Febbraio 7th, 2025 Riccardo Fucile
ITALIA CON ORBAN ISOLATA IN EUROPA IGNORA L’APPELLO DI 79 PAESI ONU: “AUMENTANO IL RISCHIO DI IMPUNITA'”… MEGLIO STARE DALLA PARTE DEI CRIMINALI, CERTO
Le sanzioni imposte da Donald Trump alla Corte penale internazionale aumentano «il rischio di impunità per i crimini più gravi» e minacciano «di erodere lo stato di diritto internazionale». Ad affermarlo sono 79 Paesi membri delle Nazioni Unite, tra cui però non figura l’Italia.
La dichiarazione congiunta è stata avviata da un gruppo di cinque Paesi (Slovenia, Lussemburgo, Messico, Sierra Leone e Vanuatu) e vede tra i Paesi firmatari circa due terzi Paesi che hanno ratificato lo statuto di Roma sulla Cpi.
Oltre a Gran Bretagna e Canada, ci sono quasi tutti i membri dell’Ue, ossia Francia, Germania, Belgio, Grecia, Irlanda, Paesi Bassi, Svezia, Bulgaria, Danimarca, Finlandia, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Lussemburgo, Estonia, Spagna, Cipro, Lettonia, Croazia, Austria e Malta.
Il governo di Giorgia Meloni, tuttavia, ha deciso di non aderire all’appello contro le sanzioni imposte dagli Stati Uniti, che – si legge nella dichiarazione – «comprometterebbero gravemente tutte le situazioni attualmente sotto inchiesta, poiché la Corte potrebbe dover chiudere i suoi uffici sul campo».
Le sanzioni di Trump contro la Cpi
In giornata, si è levato un coro quasi unanime di condanna contro la decisione di Donald Trump di sanzionare la Corte penale internazionale. Ieri, giovedì 6 febbraio, il presidente americano ha firmato un ordine esecutivo che prevede multe e limiti ai visti per chi lavora per il tribunale dell’Aja, accusato di aver preso di mira Stati Uniti e Israele.
Di fronte a questa eventualità, la posizione dell’Europa è netta. «Sanzionare la Cpi minaccia l’indipendenza della Corte e mina il sistema di giustizia penale internazionale nel suo complesso», scrive sui social António Costa, presidente del Consiglio europeo. «L’ordine esecutivo – aggiunge un portavoce della Commissione Ue – rappresenta una seria sfida al lavoro della Cpi con il rischio di influenzare le indagini e i procedimenti in corso, anche per quanto riguarda l’Ucraina, incidendo su anni di sforzi per garantire la responsabilità in tutto il mondo».
La condanna di Bruxelles e Berlino
Secondo l’esecutivo di Bruxelles, «la Corte penale internazionale è di fondamentale importanza nel sostenere la giustizia penale internazionale e la lotta contro l’impunità». Per questo l’Ue assicura che continuerà a sostenere il tribunale dell’Aja e «monitorerà le implicazioni dell’ordine esecutivo» di Trump, valutando «possibili ulteriori misure». In mattinata, è la stessa Ursula von der Leyen a ribadire il concetto: «L’Europa sarà sempre a favore della giustizia e del rispetto del diritto internazionale», scrive su X la presidente della Commissione Ue, oggi in visita a Danzica. Sulla stessa linea anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz, secondo cui «è sbagliato imporre sanzioni alla Corte penale internazionale», perché queste rischiano di «mettere in pericolo un’istituzione che dovrebbe fare in modo che i dittatori di questo mondo non perseguitino la gente e facciano scoppiare delle guerre».
Netanyahu esulta, Orbán gli va dietro
Tra i pochi che applaudono l’ordine esecutivo di Trump c’è il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, stretto alleato dell’amministrazione Usa, che ha ringraziato su X il presidente americano per la «coraggiosa» decisione.
A seguire il vento che tira da Washington è anche il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, che su X scrive: «È tempo che l’Ungheria riveda cosa stiamo facendo in un’organizzazione internazionale che è sottoposta a sanzioni statunitensi».
