Dicembre 29th, 2024 Riccardo Fucile
CONTRATTI PER LE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONE, FONDI ALLA SANITÀ, DOGANE, QUOTA 103: I RILIEVI DEL SERVIZIO BILANCIO DEL SENATO ALLA LEGGE DI BILANCIO
La parlamentare del Pd e vicepresidente della Camera, Anna Ascani, l’ha definita una
manovra “da mani di forbice”. Cita le migliaia di posti in meno nella scuola pubblica: “Un taglio simile non si vedeva dai tempi della Gelmini” ha detto ieri.
Nelle stesse ore, la Flc Cgil ha fatto i suoi conti al ministero dell’Istruzione. “Il taglio agli stipendi di docenti, ricercatori, personale tecnico, amministrativo, in virtù del mancato finanziamento per adeguare gli stipendi al tasso di inflazione, i tagli agli organici e le riduzioni di risorse per università ricerca e Afam consentono alle finanze pubbliche di risparmiare ben oltre 5 miliardi di euro”.
L’aumento complessivo per gli stipendi è del 6% che corrispondono a circa 150 euro medi mensili lordi. “Servirebbero – solo per rispondere all’inflazione – 426 euro al mese” aveva spiegato qualche mese fa il sindacato rispondendo al ministro, visto che nel triennio l’inflazione è al 18%.
Qualche giorno fa, il ministro ha parlato di un aumento di circa 300 euro lordi tra fondi stanziati per lo scorso contratto e quello in scadenza, a cui si aggiunge il taglio del cuneo fiscale. “Ma ciò che si perde sui salari con l’inflazione non è comunque recuperato grazie al taglio del cuneo fiscale – spiega la Flc Cgil – per tre ragioni: non si tratta di una novità dell’esecutivo Meloni ma della mera conferma di una misura già in vigore; è una misura fiscale che riguarda tutti i lavoratori dipendenti, pubblici e privati”.
Infine, anche sommando gli effetti della riduzione del cuneo fiscale ( + 6-7%, ndr) e gli incrementi previsti in legge di bilancio gli stipendi restano penalizzati.
Ma i tagli in legge di bilancio, poi, riguardano anche la dotazione organica. Le nuove assunzioni di docenti ammonteranno a 1.866 unità mentre le uscite saranno 5.660: 3.794 posti di docenti in meno nel 2025, mentre per il 2026 sono confermati i tagli di oltre 2.200 posti all’organico tecnico amministrativo
I BUCHI DELLA MANOVRA
Nelle 586 pagine delle «note» con cui il Servizio bilancio del Senato fa le pulci alla legge di Bilancio i termini copertura/coperture appaiono ben 185 volte. Nella maggioranza dei casi secondo i tecnici di palazzo Madama non c’è «nulla da osservare», ma su almeno una dozzina di articoli vengono segnalate criticità, incongruenze, assenza dei dati di base sui quali effettuare le proiezioni.
Contratti delle Pa
Molti rilievi riguardano i trattamenti dei dipendenti della Pa, gli indennizzi riservati alle professioni sanitarie e le norme di esclusività del personale medico dell’Inail. In particolare per quanto riguarda il rifinanziamento del fondo per la contrattazione collettiva nazionale per il personale pubblico (7,3 miliardi in 3 anni a beneficio di 1,9 milioni di addetti con un aumento a regime del 5,4% nel 2027) secondo il Servizio bilancio l’applicazione dei parametri indicati dalla Relazione tecnica determina «importi complessivi inferiori rispetto a quanto previsto in norma, per cui sarebbe utile l’acquisizione di ulteriori informazioni in merito all’incremento di risorse previsto e ai fattori che concorrono a determinare i suddetti importi».
I fondi per la Sanità
Alla Sanità la legge di bilancio assegna 1,3 miliardi nel 2025 ed altri 33,8 miliardi tra il 2026 ed il 2030. Per fare cosa? Non è spiegato, mentre sarebbe «opportuno presentare una tabella riepilogativa del complesso degli oneri inerenti ad attività e funzioni del Ssn che la norma in esame si propone di coprire».
Bonus asili e nuovi nati
Uno scostamento particolarmente significativo riguarda il nuovo «Bonus nuove nascite» da 1.000 euro tanto caro alla premier Giorgia Meloni. Ebbene in base ai dati Istat la platea dei possibili beneficiari per il 2025 è stimata in 380 mila unità comportando così un costo che al netto della selezione prodotta dall’Isee che potrebbe arrivare a 360 milioni. La legge si bilancio però ne stanzia appena 330, col rischio quindi che l’Inps a conti fatti si trovi a dover decurtare il contributo di quasi 100 euro o in alternativa a dare lo stop alle richieste una volta raggiunto il tetto di spesa.
Quota 103 e Opzione donna
Sul fronte della previdenza, poi, mancano le stime sugli effetti finanziari delle proroghe di Quota 103 e Opzione donna, mentre sull’Ape sociale viene indicata solo la platea potenzialmente interessata (circa 18 mila unità nel 2025) senza però «fornire elementi di dettaglio» e non viene fornita nemmeno l’indennità media mensile prevista.
