Dicembre 4th, 2024 Riccardo Fucile
LA LEGA: “ORA POTRA’ FARE LA COMUNISTA”…. CERTO, COME SALVINI IL DETENUTO PER UN REATO EFFERATO
Un taglio netto, tredici mesi dopo. Via dal raggio d’azione di attacchi e cicliche polemiche, lontano dalla gogna e dai riflettori che le erano stati accesi addosso dal ministro Salvini e dalla destra. La giudice di Catania Iolanda Apostolico si è dimessa dall’ordine giudiziario, a partire dal prossimo 15 dicembre.
La decisione è stata accolta oggi dal plenum del Consiglio superiore della magistratura, dopo che la sua domanda aveva superato pochi giorni fa il vaglio della quarta commissione (presidente Bertolini), suscitando anche a Palazzo Bachelet qualche domanda e raccogliendo le prevedibili risposte, tra colleghi di Magistratura democratica e Area, le correnti di sinistra. Sembra che la giudice “non ne potesse più delle ostilità e delle curiosità morbose” che le aveva procurato lo scontro acceso da esponenti del governo.
Apostolico era finita nel mirino perché aveva disapplicato il decreto Cutro sui migranti, respingendo con una sua ordinanza il trattenimento dei richiedenti asilo. E contro di lei ecco, in serata, la nota con cui la Lega rincara la dose: “Iolanda Apostolico ha lasciato la magistratura. Meglio tardi che mai, ora potrà comportarsi come una esponente di Rifondazione comunista”
Sembra che la giudice non godrà – va sottolineato – di scivoli o “ombrelli” protettivi per arrivare alla pensione. Ha preferito allontanarsi da una sovraesposizione che, a detta di alcuni fidati amici e colleghi, “la stava logorando”.
Apostolico “paga” per il suo lavoro. E’ la giudice che, solo pochi giorni prima di quel post del ministro, il 30 settembre 2023, aveva disapplicato il nuovo decreto del governo Meloni che prevedeva di fermare i richiedenti asilo nei Cpr. Un trattenimento ritenuto illegittimo e in contrasto con la normativa europea.
(da agenzie)
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Dicembre 4th, 2024 Riccardo Fucile
RESTANO ROMEO E IL COCCO DI SALVINI TOCCALINI CHE PERO’ E’ DATO PERDENTE (60% A 37% A FAVORE DI ROMEO)
L’ex parlamentare del Carroccio, che voleva candidarsi da outsider contro Romeo e Toccalini, fa un passo indietro e denuncia: “Non ci sono le condizioni, hanno reso impossibile partecipare. Non abbiamo neanche i moduli per raccogliere le firme e non si sa dove si terrà il congresso”
“Una farsa. Prendono in giro i militanti”.
Cristian Invernizzi si fa da parte, ma attacca, denuncia senza mezzi termini. Rinuncia a candidarsi al congresso della Lega in Lombardia: “Un congresso farsa”, lo definisce, in cui si vuole evitare il confronto tra i militanti, “presi in giro” anche con le formalità burocratiche: “Ancora non abbiamo neanche i moduli per raccogliere le firme…”, dice l’ex parlamentare del Carroccio. “Non ci sono le condizioni, hanno reso impossibile partecipare”, continua Invernizzi, mettendo in fila le storture di un congresso che si terrà il prossimo 15 dicembre e che vedrà contrapposti Massimiliano Romeo, Luca Toccalini – mentre Salvini, dopo l’ipotesi Igor Iezzi pensa a Guido Guidesi, assessore regionale di Attilio Fontana, un nome che forse potrebbe pacificare e raffreddare gli animi.
Invernizzi intanto con una nota si scaglia contro i vertici della Lega. “Ancora non si sa dove si terrà il congresso e ancora non si sa quando potremo iniziare a raccogliere le firme per le candidature. Bisogna raccogliere entro mercoledì prossimo almeno 60 firme tra i quasi 400 delegati, eletti domenica scorsa. Ma al momento ancora non c’è la modulistica per raccoglierle e non si sa neanche quando arriverà”.
