le auto elettriche, protestò a lungo contro la costruzione della Gigafactory di Tesla in Brandeburgo.
(da La Repubblica)
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Dicembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
MA DAVVERO LA RAI PENSAVA DI RILANCIARSI CON NOMI COME NUNZIA DE GIROLAMO, LUCA BARBARESCHI, PIERO CHIAMBRETTI, ELISABETTA GREGORACI, ANTONINO MONTELEONE? LA RAI SEMBRA UNA TV LOCALE INVESTITA DI IMPROVVISO BENESSERE
I cento anni della radio e i settanta della tv avrebbero potuto essere una buona
occasione di riflessione per la Rai, una circostanza per mettere a punto il ruolo del servizio pubblico, per ritrovare un’identità smarrita .
E invece l’anniversario è trascorso quasi con fastidio: qualche manifestazione istituzionale, una mostra a Roma due o tre programmi rievocativ
Era stato costituito persino un comitato scientifico che, a quanto mi risulta, non è mai stato convocato. Insomma una grande occasione sprecata. Perché questo rammarico? Perché il servizio pubblico è un bene comune, se vogliamo ancora che esista e, al di là dei non pochi programmi fallimentari, è necessario guardare in faccia la realtà senza infingimenti
A parte pochi settori, mi riferisco in particolare a Rai Fiction e a Rai Cultura, le nuove dirigenze Rai hanno dimostrato una fragilità che nemmeno il peggiore avversario politico si poteva augurare. Per non parlare dell’informazione e soprattutto del Tg1, con quei «vocali» dei politici presi a prestito da TikTok, quasi a umiliare il lavoro giornalistico. Ma davvero la Rai pensava di rilanciarsi con nomi (con il tipo di tv che rappresentano) come Nunzia De Girolamo, Luca Barbareschi, Piero Chiambretti, Elisabetta Gregoraci, Antonino Monteleone?
Sere fa ho provato una stretta al cuore nel vedere programmi di prima serata affidati a Pierluigi Diaco e Monica Setta: la Rai sembra un tv locale investita di improvviso benessere. Per non parlare della trasmissione di Concita Borrelli, descritta come «la pupilla di Bruno Vespa». E nessuno che dia più un’occhiata critica a Milly Carlucci, persino ad Alberto Angela.
(da La Repubblica)
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Dicembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
L’INCREDIBILE CASO DI UN B&B COSTRETTO A RIFORNIRSI D’ACQUA ATTRAVERSO UN IMPROVVISATO, LUNGHISSIMO TUBO DI GOMMA DOMESTICO, NEL TENTATIVO DI NON PERDERE CLIENTI
Ad Agrigento, oltre l’immaginabile. A due giorni dal lancio ufficiale di Agrigento Capitale Italiana della Cultura 2025, la città annaspa e sembra tutt’altro che pronta a reggere l’importanza di questo impegno.
Della sete di Agrigento, frutto di una gestione scellerata, si sa già. Si sa anche che in estate la situazione è stata così drammatica da spingere la gente in strada, dando vita ad una manifestazione come non si vedeva da decenni. Alle proteste hanno fatto seguito promesse e poi promesse. Resta la situazione drammatica.
A soffrirne sono le periferie, ma anche il centro storico, pure gli esercizi commerciali e le strutture turistiche del corso: così in Via Atenea, un tempo il “salotto buono” della città, ora una sequenza di negozi chiusi per la crisi economica che ha relegato la Città dei Templi agli ultimi posti delle classifiche ufficiali sul bel vivere.
E in via Atenea – come denuncia ReportSicilia.it – una struttura ricettiva è stata costretta a rifornirsi d’acqua attraverso un improvvisato, lunghissimo tubo di gomma domestico, nel tentativo di non perdere clienti.
Oltre alle foto, un video allegato all’articolo, video che apparirà incredibile ai più, incomprensibile ai turisti.
