Febbraio 13th, 2025 Riccardo Fucile
E’ DA 23 MESI CONSECUTIVI CHE LA PRODUZIONE INDUSTRIALE IN ITALIA E’ IN CADUTA LIBERA, MA TUTTI ZITTI…
E siamo a ventitré. Il numero dei mesi consecutivi con la produzione industriale in
caduta libera. L’ultimo, dicembre scorso, fotografato dall’Istat, ha fatto segnare un calo del 3,1% rispetto a novembre e addirittura del 7,1% su base annua (2024 sul 2023), il peggior dato mai registrato dall’era Covid.
Un altro triste record nella penisola che non c’è decantata dalla propaganda del governo Meloni. Che va a sommarsi ad altri (poco) invidiabili primati. Dieci posizioni perse nella classifica mondiale della corruzione percepita di Transparency International (due giorni fa), cinque in quella della libertà di stampa di Reporters sans frontières.
Mentre la crescita arranca, il tasso di occupazione frena, quello di disoccupazione sale, i salari (erosi dall’inflazione) sono sempre più miseri, le bollette energetiche sempre più salate e la Cassa integrazione è esplosa (+20% nel 2024 rispetto al 2023). Un disastro sotto gli occhi di tutti ma rimosso scientificamente dalla narrazione del Paese di Bengodi propalata dal governo e rilanciata dalla grancassa dei media vicini all’esecutivo. Preso da altre priorità. Dalla toppa peggio del buco sul caso Almasri, con l’internazionalizzazione dello scontro con le toghe rosse infiltrate perfino tra i giudici della Corte penale internazionale, alla separazione delle carriere dei magistrati, cara a Berlusconi e Licio Gelli. Del resto è vietato parlare. Alle brutte c’è sempre una scappatoia. Darsi alla fuga.
(da La Notizia)
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Febbraio 13th, 2025 Riccardo Fucile
L’EPISODIO CONFERMATO DALLE INTERCETTAZIONI… DUE MESI PRIMA CHE LA NOTIZIA DIVENTASSE PUBBLICA
Ignazio La Russa ha chiamato Enrico Pazzali dopo l’accusa di stupro al figlio Leonardo Apache La Russa. La telefonata è arrivata nella seconda metà di maggio 2023. Quando ha ricevuto la chiamata il presidente della Fondazione Fiera di Milano oggi indagato nel caso Equalize si trovava in una riunione con Carmine Gallo e Samuele Calamucci, anche loro nell’inchiesta sulla società di investigazione accusata di aver effettuato accessi abusivi a database protetti. E la scena, raccontata oggi dal Fatto Quotidiano, emerge da uno degli interrogatori di Calamucci agli atti dell’indagine condotta dal pubblico ministero di Milano Francesco De Tommasi.
La telefonata
«Certo che lo escludo, peraltro ho saputo dell’accusa solo quando ne hanno i parlato i giornali», dice La Russa al Fatto smentendo Calamucci. L’hacker però è ritenuto credibile dagli investigatori. Perché finora le indagini hanno riscontrato le sue affermazioni. La telefonata tra La Russa e Pazzali, secondo l’indagato, verteva sul presunto stupro di una ragazza da parte del figlio del presidente del Senato. In quel momento però la notizia non era pubblica. Lo sarebbe diventato due mesi dopo. Anzi, all’epoca la violenza sessuale (secondo l’accusa) era stata già consumata, visto che si sarebbe svolta tra il 18 e il 19 maggio 2023 in casa di La Russa. L’indagine per quello stupro non è mai stata chiusa. Insieme a La Russa jr è indagato il dj Tommaso Gilardoni.
Di nome Ignazio
Il Fatto dice che Pazzali parla davanti ai presenti con una persona che di nome fa Ignazio. Poi attacca e con il volto sbiancato dà la notizia dell’indagine su La Russa jr. Dice anche che sono cose che possono capitare a tutti. Poco dopo arriva un’altra telefonata: un carabiniere domanda a Pazzali informazioni sulla logistica della casa milanese di La Russa. È il pomeriggio del 19 maggio, nel frattempo l’accusatrice è appena uscita dalla clinica Mangiagalli. A quel punto il gruppo dalla Fondazione Fiera si reca in via Pattari e qui Pazzali chiede di fare gli accertamenti, attraverso il sistema Beyond, sulla famiglia La Russa.