Le firme, spiega ancora l’esponente del Carroccio, possono essere raccolte solo dopo la validazione delle elezioni dei delegati. “E bisogna raccoglierle fisicamente nelle diverse province della Lombardia, quando potremo iniziamo a farlo?”,
Invernizzi avrebbe voluto vestire i panni dell’outsider o del terzo incomodo tra Romeo e Toccalini. “Ma si parla di candidato unitario. E con un candidato unitario, cosa lo facciamo a fare il congresso? Per questo volevo candidarmi: almeno sarei salito sul palco, avrei detto la mia e stimolato un po’ di sano confronto tra di noi”. Così, conclude il parlamentare, “si prendono in giro i militanti. E non mi sembra il modo migliore per fare squadra e ripartire”.
(da agenzie)
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Dicembre 4th, 2024 Riccardo Fucile
LA CASSAZIONE HA RESPINTO L’ULTIMO RICORSO DEI 4 STUPRATORI… INVECE CHE PENSARE A FAR LA GUERRA AI MAGISTRATI, IL GOVERNO DOVREBBE ABBREVIARE I TEMPI DELLA GIUSTIZIA
Undici anni dopo i fatti, si aprono le porte del carcere per quattro giovani che nel 2013 avevano costretto un’amica, dopo una serata in un locale, a fare sesso con ognuno di loro. Al termine di un iter lungo e complicato è infatti arrivata la parola fine da parte della Cassazione.
Due dei condannati dovranno scontare 4 anni e 2 mesi, gli altri due 4 anni di reclusione. Erano stati assolti in primo grado a Novara nel 2019, poi un primo processo d’appello aveva ribaltato la sentenza condannandoli. Ma la Cassazione aveva annullato la sentenza rinviando gli atti alla corte d’appello di Torino. Qui i quattro erano stati condannati, e ora la Suprema Corte ha respinto l’ultimo ricorso.
I quattro amici fino all’ultimo si sono detti innocenti, sostenendo che tutto era avvenuto con il consenso della ragazza. Lei, che oggi ha 27 anni e all’epoca era minorenne, ha sempre detto di aver ceduto per la paura delle minacce, e ha ricordato che già in un’occasione precedente due dei quattro giovani avevano allungato le mani su di lei.
(da agenzie)
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Dicembre 4th, 2024 Riccardo Fucile
HANNO VISSUTO PER MESI IN CONDIZIONI DI SCHIAVITU’ SENZA RICEVERE UNO STIPENDIO
Hanno vissuto per mesi in un container senza acqua e con un bagno inutilizzabile, lavorando fino a 12 ore nei campi coltivati. È un racconto terribile quello contenuto in un esposto presentato a settembre dalla Cgil Flai di Latina alla Procura di Roma.
Avevamo incontrato i due braccianti che, protetti dall’anonimato, ci avevano raccontato l’incubo vissuto mostrando anche delle immagini girate con i loro telefonini. Filmati che lasciano poco spazio all’immaginazione. In un video si vede il prefabbricato dove trascorrevano il resto della giornata i braccianti, dopo aver trascorso ore e ore nei campi. I letti non sono altro che materassi accatastati per terra uno accanto all’altro, una piccola cucina con un fornello collegato ad una bombola e un bagno inutilizzabile. Il loro viaggio dall’India all’Italia con la promessa di ottenere un lavoro si era trasformato presto in un vero incubo. “Siamo stati trattati come schiavi” ci avevano detto. “Sono trascorsi quasi due mesi dalla nostra segnalazione – aveva dichiarato con un po’ di amarezza Laura Hardeep Kaur segretaria generale della Flai Cgil di Roma e Lazio – non sappiamo ad oggi se la Procura si è attivata in qualche modo, sicuramente nessuno ha contattato i due ragazzi per ascoltarli. Stiamo parlando di persone rinchiuse con un lucchetto ridotte in una condizione di schiavitù, se neanche questo riesce a smuovere qualcosa poi veramente non conta niente”. Dopo l’uscita del nostro articolo su Fanpage.it i due testimoni sono stati ascoltati in Procura per diverse ore.
