Dicembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
“QUANDO L’HO SAPUTO SONO RIMASTA SENZA PAROLE”
Per accudire il marito molto malato, seguendolo nel suo calvario contro un terribile
male, aveva utilizzato tutte le sue ferie a disposizione. Al decesso dell’uomo la 40enne forlivese sarebbe dovuta tornare subito al lavoro. In soccorso della donna però sono arrivati i colleghi che autonomamente hanno deciso di donarle le loro ferire accumulando oltre 700 ore.
Il grande gesto di solidarietà, raccontato dal Corriere Romagna, ha sorpreso e soprattutto ridato speranza e serenità a Carmen Iacovazzo, lavoratrice in una ditta di Meldola, nel Forlivese, rimasta vedova tre settimane fa con due figli minori. “Mi avete ricordato che cos’è la solidarietà umana” ha scritto la donna in una lettera nella quale ha voluto ringraziare pubblicamente colleghi, capo reparto e l’azienda dove lavora da quasi 20 anni.
“I miei colleghi della Saica di Meldola su proposta del mio capo reparto, mi hanno regalato 700 ore di ferie per recuperare forze fisiche e stare vicina ai miei figli. Vorrei che a ogni mio collega e alla mia azienda arrivasse il mio ringraziamento pubblico e sentito” ha scritto la donna.
Il suo calvario e quello del marito era iniziato nel 2021 con le prime diagnosi e le cure. Tra visite, ricoveri e convalescenze sempre più lunghe, la donna ha dovuto far ricorso a tutti gli strumenti possibili: dalle ferie ai permessi fino al congedo con la 104. Quando il marito Daniele Bosi è morto a soli 47 anni, lei si è ritrovata a dover rimettere insieme il tutto senza possibilità di assentarsi.
A questo punto l’aiuto dei colleghi che, senza nessuna richiesta da parte sua, hanno deciso di darle una mano. Ognuno ha donato qualche giorno di ferie per l’amica fino a raccogliere 700 ore. “Quando l’ho scoperto, sono rimasta senza parole” ha raccontato la donna. A darle un sostegno concreto anche i colleghi del marito che invece hanno avviato una raccolta fondi, che le è stata devoluta per le spese di casa.
“Hanno aderito in tanti e questo ora mi consentirà di stare a casa qualche mese per recuperare le forze fisiche dopo i mesi passati al capezzale di Daniele, ma soprattutto di dedicarmi ai nostri figli, così duramente colpiti. Voglio ringraziarli tutti” ha fatto sapere la donna, concludendo: “Un grazie a mio marito, stargli a fianco in questi anni è stato un bel regalo”.
(da Fanpage)
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Dicembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
L’AMBULANZA NON ARRIVAVA, I DUE CARABINIERI HANNO USATO LA LORO AUTO PRIVATA
Dieci minuti di percorso, secondo il navigatore satellitare. Ma quel tragitto è stato coperto in appena tre minuti, tra accelerate, clacson e sgommate, un carabiniere al volante e l’altro che si sbracciava dal finestrino per chiedere di fare strada: una corsa disperata tra le strade di Ercolano, in provincia di Napoli, per portare in ospedale un bambino di due anni che aveva smesso di respirare e rischiava di morire.
Si trattava, si scoprirà dopo, di una reazione allergica: il piccolo è stato trasportato in ambulanza al Santobono e ora sta bene, probabilmente solo per la prontezza dei due marescialli. E, dopo l’adrenalina, il ringraziamento della famiglia: “Siete degli angeli”.