(da agenzie)
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Febbraio 7th, 2025 Riccardo Fucile
“L’EUROPA SARA’ SEMPRE A FAVORE DELLA GIUSTIZIA E DEL RISPETTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE”
La risposta non si è fatta attendere. E a poche ore dall’ordine esecutivo firmato da
Donald Trump, arrivano sul social X le dure parole della Corte penale internazionale. La Cpi – si legge nel post – “condanna l’emanazione da parte degli Stati Uniti di un ordine esecutivo volto a imporre sanzioni ai propri funzionari e a danneggiare il loro lavoro giudiziario indipendente e imparziale”. Una presa di posizione a cui si aggiunge quella dell’Unione europea. “La Cpi sia libera di lottare contro l’impunità”, attacca von der Leyen.
Nella notte Trump ha firmato l’ordine esecutivo contro il Tribunale dell’Aia, “colpevole” di aver preso di mira Stati Uniti, Israele e i suoi alleati. L’ordine prevede sanzioni finanziarie e il blocco dei visti per tutti i funzionari della Corte coinvolti nelle indagini su Usa e alleati. Nel testo diffuso dalla Casa Bianca si vieta l’ingresso negli Stati Uniti a dirigenti, dipendenti e agenti della Cpi, nonché ai loro familiari più stretti e a chiunque si ritenga abbia assistito il lavoro investigativo della Corte. Il decreto prevede anche il congelamento di tutti i beni detenuti negli Stati Uniti da queste stesse persone. I nomi delle persone interessate non sono stati resi noti immediatamente
Una presa di posizione a cui la Cpi risponde sottolineando che la Corte “sostiene fermamente il suo personale e si impegna a continuare a fornire giustizia e speranza a milioni di vittime innocenti di atrocità in tutto il mondo, in tutte le situazioni che si presentano”. E in una nota pubblicata sul sito, la Cpi invita “i 125 Stati membri, la società civile e tutte le nazioni del mondo a stare uniti per la giustizia e i diritti umani fondamentali”.
A novembre la Corte dell’Aia ha emesso ordini di arresto internazionali nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu, l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant e alcuni leader di Hamas, accusati di crimini di guerra. Non a caso, il primo a ringraziare il presidente americano per il provvedimento sanzionatorio è stato proprio Netanyahu, che ha parlato di una scelta “coraggiosa” da parte di Trump. E il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar sottolinea che il tribunale internazionale ha intrapreso un’azione “immorale” e illegittima contro Israele.
Dura, invece, la risposta dell’Unione europea. “Sanzionare la Cpi minaccia l’indipendenza della Corte e mina il sistema di giustizia penale internazionale nel suo complesso”. Lo dichiara sui social il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa. “La Cpi garantisce la responsabilità per i crimini internazionali e dà voce alle vittime in tutto il mondo – sottolinea Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea – Deve poter perseguire liberamente la lotta contro l’impunità globale. L’Europa sarà sempre a favore della giustizia e del rispetto del diritto internazionale”, E dall’Onu Ravina Shamdasani, portavoce dell’Alto commissario, chiede a Trump di revocare al più presto la misura sanzionatoria.
Si schiera al fianco di Trump, invece, il premier ungherese Viktor Orbán. “È tempo che l’Ungheria riveda cosa stiamo facendo in un’organizzazione internazionale che è sottoposta a sanzioni statunitensi.i – sottolinea – Stanno soffiando nuovi venti nella politica internazionale. Lo chiamiamo il Trump-tornado”.
(da La Repubblica)
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Febbraio 7th, 2025 Riccardo Fucile
L’ATTIVISTA CURDA RISULTATA ESTRANEA ALLA VICENDA: “POTEVANO TENERMI IN CARCERE ANCHE 10 ANNI E AVRAI DETTO LE STESSE PAROLE DI SEMPRE”
Maysoon Majidi, 28 anni, attrice, regista, iraniana di origini curde e attivista per i diritti umani, è stata assolta dall’accusa di essere una trafficante di esseri umani. Con formula piena, racconta oggi al Corriere della Sera: «Non c’era niente di vero nelle accuse. Quando mi è stato chiesto se avevo qualcosa da dichiarare ho detto ai giudici che non avevo niente da dire perché non avevo parole nuove per loro. Le mie parole sono quelle di sempre, cioè la verità: io non ero una scafista né ho aiutato mai gli scafisti. Potevano tenermi in carcere anche dieci anni, sarei uscita e avrei detto le stesse parole di sempre».