Le indagini e nuove testimonianze
La convocazione è avvenuta a metà novembre, più di due mesi dopo la presentazione dell’esposto. Qualcosa sembra che si stia finalmente muovendo. “Speriamo che adesso la Procura agisca, hanno finalmente ascoltato le testimonianze di questi due braccianti – ha spiegato Stefano Morea segretario generale della Flai Cgil Roma e Lazio – ma questo non basta. I due testimoni poi hanno bisogno di andare in protezione con un permesso di soggiorno, come è stato fatto mesi fa per la moglie di Satnam Singh. Hanno avuto il coraggio di fuggire e denunciare quello che avevano vissuto per mesi, meritano che questo loro coraggio gli venga riconosciuto”. Nel frattempo almeno altri due braccianti sono andati a bussare alla porta del sindacato pontino, raccontando di aver vissuto anche loro per mesi negli stessi container e alle medesime condizioni.
(da Fanpage)
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Dicembre 4th, 2024 Riccardo Fucile
CONTIENE LA PROROGA DELLA RIFORMA PER L’ACCREDITAMENTO DEI PRIVATI DEL SISTEMA SANITARIO
Il disegno di legge sulla Concorrenza è stato approvato dalla Camera e passa ora al Senato per il via libera definitivo. Ma quello che manca nel testo è proprio l’apertura alla concorrenza. Anzi, c’è addirittura qualche intervento che va nella direzione opposta.
È il caso della deroga prevista all’entrata in vigore della riforma sulle modalità di accreditamento (per erogare prestazioni nell’ambito del Ssn) delle strutture sanitarie private, prevista dal governo Draghi proprio per rispettare gli impegni assunti del Pnrr.
Un piccolo regalo natalizio del governo Meloni, con la regia dei parlamentari di maggioranza, agli imprenditori dell’intero settore sanitario, in cui spicca – tra gli altri – Antonio Angelucci, deputato della maggioranza (eletto con la Lega) e megafono mediatico della destra attraverso il polo editoriale che ha costruito.
L’obiettivo della norma voluta da Draghi, e approvata in maniera bipartisan nella precedente legislatura, era quello di favorire – a partire dal 2025 – le gare pubbliche per migliorare i servizi e risparmiare risorse economiche attraverso la liberalizzazione del settore. I cambiamenti vengono però sterilizzati e posticipati di almeno due anni, rimandando tutto a un «tavolo di lavoro».
Con la destra, insomma, viene garantito lo status quo in attesa di una futuribile ridefinizione. E paradossalmente lo stop alla norma avviene in un provvedimento che dovrebbe favorire la concorrenza.
«Evidentemente alcuni interessi privati consolidati sono ritenuti più importanti della libertà di impresa e del risparmio delle risorse che potrebbero essere reinvestite per ridurre le liste d’attesa e migliorare il servizio sanitario pubblico», spiega a Domani Vinicio Peluffo, deputato del Pd che ha seguito l’iter del provvedimento.
Si procede di rinvio in rinvio, dunque, per evitare l’entrata in vigore della legge. E i re delle cliniche ringraziano, dalla Lombardia al Lazio.
Buoni pasto e dehors
Ma il ddl Concorrenza, firmato dal ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, è caratterizzato da una sostanziale disattenzione complessiva sul tema della concorrenza. Inclusa la materia dei buoni pasto, trattata nel testo durante l’esame in commissione a Montecitorio. Sui buoni pasto si fissa un tetto del 5 per cento sulle commissioni.
Cosa cambia? Nulla per l’utente finale, che non avrà alcun beneficio. «È solo un piacere alla grande distribuzione organizzata. L’esatto contrario della concorrenza», osserva il deputato di Azione Fabrizio Benzoni.
Una buona parte del testo si sofferma sulla riscrittura delle concessioni autostradali, secondo i desiderata di Matteo Salvini. Nessuna rivoluzione sul punto. Una delle bandiere sventolate dalla maggioranza si rivela un pannicello caldo per le attività di ristorazione: la proroga di un anno della possibilità di prevedere dei dehors.
Insomma, si va avanti a colpi di rinnovi estemporanei di una misura studiata, in piena emergenza Covid, dal governo Conte II per sostenere bar e ristoranti. Peraltro la maggioranza prevede di sottrarre il potere decisionale dei sindaci, in un cortocircuito singolare per chi professa il federalismo e l’autonomia. A chiudere il cerchio c’è il comparto dei trasporti.