Articolo, foto e video – dice ReportSicilia.it – “raccontano una realtà che stride fortemente con la narrazione di Agrigento come polo culturale e turistico”. Nell’articolo si ricordano le ripetute denunce sulla grave situazione idrica di Agrigento, sul collasso del sistema idrico cittadino, sulle criticità legate alla gestione dell’acqua pubblica da parte di AICA (l’Azienda Idrica Comuni Agrigentini), sulla totale mancanza di programmazione da parte dell’amministrazione comunale
Lo scandalo del B&B costretto a rifornirsi d’acqua con un tubo volante che attraversa il corso principale arriva in un momento “caldo”, con un susseguirsi di altre denunce e di polemiche legate alla gestione dei soldi arrivati in città per onorare l’impegno di Capitale della Cultura 2025.
Da una parte i problemi irrisolti che si aggravano, dall’altra quello che appare uno spreco di dimensioni inammissibili: i fondi destinati alla Capitale della Cultura – viene denunciato da più parti – vengono spesi per manifestazioni con scarso rilievo e non con quella trasparenza che si richiederebbe. “Non si può costruire così un’immagine internazionale della città – denuncia Giuseppe Di Rosa del Codacons – mentre si ignorano i problemi che rendono insostenibile la vita quotidiana”.
Con il titolo di Capitale Italiana della Cultura, Agrigento avrebbe avuto un’opportunità unica per rilanciare la propria immagine e attrarre nuovi flussi turistici. In questa situazione, il rischio è quello di trasformare un’occasione storica in un fallimento, peraltro annunciato.
(da Globalist)
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Dicembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
I CINQUE PRINCIPALI COLOSSI STATUNITENSI DEL SETTORE HANNO REGISTRATO UN AUMENTO DEI RICAVI DELL’11%, DA 175 A 195 MILIARDI DI DOLLARI… ANCHE IN EUROPA I NUMERI SONO POSITIVI PER I 5 BIG DEL SETTORE (COMPRESO LEONARDO): +12,7% A 56 MILIARDI DI EURO TOTALI
Nel 2024 le fabbriche di armi di tutto il pianeta hanno marciato a pieno ritmo. Per il
terzo anno consecutivo, con ulteriori, tristi record per l’espansione della produzione di ordigni letali, per la dilatazione dei fatturati e degli utili scanditi da nuovi picchi delle quotazioni in Borsa.
L’analisi dei conti delle maggiori aziende del settore mostra che le cinque più grandi del mondo, tutte statunitense, Lockheed Martin, Rtx-Raytheon, Northrop Grumman, General Dynamics e Boeing (calcolando per quest’ultima solo il settore difesa e spazio), nei primi nove mesi del 2024 hanno messo a segno un’espansione dell’11,2% dei ricavi totali, da 175,1 a 194,8 miliardi di dollari.
Il portafoglio ordini, che rappresenta i ricavi del futuro, è lievitato di 32,3 miliardi, a un totale aggregato di 625,7 miliardi (+5,4%). Anche la redditività è aumentata, escludendo Boeing, che soffre soprattutto nella divisione aerei commerciali.
In Europa i numeri sono più piccoli, ma i risultati impressionanti. Considerando le cinque principali, Bae Systems, Thales, Leonardo, Rheinmetall e Airbus (di quest’ultima solo la divisione difesa e spazio), i primi nove mesi del 2024 (eccetto Bae che ha pubblicato solo dati semestrali) mostrano una crescita dei ricavi del 12,7% a 55,82 miliardi di euro. Il portafoglio ordini complessivo delle prime quattro è aumentato di 23 miliardi, a un totale di 229,2 miliardi (+11,2%). Gli utili netti aggregati hanno raggiunto i 2,65 miliardi (+10%).
La principale azienda mondiale di armi è Lockheed, produce gli F-35 e i caccia F-16, inviati anche in Ucraina. Sforna i missili mandati da Joe Biden a Kiev: gli anticarro Javelin prodotti con Raytheon e gli Atacms. Nei primi nove mesi del 2024 ha aumentato i ricavi del 7,6% a 52,42 miliardi di dollari e gli utili netti del 5% a 5,05 miliardi. Il portafoglio ordini è aumentato da 160,6 miliardi a 165,7 miliardi. Tirano soprattutto i missili: gli ordini sono saliti di 8 miliardi.