L’emergenza nel primo pomeriggio di ieri, 11 dicembre. La carabiniera aveva appena completato il turno di lavoro, stava per uscire dalla tenenza di Ercolano, era già nella sua automobile quando ha sentito le grida disperate di un uomo provenire da una pizzeria vicina. Si è precipitata e lo ha trovato disperato, circondato da parenti e altri passanti, tra le braccia aveva il figlio di due anni che non respirava, era ormai viola in viso, gli occhi socchiusi, senza forze. La donna ha provato la manovra di Heimlich, pensando ad una ostruzione delle vie aeree, ma il bimbo non si riprendeva. Ha chiesto di chiamare il 118 e ha continuato con le manovre di rianimazione, ma dopo diversi minuti l’ambulanza ancora non si vedeva.
Così la carabiniera è tornata nella Tenenza, ha chiesto aiuto ad un altro maresciallo che era appena arrivato e anche lui ha tentato la manovra di soccorso, ancora una volta inutilmente. A quel punto, con l’ambulanza ancora lontana, non restava altro da fare. I due sono saliti nell’automobile del carabiniere ed è partita la corsa disperata, con padre e figlio sul sedile posteriore. In tre minuti hanno raggiunto il Maresca di Torre del Greco, dove il bimbo è stato affidato ai sanitari; per i medici si trattava di una reazione allergica, dopo la stabilizzazione il piccolo è stato trasferito al Santobono e, dopo alcune ore, è stato finalmente dichiarato fuori pericolo.
Ciro Buonajuto, sindaco di Ercolano e vicepresidente dell’Anci, ha espresso “la gratitudine della nostra comunità nei confronti dei militari dell’Arma che quotidianamente svolgono un lavoro incessante a tutela dei cittadini di Ercolano” e ha rivolto “al nostro piccolo concittadino e alla sua famiglia gli auguri di una pronta ripresa”.
(da Fanpage)
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Dicembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
DUE GIOVANI MIGRANTI REGOLARI MORTI, DRAMMA AD ALBA: AVEVANO 25 E 28 ANNI
Un dramma si è consumato nelle scorse ore ad Alba, nella provincia di Cuneo. Due
giovani di 25 e di 28 anni, uno senegalese e l’altro guineano, sono stati trovati morti in un edificio abbandonato in località Gamba di bosco, un’area non distante dal carcere e dalla tangenziale lungo il fiume Tanaro. I due giovani, entrambi in Italia con regolare permesso di soggiorno, potrebbero aver respirato il fumo di un braciere rimanendo intossicato.
Secondo una prima ricostruzione dei fatti, i due ragazzi si erano rifugiati nel rudere per ripararsi dal freddo e per riscaldarsi avevano acceso una stufa improvvisata, senza canna fumaria. I due corpi ormai senza vita sono stati trovati martedì mattina da un conoscente che ha poi dato l’allarme.
Sul posto sono intervenuti e stanno indagando i carabinieri della Compagnia di Alba, coordinati dal Comando provinciale. Secondo quanto ricostruisce La Gazzetta di Alba, i due giovani africani – senza fissa dimora e senza un lavoro stabile – erano noti alla Caritas, a cui si rivolgevano per i pasti.
“Abbiamo appreso di questa tragica notizia che ci ha lasciati senza parole, con il cuore amaro”, ha commentato il sindaco Alberto Gatto che ha aggiunto che “per fatti pregressi, questi due giovani non potevano essere accolti nelle strutture di accoglienza che abbiamo a disposizione”. “Non esistono parole giuste per commentare una notizia come questa, sappiamo poco di loro, della loro vita, del motivo per cui siano venuti in Italia e ad Alba, sappiamo poco della loro famiglia e i loro cari, a cui va tutta la nostra solidarietà, ovunque essi siano”, le parole del primo cittadino. Il medico legale ha già confermato che l’avvelenamento da monossido di carbonio è responsabile di entrambe le morti.