Sul capitolo taxi non c’è stato alcun intervento concreto se non il potenziamento delle sanzioni al noleggio con conducente, la categoria avversaria dei tassisti.
«Si tratta di un ddl senza visione. C’è anzi la difesa dei tassisti dal pericolo degli Ncc, che fa anche un po’ ridere, e nulla sui balneari», sottolinea il deputato di +Europa, Benedetto Della Vedova. Si legge ddl Concorrenza, dunque, si legge difesa delle corporazioni.
(da agenzie)
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Dicembre 4th, 2024 Riccardo Fucile
STORIA DI UNO SCALATORE
Dunque il nuovo ministro della nidiata Meloni si chiama Tommaso Foti, detto Masino. Viene dall’ultimo apericena a casa Meloni (andato di traverso a Tajani e Salvini) e meno recentemente dalla fiamma tricolore di Piacenza.
Fino a ieri l’altro era il capogruppo dei Fratelli d’Italia alla Camera. L’avete visto di sicuro in tv, di solito dopo il Meteo e un po’ prima dei Tarallucci del Mulino Bianco. Compare quando il cuoco del Tg1 versa il pastone politico nelle gamelle degli italiani.
Come il destino, il nuovo ministro viene da lontano non solo per la sua storia di militante del Movimento sociale di Giorgio Almirante. Ma anche per l’inquadratura che ogni sera lo incorona. Eccolo laggiù, sullo sfondo di Montecitorio. Caracolla con zazzeretta bianca, occhiali acquamarina, il passo lento da pedone di provincia, la erre moscia che gli rotola in bocca mentre recita la sua automatica dichiarazione d’amore e militanza con la quale si guadagna lo stipendio da una quarantina d’anni e che da ottobre 2022, ogni sera, comincia con l’inchino al capo dei capi: “Come ha detto giustamente il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, l’occupazione è la più alta di sempre dai tempi di Garibaldi”. Bravo, bravissimo. Oppure: “Grazie al presidente Giorgia Meloni l’Italia ha il ruolo che si merita nel mondo, mentre prima…”. Giusto, giustissimo. Poiché qualunque cosa accada sul pianeta Terra, guerre, terremoti, alluvioni e persino l’apocalisse del Festival di Sanremo che si addensa, Foti Tommaso c’è e ringrazia. Sempre. Compare tra le fioriere della piazza, dove passa le giornate in attesa delle telecamere. Si avvicina, respira, si alliscia la cravatta turchese, parla: “Con l’azione di governo del presidente Giorgia Meloni, la sinistra si rassegni, qui siamo, qui rimarremo. Qui stupiremo gli italiani”.
D’abitudine gli sboccia accanto, in giubba di pelle, una sorridente Augusta Montaruli, sua vice in Aula e sua fedelissima anche nella disgrazia di qualche traversia giudiziaria. Lui prosciolto dall’accusa di corruzione e dalle offese di un imprenditore piacentino che malamente lo apostrofò in una intercettazione telefonica: “Foti è un ladrone!”. Acqua passata. Lei, al contrario, condannata in via definitiva per peculato quando sedeva sui banchi imbottiti della Regione Piemonte, 25 mila euro di finanziamento pubblico contestati, una cinquantina dei quali ben spesi in libri piccanti, gli altri 24 mila e rotti sciupati in cene e profumi.
Foti, che è imperturbabile d’aspetto, fumantino di carattere, retorico di eloquio, eredita il dicastero e il malloppo Pnrr dal vivace Raffaele Fitto, spedito da Giorgia a Bruxelles con sprezzo del pericolo, viste le turbolenze con le quali è stato accolto nel nuovo organigramma Ursula-2 in una Unione europea mai così smandrappata e sbilanciata a destra, con raffica di bombe e guerre appena dietro l’angolo e i cingoli di Donald Trump in avvicinamento.
Il neo ministro che dal suo Nord dovrà occuparsi anche delle politiche del Sud, sale al soglio con il viatico del presidente Mattarella, che subito dopo il giuramento e forse per scaramanzia, gli ha detto: “Ha un bel compito!”. Con il contorno colorato di faccine di Giorgia rivolte a lui e al presidente: “Eh, lo sa, lo sa!”, mentre anche lei incrociava le dita.