Agenzia delle Dogane
Anche la norma che consente all’Agenzia delle Dogane di assumere in deroga 105 tra dirigenti e funzionari scricchiola: in questo caso, infatti, «andrebbero fornite indicazioni in merito alle disponibilità nel bilancio dell’Agenzia» a far fronte alla maggiore spesa. Auto aziendali Carenza di dati anche sulla norma che aumenta la tassazione sulle auto aziendali più inquinanti: in questo caso mancano infatti dati puntuali sia sulla composizione della flotta circolante di auto aziendali sia sulle classi di emissione. Inutile dire con una eventuale terza lettura della legge di Bilancio ci sarebbe stato modo e tempo di correggere i testi e affinare le relazioni tecniche. Ma il governo, come sappiamo, lo ha negato.
(da La Stampa)
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Dicembre 29th, 2024 Riccardo Fucile
LA MELONI AVREBBE PIÙ TEMPO PER CERCARE CANDIDATI DECENTI (ANCHE PER CAMPANIA E PUGLIA) – LA QUESTIONE DEL TERZO MANDATO, CHE POTREBBE ESSERE AZZERATA DALLA CORTE COSTITUZIONALE
«Ho proposto al tavolo di centrodestra di spostare le regionali di autunno 2025 alla primavera del 2026. E mi sembrerebbe giusto che Luca Zaia potesse accendere la fiaccola olimpica nel 2026».
Posticipare le elezioni regionali. Per affiancarle alle amministrative, ma anche per posticipare insieme al voto le tensioni interne ed esterne ai partiti di maggioranza. L’idea di Matteo Salvini, annunciata ai suoi durante un consiglio federale della Lega, e rilanciata con forza dal palco del congresso lombardo il 15 dicembre, diventa ogni giorno che passa più concreta.
Oltre alle volontà delle singole Regioni coinvolte, a cominciare da Veneto e Campania (gli altri territori interessati sarebbero Puglia, Toscana, Marche e Valle D’Aosta), in queste ore sta infatti maturando l’ipotesi di un’azione della Conferenza delle Regioni (guidata dal presidente leghista del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga) per chiedere al governo un decreto in tal senso.
Di ufficiale non c’è ancora nulla, «per il momento è solo un’idea» spiegano dagli uffici che se ne stanno occupando, ma già nei prossimi giorni potrebbe partire una lettera con la richiesta formale al ministro competente.
I risparmi per le casse dello Stato, «40 milioni solo per il Veneto rappresentano solo una delle motivazioni. E forse nemmeno la principale. Le altre considerazioni, ovviamente, sono di natura più politica, e hanno a che fare tanto con aspetti locali quanto con aspetti generali.
Il punto di partenza di ogni ragionamento non può che essere il Veneto. La Regione guidata da Luca Zaia, infatti, è uno dei tasselli più delicati dell’attuale alleanza di centrodestra. Da una parte c’è Fratelli d’Italia in crescita che ambisce a vedere riconosciuto anche al Nord il proprio peso elettorale, dall’altra c’è una Lega spaccata che se dovesse perdere lo scettro del Veneto potrebbe implodere.
Dunque è vero che al doge Zaia non dispiacerebbe uno slittamento di qualche mese delle elezioni per poter accendere la fiaccola olimpica e presenziare alla cerimonia di inaugurazione dei Giochi invernali del 6 marzo 2026.
È vero anche che la proroga servirebbe al partito di Salvini per trovare un nome forte da presentare agli alleati di centrodestra per non perdere il diritto di prelazione sul candidato in un antico feudo del Carroccio.
Di pari passo, c’è la battaglia per il terzo mandato: sia Zaia che Salvini – quest’ultimo probabilmente per assicurare una collocazione stabile al governatore veneto, suo possibile antagonista nella leadership del partito – non hanno mai fatto mistero di ambire a un’abolizione del limite di due turni per le cariche monocratiche elettive.
Ma adesso il Veneto sta a guardare. L’iniziativa di Vincenzo De Luca in Campania per aggirare il limite di due mandati potrebbe essere un precedente. O più precisamente, se come annunciato il governo impugnerà la legge regionale del governatore campano (l’esecutivo ha tempo fino al 10 gennaio) e la Corte Costituzionale la annullasse, potrebbe azzerare anche la norma statale che vincola a due i mandati per i presidenti di regione.
Zaia, infatti, in questo modo si troverebbe un’autostrada spianata per il terzo mandato, per di più con oltre sei mesi di campagna elettorale aggiuntiva se, come sembra, la proroga per le regionali verrà calendarizzata nella finestra temporale della primavera 2026.