La storia
La storia di Maysoon Majidi comincia dal 2019, quando le arriva un messaggio dall’opposizione iraniana: o lasci il paese o la tua vita è finita. Scappa nel Kurdistan iracheno con il fratello Razhan ma nel 2023 si trova di nuovo in pericolo. E decide di arrivare in Europa.
«Non avevamo scelta. L’alternativa era consegnarci all’Iran o vivere con le minacce e la paura addosso. Vorrei ricordare un dato: in Iran il regime ha impiccato, nel 2024, 687 persone per “reati contro Dio”, come dicono loro», sostiene nel colloquio con Giusi Fasano.
«Siamo arrivati a un contatto per la traversata in barca e il primo agosto 2023 io e Razhan siamo partiti per Istanbul, ma ci siamo accorti che ci avevano truffato. E così abbiamo dovuto pagare due volte, nel telefonino ho tutti i messaggi disperati per chiedere soldi e riuscire a partire dopo aver scoperto della truffa. Ma quei messaggi il pubblico ministero non li ha considerati…», ricorda.
L’arresto
Dopo lo sbarco in Calabria il 31 dicembre 2023 viene arrestata per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. «Un’accusa per me incredibile. I primi tempi ero molto arrabbiata, mi sentivo male, avevo attacchi di panico. Aspettavo, aspettavo, aspettavo ogni giorno per difendermi ma sembrava che nessuno volesse sentire quello che avevo da dire. Sono stata sette mesi nel carcere di Castrovillari e altri tre a Reggio Calabria. Poi finalmente hanno capito…».
Il 22 ottobre viene scarcerata perché cadono i «gravi indizi» contro di lei: «Finalmente hanno capito che stavo dicendo la verità. I testimoni che mi hanno accusato raccontavano bugie. Non si sono mai presentati in udienza perché non li hanno mai cercati, anche se loro pubblicavano video su Facebook ed era facile trovarli».
L’acqua ai migranti
Tra le accuse c’era quella di aver aiutato il capitano distribuendo acqua ai migranti: «Lo giuro: se avessi avuto acqua o cibo da distribuire lo avrei fatto perché su quella barca, che era meno di 10 metri, eravamo in 77 e fra noi c’erano 25 bambini. Lei riesce a immaginare in che condizioni viaggiavamo? Siamo partiti dalla Turchia con solo il nostro zaino, altro che acqua da distribuire… Per cinque giorni su quella barca io, come tanti altri, ho vomitato e non ho mangiato niente».
E dice che la cosa più dura del processo è stata «l’umiliazione. In aula sentivo parole che erano come coltelli infilati nel cuore. Menzogne terribili. La dottoressa Multari, della pubblica accusa, a un certo punto ha detto ai giudici: questa ragazza è una criminale. Ma io e mio fratello siamo rifugiati politici. Cercavamo solo un Paese sicuro. Con noi e come noi su quella barca c’era gente che fuggiva dalla guerra, dalla pena di morte, dalla tortura».
(da agenzie)
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Febbraio 7th, 2025 Riccardo Fucile
ALTRA DOCCIA FREDDA PER GLI AGRICOLTORI ALLUVIONATI DELL’APPENNINO ROMAGNOLO
Dopo i ristori da pochi spiccioli (per esempio, 14 euro a fronte di danni per trentamila)
un’altra doccia fredda per gli agricoltori alluvionati dell’Appenino romagnolo.
Tanti stanno ricevendo da Agricat – il fondo mutualistico catastrofale del ministero dell’Agricoltura – una pec che comunica il rigetto della domanda di indennizzo. A dispetto delle promesse del ministro Francesco Lollobrigida che l’estate scorsa dopo lo scandalo dei rimborsi beffa – e dopo aver ammesso gli errori fatti da Agricat – aveva fatto marcia indietro, dichiarando che sarebbero stati cambiati i criteri di valutazione dei danni. “Ma più che rivedere i criteri hanno semplicemente ampliato il perimetro ammissibile a valutazione, prendendo in considerazione non solo la parte di terreno alluvionata ma tutta la particella”, dice Gianni Fagnoli, imprenditore agricolo di Rocca San Casciano, in provincia di Forlì.