(da Fanpage)
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Dicembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
LA PICCOLA, ORIGINARIA DELLA SIERRA LEONE, È STATA RECUPERATA MIRACOLOSAMENTE ANCORA IN VITA DA UNA BARCA DELLA ONG “COMPASS COLLECTIVE” … IL VASCELLO PIENO DI MIGRANTI ERA PARTITO DA SFAX, IN TUNISIA, MA SI È RIBALTATO. LA 11ENNE SI È AGGRAPPATA A UNA CAMERA D’ARIA ED È RIMASTA IN MARE PER ALMENO 12 ORE
Dorme Yasmine. Adesso che è sulla terraferma a Lampedusa, ha un letto e delle coperte addosso, dorme vinta da una stanchezza infinita. Dorme forse anche per scappare da quell’incubo vero, reale che lei, così piccola, ha dovuto affrontare.
A undici anni appena si è trovata da sola in mezzo al mare, tra onde enormi che forse anche quando era su un guscio di ferro le facevano paura.
Quando quel rottame si è ribaltato, mentre il Mediterraneo prendeva quelli che erano con lei, incluso il fratello, magari non ha avuto neanche tempo o forza di avere terrore, ma solo di sopravvivere, «per due o tre giorni» racconta, aggrappata alla vita e a due camere d’aria, e gridare: «Help, help». Aiuto.
Quell’urlo lo hanno sentito i soccorritori del veliero Trotamar III dell’ong Compass Collective. E forse anche loro inizialmente pensavano di essersi sbagliati. Erano a dieci miglia da Lampedusa, stavano navigando verso l’ultima posizione nota di un altra carretta in difficoltà. «È stato quasi un miracolo essere riusciti a sentire le sue urla nonostante avessimo il motore acceso», dice il capitano Matthias Wiedenlübber.
Il Trotamar III è un veliero piccolo, giallo perché sia facile da avvistare per chi si gioca la vita in mare, ma di notte si vedono solo le luci del ponte. Probabilmente Yasmine le ha notate, con le poche forze che le erano rimaste ha chiesto aiuto. L’equipaggio l’ha sentita. Uno dei soccorritori di guardia ha subito spento il motore, l’altro è andato a svegliare il resto dell’equipaggio che stava riposando in attesa del proprio turno sul ponte.
In pochi minuti, il rhib, la lancia di soccorso era in acqua, un faro a illuminare il nero della notte, che come una colla, lì in mezzo al Mediterraneo, si fonde con il cielo, la voce di una bambina a fare da guida.
«Era incredibilmente vicina», spiegano da bordo. In gergo si chiama “close contact”. E di notte è facile che succeda. Una carretta del mare è un puntino in mezzo al nulla anche di giorno, se non c’è luce, per i naufraghi l’unica speranza di farsi vedere sono gli schermi dei cellulari. Yasmine non aveva neanche quello, solo la sua voce, la sua disperata determinazione a vivere.
Con delle cime è stata trainata vicino al rhib, poi via, subito, a bordo del Trotamar III. «Era gelata, spaventata, ma è riuscita a muovere qualche passo», spiega l’equipaggio. A chi l’ha scaldata, strofinandole addosso una coperta e con un piccolo calorifero che a bordo si tiene per queste emergenze, ha raccontato di essere partita da Sfax, quattro o cinque giorni fa.
«Improvvisamente la barca si è ribaltata, siamo caduti tutti in acqua», ha spiegato. C’era suo fratello maggiore con lei, ma lo ha perso fra le onde. «Inizialmente ho visto due persone vicino a me, ma poi sono sparite». Il padre è ancora a Sfax. Con i pochi spicci che aveva, ha cercato di mettere al sicuro i figli dalle continue violenze in Tunisia, nella speranza di raggiungerli a breve. «Sono viva, sono in Italia», gli ha detto Yasmine quando al poliambulatorio di Lampedusa le hanno prestato un telefono.
«Crediamo sia rimasta in acqua dodici ore», spiega il dottore Fabrizio D’Arca. Di più, probabilmente non sarebbe sopravvissuta. Ma in mare è facile confondersi, le ore sono giorni. I dettagli del suo viaggio forse arriveranno con il tempo. In hotspot, ha parlato con la psicologa della Croce rossa, Save the children segue tutto da vicino.