In politica Tommaso Foti è un diesel. Lavora sulla distanza e non ha mai fatto altro, nonostante l’azienda agricola di famiglia creata dal padre. È nato a Piacenza il 28 aprile del 1960, mosca nera in piena Emilia rossa. Scostante e isolato a scuola, con quotidiani patimenti al liceo scientifico Respighi, si iscrive a 16 anni al Fronte della gioventù, “la mia prima palestra di confronto e di scontro politico”. Cresce con due altre passioni, una consueta, l’Inter, l’altra un po’ meno: “Attaccare i manifesti ai muri”.
A vent’anni entra in consiglio comunale e ci rimarrà per sei mandati, fino al 2005. Tre volte di seguito viene trombato alle elezioni regionali e nazionali, sempre il primo dei non eletti. Nel frattempo si sposa e ha una figlia. Entra alla Camera dei deputati nel 1996, subito dopo la svolta di Fiuggi. Fedelissimo di Gianfranco Fini in Alleanza nazionale. Fedelissimo del “grande statista Silvio Berlusconi” tormentato dagli “odiatori di sinistra”.
Si autocelebra in una imperdibile autobiografia, titolo stentoreo: Ha chiesto di parlare. Ne ha facoltà, prefazione di Gustavo Selva, che ai tempi suoi masticava le zecche rosse in Radio Rai e contributi di vari camerati che di Masino testimoniano la “poderosa attività parlamentare” e comunale dove è “indomito protagonista”.
Segue la cronaca delle sue battaglie e dei suoi pregi, “competente”, “determinato”, “coraggioso”, con l’ammissione di un solo difetto che ha il fegato di confessare: “La mia impulsività e certe battute all’acido nitrico”, che nientemeno sarebbe l’acido impiegato per la fabbricazione dei fertilizzanti, ma specialmente degli esplosivi.
Dopo il disastro dell’ultimo governo Berlusconi, anno 2012, l’unità di An si rompe, nasce Fratelli d’Italia in opposizione alla scelta del Popolo delle libertà di appoggiare la nascita del governo tecnico di Mario Monti “con i comunisti sinistrati”. Da quel momento entra nella scia di Giorgia Meloni e Ignazio La Russa, guadagnandosi tutti i gradi della lunga marcia. Il giorno dell’insediamento del governo, si commuove e recita: “Mi consenta questa confidenza, presidente, anche lei da ragazza della Garbatella può diventare presidente del Consiglio con la destra!” Applausi. Per poi spiccare il volo: “La destra è coraggio o non è; la destra è Patria o non è”. Bravo, bravissimo: a noi!
Anche lui, dopo anni di persecuzioni e isolamento sulle ruvide trapunte parlamentari, finalmente si sente in sintonia con il Paese, “l’interesse nazionale è nelle nostre corde, nelle nostre vene”, e finalmente anche con la reietta Rai “dove si respira aria di pluralismo e cambiamento”.
È pronto. È in marcia. Non più tra le fioriere di piazza Montecitorio, ma direttamente verso l’alto compito che lo aspetta. E che commuovendosi ha prefigurato tra gli applausi della Camera: “Ritti sulla cima del mondo noi scaliamo ancora una volta la nostra sfida alle stelle”, che è una delle tante stupidaggini vergate cent’anni fa da Marinetti, il supremo futurista. Da oggi per intero il programma di Foti, nitrico ministro.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Dicembre 4th, 2024 Riccardo Fucile
L’AGENZIA ONU RICORDA: “LA DOMANDA DI ASILO E LA SUA VALUTAZIONE SONO INDIVIDUALI, INDIPENDENTEMENTE SE UN PAESE E’ SICURO O MENO”
La decisione della Cassazione sui ricorsi presentati dal governo Meloni contro le prime mancate convalide del trattenimento dei richiedenti asilo nei centri di permanenza per i rimpatri in Albania «verrà resa nota nelle prossime settimane».