Tutto sommato, allungare i tempi potrebbe servire anche a Meloni: in Veneto per cercare di far valere il peso di FdI nella coalizione e imporre il nome a Salvini e Tajani. In Campania per trovare un nome valido – in grado di arginare lo strapotere di De Luca che comunque non verrà sostenuto dal Pd – dopo che il crollo delle quotazioni di Gennaro Sangiuliano e il gentile rifiuto di Matteo Piantedosi che, in pratica, ha detto a Meloni&Co.
(da La Stampa)
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Dicembre 29th, 2024 Riccardo Fucile
I DATI DEL CNEL: LA FASCIA D’ETÀ IN CUI LE RINUNCE SONO MASSIME È QUELLA TRA I 55 E I 59 ANNI, LA REGIONE CON IL DATO PEGGIORE È LA SARDEGNA
Nel 2023 circa 4,5 milioni di persone hanno rinunciato a prestazioni sanitarie per
problemi economici, problemi di offerta (lunghe liste di attesa) o difficoltà a raggiungere i luoghi di erogazione del servizio. Si tratta del 7,6% della popolazione italiana, contro il 7% del 2022 e al 6,3% del 2019, anno pre-pandemico.
È quanto evidenzia il Cnel che rilancia oggi in una nota alcuni contenuti della Relazione 2024 sui servizi pubblici pubblicata lo scorso ottobre. “Vi è stata – afferma il Cnel – una tendenza al peggioramento, a prescindere dall’eccezionalità del 2021, quando le conseguenze legate al Covid-19 fecero incrementare il valore fino all’11%”.
I dati mettono in risalto che la fascia d’età in cui le rinunce sono massime è quella tra i 55 e i 59 anni (con l’11,1%), mentre la regione con il dato peggiore è la Sardegna (13,7%), seguita dal Lazio (10,5%).
Il Cnel torna sul tema anche con dati di dettaglio. La quota di cittadini che ha rinunciato a visite mediche (escluse odontoiatriche) o ad accertamenti sanitari è massima nella fascia di età 55-59 anni (11,1%), è più bassa ma comunque elevata tra gli anziani di 75 anni e più (9,8%) e minima tra i bambini fino ai 13 anni (1,3%). Emerge poi uno svantaggio delle donne, con il 9% contro il 6,2% degli uomini.
La quota più alta di rinuncia si registra al Centro (8,8%), mentre nel Mezzogiorno è pari al 7,7% e al Nord al 7,1%. Il dato peggiore è in Sardegna con un valore pari al 13,7%, seguita dal Lazio (10,5%) e dalle Marche (9,7%). All’opposto si collocano il Friuli-Venezia Giulia, le PA di Bolzano e Trento, Emilia Romagna, Toscana e Campania con valori inferiori al 6%.
Le rinunce per motivi economici sono rimaste sostanzialmente stabili tra 2019 (4,3%) e 2023 (4,2%) e sono passate in secondo piano negli anni del Covid-19 (circa 2,9%). Invece sono aumentate in maniera significativa le rinunce dovute alle lunghe liste di attesa, passate negli stessi anni dal 2,8% nel 2019, al 3,8% nel 2022 e al 4,5% nel 2023.
Queste dinamiche sono influenzate dall’esperienza del Covid-19, che ha costituito una barriera all’accesso ai servizi sanitari sia nel 2020 (il 4,9% della popolazione ha dichiarato almeno una rinuncia per tale motivo), che nel 2021 (5,9%) e le cui conseguenze sono scemate nel 2022 (1,2%) e si sono esaurite nel 2023 (0,1%).
(da agenzie)
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Dicembre 29th, 2024 Riccardo Fucile
GOFFREY HINTON: “POTREBBE PROVOCARE L’ESTINZIONE DELL’UMANITA'”
Geoffrey Hinton, 75 anni, è stato uno dei pionieri della ricerca sull’apprendimento profondo delle reti neurali, il processo che sta alla base dell’intelligenza artificiale generativa.
In altre parole è l’uomo che ha cercato di costruire sistemi IA simili al cervello umano. Nel 2023, dopo una lunghissima carriera si licenzia da Google, per raccontare tutti i rischi delle macchine che lui stesso ha creato.
L’ultimo allarme Hinton l’ha lanciato durante il programma Today di BBc Radio 4. Secondo il padrino dell’IA “c’è una probabilità del 10-20 per cento che entro i prossimi trent’anni l’Intelligenza Artificiale provochi l’estinzione dell’umanità”.
La tecnologia sta avanzando “più velocemente del previsto”, e non abbiamo mai avuto a che fare con qualcosa di più intelligente di noi. “E quanti esempi conosciamo di qualcosa di più intelligente che viene controllato da qualcosa di meno intelligente?”
La grande paura di Geoffrey Hinton
Geoffrey Hinton, ha vinto insieme a John J. Hopfield il Nobel per la fisica 2024 per le sue scoperte nell’ambito dell’apprendimento automatico (intelligenza artificiale) con reti neurali artificiali, ispirate alla struttura delle reti di neuroni nel nostro cervello. Come aveva già spiegato in un’intervista al New York Times, i chatbot sono “abbastanza spaventosi” e anche se “in questo momento, non sono più intelligenti di noi, penso che presto potrebbero esserlo.”