In Europa la principale è la britannica Bae Systems. È alleata di Leonardo nella produzione dell’Eurofighter e nel progetto del superbombardiere Gcap, al quale partecipa anche il Giappone. Nei primi sei mesi del 2024 Bae ha aumentato i ricavi dell’11,4%, pari a 14,06 miliardi di euro, e gli utili netti del 5,2%. Il portafoglio ordini è salito di 5 miliardi, a 89 miliardi totali.
Leonardo ha aumentato i ricavi del 12,4% a 12,08 miliardi, il “risultato netto ordinario” da 298 a 364 milioni (+22%), il portafoglio ordini da 40,9 a 43,6 miliardi. La progressione maggiore è quella di Rheinmetall, l’azienda tedesca che ha firmato un accordo con l’ad di Leonardo, Roberto Cingolani, per costruire i futuri carri armati e veicoli blindati per l’Esercito italiano.
Rheinmetall ha impiantato fabbriche anche in Ucraina. Vladimir Putin, secondo la Cnn, ha risposto ordinando l’uccisione dell’ad Armin Papperger. Nei primi nove mesi del 2024 Rheinmetall ha aumentato i ricavi del 36% a 6,27 miliardi e l’utile netto del 27% a 306 milioni. Il portafoglio ordini è aumentato da 38,3 a 51,9 miliardi. Tra le aziende di armi, le azioni di Rheinmetall sono quelle salite di più dall’inizio della guerra Russia-Ucraina.
Eccetto Boeing (-31% nel 2024), tutte le azioni delle aziende di armi hanno fatto progressi in Borsa nel 2024. Le europee molto più delle americane. Anche le asiatiche sono andate fortissimo. La prima è la cinese Kuang-Chi Technologies, società privata che sviluppa metamateriali (prodotti artificialmente) e opera anche nella difesa, con un’impennata in Borsa del 198,5%.
A parte la Cina, il record è della norvegese Kongsberg, +177%: l’azienda, che produce dai componenti per aerei da guerra ai missili, in nove mesi ha aumentato i ricavi del 21,9% a 2,94 miliardi di euro e gli utili del 41,7%. Fenomeno simile in Giappone, dopo l’abbandono del tetto dell’1% del Pil per la spesa militare, che arriverà a 59 miliardi di dollari nel prossimo anno fiscale. Le azioni salite di più sono di Mitsubishi Heavy Industries (+169%).
In graduatoria seguono l’americana Axon (+144%), produce il taser, la pistola che immobilizza con scariche elettriche, la coreana Hanwha Aerospace (+134%), Rheinmetall (+116%), l’americana Howmet Aerospace (+107%), la brasiliana Embraer (+98%), la britannica Rolls-Royce, che fa motori per aerei (94%). Nel suo capitale dal 2021 c’è Exor, la holding guidata da John Elkann. Quindi un’altra coreana, Hyundai Rotem (+85%).
Undicesima Leonardo, +72% fino al 23 dicembre. I rialzi hanno toccato anche Fincantieri (+58%) e Avio (+64%). Boom anche per la turca Aselsan Elektronik (+60%), la svedese Saab (+55%), le indiane Bharat Tech (+59%) e Hindustan Aeronautics (+50%). Le grandi degli Usa, eccetto Rtx (+39%), hanno avuto rialzi contenuti. Lockheed solo il 7,7%.
Una spiegazione è legata a Donald Trump: con lui la corsa al riarmo sarà ancora più forsennata, specie in Europa. Il prossimo presidente degli Usa vuole che i paesi Nato aumentino la spesa militare al 5% del Pil. Per l’Italia, ferma all’1,5%, vorrebbe dire spendere 50 miliardi in più all’anno, rispetto a una spesa che per l’anno prossimo è fissata in 32,2 miliardi, un nuovo record peraltro.
(da agenzie)
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