Gli accertamenti
Il dato è riscontrato dalle intercettazioni. Pazzali arrivato negli uffici di via Pattari chiede: “Ignazio La Russa del ’53, no ha settantacinque anni lui ha… vai giù (…) questo (…) e metti anche un altro come si chiama l’altro figlio?”. L’identità dell’ufficiale dei carabinieri resta ignota. Dalle indagini è emerso l’ottimo rapporto di Pazzali con ufficiali della Gdf, come Cosimo Di Gesù, e vertici dell’Aisi come il numero 2 Carlo De Donno. Ma non significa che si tratti di qualcuno di loro
La difesa di La Russa
All’epoca La Russa ha difeso il figlio e che ha visto la ragazza: «L’ho incrociata al mattino, era tranquilla». Pazzali chiederà una serie di accertamenti anche su altri figli di La Russa. « Sono più che allarmato, disgustato dal fatto che ancora una volta i miei figli, Geronimo e Leonardo, debbano pagare la ‘colpa’ di chiamarsi La Russa se risulterà confermato che anche loro sono stati spiati. Conosco da anni Enrico Pazzali che ho sempre ritenuto una persona perbene e vorrei poter considerare, fino a prova contraria, un amico di vecchia data. Ma mai avrei immaginato che potesse fare una cosa del genere. Se lo ha fatto è perché forse è stato costretto. Non sapevo nemmeno che avesse una società che si occupa di queste cose», commenterà con il Corriere della Sera il presidente del Senato.
(da Open)
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Febbraio 13th, 2025 Riccardo Fucile
TRUMP MINACCIA “INFERNI” E RIDUCE GLI ALLEATI A NUOVE CECOSLOVACCHIE DA SACRIFICARE… PER PUTIN E’ IL TRIONFO DELL’IMPERIALISMO BELLICO… E L’UE FINISCE NEL GIRONE DEI DEBOLI
Un tempo almeno si utilizzavano astuzie, fumosità, si tentava di deviare l’attenzione e
l’indignazione su false piste, divagazioni come il diritto, la necessità storica, la provocazione, la necessità di difendere e difendersi. Ora non si perde più tempo. Si esige si ordina si intima. e si arraffa sulla base esclusivamente della Forza. Chi ce l’ha ovviamente. Il mondo nuovo ha il linguaggio di Trump che minaccia “inferni’’ ai tiepidi e ai renitenti. Che tratta con Putin. Zelensky? Riceverà ordini a cui dovrà obbedire. Come la Cecoslovacchia ai tempi di Monaco.
E gli altri? Protestano cercano di dilazionare fanno finta di e alla fine obbediscono. Si ha la sensazione che qualcosa di irreparabile sia accaduto, si ha come la sensazione di un singhiozzo di rabbia e di disperazione. Anime candide, o sottilmente ipocrite (anche i buoni hanno secondi fini inconfessabili ahimè) continuano ad appellarsi a enti diventati miseramente inutili, Palazzi di Vetro, corti penali, enti che una volta si vantavano di essere planetari, autorità morali.
Ma perdio c’è un diritto! Si strilla e i filosofi affrontano il compito improbo di annoverare il diritto internazionale bellico umanitario, i trattati tra i valori assoluti. Gli altri, i Forti, mettono davanti le cifre: bombe con la b maiuscola e minuscola, fatturati, casseforti e forzieri armati e disarmati. Interessi, che vuol dire terre rare, ricostruzioni miliardarie. Minacciano appunto inferni, ritorsioni punizioni. E qualche volta purtroppo oplà, eccole le minacce diventan
o realtà. La giustizia diventa, come la guerra, un problema di materialiC’è perfino una geografia del nuovo evo della prepotenza: Ucraina Nagorno Tigrè Gaza Kivu eccetera. Popoli interi si sono familiarizzati con l’idea della fine del mondo. È possibile immaginare le città in cui si vive polverizzate come Gaza o le città ucraine . Davvero a volte è difficile immaginare che ciò non avvenga. La distruzione delle città con il loro passato e il loro presente sono come una minaccia alla gente che continua a viverci. I sermoni delle pietre di Gaza e dell’Ucraina predicano il nichilismo della forza.
Minacciare rende. Zelensky ha compreso che la solidarietà atlantica fino a quando sarà necessario era protetta da muri di gusci d’uovo che potrebbero essere soffiati via in due telefonate. Con Trump alla casa Bianca i suoi virtuosi ricatti ( fateci vincere perché altrimenti dovrete difendervi da soli… ammoniva) non funzionano più. E obbedisce: posso trattate con il ricercato criminale Putin… E il presidente americano gli ricorda sgarbatamente la regola: colpa tua, hai affrontato uno che era più forte di te. Errore che non ha diritto ad assoluzione.