(da agenzie)
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Dicembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
LA DECISIONE FINALE È DELLA CORTE COSTITUZIONALE, CHE IL 14 NOVEMBRE HA BOCCIATO IN PARTE LA RIFORMA CARA ALLA LEGA… UN EVENTUALE VOTO SAREBBE UNA FREGATURA PER IL GOVERNO: LA PROBABILE SCONFITTA AL REFERENDUM SAREBBE UNA BOMBA SULLA STABILITÀ DELLA MAGGIORANZA
Via libera della Cassazione al quesito referendario sulla abrogazione totale della legge
per l’autonomia differenziata. La parola definitiva torna ora alla Corte Costituzionale che si riunirà a gennaio dopo aver parzialemente bocciato la legge C0alderoli lo scorso novembre. La Cassazione era infatti chiamata a pronunciarsi su due quesiti, uno di abrogazione totale e uno di abrogazione parziale dopo queste osservazioni.
La Corte Costituzionale lo scorso 14 novembre aveva evidenziato sette profili di illegittimità (dai Lep alle aliquote sui tributi) e cinque norme salvate a patto di darne una «lettura costituzionalmente orientata».
La Corte ha accolto parzialmente i ricorsi delle quattro Regioni guidate dal centrosinistra (Campania, Puglia, Sardegna e Toscana) che hanno impugnato la legge Calderoli. I giudici hanno ritenuto “non fondata” la questione di costituzionalità dell’intera legge considerando invece “illegittime” alcune specifiche disposizioni. Da qui l’invito al Parlamento a “colmare i vuoti” che ne derivano.
L’autonomia differenziata, insomma, non è incostituzionale in sé, perché non contrasta con principi fondamentali come l’unità della Repubblica. Può essere anzi un’occasione di sviluppo efficiente dei criteri di sussidiarietà; ma per esserlo ha bisogno di correzioni su tutti i suoi meccanismi fondamentali.
(da agenzie)
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Dicembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
L’ENTE DI FORMAZIONE FARLOCCO AVREBBE NASCOSTO ALLO STATO LE RETTE, CHE ANDAVANO DAI 3.500 A 26.000 EURO L’ANNO, PAGATE DA OLTRE 800 ISCRITTI, RESIDENTI IN TUTTA ITALIA… I SOLDI FINIVANO SU CONTI CORRENTE ALL’ESTERO
E’ a una svolta l’inchiesta sull’università fantasma di Palermo italo-bosniaca Jean Monnet. I finanzieri del Comando provinciale hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo d’urgenza, emesso dalla Procura e convalidato dal gip, per oltre 3,5 milioni di euro nei confronti della fondazione Zaklada Europa che gestiva l’attività di formazione del Dipartimento di Studi Europei Jean Monnet. La Zaklada avrebbe nascosto al fisco le rette, che andavano dai 3.500 a 26.000 euro l’anno, pagate da oltre 800 iscritti residenti in tutta Italia per la frequenza di corsi di laurea e scuole di specializzazione (prevalentemente in campo sanitario) non riconosciuti dal Ministero per l’Università.
Le indagini hanno accertato che, pur essendo riconducibile a una fondazione di diritto croato, l’ente, a partire dal 2020, ha operato in Italia organizzando corsi di laurea in italiano con professionisti e docenti palermitani. Personaggio principale della vicenda è Salvatore Giuseppe Messina, fondatore e membro del consiglio di amministrazione della fondazione Zaklada Europa che prometteva lauree in medicina, veterinaria e fisioterapia mai riconosciute. Messina, irreperibile da mesi, avrebbe coinvolto nella truffa anche i figli Dario e Giuliana, indagati insieme a Maria Alexandra Mladoveanu Ghitescu, membro del consiglio di amministrazione della fondazione e legale rappresentante della succursale di Lugano, e Leopoldina Frigula, presidente della fondazione.