Lo hanno decisi oggi, mercoledì 4 dicembre, i giudici della prima sezione civile. Nel corso dell’udienza, le procuratrici generale Luisa De Renzis e Anna Maria Soldi hanno chiesto ai magistrati di «sospendere il giudizio» in attesa della sentenza della Corte di giustizia dell’Ue, che arriverà probabilmente in primavera.
La posta in gioco riguarda le due strutture di Shëngjin e Gjader, volute fortemente da Giorgia Meloni e finite al centro delle polemiche negli ultimi mesi, dove sono stati portati complessivamente dalla nave della Marina italiana “Libra” meno di una ventina di persone migranti in due operazioni, ma infine riportati in Italia dopo le decisioni della sezione immigrazione del tribunale di Roma. Bollate dal ministero dell’Interno «errate e ingiuste» e viziate «da carenza assoluta di motivazione e/o motivazione apparente».
È proprio dopo la prima bocciatura dei trattenimenti delle persone migranti da parte dei magistrati, lo scorso ottobre, che l’esecutivo era corso ai ripari con l’aggiornamento della lista degli Stati di provenienza dei migranti ritenuti “sicuri”, elevata a norma primaria attraverso un decreto.
Che non ha però sortito gli effetti sperati dal governo, con la successiva seconda bocciatura di inizio novembre in cui i giudici hanno rinviato la loro decisione alla Corte dell’Ue. Nel frattempo, il Senato ha approvato in mattinata il decreto flussi dove la maggioranza ha fatto confluire al suo interno alcune misure controverse.
Come anche il cosiddetto «emendamento Musk», ossia l’affidamento alle Corti d’appello della valutazione su convalida o proroga dei trattenimenti dei migranti che chiedono la protezione internazionale. In sintesi, il decreto si è allargato per “ospitare” le risposte giuridiche che il governo ha escogitato per tentare di averla vinta sui magistrati.
Il secondo step in Ue
La Cgue, ai quali si sono già rivolti una decina di tribunali, tra cui Bologna, Roma, Palermo e Firenze, si pronuncerà il 25 febbraio e la decisione arriverà probabilmente in primavera. Dovrà rispondere ai quesiti rivolti dalle sezioni immigrazione, le quali hanno chiesto se il decreto legge sui cosiddetti «Paesi sicuri» sia in linea con il diritto europeo.
La Corte Ue ha disposto l’applicazione dell’iter accelerato per due procedimenti rinviati dal tribunale di Roma (che sono stati accorpati), ma ha invece sospeso quelli di Bologna e di Palermo sulla stessa materia. I giudici di Lussemburgo hanno dunque rifiutato l’applicazione dell’iter d’urgenza che era stato richiesto dalle toghe capitoline, optando comunque per quello rapido.
Nel primo caso la sentenza sarebbe arrivata in due mesi, in questo ce ne dovrebbero volere tra sei e otto. La deliberazione segnerà (probabilmente) il futuro del protocollo Italia-Albania.
I centri vuoti e l’Unhcr a Open: «Il 15 gennaio invieremo il report al governo»
Fino alla pronuncia della Corte Ue i due centri in Albania dovrebbero rimanere vuoti. E già si ipotizzano, come scrive il Fatto, impieghi alternativi delle strutture albanesi. Il personale italiano, compresi gli operatori sociali di Medihospes, l’ente gestore dei due centri, e gli agenti in servizio, stanno lasciando le strutture per rientrare in Italia.
Il team di Unhcr (l’agenzia Onu per i rifugiati), coinvolto nel protocollo con il ruolo di «monitoraggio e consulenza» sia all’intento delle strutture, ma anche sulla nave Libra, fa sapere a Open che pubblicherà comunque il report con le raccomandazioni al governo su entrambi i trasferimenti in Albania delle persone migranti «intorno al 15 gennaio».
«Il nostro è un ruolo indipendente di monitoraggio: non siamo presenti in Albania in pianta stabile, ma con missioni ad hoc, come nelle uniche due trasferimenti. Ma al momento – dicono – non abbiamo ricevuto pre-allerta per nuove operazioni».