I software potrebbero anche essere strumentalizzati, deformati per raggiungere obiettivi pericolosi. L’intelligenza artificiale, secondo Hinton, metterebbe a rischio poi la pluralità di pensiero, considerate le sue risposte simili e omologate all’ideologia dominante.
“Sono giunto alla conclusione che il tipo di intelligenza che stiamo sviluppando è molto diverso dall’intelligenza che abbiamo. Noi siamo sistemi biologici e questi sono sistemi digitali. E la grande differenza è che con i sistemi digitali hai molte copie dello stesso set, lo stesso modello del mondo”, il rischio è di uniformare il pensiero attraverso risposte standard.
“È come se avessi 10.000 persone e ogni volta che una persona ha imparato qualcosa, tutti lo sanno automaticamente. Ed è così che questi chatbot possono sapere molto di più di qualsiasi persona.” Come spiega il padrino dell’IA tappare tutte le falle è una corsa contro il tempo: “Guarda com’era cinque anni fa e com’è adesso”.
Come proteggerci da un’IA più intelligente degli umani
“Non abbiamo esperienza di cosa significhi avere cose più intelligenti di noi”, aveva detto Hinton durante una telefonata con la commissione Nobel. “Sarà meraviglioso sotto molti aspetti… Significherà enormi miglioramenti nella produttività. Ma dobbiamo anche preoccuparci di una serie di possibili conseguenze negative, in particolare la minaccia che queste cose sfuggano al controllo”.
Non solo. Secondo Hinton bisogna introdurre nuove leggi per regolamentare l’IA “se la lasciamo in mano alle aziende che la producono e che seguono il profitto non verrà sviluppata in sicurezza. L’unica cosa che può costringere quelle grandi aziende a fare ulteriori ricerche sulla sicurezza è una regolamentazione del governo”.
(da Fanpage)
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Dicembre 29th, 2024 Riccardo Fucile
“PORRO IN PUGLIA? CHI GLIELO FA FARE DI LASCIARE MILANO PER ANDARSENE A BARI? IO PIUTTOSTO MI SPAREREI NEI COGLIONI” … IL FORZISTA GIORGIO MULÈ: “PORRO MI SENTIREI DI ESCLUDERLO: CON QUELLO CHE GUADAGNA, E HA AVUTO ANCHE UN AUMENTO, NON CREDO PROPRIO VOGLIA DI INFILARSI IN UN’IMPRESA DEL GENERE”
Avanza la destra dei giornalisti. Anzi, la destra del Giornale. Il direttore Alessandro
Sallusti candidato a Milano e il vice Nicola Porro alla Regione Puglia sono una suggestione cresciuta sotto Natale.
La prima ipotesi gira con più insistenza ed è deflagrata dopo un’intervista al Foglio di Vittorio Feltri, che di Sallusti è un po’ il doppelgänger nei quotidiani di destra. Feltri non è affatto persuaso dall’ipotetica candidatura: “Come preparazione sul piano amministrativo siamo a zero, sia detto naturalmente senza alcuna ostilità verso Sallusti”.
Vedrebbe meglio Melania Rizzoli, “donna preparatissima sia come medico sia come politico, e ha esperienza come assessore alla Regione Lombardia”. Al Fatto, Vittorio conferma il ragionamento, ma aggiunge gli sviluppi privati della vicenda: “Non l’ho detto per parlar male di Sallusti, invece lui s’è offeso moltissimo, dopo l’intervista mi ha mandato dei messaggi tremendi”.
La spigolatura personale è un indizio: se Sallusti si è risentito per la “stroncatura” del collega, evidentemente l’idea di fare il sindaco di Milano sta cominciando a cullarla davvero.
L’altra ipotesi – Porro alla Regione Puglia – nasce da una seconda intervista al Foglio di Adriana Poli Bortone, ex sindaca di Lecce e madre nobile della destra post-missina meridionale. Per lei Porro “è uomo di azione” e poi “come conduttore è dentro alle questioni sociali”. In fondo “la politica la conosce”, sostiene Poli Bortone, perché fece da portaborse ad Antonio Martino, ex ministro degli Esteri del primo governo Berlusconi nel 1994.
Feltri sul tema risponde con i suoi celebri francesismi: “Fare il sindaco o il presidente di Regione è una gran rottura di palle. E poi, chi lo dovrebbe votare? E chi glielo fa fare di lasciare Milano per andarsene a Bari? Io piuttosto mi sparerei nei coglioni”. Definitivo.
Giorgio Mulè risponde ai boatos con una risata e una battuta (meno salace): “Sallusti a Milano, Porro in Puglia, poi mettiamo anche Paolo Del Debbio alla presidenza della Repubblica e Mario Giordano al ministero dell’Interno”.