È crudele dire che il diritto dipende dalla forza. Ma è vero. La morale è che una nazione deve premunirsi di avere la forza per difendere la propria idea di ciò che è giusto. Quando coloro che hanno la forza ottengono ciò che vogliono un tempo cercavano di convincere di aver vinto perché sulle loro bandiere erano scritti valori superiori, il patriottismo, il coraggio, la lealtà, la integrità morale, l’altruismo. Tutte queste magnifiche virtù sarebbero state inutili se non avessero avuto la capacità di produrre armi superiori e più numerose, e mettere in campo eserciti potenti. Ha vinto la forza non il diritto, e il fatto che in qualche raro caso coincidano non cambia l’amarezza della constatazione.
Come è sterile e struggente questo pretendere di risvegliare vecchie ceneri, di combattere una impossibile guerra con la realtà. E con che futili armi: pezzi di carta che quelli che dispongono della forza non hanno sottoscritto Stati Uniti Russia Cina Israele. Le Corti con la loro speranza in fragili grazie, commoventi e inermi, vegliano giorno e notte per fare la guardia a niente.
Già ai tempi di Tucidide gli sventurati melii si erano accorti che gli ambasciatori della potente Atene portavano con sé la crudele realtà delle relazioni internazionali: obbedite o sarete resi schiavi. L’accanito demiurgo della restaurazione della età della Forza ha un nome Vladimir Putin. È lui che ha fatto cadere con la brutalità dei realisti e dei cinici quella che ha sempre considerato una quinta di cartone del mondo ben ordinato e obbediente al diritto. Anche io ho la Forza, esigo un posto sul palcoscenico e ve lo dimostro. È curioso che lo definiscano un pazzo, un visionario del male, uno stregone che evoca forze oscure al proprio servizio. È il contrario: un realista spietato, un sacerdote della forza, è l’unico arnese che sa che sa usare.
È una grammatica che Trump condivide, con cui trova familiari assonanze: lui che in ogni discorso fa riferimenti storici al periodo in cui gli Stati Uniti applicavano senza ipocrisie un imperialismo brutalmente manifesto. Forse non è vero che metà del territorio americano è stato estorto, oltre che ai nativi, al Messico con una brutale invasione? Con la scusa falsa di difendere aggressivi coloni texani che soffrivano per le angherie messicane. Il meccanismo è identico.
A invocare il mondo dei “diritti che danno speranza ai deboli’’, come ha detto la presidente della Unione europea Von der Leyen, c’è la piagnucolosa Europa dell’impotenza. Ha omesso di precisare che tra i deboli c’è proprio l’Europa.
Con un apologo vagamente volterriano il presidente francese Macron ha individuato nel mondo carnivori ed erbivori invitando gli europei a diventare almeno onnivori per tirare avanti. Non c’è niente di più patetico e umiliante dei carnivori come la Francia che hanno perso le zanne e rimpiangono i sostanziosi banchetti di una volta. Chi è stato più carnDomenico Quirico – lastampa.it) ivoro degli europei fino a quando ne abbiamo avuto la possibilità?
Domenico Quirico
(da La Stampa)
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Febbraio 13th, 2025 Riccardo Fucile
LA MELASSA PER ADDORMENTARE GLI ITALIANI
“Ma non lo vedi che Carlo Conti è un hobbit?”. E d’altra parte gli hobbit, come il conduttore veterano, non si occupano di politica, non sono bellicosi, non amano le avventure né le esplorazioni.
E Giampaolo Rossi, amministratore delegato della Rai, appoggiato a una balaustra in un angolo del teatro Ariston, mi descrive così questo settantacinquesimo Festival, il primo veramente di destra, sembra pensare il capo della Rai. E senza bisogno di invitare Elon Musk. O forse il primo del nuovo partito della nazione, chissà, quello vagheggiato poche settimane fa da Arianna Meloni: il partito (o il Festival?) in cui tutti si riconoscono. “Tutte le età, tutte le estrazioni, tutte le anime del nostro paese”. Nazione, prego. “Sì, Nazione”.
Amadeus cercava il colpo di scena, la provocazione, Ghali con il pupazzo e il genocidio dei palestinesi, le canzoni di D’Argen sui migranti, i monologhi di “pensati libera” (dai pandori), i baci omo e le mossette, Fedez e Rosa Chemical: “Un immaginario politico”.
Carlo Conti non costruisce nulla, non crea le cosiddette “situazioni”, non invita i trattori sul palco per farsi dire di no dalla Rai, e nessuno per esempio, martedì sera, ha avuto la tentazione di organizzare una finta contestazione in sala mentre si esibiva la cantante israeliana Noa con la palestinese Mira Awad. Anzi, al contrario, si temeva una contestazione “spontanea” che poi invece non c’è stata anche per la grande attenzione della sicurezza che circonda il teatro Ariston.