Che è successo? Agricat, per rilevare gli allagamenti, ha utilizzato i dati provenienti dal sistema satellitare Copernicus. Peccato che i ristagni d’acqua difficilmente possono formarsi sulla montagna, perché l’acqua corre lungo le pendenze. L’Appennino invece è stato devastato dalle frane (migliaia) e dal collasso delle strade, in molti casi con il blocco della produzione agricola per mesi. “Proprio a causa degli smottamenti siamo rimasti completamente isolati per 70 giorni – dice Alberto Marchi, agricoltore di Civitella di Romagna, sempre nel forlivese, che ha ricevuto la comunicazione di rigetto dell’indennizzo. – L’azienda ha perso tutta la produzione frutticola dell’anno, per più di due mesi non abbiamo potuto lavorare. E ancora oggi la strada comunale che porta ai miei terreni è chiusa: non usufruiamo né del servizio di posta né di quello della raccolta dei rifiuti”.
E dire che proprio pochi giorni fa Agricat aveva annunciato trionfalmente l’accoglimento di quasi 20 mila domande per un totale di 106 milioni di risarcimenti. Ristori che però riguardano anche le gelate tardive che si sono verificate in altre regioni e non solo l’alluvione che ha colpito la Romagna nel maggio del 2023 e per la quale Agricat ha ricalcolato 67 milioni (prima erano 43) aumentando di 9 mila unità gli ettari presi in esame. Solo che l’Appennino è stato tagliato fuori. Eppure molti esponenti della maggioranza, dalla Lega a FdI, avevano esultato. “Non sappiamo quale motivo di soddisfazione si possa trovare in tutta la faccenda Agricat, più che esultare a mezzo stampa sarebbe stato opportuno porgere delle scuse”, osserva Fagnoli. Coldiretti dice ora che il fondo mutualistico ha fatto la sua istruttoria “in base ai parametri che lo governano”. Agli associati infuriati ha scritto che “per le zone collinari e montane dove il danno è avvenuto per frane e smottamenti e non per alluvione vera e propria (loro per alluvione intendono proprio un allagamento persistente di più giorni sul campo) le domande di risarcimento sono passate in mano alla Regione. Tuttavia i tempi di erogazione e le modalità di determinazione del contributo non sono ancora stati comunicati”. E in ogni caso gli agricoltori potranno sempre fare ricorso entro dieci giorni. Punto e a capo.
(da agenzie)
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Febbraio 7th, 2025 Riccardo Fucile
TANTI SALUTI ALLE PREVISIONI SBANDIERATE DA GIORGETTI, BASATE SUI DATI “ADDOMESTICATI” FORNITI DALLA SUA FEDELISSIMA, LA RAGIONIERA DI STATO, DARIA PETRROTTA. E DOPO IL 2026 SARANNO CAZZI PERCHE’ SVANIRA’ IL “BOOSTER” DEL PNRR
La lettura dello scenario congiunturale per l’Italia, secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), è modesta rispetto alle stime del governo.
Nel 2024 la crescita si è attestata allo 0,7%, tre decimali sotto le previsioni contenute nel Piano strutturale di bilancio presentato dall’esecutivo in autunno. Non ci sarà un miglioramento nemmeno per il 2025, quando il Pil salirà dello 0,8%, e per il 2026, quando crescerà dello 0,9 per cento. Vale a dire, quattro e tre decimi in meno sulle previsioni del Psb. Il quadro si potrà complicare, tuttavia, nel caso di una intensificazione delle tensioni geopolitiche globali.
Fra i dazi doganali annunciati dagli Usa e l’emergenza climatica, l’Upb rimarca quanto siano elevate le incognite che dovrà affrontare Roma.
Ma l’Upb ha pochi dubbi per sancire la debolezza dell’espansione economica italiana. «Mentre le revisioni per lo scorso anno riflettono il trascinamento statistico dei nuovi dati dell’Istat sul 2023, le revisioni sul 2025-26 sono prevalentemente ascrivibili al deterioramento delle proiezioni sugli scambi internazionali e all’aumento del prezzo del gas», spiegano gli economisti guidati da Lilia Cavallari
«Il 2025 inizia con alcune novità a livello globale, in particolare sul cambiamento climatico e sugli equilibri geoeconomici, mentre si prospettano effetti avversi dalle nuove politiche protezionistiche dell’Amministrazione degli Stati Uniti d’America, che potrebbero essere considerevoli», fa notare l’Upb
Le novità e le variabili quasi imprevedibili della presidenza Trump non possono che avere «un forte peso specifico su un’economia molto aperta agli scambi come quella italiana», dice l’Ubp, che sottolinea come l’incertezza pesi anche sui mercati valutari e delle materie prime.