Le rette nascoste al fisco sono state percepite, negli anni, su conti correnti esteri gestiti attraverso società di comodo in Inghilterra, Svizzera e Bosnia ed Erzegovina, Paese, quest’ultimo, in cui ha sede l’università privata, priva di accreditamento nazionale, con cui il Dipartimento di Studi Europei sosteneva di avere una partnership.
(da agenzie)
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Dicembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
PERCHE’ SIAMO TUTTI PIU’ POVERI
In Italia, esclusi i regimi di flat tax, i lavoratori pagano le tasse sul reddito in base a un
sistema progressivo, per cui chi guadagna di più paga proporzionalmente di più. Oggi l’Irpef sui primi 28 mila euro è del 23%, che sale al 35% fino a 50 mila, e al 43% sopra i 50 mila. Ma se c’è inflazione il valore del reddito scende, non è possibile comprare le stesse cose di prima perché queste costano di più, però le imposte non ne tengono conto, e quindi in termini reali è come se aumentassero (tecnicamente si chiama «fiscal drag»). Prendiamo come esempio la busta paga tipo di un operaio metalmeccanico. Ci aiutano a fare i conti Marco Leonardi e Leonzio Rizzo, rispettivamente prof di Economia politica alla Statale di Milano e di Scienze delle finanze all’Università di Ferrara.
Busta paga 2023
A gennaio 2023 la retribuzione del metalmeccanico è di 30 mila euro lordi all’anno (su 13 mensilità) a cui vanno sottratti 2.247 euro di contributi (7,5%) e 4.641 euro di Irpef. Il suo reddito netto diventa di 23.112 (1.778 euro netti al mese). A marzo 2023 scatta l’aumento di stipendio di 119 euro al mese e da gennaio 2024 c’è un altro aumento da 88 euro, che in un anno fanno 2.691 euro lordi in più
Busta paga 2024
Da gennaio 2024 la sua retribuzione è di 32.691 euro lordi all’anno. Vanno sottratti: 1.144 euro di contributi (scesi dal 7,5% al 3,5% con la Legge di bilancio 2024 per i redditi sopra i 25 mila euro e fino a 35 mila); e 6.079 euro di imposte (al 23% invece che al 25% dai 15 mila ai 28 mila euro sempre come prescrive la Legge di bilancio 2024). Reddito netto: 25.468 (1.959 euro netti al mese). Il beneficio complessivo, dunque, è di 2.356 euro netti all’anno che tiene conto di tre interventi:
1) il rinnovo del contratto che vale 1.359 euro netti;
2) il taglio dell’aliquota contributiva di 4 punti che vuol dire 737 euro versati in meno (il calcolo tiene conto di 571 euro pagati in più di imposte per l’incremento del reddito imponibile);
3) l’accorpamento delle aliquote che fa risparmiare di versamenti al Fisco 260 euro.
Vantaggi sulla carta contro vantaggi reali
Il beneficio di 2.356 euro netti all’anno però è solo sulla carta. Il motivo è che nel 2022, 2023 e 2024 si è accumulata un’inflazione con un aumento percentuale dei prezzi del 17%, che pesa sul potere d’acquisto della retribuzione del metalmeccanico per 3.700 euro.
Una perdita che non è compensata dai 2.356 euro che vengono portati a casa in più. Il saldo finale negativo è di 1.344 euro. D’altro canto il sistema fiscale tassa il metalmeccanico non sul reale potere d’acquisto dello stipendio, ma sul reddito che non tiene conto dell’inflazione. È come se pagasse, dunque, tasse non dovute. Così il Fisco si mangia 1.169 euro della busta paga (il meccanismo è, come abbiamo visto sopra, tecnicamente chiamato «fiscal drag»).