L’anno scorso c’era sempre una scaletta pubblica e poi altre due o tre alternative, e i copioni idem, pieni d’incastri ipotetici e invenzioni potenzialmente pirotecniche, pensate per far esplodere un caso al minuto, e tenuti segreti, tanto che gli autori dei testi, si diceva con ironia, dormivano da soli temendo di tradirsi nel sonno. E tenevano quei copioni sotto il cuscino.
Questo Sanremo è completamente diverso. “Il mio sogno sarebbe un Festival di sole canzoni”, dice per esempio Giancarlo Leone, ex direttore di Raiuno, uno di casa al Festival (“ne ho fatti cinque”) e oggi autore d’eccezione di Carlo Conti assieme a Emanuele Giovannini, Ivana Sabatini, Leopoldo Siano e Walter Santillo, che sono la squadra di tutte le trasmissioni televisive del conduttore che oggi incarna la modalità televisiva di questa destra di governo. Quella destra che, come dice l’amministratore delegato della Rai Rossi, un uomo che viene dalla militanza e che consigliava i libri da leggere alla giovanissima Giorgia Meloni, “cerca l’armonia della normalità”. La sobrietà.
E gli ascolti? I telespettatori sbadigliano? Pare di no. 12,6 milioni di spettatori, tra tv e tutte le piattaforme digitali: 65.3 per cento di share. Eppure c’è il rischio noia, forse, a volte. Ma ci pensano Cristiano Malgioglio (vestito dal suo amico Franchino: “Cambierò cinque abiti, in stile Joan Crowford”) e Nino Frassica (“a me invece mi veste Francesco Gabbani”), a spezzare la musica e la gara, questa “armonia” appunto, con la loro comicità. Anche se soprattutto, specie ieri sera, i due sono serviti ad allungare il programma, ieri di sole quindici canzoni, fino all’una e dieci di notte, ovvero fino all’orario tassativo per raggiungere l’ultimo di quei break pubblicitari strapagati che hanno consentito alla Rai di incassare la ragguardevolissima cifra di sessantasette milioni di euro. Tutta musica, dunque, gara, niente politica, niente gender, nessuna invenzione, nessun pronunciamento, nessun pensierino letto dal palco. Un po’ di vena comica, sì, un po’ di humor pacioso e rassicurante, come quello portato da Gerry Scotti martedì sera, con Antonella Clerici massaia in abito strizzato, a compensare quell’eccesso di equilibrio quasi democristiano che però è proprio la cifra rivendicata dall’amministratore Giampaolo Rossi, e dalla destra di governo che lo ha voluto a capo della Rai, secondo un principio che suona all’incirca così: il Festival è la Rai, la Rai è l’Italia, e l’Italia (ormai) noi la rappresentiamo tutta. Forse.
(da ilfoglio.it)
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Febbraio 13th, 2025 Riccardo Fucile
CON AMADEUS GLI INCASSI HANNO RAGGIIUNTO LIVELLI MAI VISTI: 67 MILIONI… OBIETTIVO SUPERARE QUELLA SOGLIA
Sanremo riaccende i riflettori e tutta Italia si incolla alla Tv. Ma il Festival non è solo
musica: è una macchina da soldi che macina cifre da capogiro. Ogni anno, tra canzoni, polemiche e gossip, il Festival si conferma come la gallina dalle uova d’oro per Rai Pubblicità. Ma quanto costa davvero farsi vedere nella vetrina più ambita della televisione italiana?
La macchina pubblicitaria di Sanremo è un ingranaggio perfettamente oliato. Già durante la direzione artistica di Claudio Baglioni il Festival aveva iniziato a macinare introiti grazie ai ricavi pubblicitari, ma con Amadeus gli incassi hanno raggiunto livelli mai visti: 67 milioni di euro solo nell’ultima edizione, grazie a uno share monstre del 65,44%. Cifre che hanno reso il palco dell’Ariston un investimento imprescindibile per i brand, pronti a sborsare somme stellari per pochi secondi di visibilità.
E a questo punto sembra scontato che per Sanremo 2025 l’obiettivo sia proprio questo: superare quei 67 milioni. Le premesse ci sono tutte. I listini pubblicitari sono aumentati del 7%, segnale inequivocabile della domanda crescente. Ma non è solo questione di Tv: la pubblicità sanremese ormai si espande anche sulle piattaforme digitali, da RaiPlay ai social network. Veniamo quindi ai numeri. Rai Pubblicità ha strutturato l’offerta Core Big Screen su otto break pubblicitari, uno di chiusura, una telepromozione (dove potrebbe comparire lo stesso Conti) e un billboard di anteprima.