Quindi si fa serio: “Sono voci reali, girano davvero, ma per ora è prematuro. Porro mi sentirei di escluderlo: con quello che guadagna, e ha avuto anche un aumento, non credo proprio voglia di infilarsi in un’impresa del genere. L’ipotesi Sallusti mi sembra più credibile, valuterà lui”.
Del Debbio coltiva più di un dubbio: “Fare il sindaco o il presidente di Regione è il lavoro più difficile in politica. Loro sono persone intelligenti, conoscono la macchina, ma non hanno esperienza. Se la sentono davvero? In tal caso, in bocca al lupo”.
(da il Fatto quotidiano)
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Dicembre 29th, 2024 Riccardo Fucile
“IL FOGLIO”: “MENTRE MELONI CELEBRA LA SUA SPECIAL RELATIONSHIP LUI A MUSK GLIELE CANTA E GLIELE SUONA” … “COME LE VERE ICONE DI SUCCESSO È SEMPRE IDENTICO A SÉ STESSO. NON CAMBIA PETTINATURA, NON CAMBIA ABBIGLIAMENTO, MAI VISTO SENZA CRAVATTA O CAMICIA INEVITABILMENTE BIANCA”
Mancano pochi giorni al classico discorso di Capodanno, ma nel marasma dell’anno di disgrazia 2024, con guerre e sconquassi e nuovi leader che sembrano cattivi di James Bond, Sergio Mattarella rimane una certezza.
Qui non si fanno classifiche né si potrebbe limitarsi a nominarlo l’uomo dell’anno, perché Mattarella è almeno l’uomo del settennio (doppio). Anche mentre si rapporta coi cattivi di James Bond. Una delle dialettiche più gustose è quella proprio con Elon Musk. Mentre noi tutti stiamo alla finestra per capire cosa combinerà il tesliano, mentre Meloni celebra la sua special relationship con il tesliano, Mattarella al tesliano gliele canta e gliele suona.
“L’Italia sa badare a sé stessa nel rispetto della sua Costituzione e nessuno dall’estero può impartirle prescrizioni” ha detto Mattarella dopo i tweet di Musk in cui questi suggeriva che i giudici rei di aver bloccato il piano albanese di Meloni “devono andarsene”.
Il rapporto con la Silicon Valley di Mattarella del resto è sempre stato molto dialettico, direbbe un quirinalista. Ci ricordiamo quando andò in visita di stato a San Francisco, visita che svela anche un aspetto non secondario del mattarellismo: noi c’eravamo e ci raccontarono di quando Mattarella dovette incontrare – in mezzo a un bosco di querce – Gavin Newsom, il governatore della California.
Il protocollo californiano aveva chiesto un dress code “informale”, il Quirinale aveva detto “benissimo”, il governatore della California si presentò quindi in smanicato centogrammi, e Mattarella invece in giacca e cravatta e col soprabito blu scuro di Cenci. Perché qui entriamo in un’altra dimensione, non meno importante, del mattarellismo, quella estetica: Mattarella come le vere icone di successo è sempre identico a sé stesso.
Non cambia pettinatura. Né tantomeno si fa crescere la barba, non indossa uniformi militari, non cambia abbigliamento. Mai visto senza cravatta o camicia inevitabilmente bianca. Mattarella poi negli anni si è pure ammorbidito e sorride di più. Sorride quando Riccardo Muti sbrocca allo squillo di un telefono cellulare dirigendo il concerto al Senato.
Sorride nell’instancabile attività di globetrotter, sorride e non protesta sotto la pioggia battente alle Olimpiadi di Parigi, a 83 anni, forza fisica e miracolo biologico (chiunque altro anche con metà dei suoi anni il giorno dopo avrebbe la febbre alta) . Sorriderà probabilmente anche alle accuse di essere un rettiliano.
C’è infine chi vorrebbe Mattarella capo oscuro dell’opposizione, della vera sinistra (un magnifico paradosso, visto che la creatura Mattarella, umana o rettiliana, fu “inventata” da Matteo Renzi, il più inviso alla sinistra-sinistra, il più impuro, insomma rettiliano pure lui, chissà che pupilla).
Ma la teoria più verosimile è quella che vorrebbe Mattarella inviso soprattutto alla premier Giorgia Meloni. Del resto qualcuno si ricorda ancora i video di una Meloni ruspante all’opposizione che chiedeva la messa in stato d’accusa del presidente per alto tradimento, per aver troppo seguito “interessi stranieri” (sic), quando mise il veto su Paolo Savona ministro dell’Economia.
Ovviamente il rapporto tra i due dà molto da pensare e si presta a gustosi retroscena anche se si è molto istituzionalizzato da quando Meloni è al governo. Proprio l’anno che va terminando si era aperto assai poco dolcemente, con un attacco della premier che a febbraio aveva deciso di criticare Mattarella pur senza evocarlo, dopo il pestaggio degli studenti di Pisa da parte delle forze dell’ordine.