(da “la Stampa”)
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Febbraio 7th, 2025 Riccardo Fucile
GLI UFFICI DEL SUO MINISTERO AVEVANO PREPARATO LA NUOVA RICHIESTA DI ARRESTO PER IL CRIMINALE LIBICO MA NORDIO SI RIFIUTO’ DI FIRMARE
C’è stato un atto sicuramente voluto nell’inchiesta della procura di Roma sulla
scarcerazione del presunto assassino e torturatore libico, il generale Osama Almasri: contestare al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, una possibile omissione di atti di ufficio. Lo ha fatto, come lo stesso Nordio ha raccontato giovedì in Parlamento, il procuratore Francesco Lo Voi inviando gli atti al tribunale dei ministri: Nordio è infatti indagato anche per quella fattispecie di reato, l’unica che non era stata indicata dall’avvocato Luigi Li Gotti nel suo esposto contro la premier, i ministri Nordio Piantedosi e il sottosegretario Mantovano.
Significa che la Procura, leggendo gli articoli di giornale allegati all’esposto, si è fatta l’idea che il ministro possa aver “omesso” di compiere atti che erano invece necessari.
Quali? Contattare la Corte di appello di Roma per evitare la scarcerazione del libico. Come tra l’altro gli stessi uffici del ministero, il 20 gennaio, 24 ore prima cioè della liberazione di Almasri, gli avevano suggerito inviando una bozza della richiesta di un nuovo mandato di cattura che, appunto, bozza è rimasta.
Non si tratta, come sanno anche nel governo dove infatti sono molto preoccupati dalla questione, di un dettaglio giuridico. Ma di una questione di sostanza.
La quasi totalità degli internazionalisti – nei giorni scorsi il Sidi, la Società di diritto internazionale e dell’unione europea, l’associazione scientifica che riunisce i professori e gli studiosi italiani ha pubblicato un documento durissimo – concorda che l’aver rimpatriato Almasri «costituisca una violazione grave e ingiustificata degli obblighi di cooperazione derivanti dallo Statuto di Roma».
E che esistesse «l’obbligo di dare esecuzione a un mandato di arresto». Ecco, se di “obbligo” si trattava, Nordio avrebbe omesso un “atto di ufficio”.
Una situazione scomoda che al ministero sanno di dover affrontare: la corrispondenza interna, che certamente non può sparire, documenta come gli uffici di via Arenula siano stati informati in tempo reale delle comunicazioni dall’Aia. Il 18 la Corte penale comunica informalmente che sta per emettere un mandato di cattura per Almasri che verrà inviato all’Italia e ad altri sei pesi. Il mandato viene emesso qualche ora dopo e inviato al magistrato di collegamento che lavora all’ambasciata olandese.
Al mandato è allegata una nota in cui la Cpi ricordava che «nel caso in cui individuassero problemi che potrebbero impedire l’esecuzione della richiesta di cooperazione, dovrebbero consultare la Corte senza indugio al fine di risolvere la questione».
Il mandato, in inglese, ma sembra ci sia anche una copia in italiano, viene trasmessa la domenica 19 pomeriggio al ministero. Dove era già stata trasmesso la comunicazione della Polizia dell’avvenuto arresto a Torino. E dove, la mattina dopo, il 20, arriva anche la richiesta della Corte di appello di Roma con la quale si indicava l’errore procedurale – l’arresto senza il passaggio dal ministero della Giustizia – e sostanzialmente si chiedeva che venisse sanato. Come? Per esempio con un nuovo ordine di arresto. Che gli uffici di via Arenula preparano anche ma resta una bozza. Il ministro decide infatti di non procedere. Non contatta il tribunale. Né scrive alla Cpi per sollevare quei “problemi che potrebbero impedire l’esecuzione”. Resta in silenzio per 36 ore per poi riapparire nel pomeriggio del 21 dicendo che «si stanno valutando gli atti» quando Almasri era già in volo. Prima si prova a scaricare sui giudici, puntando sul cavillo. Poi ieri, in aula, la rivendicazione della scelta: non aver trasmesso volutamente l’atto perché ritenuto nullo potrebbe però essere la prova dell’omissione dell’ «atto di ufficio» in un processo, c’è da dire, che mai si terrà perché il Parlamento mai concederà l’autorizzazione.