Il ruolo dell’agenzia Onu nel Paese Balcanico, contestato da diverse associazioni, oltre che di monitoraggio e consulenza, prevedeva anche «un approccio orientato alle soluzioni immediate – ci spiegano -. Quando vediamo problemi che vanno a inficiare sulle garanzie per i richiedenti asilo, cerchiamo di risolverli nell’immediato con le autorità. Tanto per fare un esempio, nella prima operazione era stato mandato un minore in Albania. Siamo stati noi a segnalarlo in modo che fosse trasferito in Italia».
Sulle sentenze giuridiche, l’Unhcr non entra però nel merito: «Per determinare se è un Paese è sicuro o meno ci sono processi molto complessi che prendono in considerazione tanti elementi: spetta agli Stati definire se un Paese è sicuro o meno», dicono. «La cosa importante da considerare sempre è che la domanda di asilo è individuale, come anche la sua valutazione. E questo – concludono – indipendentemente se un Paese è sicuro o meno».
(da Open)
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Dicembre 4th, 2024 Riccardo Fucile
DAL FORUM DI MOSCA, “MAD VLAD” LANCIA UN APPELLO ALLE SOCIETÀ EUROPEE E AMERICANE CHE HANNO LASCIATO LA RUSSIA DOPO LO SCOPPIO DELLA GUERRA: “LE NOSTRE PORTE RIMANGONO APERTE”
Le relazioni tra la Russia e l’Occidente sono destinate a tornare inevitabilmente alla normalità, ha affermato oggi il presidente Vladimir Putin intervenendo a un forum economico a Mosca. Lo riferisce la Tass.
“Le porte rimangono aperte” per le aziende dei Paesi occidentali che hanno lasciato la Russia ma vorranno farvi ritorno.Il governo non porrà alcuna condizione speciale per il ritorno delle compagnie straniere, ha sottolineato Putin
Solo un quarto delle aziende occidentali hanno lasciato la Russia dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina, secondo quanto affermato dal presidente Vladimir Putin in un forum economico a Mosca. “Noi non abbiamo cacciato nessuno, non abbiamo costretto nessuno a uscire dal nostro mercato”, ha detto il leader russo, citato dalla Tass. E comunque, “nonostante la pressione politica, molti partner, compresi quelli dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti, non hanno lasciato il mercato russo”.
“Alcune di queste società – ha proseguito – continuano a operare come prima. Si tratta di circa la metà delle aziende. Alcune hanno trasferito la gestione a individui e organizzazioni sotto il loro controllo, e circa un quarto se ne è andata”
(da agenzie)
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Dicembre 4th, 2024 Riccardo Fucile
A TRUMP, COME A BIDEN, NON FREGA NULLA DELLE SORTI DI TRIPOLI MA ALL’ITALIA SERVE UNA LIBIA STABILE.. IL “PIANO MATTEI” PREVEDE POCHI PROGETTI PER IL PAESE
Daniele Ruvinetti, senior advisor di Med-Or, esperto di Medio Oriente e di Nord Africa, la cosiddetta area Mena che, da anni, vive in un continuo subbuglio
Partiamo dalla Siria
Assad aveva due grandi alleati: le milizie iraniane (in primis Hezbollah) e i russi. Questi ultimi si sono dovuti concentrare sull’Ucraina mentre il gruppo filo Teheran a difendere il Libano. Così si è creato uno smottamento negli equilibri siriani. Probabilmente c’è stata anche una spinta di qualche altro Paese…
Hayat Tahrir al-Sham (Hts) non può aver fatto una cosa simile da sola?
A parte la Turchia, che è uno storico sponsor del gruppo, potrebbe anche essere una manovra per mettere in difficoltà l’asse russo-iraniano.
L’esercito governativo ha ripiegato, non ha combattuto. Si è parlato addirittura di un colpo di Stato a Damasco…
Si parlava di scontri tra milizie filo governative ma la notizia non è stata confermata. La Russia è entrata in campo con l’aviazione. Questi fatti rientrano in un quadro di grande destabilizzazione del Medio Oriente, dove era presente una grande influenza dell’Iran tramite i suoi proxy, e ovviamente anche dalla Russia (che ha tenuto in piedi Assad). Con Hezbollah impegnato in Libano e indebolito, e un ridimensionamento di Hamas, gli equilibri della regione sono andati in crisi.