Se il presidente della Repubblica aveva chiamato al telefono il capo della Polizia per essere informato di quanto avvenuto, Meloni aveva un po’ scoattato (“Penso che sia molto pericoloso togliere il sostegno delle istituzioni a chi ogni giorno rischia la sua incolumità per garantire la nostra”) facendo prevedere l’apertura di un conflitto istituzionale tra Palazzo Chigi e Quirinale senza precedenti.
C’è chi vorrebbe Mattarella come una specie di fratello maggiore di Schlein, soprattutto chi vorrebbe che non firmasse certe leggi. Insomma Mattarella ogni giorno si sveglia e sa che deve correre più veloce di qualcuno che gli chiede di non firmare qualcosa. Secondo qualcuno ci sarebbe un sistema infallibile per giudicare se Mattarella abbia o no gradito una legge: il tempo che ci mette a promulgarla.
La firma del presidente infatti deve arrivare entro 30 giorni dall’approvazione di una legge o decreto. Più tardi arriva, peggiore è direbbero i giovani la sua “vibe”. Il promulgometro calcolato sul tempo di firma vuole che non gradite sarebbero la maternità surrogata reato universale; il decreto Albania; l’autonomia differenziata. Ma andando indietro anche il decreto anti-rave, primo atto del Governo, tutti firmati last minute.
A tutti questi retroscena Mattarella ha risposto, naturalmente non a brutto muso, ma in mattarellese. Con una pacata esternazione. [Nel caso di Mattarella la risposta [venne durante l’incontro coi vertici della Casagit-
Alla mutua dei giornalisti ex lussuosa Mattarella ha fatto il seguente ripassino di storia: “Qualche volta ho l’impressione che qualcuno pensi ancora allo Statuto albertino in cui, come è noto, veniva affidata la funzione legislativa congiuntamente alle due Camere e al re”, ha detto il presidente. “Vorrei cogliere l’occasione, approfittando e rivolgendomi ai tanti presenti che sono anche nella veste insopprimibile di giornalisti” (insopprimibile anche per la mutua), per far notare che “quando il presidente della Repubblica promulga una legge, non fa propria la legge, non la condivide, fa semplicemente il suo dovere”.
Insomma il Presidente della Repubblica ha voluto chiarire di non essere Elly Schlein, ma neanche Zerocalcare, né Ghali, insomma non un testimonial della sinistra né di un partito in generale. Diciamo Ghali non a caso però. Il momento più grave, per gli antimattarellisti, si ebbe proprio su un palco musicale; lo schiacciamento di Mattarella a sinistra è avvenuto a Sanremo, quando per la prima volta un capo dello stato presenziò al Festival della canzone italiana.
E insomma era derivata l’ospitata di Mattarella al Sanremo più schleiniano, più genderizzato, più ztlizzato, quello insomma del 2023, anzi ventiventitré come si dice in sanremese.
Quello coi monologhi delle femmine dolenti, quello della concione del maschio democratico Roberto Benigni sulla Costituzione nella prima serata, quello del bacio tra Fedez e Rosa Chemical nell’ultima, quello del “sentiti libera” di Chiara Ferragni, di cui ricordiamo anche il celebre selfie proprio con Mattarella, la figlia Laura, “Ama” e Gianni Morandi (dopo la “foto di Vasto”, quella di Sanremo per una nuova piattaforma democratica).
Era l’anno in cui Sanremo era l’Atreju del Pd, e il fatto che Mattarella andasse a presenziare pareva un chiaro segnale. I retroscena sostenevano che la sua presenza fosse un messaggio contro la riforma presidenzialista di Meloni; che fosse un messaggio contro la riforma della autonomia differenziata. Alla fine probabilmente Mattarella aveva solo voglia di andarci (certo adesso per par condicio andrà al festival melonizzato di Carlo Conti, con Tony Effe?).
Mattarella è rockstar tranquilla. Non è un trapper. Anche se a volte mette a segno delle mosse diaboliche, come allo scadere del suo primo e, si pensava, unico mandato. Sapendo egli che quando si vuole fortissimamente una cosa, specialmente in politica, si deve concentrare ogni energia nel celare il desiderio, anzi smentirlo, negarlo, a parole e soprattutto a fatti (risultato di un’educazione gesuitica di prima classe), si trovava a concorrere con un altro formidabile alunno di gesuiti, Mario Draghi (venuto su al liceo Massimo).