Resteranno invece i problemi, enormi, con la Cpi. La notizia del fascicolo aperto ieri da l’Aia ha fatto rafforzare la posizione, alla Giustizia come nel resto del governo, di chi in questi giorni ha deciso di puntare tutto sulla strada dello “scontro formale”.
(da agenzie)
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Febbraio 7th, 2025 Riccardo Fucile
MANDARE IN PARLAMENTO LE CONTROFIGURE NON SOLO NON HA FUNZIONATO MA HA SORTITO L’EFFETTO OPPOSTO
Spedire in Parlamento come controfigure i suoi ministri non ha funzionato. Giorgia Meloni sarà costretta, volente o nolente, a dare spiegazioni sul volo di Stato offerto al torturatore libico Almasri. La strategia, già usata, di lasciare assopire la polemica usando membri del governo come scudo ha ottenuto l’effetto opposto: il ministro dell’Interno e il ministro della Giustizia hanno offerto altri fianchi all’opposizione.
La denuncia contro l’Italia presentata alla Corte penale internazionale aggiunge sale alla ferita. Palazzo Chigi puntualizza che non ci sono inchieste (per ora) e la Cpi lo conferma. Nordio ironizza e Tajani attacca. Anche questo non basterà: l’Italia, nella percezione internazionale, è il Paese che ha negato la giustizia per centinaia di persone – anche bambini – che sono state vittime delle brutalità del capo della polizia giudiziaria libica. Alla faccia dell’autorevolezza internazionale.
Nello stesso giorno Palazzo Chigi è costretto ad ammettere che esistevano contratti con Paragon Solutions. I suoi spyware hanno ascoltato giornalisti e attivisti che – sarà una coincidenza – non sono amati dal governo. Tra gli spiati c’è anche l’attivista Husam El Gomati che – sarà una coincidenza – denuncia le attività illecite in Libia.
È vero, questo governo è ancora forte nei sondaggi ma dimostra ogni giorno di più di aver perso lucidità. A ogni azione corrisponde una reazione. E la propaganda capitola davanti alla verità.
(da lanotiziagiornale.it)
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Febbraio 7th, 2025 Riccardo Fucile
GIORNALISTI CHE PARLANO DEI GIOVANI FASCISTI IN FRATELLI D’ITALIA, ATTIVISTI PRO-MIGRANTI, OPPOSITORI LIBICI CHE ACCUSANO I SERVIZI: CHI AVEVA INTERESSE A TENERLI SOTTO CONTROLLO?
La decisione di porre fine al contratto con l’Italia ha fatto seguito alle rivelazioni che un
giornalista investigativo italiano e due attivisti critici nei confronti dei rapporti dell’Italia con la Libia erano tra le persone che erano state presumibilmente prese di mira con lo spyware. Il lavoro di tutti e tre gli individui è stato critico nei confronti del governo di destra del primo ministro italiano Giorgia Meloni.
Rispondendo alle accuse di coinvolgimento nella tarda serata di mercoledì, l’ufficio della Meloni ha negato che dietro le presunte violazioni ci siano servizi segreti nazionali o il governo.
Seguire i profili di chi, inconsapevole, ha scoperto di avere lo smartphone inquinato dallo spyware Graphite, aiuta a disegnare una prima mappa per orientarsi in una storia ancora piena di ombre.
Una storia che ne intreccia un’altra, in cima alle cronache politiche di questi giorni: la vicenda della scarcerazione di Almasri, torturatore libico inseguito da un mandato di cattura della Corte penale dell’Aja che l’Italia ha volutamente deciso di non eseguire.
Una scelta politica che solo nelle ultime ore trova la sua motivazione in due parole, inconfessabili fino a qualche giorno fa per la premier Giorgia Meloni e i suoi ministri: sicurezza nazionale.
La Libia è il grande buco nero delle certezze democratiche italiane, il terreno dove gli apparati di intelligence operano su diversi livelli di intesse. Da quello che sta emergendo, i target dello spyware prodotto dall’israeliana Paragon vanno cercati tra le Ong, nella galassia degli attivisti che si battono per i diritti umani calpestati dai miliziani libici e che, per gli innumerevoli salvataggi in mare, sono entrati più volte nel mirino del governo italiano.