Busta paga 2025
Cosa succede adesso con la Legge di bilancio 2025? Le trattative per il rinnovo del contratto sono in corso. Iniziamo, però, a fare i conti come se la busta paga del nostro metalmeccanico restasse la stessa: le aliquote Irpef sono confermate, i contributi tornano al 9,5%, compensati da una detrazione di 1.000 euro per i redditi da lavoro dipendente tra 20 e 32 mila euro di imponibile. Per quelli inferiori c’è un bonus che va dal 7,1% al 4,8% e per quelli superiori ai 32 mila euro la detrazione di 1.000 euro decresce all’aumentare del reddito fino ad annullarsi a 40 mila euro. Pertanto quanto va in tasca al nostro metalmeccanico? Il beneficio prima ottenuto di 2.356 euro nel 2025 diventerà di 2.250 euro. Sempre sulla carta, poiché quell’aumento dei prezzi del 17% continua a trascinarsi, anche se l’inflazione nel 2025 fosse zero. Il metalmeccanico che rappresenta tutti noi quindi non sarà mai in pari: la perdita reale del potere d’acquisto dello stipendio sarà di 1.435 euro dovuto anche alla beffa di 1.114 euro pagati al Fisco il quale non considera l’inflazione.
Quindi quando ci raccontano che le riforme e gli aumenti salariali riallineano il potere d’acquisto non è vero. E più lo stipendio è basso più brucia l’illusione di avere in tasca qualcosa in più, quando invece è in meno.
Milena Gabanelli e Simona Ravizza
da il corriere.it
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Dicembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
IL “DECRETO AMBIENTE” DEL GOVERNO MELONI
Con 141 voti favorevoli e 81 contrari, la Camera ha votato la fiducia al decreto Ambiente 2024, convertendolo così definitivamente in legge nella serata di ieri, martedì 10 dicembre. Il provvedimento, che introduce alcune modifiche al Testo Unico sull’Ambiente del 2006, prevede, tra le varie novità, la controversa riduzione delle distanze di protezione dalle coste per le trivellazioni marine, da 12 a 9 miglia.
Sbloccata, inoltre, la corsia preferenziale per le valutazioni ambientali relative a progetti di «preminente interesse strategico nazionale», tra i quali rientrano anche gli impianti di stoccaggio, cattura e trasporto di anidride carbonica. Il dl affronta anche il tema delle rinnovabili, dell’economia circolare e del dissesto idrogeologico, ma, a detta delle opposizioni, nel complesso si tratta di «un’occasione mancata».
Quello di rilanciare le trivellazioni è un tema molto caro al governo Meloni, per il quale questo costituirebbe una possibilità di aumentare l’autonomia energetica del Paese. Eppure, solamente la scorsa settimana il TAR del Lazio ha accolto il ricorso presentato dalle associazioni ambientaliste contro il progetto di trivellazione Teodorico, che prevedeva lo sfruttamento di un giacimento al largo del Delta del Po.
Tra le varie criticità, i giudici hanno rilevato in particolare numerose carenze nelle Valutazioni di Impatto Ambientale (VIA) – proprio quelle che il decreto legge appena approvato punta a velocizzare e semplificare – e il danno ambientale che sarebbe conseguito in caso di via libera alle trivelle.
E proprio in ragione della protezione degli ecosistemi marini e costieri è stato introdotto il limite di distanza minima di 12 miglia nautiche delle trivelle dalla costa, in particolare per arginare le conseguenze di alcuni rischi delle attività estrattive, come lo sversamento in mare di petrolio. Vi è inoltre un certo rischio di subsidenza, come sottolineato anche nel caso della sentenza del TAR relativa al progetto Teodorico.