Quando Draghi, interrogato sulle proprie mire sul Quirinale, ammise che sì, gli avrebbe fatto piacere, si capì che era perduto. Mentre quell’altro non solo smentiva, non solo faceva postare al suo portavoce foto eloquenti di un trasloco, ma veniva miracolosamente paparazzato in visita a un fantomatico appartamento a Roma, dove avrebbe preso residenza disceso finalmente dal Colle (Colle di cui non discese mai). Ecco, il trasloco e la visita immobiliare tranquillizzarono tutti, e sappiamo come andò a finire (evidenza della superiorità del gesuitismo siculo rispetto al gesuitismo romano). Peraltro ha studiato dai gesuiti anche Donald Trump: vuoi vedere che in un minuto Mattarella scippa a Meloni pure l’Arancione suo amico? Auguri per un 2025 cordiale e collaborativo
(da “il Foglio”)
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Dicembre 29th, 2024 Riccardo Fucile
ASSOLTO IN PRIMO GRADO NON VUOL DIRE ESSERE INNOCENTE E TANTO MENO UN MARTIRE DELLA CAUSA… SI PUO’ SEMPRE TROVARE IN APPELLO UN GIUDICE CHE APPLICHI LA LEGGE E NON EMETTA SENTENZE COMPIACENTI ALLA POLITICA
Da quando è stato assolto nel processo Open Arms, il vicepremier Matteo Salvini ha
più volte lasciato intendere che non gli dispiacerebbe tornare al Viminale. Invece di rassicurare l’attuale titolare del ministero dell’Interno, il leader della Lega si è detto interessato a questa possibilità. Della quale avrebbe parlato direttamente con la premier Giorgia Meloni. Ma dagli alleati non vi è nessuna intenzione di cedere a questa richiesta, o forse solo suggestione. Per non toccare gli equilibri interni alla maggioranza. E scongiurare un rimpasto che rischierebbe di toccare i nervi dei tre alleati di governo. Perché l’incastro tra forze di centrodestra, ministri e sottosegretari, è stato frutto di prolungate trattative tra i partiti. Una partita che né Forza Italia né Fratelli d’Italia hanno intenzione di riaprire. Considerato anche che da gennaio bisogna già pensare al mini-rimpasto forzato per sostituire tre sottosegretari dimissionari: Augusta Montaruli all’Università, Vittorio Sgarbi alla Cultura e Galeazzo Bignami alle Infrastrutture. Per due alleati su tre basta questo appuntamento per puntellare i rapporti di forza, senza ulteriori pressioni o frizioni. Per il terzo però può essere l’occasione per chiedere qualcosa in più per il proprio partito.
Tajani: Nessun rimpasto, Salvini pensi al Ponte sullo Stretto
Fuori dal Senato, sabato 28 dicembre, Salvini ha ribadito la sua intenzione di parlare con Piantedosi e Meloni per capire se ci sono margini per un suo ritorno al Viminale. «Al ministero dell’Interno c’è un ministro, Matteo Piantedosi, che sta lavorando benissimo, Salvini mi pare che abbia un altro lavoro», commenta a microfoni spenti Antonio Tajani al Fatto Quotidiano, «è il ministro delle Infrastrutture e sul suo tavolo ha dossier molto importanti e impegnativi. Salvini si dovrà occupare di iniziare a costruire il Ponte sullo Stretto: già questo mi sembra un compito parecchio impegnativo e sarebbe già molto importante». Il ministro degli Esteri, leader di Forza Italia e vicepremier, è categorico: non ci sarà un rimpasto. «Di solito si fa quando le cose non funzionano e questo governo invece sta facendo benissimo, sta lavorando alla grande: al momento non c’è bisogno di cambiare niente», spiega ancora.
Parole condivise anche da Fratelli d’Italia. «Parlare si può parlare di tutto, ma oggi non si profilano le condizioni, mancano proprio i presupposti per procedere a un rimpasto», ha detto al Corriere della Sera il presidente del gruppo FdI alla Camera Bignami, «Salvini esprime una legittima ambizione. È stato assolto e può giustamente rivendicare di aver agito da ministro dell’Interno nel rispetto delle leggi. Anche noi siamo ben lieti di quella assoluzione, sulla quale avevamo pochi dubbi. Ma la squadra di governo si rivede se ci sono i presupposti. E non ci sono. Invece la stabilità che nessun altro esecutivo in Europa può vantare, va protetta». E aggiunge: «Quelli tra Fitto e Foti e tra Sangiuliano e Giuli sono stati avvicendamenti. Ma se si coinvolgessero ministero dell’Interno e ministero delle Infrastrutture si tratterebbe di un rimpasto di fatto. Si bloccherebbe l’attività di due dicasteri centrali per due mesi».
(da agenzie)
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Dicembre 29th, 2024 Riccardo Fucile
“I SUOI REPORTAGE NON GIUSTIFICANO L’ARRESTO. CIÒ CHE HA PUBBLICATO (IL FATTO CHE PER LE STRADE DI TEHERAN VI SIANO SEMPRE PIÙ DONNE SENZA CHADOR) LO RIPORTANO ANCHE I GIORNALI IRANIANI. È UN DATO DI FATTO, NON VI È NULLA DI SOVVERSIVO”
Saeed Azimi è un giovane e talentuoso giornalista iraniano. Lavora come corrispondente per France24 ed è molto ben inserito a Teheran. Il 14 dicembre ha incontrato Cecilia Sala in un ristorante della capitale iraniana, una cena tra colleghi per scambiarsi idee e contatti: è stato l’unico giornalista a vederla, cinque giorni prima del suo arresto.