Secondo la nota pubblicata mercoledì da Palazzo Chigi, le utenze italiane colpite dall’attacco hacker sarebbero sette. Finora, assieme a Francesco Cancellato, direttore del sito Fanpage – autore di una documentatissima inchiesta sui fenomeni di razzismo e antisemitismo tra i giovani di Fratelli d’Italia – era emerso il nome di Luca Casarini, di Mediterranea Saving Humans.
La Stampa è venuta a conoscenza del fatto che altri due attivisti della stessa organizzazione hanno subito l’infiltrazione nel proprio smartphone: uno è un rifugiato sudanese, l’altro è Beppe Caccia, l’armatore della nave umanitaria.
È un indizio incontrovertibile di dove sarebbero state indirizzate le attività di spionaggio. A cui se ne aggiunge un altro che abbiamo ricostruito. Il software israeliano di sorveglianza, come è noto, ha puntato anche su Husam el Gomati, oppositore libico che vive in Svezia e che su Telegram denuncia i rapporti indicibili e di ferro tra il governo italiano e i trafficanti di esseri umani.
Da anni El Gomati sostiene la tesi della complicità degli 007 italiani in Libia, arrivando a ipotizzare un loro coinvolgimento addirittura nell’omicidio di Bija, forse il più noto trafficante libico, ucciso nella sua auto a Tripoli lo scorso settembre.
Appena una settimana fa, il 31 gennaio, El Gomati denuncia come «falso» un articolo pubblicato su Il Giornale. Siamo nel pieno del caso Almasri. Il quotidiano vicino al governo Meloni, edito da Antonio Angelucci, eletto con la Lega, assume la difesa dell’esecutivo e prova a far emergere dalla polveriera libica le ragioni che avrebbero portato alla liberazione del comandante accusato di sistematici stupri e vari omicidi.
Partendo dai documenti pubblicati da El Gomati, l’articolo racconta di un «piano per indebolire il governo italiano» orchestrato «ad arte dai servizi segreti di Tripoli che rispondevano a fazioni non favorevoli all’Italia».
I quotidiani The Guardian e Haaretz hanno svelato (non smentiti) che l’azienda Paragon ha interrotto il contratto con il governo italiano perché sarebbe stato violato il codice etico per l’utilizzo dello spyware. Palazzo Chigi continua a sostenere di non c’entrare nulla con questa storia
Se né la premier Meloni né il delegato ai servizi di sicurezza, il sottosegretario Alfredo Mantovano, erano informati, chi ha ordinato di entrare nelle comunicazioni WhatsApp di figure che sono considerate in qualche modo una controparte avversaria del governo: un giornalista che ha scoperchiato le nefandezze neofascisteggianti di Gioventù Nazionale, almeno tre attivisti di una Ong entrata in collisione con le norme sui migranti della destra, e un oppositore libico che accusa i servizi segreti italiani?
Paragon ha solo confermato che i suoi clienti italiani erano «un’agenzia di polizia e un’organizzazione di intelligence» e Haaretz ha precisato come la società israeliana lavori esclusivamente con entità statali.
La risposta che fonti di primo piano del governo hanno fornito in queste ore aprirebbe due piste: o qualche agente troppo solerte che si è mosso di propria iniziativa per accreditarsi, nella convinzione di fare un favore a Meloni; o più semplicemente è in corso un’indagine della magistratura, che ha tutto il potere di ordinare intercettazioni di questo tipo, magari per provare l’associazione a delinquere nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Tutte le opposizioni hanno comunque chiesto al governo di chiarire e di riferire in Parlamento.
(da agenzie)
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Febbraio 7th, 2025 Riccardo Fucile
QUAL È “L’ABUSO” CHE HA SPINTO PARAGON A DISDETTARE L’ACCORDO?
Se c’è uno spiato, c’è anche uno spione. Ma chi? Nella oscura vicenda del software di spionaggio Graphite, della società israeliana Paragon, utilizzato in Italia per tenere sotto controllo almeno sette persone (Francesco Cancellato, direttore di Fanpage, e l’ex no global, Luca Casarini, sono solo i pesci piccoli), il Governo Meloni ha provato a dissimulare, facendo il solito pasticcio, e finendo smentito praticamente in diretta
In una nota, diffusa ieri sera, Palazzo Chigi ha infatti precisato: “La Presidenza del Consiglio esclude che siano stati sottoposti a controllo da parte dell’intelligence, e quindi del Governo, i soggetti tutelati dalla legge 3 agosto 2007, n. 124, compresi i giornalisti”.