Sono numerose le novità controverse introdotte dalla legge appena approvata. Oltre alla citata semplificazione delle procedure di VIA, viene data la priorità alla realizzazione di alcune tipologie di progetti, tra i quali quelli di stoccaggio, cattura e trasporto della CO2. Il primo progetto di questo tipo in Italia ha visto la luce a Ravenna e prevede di captare almeno il 90% della CO2 prodotta dall’impianto – stimata in circa 25.000 tonnellate l’anno – e trasportarla fino alla piattaforma offshore Porto Corsini Mare Ovest, per poi depositarla in un giacimento di gas esaurito a 3.000 metri di profondità. Tuttavia, a fronte del costo incredibilmente elevato, l’effettivo impatto di tale strategia risulta ancora in discussione, oltre a non esservi certezze sulla sicurezza e la sostenibilità a lungo termine di tale strategia.
Secondo il ministro per l’Ambiente, Pichetto-Fratin, l’approvazione del decreto costituisce un «risultato importante per il Paese, nella direzione di semplificare e razionalizzare settori decisivi per la nostra economia». Per il ministro, «La corsia veloce per i progetti strategici sulle rinnovabili, ma anche gli interventi puntuali per l’operatività nel campo delle bonifiche, della risorsa idrica e dell’economia circolare, possono contribuire a nuove condizioni ambientali ed energetiche, in linea con i nostri obiettivi europei».
Tuttavia, sono numerose le critiche giunte dalle opposizioni: la vicepresidente della Commissione Ambiente, Patty L’Abate (M5S), ha sottolineato come il provvedimento sia una «esaltazione dei combustibili fossili, con più margine per le ricerche, prospezioni, coltivazioni di idrocarburi nelle zone di mare», mentre Luana Zanella (Europa Verde) sostiene che in questo modo il governo «ostacola la diffusione di fonti energetiche rinnovabili» ed «esalta quelle fossili dando il via libera alle trivellazione delle coste entro addirittura le nove miglia».
(da agenzie)
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Dicembre 12th, 2024 Riccardo Fucile
EMERGENCY: “GLI ITALIANI CHE SI RIVOLGONO A NOI SONO INDIGENTI O SENZA FISSA DIMORA, SENZA TESSERA SANITARIA E RESIDENZA”
In Italia le cure sanitarie non sono accessibili per tutti: ostacoli burocratici, difficoltà
amministrative nell’ottenimento dei requisiti d’accesso, rendono praticamente impossibile per molte persone ricevere assistenza. Ma non si parla solo di stranieri: anche per gli italiani più fragili è complicato riuscire ad avere una visita. È la fotografia che emerge dai dati raccolti nel 2023 da Emergency, che da 17 anni, supporta il Servizio sanitario nazionale, nei suoi ambulatori mobili e fissi in Italia, nell’ambito di Programma Italia: l’obiettivo è garantire al maggior numero di persone possibile il diritto sancito dall’articolo 32 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
In occasione della Giornata universale della copertura sanitaria, il 12 dicembre, Emergency racconta il suo progetto, che ha permesso nel 2023 di erogare in modo gratuito 42.525 prestazioni socio-sanitarie, accogliendo in tutto 9.715 persone. E purtroppo si tratta di numeri in aumento: crescono i bisogni e parallelamente aumenta la richiesta di cure.
Il progetto Programma Italia è operativo in diversi punti del territorio, da Nord a Sud: in Sicilia a Vittoria (Ragusa), in Sardegna a Sassari, in Campania a Castel Volturno (Caserta), nel quartiere Ponticelli a Napoli, in Calabria a Rosarno e Polistena (RC), in Veneto a Marghera e in Lombardia a Milano e Brescia. “Questo è il nostro osservatorio. Mediamente, in Italia la situazione di difficoltà di accesso alle cure è abbastanza omogenea: i servizi magari ci sono, ma la domanda è ‘per quanto reggerà il sistema?’, si domanda Andrea Bellardinelli, direttore di Programma Italia, contattato da Fanpage.it. “Il punto è, quando sei vulnerabile, quando la lingua o l’assenza di mezzi di trasporto pubblici diventano una barriera per l’accesso alle cure, chi ti aiuta? Magari non ti curi e vai al Pronto soccorso solo quando sei in emergenza. Viene meno il concetto di tutela della salute e prevenzione. L’obiettivo dovrebbe essere evitare l’ospedalizzazione”.