Questa è una politica di massima pressione sull’Iran. Israele vuole chiudere la pratica Gaza per poi concentrarsi su Teheran (come ha spiegato Netanyahu quando ha annunciato la tregua). Non è un caso che la tregua israeliana a Gaza termini con il ritorno di Trump alla Casa Bianca.
Dopo bisognerà capire come si svilupperà la politica estera di The Donald. Per quanto riguarda il Medio Oriente, il tycoon dovrebbe continuare ad appoggiare senza indugio alcuno Netanyahu. Si tenterà di fare un avvicinamento tra Arabia Saudita e Israele, come accaduto durante il primo mandato di Trump con gli Accordi di Abramo. Quanto accaduto in Siria può essere un indebolimento dell’asse iraniano per portare Teheran a più miti consigli.
In Medio Oriente da qualche anno non parliamo più di Isis. Però c’è. È ridotto, è nascosto, ma c’è. Non è ancora una minaccia per l’Occidente?
Queste formazioni, che ancora ci sono, magari cambiano nome (Hts è la vecchia Al Qaeda) e formazioni. Ci sono tante formazioni di estremismo islamico anche in Africa, presenti in Niger, Somalia, Burkina Faso, in Africa Centrale. Dobbiamo riprendere l’attenzione su questi gruppi, anche perché potremmo avere una sorpresa: magari un attentato in Occidente.
Può succedere perché anche gruppi sunniti come Hamas o legati all’Iran – che è in difficoltà – possono colpire in qualche modo il mondo occidentale. Qualche mese fa si è parlato addirittura di un piano iraniano per uccidere Trump, che non è stato smentito da Teheran. Formazioni come Hts vengono usate per mettere in crisi Assad, ma poi vanno gestite perché se prendono troppo spazio poi non è facile averci a che fare. C’è il rischio della recrudescenza di formazioni estremiste mentre il mondo arabo è in grande fermento.
Qual è l’alternativa ad Assad?
Assad è un dittatore. Dall’altra parte non si vede probabilmente un moderato o qualcuno più dialogante con l’Occidente. Chiaramente non possono essere queste formazioni che sono di tendenza estremista, che guardano a un mondo islamico estremo, a prendere il potere in Siria.
Cosa succede in Libia?
Siamo tornati indietro di almeno dieci anni, a quando c’era una divisione tra un governo a Tripoli e uno a Tobruk (oggi Bengasi). Il governo oggi riconosciuto non è mai riuscito a trovare un accordo con Haftar, che ormai è un esponente del Paese con cui bisogna per forza dialogare. Dall’altra parte a Tripoli c’è un primo ministro indebolito (non ci sono state elezioni) che ha perso parte di appoggio di Misurata, la città militare più forte. Tripoli continua ad essere influenzata dalle milizie. L’unica cosa buona è che prima ce ne erano molte, oggi molto meno: c’è un processo volto ad includerle nel mondo della polizia. C’è stato uno scontro fortissimo sul governatore della Banca centrale, dove c’è stato un accordo tra l’Alto consiglio di Stato (diviso) e il parlamento.
L’Italia cosa dovrebbe fare per tornare protagonista?
Coinvolgendo Tripolitania e Haftar. Potrebbe uscire fuori, a breve, un nuovo dialogo politico chiamando determinati rappresentanti di varie tribù e fazioni. Qui c’è una chiara spinta americana. Ricordiamo che per Trump – così come per Biden – la Libia non è mai stata una priorità, però c’è il tema del petrolio che potrebbe interessare al tycoon. L’Italia può avere una grande occasione, potrà chiedere aiuto a Washington, così da cavalcare un processo di tentativo di unificazione.
Haftar, essendo un militare, riconosce solo la forza militare. Lui rispetta Misurata, che è quella che ha le milizie. Misurata sta piano piano capendo che ad un certo punto se vuoi stabilizzare il Paese devi fare un accordo con Haftar. Si sta capendo che alla fine deve vincere la realpolitik. Allora, se c’è un accordo mediato dall’Onu, con un asse Haftar-Misurata, un governo con quest’asse potrebbe reggere. Perché ha due forze che nessuno può contrastare militarmente sul terreno: Misurata e Haftar, garanti di un governo che parla per entrambi.
(da il Giornale)
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