«Mi ha detto che voleva lavorare sulle donne e chiedere interviste a esponenti dell’Asse della resistenza. Cecilia conosce bene le regole del lavoro qui in Iran, e non le ha violate», ci racconta da Teheran.
Dove vi siete incontrati?
«In un ristorante a Tehran nord, per cena. Non eravamo soli, c’era anche la traduttrice che le era stata fornita dall’agenzia Ivan Shahar. È rimasta con noi per tutto il tempo, parlava inglese, non italiano. Tutti i giornalisti di media stranieri che non hanno un ufficio di rappresentanza a Teheran devono ottenere il visto giornalistico per lavorare in Iran e appoggiarsi ad agenzie di comunicazione locale che forniscono traduttori e collaborazione per la copertura sul campo. È la procedura standard che Cecilia ha seguito».
Su cosa stava lavorando?
«Sulla condizione delle donne, sul tema del velo, ma voleva anche fare un reportage sull’economia. Aveva fatto richieste di interviste a esponenti dell’Asse della resistenza e le avevo suggerito di contattare una persona che lavora nell’ufficio di Hamas qui a Teheran e che ha già rilasciato interviste ad altri media, ma non credo avesse ancora risposto. Aveva anche chiesto interviste a diplomatici e funzionari di governo, insomma stava facendo un normale lavoro giornalistico».
Le ha manifestato preoccupazioni o paure?
«No, non mi ha detto che fosse preoccupata o che avesse notato qualcosa di insolito, di strano. Niente. Cecilia sapeva quali sono le regole del lavoro qui e si comportava di conseguenza per avere la possibilità di tornare. Non ha violato le regole, che io sappia».
Indossava il velo quando l’ha incontrata?
«Si, e lo aggiustava se le cadeva. Sa bene che il velo è obbligatorio in Iran».
Da quanto vi conoscete?
«Dal 2022, da quando ha cominciato a coprire l’Ucraina. Nel 2023 la intervistai per l’ Iran daily , un quotidiano governativo. Ha insistito molto per venire in Iran e ha seguito le procedure, era convinta che non ci fossero minacce. Credo di essere l’unico giornalista iraniano che ha incontrato a Teheran».
Pensa che ci sia un nesso tra il fermo di Cecilia e l’arresto di un cittadino iraniano Mohammad Abedini Najafabadi a Malpensa?
«So che ci sono contatti in corso tra le autorità italiane e iraniane per risolvere questa questione, spero che Cecilia venga rilasciata il prima possibile».
(da La Repubblica)
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Dicembre 29th, 2024 Riccardo Fucile
IL COMPAGNO DI SALA, IL COLLEGA DANIELE RAINERI, ESPERTO DI MEDIO ORIENTE E PIÙ VOLTE INVIATO IN ZONE DI GUERRA, POSTA UNA FOTO DI CECILIA CON UN CAGNOLINO: “APPENA SARÀ POSSIBILE, SAPRÀ DI TUTTO QUESTO AFFETTO” … IN IRAN LA NOTIZIA VIENE NASCOSTA DALLA PROPAGANDA DI REGIME
Decimo giorno di cella d’isolamento a Teheran. Non sappiamo se Cecilia Sala abbia un
orologio con sé, oppure un libro o un foglio e una penna con cui scrivere. Magari appuntare pensieri e sensazioni di questi giorni assurdi, senza libertà, in uno dei carceri più famosi e famigerati al mondo, quello di Evin.
Solo attesa, preoccupazione e speranza di rivederla al più presto. «Ringrazio tutti per l’attenzione che stanno avendo nei confronti di Cecilia», ha detto all’ Ansa Renato Sala, il padre. I genitori sono a casa, angosciati, ma fiduciosi di riabbracciare la figlia
Per ora non se la sentono di raccontare questi giorni difficili e preferiscono mantenere la linea della riservatezza, anche per evitare di interferire con la diplomazia italiana che da oltre una settimana lavora per trovare una soluzione.
Stessa scelta la fa il compagno della giornalista, il collega Daniele Raineri del Post , anche lui reporter di Esteri. Anche lui amante del mondo e delle sue storie. Ieri, su Instagram, Raineri ha condiviso una foto di Sala che stringe tra le braccia un cucciolo di cane: «Arrivano moltissimi messaggi di solidarietà indirizzati a Cecilia. Appena sarà possibile, saprà di tutto questo affetto».
Intanto, dall’Iran ci dicono che i media statali non parlano molto di questo arresto, lo fanno i giornali iraniani con sede all’estero che ci chiamano e ci chiedono che cosa sta succedendo.
Ci scrive anche Nasrin Sotoudeh, un’avvocata, una delle attiviste iraniane più conosciute che ha passato due anni dentro Evin con l’accusa di aver difeso i e le dissidenti: «Raccontatemi chi è Cecilia Sala. Voglio sapere come sta. Riesce a parlare con qualcuno? Sono molto dispiaciuta per quello che sta vivendo, diteglielo da parte mia».
(da Corriere della Sera)
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