I team dei diversi ambulatori sono composti da 5-6 professionisti, medici di base, infermieri, pediatri, psicologi, mediatori culturali, che offrono assistenza gratuitamente, dal lunedì al venerdì, alle persone più vulnerabili prestazioni di medicina di base, assistenza infermieristica, mediazione socio-sanitaria e ascolto psicologico, lì dove la sanità pubblica è più carente. Bellardinelli spiega a Fanpage.it la mission di Emergency: “Da Milano a Pozzallo, cerchiamo di calibrare gli interventi in modo da intercettare il maggior numero di pazienti possibile. Ad esempio per offrire assistenza agli stagionali, alcuni ambulatori rimangono aperti dalle 15 alle 21. L’obiettivo è supportare il Ssn, che era considerato dall’Oms uno dei sistemi sanitari migliori al mondo, perché sulla carta dovrebbe garantire cure gratuite di qualità a ogni individuo presente sul territorio, non solo a ogni cittadino. Ebbene questo sistema è stato logorato da anni di tagli, e dal fatto che le unità sanitarie sono state trasformate in aziende, che tengono conto delle logiche del profitto. Non dimentichiamo quello che è successo con il Covid: situazioni come la pandemia, non guardano allo status amministrativo della persona, colpiscono in maniera democratica tutti. Quindi una debolezza del Ssn è un problema per tutta la collettività. Andrebbero potenziati i dipartimenti di cura territoriali, che sono gli avamposti principali, l’unico modo per alleggerire i Pronto soccorso, che dovrebbero essere luoghi dedicati solo alle emergenze. Anche perché una visita al Pronto soccorso costa alla collettività circa il 35% in più rispetto a una visita ambulatoriale”.
Chi sono i fragili che non riescono ad accedere alle cure del Ssn
Nel 2023 il 42,7% degli utenti erano pazienti extra UE con permesso di soggiorno; il 35,7% pazienti extra UE senza permesso di soggiorno; il 11,9% pazienti italiani; il 5,2% pazienti europei privi dei requisiti per l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale e il 3,2% pazienti europei con i requisiti per l’iscrizione al Ssn.
I primi dieci Paesi di provenienza dei pazienti che si sono rivolti agli ambulatori di Emergency sono Italia (12,1%), Nigeria (10,24%), Marocco (8,77%), Tunisia (7,86%), Bangladesh (6,69%), Romania (6,4%), Perù (4,9%), Senegal (4,62%), Ghana (3,42%) e Ucraina (3,34%). “Gli italiani che si rivolgono a noi sono indigenti o senza fissa dimora, persone che hanno perso la residenza e quindi non hanno la tessera sanitaria, e per cure possono contare solo sul Pronto soccorso. Ma ci sono anche famiglie che vivono appena al di sopra di una certificazione di indigenza”, dice Bellardinelli. “In una famiglia in una situazione di difficoltà, per esempio spesso accade che si spedano prima di tutto i soldi per curare i figli, magari si trovano le risorse per curare la madre, e il padre viene all’ultimo. Noi cerchiamo di orientare gli utenti, informandoli di tutti i servizi sociali del Comune, delle reti associative. Perché esistono fasce di nuovi poveri, che sono costretti a diventare degli equilibristi del quotidiano, per sopravvivere”.
Secondo gli ultimi dati, gli uomini sono il 64% dell’utenza, mentre le donne il 36%. Le persone che si sono rivolte a Programma Italia appartenevano principalmente alla fascia d’età tra i 18-40 anni (48,1%). Subito dopo troviamo la fascia d’età 41-60 anni (28,4%), maggiori di 60 anni (12,4%), la fascia di età 0-5 anni (4,8%), la fascia di età 6-14 anni (4,7%) e la fascia di età 15-17 anni (1,5%).
(da Fanpage)
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