I prezzi? Dipendono dalla fascia oraria e dalla durata dello spot. Per esempio, uno spot da 15 secondi in prime time varia dai 100 ai 150 mila euro. Ma se si punta alla fascia più ambita, quella delle 23.30, il costo per circa un minuto di spazio schizza fino a 1.166.050 euro. Un pacchetto da 15 secondi fuori break (il primo spot che viene mostrato ai telespettatori dopo l’annuncio della pubblicità), con sei passaggi in tre serate, costa invece 451.640 euro per l’esattezza. Numeri vertiginosi, che testimoniano il potere commerciale di Sanremo.
Ma se la gara tra i cantanti è l’anima del Festival, quella tra sponsor è il motore economico che lo alimenta. Il fenomeno richiama un po’ il Super Bowl americano, ma con un’identità tutta italiana. E le aziende lo sanno bene. Per l’edizione 2025 i brand puntano su contenuti ispirati alla musica e ai protagonisti della kermesse, mentre altri ancora sfruttano l’evento per lanciare spot completamente inediti.
Tra i main partner della 75esima edizione troviamo Costa Crociere, Dazn che debutta al Festival, seguito da Eni con Enilive, Suzuki, Tim e molti altri. Il punto è semplice: chi vuole visibilità in Italia, a febbraio deve passare da qui. E i marchi lo sanno bene.
Ecco tutti gli sponsor
Tim ritorna al Festival con due spot, uno dedicato alla giovane cantante Mimì e l’altro istituzionale, pensato per rafforzare il nuovo posizionamento del brand. La colonna sonora scelta per la campagna è “Figli delle stelle” di Alan Sorrenti. Costa Crociere, sponsor istituzionale del Festival, ha lanciato la campagna “30 secondi per partire”, ideata da LePub. L’iniziativa invita il pubblico a pensare alla vacanza come a un’occasione per staccare dalla routine e immergersi in un’esperienza unica in crociera, un messaggio che si affida alla potenza visiva dei media.
Eni, con i suoi brand Plenitude ed Enilive, è un altro dei main partner dell’evento. Il volto scelto per gli spot è Virginia Raffaele, protagonista degli spot da 60 secondi, trasmessi ogni sera. Suzuki, per il dodicesimo anno consecutivo, è Auto del Festival e sfrutta l’occasione per promuovere la nuova Suzuki S-Cross Hybrid. Generali, presente per il terzo anno consecutivo, porta con sé una nuova campagna pubblicitaria, firmata da VML, che racconta la connessione tra Sanremo e l’importanza della protezione, del benessere e della sicurezza. Anche Veralab, skincare partner ufficiale del Festival per il terzo anno consecutivo, non manca di lanciare una campagna pubblicitaria integrata, che si estende a tv, radio, digital e social.
Coca-Cola, partner per il secondo anno consecutivo, rinnova la sua presenza con attività legate alla Casa Coca-Cola e una campagna pubblicitaria studiata appositamente per gli spazi Rai. Disney+ fa il suo debutto con una campagna intitolata “Le più grandi storie vivono qui”, articolata in cinque spot, uno per ogni serata del Festival, dove vengono promossi i contenuti esclusivi della piattaforma. Dazn, al suo esordio sul palco di Sanremo, lancia la campagna “Non si smette mai di essere tifosi”, ideata da KleinRusso.
Spotify, invece, attraverso uno spot firmato da Dentsu Creative, promuove la playlist ufficiale del Festival, con Mahmood come protagonista della campagna, facendo leva sulla sua immagine musicale per attrarre il pubblico appassionato di musica. Iliad fa il suo debutto a Sanremo con la campagna “Iliad, semplice, trasparente, per sempre”, un messaggio che punta a rafforzare il suo posizionamento come operatore di telefonia “senza fronzoli”. Ceres, con uno spot esclusivo firmato da We Are Social, gioca sulle aspettative del pubblico, ribaltandole con ironia e originalità, come da tradizione del brand.
Scavolini lancia la sua campagna “Vivimi”, con Laura Pausini come testimonial, raccontando l’incontro tra casa e palcoscenico sulle note di una versione riarrangiata di “Vivimi”, un pezzo che celebra l’essenza della casa come luogo di comfort e bellezza. Zalando, con lo spot “Cosa mi metto per il tuo palco?”, celebra l’amicizia e la moda, mettendo al centro della scena la cantante Madame.
(da AffariItaliani)
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