Bene, bravi, bis! Ma allora chi ha firmato un contratto con il software Paragon? E a quale scopo, trattandosi di un programma di hackeraggio che serve a penetrare i cellulari altrui?
A rimettere i puntini sulle i è stato il “Guardian”, il quotidiano inglese che, insieme all’israeliano “Haaretz”, ha tirato fuori la notizia. In un articolo firmato da Stephanie Kirchgaessner e Angela Giuffrida si legge: “Come altri fornitori di spyware, Paragon vende la sua arma informatica a clienti governativi che dovrebbero utilizzarla per prevenire il crimine. Non è ancora chiaro chi siano gli specifici clienti governativi dietro i presunti attacchi”.§
Insomma, Paragon non può essere venduto a società private, ma solo a “clienti governativi”. E si torna al punto: quale corpo dello Stato aveva interesse a spiare alcuni giornalisti sgraditi al Governo? E quale è “il potenziale abuso” da parte dell’Italia che ha spinto Paragon a disdettare il contratto?
Come scrive oggi sul “Fatto quotidiano” Ferruccio Sansa, citando due fonti qualificate, “lo spyware prodotto da Paragon, sono solo due: un’agenzia di polizia e un’organizzazione di intelligence”.
“Un prodotto come questo può essere venduto soltanto a uno Stato oppure a soggetti governativi”, spiega un noto broker italiano di prodotti informatici legati alle comunicazioni e alle intercettazioni (anche lui, per ovvie ragioni, chiede l’anonimato).
Possibile che ci siano falle nella rete? “No. Questi spyware si commerciano come un’arma, un missile. La transazione passa attraverso apposite commissioni”. È ipotizzabile che Paragon abbia deciso di vendere a ‘privati’, violando le regole? “No perché le norme e i controlli sono stringenti. Il produttore rischia sanzioni pesantissime che possono portare alla chiusura.”. [
Dunque, chi ha spiato? Scrivono Alessia Candito e Fabio Tonacci, oggi su “Repubblica”: Fonti qualificate canadesi e israeliane sospettano che le attività di intrusione, per quanto riguarda il nostro Paese, siano state condotte da una forza di polizia. Il Dipartimento di pubblica sicurezza, il comando generale dei Carabinieri e quello della Finanza affermano che Graphite non è in dotazione ai loro reparti. A Repubblica , però, risulta che la Polizia di recente abbia legittimamente utilizzato un captatore informatico israeliano per alcune indagini.
Delle due, dunque, l’una: o Graphite è stato utilizzato per inchieste formali, quindi con l’autorizzazione delle procure ma secondo Paragon violando i termini contrattuali perché è servito a intercettare attivisti e giornalisti, oppure l’operazione di spionaggio è avvenuta fuori dalle regole previste dall’ordinamento per questo tipo di software così intrusivi”.
Peraltro, si tratta di un software molto sofisticato, che fa sembrare i cari vecchi trojan obsoleti come una tv a tubo catodico: a differenza dei trojan, infatti, il programma israeliano non ha bisogno di un’azione attiva da parte della vittima.
Non serve cliccare in un link malevolo per essere hackerati. Basta essere aggiunti a una chat di gruppo su Whatsapp o ricevere un PDF “manipolato” e tac: si è subito infettati.
Il mercato dello spionaggio è in forte ascesa: un’altra azienda del settore poco conosciuta ma sempre più potente è la Palantir di Peter Thiel.
La società del “Cavaliere nero” della tecno-destra (è l’ideologo dell’autoritarismo tech che Musk, suo ex socio in Paypal, sta provando a mettere in atto) avrebbe da poco superato i 200 miliardi di dollari di capitalizzazione. Eppure nessuno sa cosa faccia.
La risposta è semplice: cybersicurezza. Palantir avrebbe in mano un “servizio” ancora più raffinato di quello di Paragon, che mette a frutto la potenza di fuoco dell’intelligenza artificiale, e sarebbe a disposizione dei Governi di mezzo mondo. Un programmino che, oltre a intercettare, utilizza l’AI per mettere insieme tutte le conversazioni, i messaggi, i dati scambiati in una giornata, e a “comporre” una sintesi efficace, funzionale e pronta all’uso. Con tanti saluti allo “human factor” degli 007
(da agenzie)
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